Pagelle del Gran Premio di Gran Bretagna

Commenti semiseri dall'ex aeroporto militare della RAF

Pagelle del Gran Premio di Gran Bretagna

Gara tattica, quella di Silverstone, quasi una partita di Poker. Alla fine il punto più alto lo tira fuori Mark Webber, che in extremis beffa la Ferrari di un pur ottimo Fernando Alonso. Bene anche Massa, quarto, subito dietro al campione del mondo Vettel. Inesistenti McLaren e Mercedes, in un fine settimana dove la tanto attesa pioggia c’è stata solo durante le prove. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 6,5 – Con la migliore vettura del lotto non può essere soddisfatto di quanto raccolto, e lo sa bene. Non può perché terzo è bello ma non bellissimo, non può perché le prende da Alonso ma soprattutto perché le busca anche da Webber, il cosiddetto «Number Two Driver» buono per tutte le stagioni ma non per l’estate, quando si macinano punti. La gara la perde al sabato, quando resta indietro -relativamente, s’intende, mica si qualifica 24mo!- e al via, quando invece di recuperare va a perdere una posizione ulteriore nei confronti del redivivo Massa. La sosta ai box anticipata gli fa guadagnare la posizione su Massa e su Schumacher e alla fine il terzo posto finale è quasi logico. Ma nulla più. Resta il pilota di punta, in casa Red Bull, questo lo chiariamo a scanso di equivoci. E il rinnovo di Webber sta, paradossalmente, a ribadirlo. Però, però, però. Opaco.

Mark Webber: 10 – Come una bellissima partita a Poker. Il cinema ci ha regalato scene memorabili, attorno al tavolo verde, tra fiches, bluff, campioni e polli da spennare. E la sua gara ci ricorda davvero una partita a poker. Giocata con la calma, la tranquillità, ma soprattutto il polso fermo, di chi sa di avere una scala reale in mano. Di cuori, anzi di Tori, Rossi, con le aaali. Resta diligentemente in coda ad Alonso per il 95% della gara, partendo con le gomme morbide e restando lì con le dure, piazzando qua e là qualche acuto per far capire che sì, c’è ancora, occhio. Poi all’ultima mano ti piazza un all in da far paura, ti invita al suo gioco e poi rilancia con tutto quello che ha. Con la sicurezza, ribadiamo, di avere una scala reale. A quel punto tu non puoi che andare a vedere, e resti in mutande. Oddio, in mutande no, per Fernando arrivare secondo viste le premesse -e la situazione di due mesi fa- è comunque un mezzo miracolo. Ma la posta di quest’ultima mano se la prende l’australiano. Oramai avrete capito che chi vi scrive ha un debole per Mark, inutile negarlo o ribadirlo. Ma questo se da un lato ce lo fa esaltare quando corre bene, dall’altro spesso ce lo fa punire oltremodo quando sbaglia. E allora la cartolina da Silverstone è questa: lui che piomba alle spalle di Alonso, ci pensa un attimo poi lo infila e nel contempo fa segnare il giro più veloce fino a quel momento. Banco vince, signori. E sotto a chi tocca. Asso.

Jenson Button: 5,5 – Dicevamo nelle gare scorse che non ci sta praticamente capendo nulla. E allora, potenza del gioco di squadra, cosa fa il team? Gli mette finalmente in mano una vettura mediocre. Così, per ridargli fiducia, per dirgli «Dai, stavolta facciamo pari e patta». Lui è così emozionato all’idea che dapprima manca l’accesso alla Q2, in condizioni -va detto- comunque limite, quindi regala una gara sonnolenta, di retroguardia, nella quale però il miglior posizionamento è quello all’ultimo giro, decimo. Che gli fa agguantare un punticino piccino piccino che non serve di sicuro alla classifica e forse nemmeno al morale, ma che qualcosa comunque vale. Poca roba, certo, ma la freccia d’argento vista a Silverstone oltre che spuntata pare pure storta. Senza velocità, senza grip, senza consistenza. Paradossalmente la sua miglior gara negli ultimi due mesi. E ho detto tutto. Sgangherato.

Lewis Hamilton: 6,5 – Gli anni passano, i tempi cambiano, ma alla fine le grandi domande esistenziali restano sempre le stesse. Chi siamo? Da dove veniamo? E’ nato prima l’uovo o la gallina? Nell’amatriciana ci va la cipolla? Nell’automobilismo moderno vale di più la macchina o il pilota? E come per tutti questi interrogativi, anche la risposta all’ultima questione è materia dibattuta e in divenire. Il pistolotto introduttivo vuol farvi riflettere su quest’aspetto. La McLaren a inizio stagione aveva un vantaggio clamoroso su TUTTA la concorrenza. A Silverstone la coppia d’argento fa ottavo -LH- e decimo -JB- e si fa fatica ad assegnar colpe specifiche nell’immediato ai piloti. Ma nel non immediato? Mi spiego. Se quando l’anno scorso la Renault faceva il passo del gambero noi ce la prendevamo con Senna e Petrov, perché ora dovremmo esser teneri con Lewis e Jenson? Perché una macchina di F1 non si fabbrica col meccano, direte voi, e dunque è semplicistico prendersela solo con chi sta dietro il volante. E avete ragione. Ma solo in parte, forse. Ad ogni modo, per tagliar corto, Lewis semplicemente di più non ne aveva, a Silverstone. Di più di un ottavo posto. Questo gli varrebbe un bel voto, anche perché non commette errori -lo vediamo curiosamente passare tre volte tre la Mercedes di Rosberg- e raccoglie il massimo. Ma tutta questa storia non ci convince fino in fondo. Ed è per questo che voliamo bassi. Scontentando praticamente tutti. Ma sono affari nostri. Confuso.

Fernando Alonso: 10 – La sua partita a poker la gioca benissimo, al meglio. Anche perché in mano non ha una coppia di sette, come il duo McLaren, ma un bel poker d’assi. O meglio, al venerdì ha una misera coppia, di assi, ma cambia tre carte e al sabato si ritrova con questo splendido poker. Mix di abilità, tempismo, e anche un po’ di fortuna, inutile negarlo. La partita alla domenica la gioca bene, conduce il ballo dall’inizio, via via si alzano tutti dal tavolo, spennati ben bene. E quando alla fine restano in due, lui e uno spilungone australiano dalla mascella importante, per un attimo pensa che il suo poker sia anche sufficiente, a fargli portare a casa il banco. Ma gli basta poco, una volta rimasti in due, a capire che dall’altra parte il punto regge, regge eccome. E’ uno splendido giocatore, lo spagnolo, e da campione cerca comunque di attirare l’avversario nella sua rete, confondendo le acque. Ma all’ultima mano è costretto ad andare a vedere, e la scala reale di Tori [rossi e con le aaali, ribadiamo] batte il suo pur ottimo poker d’Assi. L’ha giocata bene, ma contro una scala reale nulla si può. Gli resta comunque la soddisfazione di rialzarsi dal tavolo con più soldi di quello che l’ha battuto, almeno per ora. E in un campionato -una World Series, verrebbe da dire- questo conta quasi più di una sconfitta provvisoria. Saggio.

Felipe Massa: 7,5 – Sapete cosa ci fa più piacere? Poter tornare a parlare di lui come un pilota vero. Non come un termine di paragone, rigorosamente negativo, ma come un pilota. Usare, cioè, lo stesso metro di giudizio che si usa con il 90% dei suoi colleghi. E questo ci piace soprattutto se, da queste forche caudine ordinarie, esce fuori una bella prestazione. Grintosa, tosta, per una volta anche senza errori. Bravo a non perdere la testa in qualifica, ottimo al via a passare Vettel -che lo risupera al pit stop-, grintoso nel passare Schumacher, seppur in crisi di gomme. Certo, se diamo per assodato che RB e Ferrari a Silverstone erano le vetture migliori, la sua resta l’ultima delle Top Car al traguardo. Ma se poi analizziamo nel dettaglio ci rendiamo conto che sì Fernando è stato superlativo ma che pure lui si è ben comportato. E che dunque il voto se lo merita tutto. Anche per la bella resistenza opposta al ritorno di Räikkönen. A questo punto potrebbe addirittura essere riconfermato, azzardiamo noi. Voi che dite? Bentornato.

Michael Schumacher: 7,5 – Nell’ipotetica partita a poker di cui sopra lui sarebbe il classico giocatore rompicoglioni. Quello che va a vedere sempre, in tutti i giri. Che rallenta il gioco con rilanci da pochi spiccioli solo per complicare le cose e per strappar via nichelini in mani che poco o nulla avrebbero da dire. E che, invariabilmente, consuma quasi tutto il gruzzolo nella prima metà della partita salvo poi dover restare a guardare, anche con punti buoni in mano, nella seconda parte per mancanza di materia prima economica. E questa parte, non si capisce bene perché, gliela fanno recitare spesso. Bah. Dopo una qualifica splendida anche stavolta lo piazzano a fare il capotreno e lui ubbidisce, disciplinato, tappando a più non posso il gruppone alle sue spalle e rovinando -legittimamente, per carità- le gare di Massa, Vettel e Räikkönen. Ma tant’è, evidentemente di meglio in casa Mercedes non riescono a tirar fuori. Alla fine, comunque, riesce a venir fuori e lo spunto -tutto gomme- con cui passa Hamilton per il settimo posto finale gli vale il voto che gli diamo. Anche perché è un’altra sberla a Rosberg. Meditate, gente, meditate…

Nico Rosberg: 4,5 – Mezzo voto in meno perché a peggiorare il suo mediocre risultato ci si è messo anche un pit stop -passateci la battuta- modello McLaren. O Williams anni ’80. Ma da salvare, del suo weekend, non c’è davvero nulla. Impalpabile, lento, evanescente, riesce nell’improbabile impresa di farsi passare per ben tre volte [!!!] dalla McLaren di Hamilton, che come ricorderete non è che andasse chissà quanto forte. E in tutto questo subisce, pesantemente, l’ingombrante ombra del compagno di squadra che a differenza sua lotta, sgomita, si fa vedere e tutto sommato raccoglie. Un weekend storto può capitare, specie se la macchina ci mette del suo in quanto a incostanza e imprecisione. Ma deve svegliarsi, subito, per non precipitare in una spirale involutiva com’è successo, per dire, a un certo JB. Non pervenuto.

Kimi Räikkönen: 5,5 – Anche questa è una provocazione. Ma con un senso. Se è vero, come pare, che la sua vettura sul passo di gara è la migliore del lotto, non è assolutamente accettabile che lui sia ancora a secco di vittorie. Non lo è perché la sua coperta è sempre troppo corta, manca ogni volta qualcosa. Che sia la qualifica, la partenza, il pit stop, la pipì da fare durante la sosta, la pupù a fine qualifica, e così via. Poi è vera anche un’altra cosa, sia ben chiaro, a sua discolpa. Se la Lotus in gara va forte perché è gentile con le gomme, non può che far fatica a mandarle in temperatura in qualifica. Questo ça va sans dire. Però anche stavolta ci mette del suo sbagliando il pertugio al via e restando una vita dietro al trenino guidato da Schumacher. Nel finale con pista libera va come un treno ma oramai è troppo tardi, e anzi manca il sorpasso a Massa con un errore negli ultimi km che lo relega in quinta posizione. Manca sempre qualcosa, dicevamo. Stavolta la sufficienza. Siamo cattivi e ce ne rendiamo conto. Ma è questo il momento del salto di qualità. Stanno buttando via troppi punti. Pigro.

Romain Grosjean: 5 – E a proposito di provocazioni o sberloni, Romain è un altro di quelli che quando ne parliamo ci prudono le mani. Quanto ben di dio buttato alle ortiche, davvero. Se le gare iniziassero dal secondo giro sarebbe in testa al mondiale. Purtroppo invece si parte dal via, poi c’è la prima curva, la seconda, la terza, e così via fino al traguardo della prima tornata. E uscirne indenne per il francese è sempre una conquista. In questo caso non si capisce bene di chi sia la responsabilità -ammesso che esista- del suo contatto con di Resta [anche se lui sembrava dietro], fatto sta che ci rimette l’alettone anteriore e deve fermarsi ai box. La sua rimonta è furiosa, grintosa e impeccabile, e lo porta a finire subito dietro il compagno di squadra. Segno che la velocità c’era, che il potenziale era evidente e che il manico non manca. Ma allora, diciamo noi, perché ogni volta la stessa storia? Tutto sommato non ha nemmeno molto senso star qui a ragionare sulle responsabilità del contatto. Il dato di fatto è uno: quando c’è un incidente al via lui c’è SEMPRE di mezzo. Qualcosa non va. Tra lui e il compagno -ribadiamo- stanno buttando via una marea di punti. Precipitoso.

Paul di Resta: sv – Pronti-via e nello spazio di un amen si ritrova subito su tre ruote. L’ala anteriore della Lotus è troppo appuntita per le sue Pirelli, evidentemente. Va ai box, cambia gomme, riparte, ma i danni al fondo sono troppo grandi e deve ritirarsi. Peccato. Tutto sommato ingiudicabile, anche perché -a quanto pare- è stato colpito da dietro. Alla faccia dell’omofobia. Kaputt.

Nico Hülkenberg: 5,5 – Si gioca il tutto per tutto in qualifica scegliendo un assetto molto carico aerodinamicamente che di fatto lo fa volare al sabato -tenete presente che doveva scontare una penalizzazione per la sostituzione del cambio- ma che in gara, con l’asciutto, lo frena. Letteralmente. Nonostante questo tiene bene botta in maniera più che dignitosa, veleggiando stabilmente in zona punti. Alla fine, però, la squadra sbaglia i conti e nelle ultime tornate è praticamente senza gomme. Cerca di resistere come può, per difendere il piazzamento, ma dapprima cede a Senna poi compie un errore che gli fa perdere la posizione sia da Button -e non aggiungiamo altro…- che da Kobayashi. Alla fine sarà dodicesimo. Vero che era partito quattordicesimo, ma anche vero che non fa la gara da Incredibile Hülkenberg che la qualifica avrebbe suggerito. La sufficienza perciò gli sfugge, ma di poco. Ordinario.

Kamui Kobayashi: 4,5 – Provocazione per provocazione: provocazione al quadrato, direte voi. No, non è questo il punto. La provocazione è questa: secondo noi la Sauber è vettura da Titolo. Sissignori. Quantomeno quella di queste ultime 2-3 gare. Il problema sono e restano i piloti. Non tanto perché non siano in gamba, ma perché non c’è occasione in cui non ne combinino una di quelle grosse. E in più il giapponese, nello specifico, sembra un lontano parente di quello ammirato fino all’anno scorso. Non so, ci pare più appannato, meno lucido ed efficace. A sprazzi, insomma. E in più si portava dietro pure il fardello della penalizzazione in griglia. Forse sente la pressione di Pérez, chissà. Fatto sta che a Silverstone parte bene ma poi retrocede e stende pure tre meccanici al box. E no che non va bene, insomma. L’undicesimo posto finale è il dato meno significativo di tutta la sua gara, paradossalmente. Confuso.

Sergio Pérez: 7 – Valgono le stesse considerazioni fatte per Kobayashi, quelle riguardo al valore della vettura e all’handicap rappresentato dai piloti. Anche se in realtà -qualifica a parte- stavolta il buon Checo ha poco da rimproverarsi. Una partenza da favola, che lo porta dal 15mo al nono posto nello spazio di un giro. E poi una condotta all’attacco fin quando non si incrocia con Maldonado. Nessuna responsabilità, a parere di chi scrive [che è quello che comanda qui, tra l’altro] per il messicano, ma l’ennesima occasione persa per portare a casa punti pesanti. Poi da qui a invocare la pena di morte per Pastor ce ne vuole. E in questo un bagno d’umiltà a Sergio -che tra l’altro sa bene cosa significa andare oltre le righe…- farebbe bene. Ma da rimproverargli, a Silverstone, non c’è molto. Certo che con due top driver chissà dove potrebbe arrivare la Sauber. Ma è anche questo il bello, ovvero vedere che il pilota a qualcosa serve ancora, nel bene e nel male. Focoso.

Daniel Ricciardo: 5,5 – E’ autore di una partenza orribile che gli fa perdere un sacco di tempo. E anche il resto del primo giro non è che sia così eccezionale. La sua gara da lì in poi è tutto sommato anonima, viene inquadrato un paio di volte a inizio gara mentre in lotta con Button e poco più. Alla fine chiuderà davanti al compagno di squadra -che pure scontava in griglia una penalità retroattiva- senza particolare infamia e senza lode. Difficile chiedergli di più, per stessa ammissione dei suo capo Franz Tost. Certo è che partir meglio forse avrebbe aiutato. Ma ci viene un po’ da sorridere pensando che Alguersuari e Buemi son stati fatti fuori perché «privi del potenziale per diventare delle star». Vien da chiedersi se sia stata la scelta giusta, a questo punto. O se piuttosto che i piloti la priorità di Ascanelli, Tost&co non avrebbe dovuto essere la vettura. Ma oramai quello che è fatto è fatto. Manca la sufficienza solo per il primo giro. Addormentato.

Jean-Éric Vergne: 6 – Anche in questo caso è dura inventarsi qualcosa. Perché la macchina è quella che è, perché l’asciutto non regala le [spesso false] speranze che una gara sul bagnato distribuisce a mani basse a tutti, e perché in più partire penalizzati di cinque posizioni in griglia in condizioni simili non è esattamente come fare tredici al totocalcio. Detto questo, e pur con tutti i distinguo, il francese porta a casa il massimo possibile riferito alle potenzialità sue e della vettura che guida. Questo passa il convento, ahilui, e questo è quello di cui accontentarsi, ahinoi. E lui stesso lo ammette quando a fine gara dice «non sono certo questi i risultati per cui gioire». Nell’attesa degli aggiornamenti aerodinamici per la sua vettura gli assegnamo la sufficienza perché tutto sommato -pur chiudendo dietro a Ricciardo- il suo weekend ad handicap è scevro da errori. Ma più di sei no. Deve bastargli. Stiracchiato.

Pastor Maldonado: 4 – «Un Cretino, se mai ne è esistito uno. Perché solo se sei un Cretino, con la C maiuscola, ti inventi una sportellata come quella rifilata a Pérez durante le prove libere». Così scrivevamo a Monaco. E non è che da allora le cose siano poi migliorate di tanto. Va forte, è innegabile. Ma ha una propensione alla sciocchezza francamente imbarazzante. A metà tra incoscienza, irruenza o semplice imprudenza. C’entra forse anche il temperamento, tanto indomito quanto irrequieto. Ora, non saremmo noi a invocare punizioni per quello che è e resta un incidente di gara. Ma la cazzata l’ha fatta, ed è giusto che si becchi il votaccio in pagella. Senza rancore ma con fermezza. Son veramente troppi i punti buttati via, oramai. Com’è lontana, Barcellona… Nervoso.

Bruno Senna: 7 – La forza dei nervi distesi. Probabilmente non vale, in termini di prestazione pura, il compagno di casacca. E spesso le ha prese, quest’anno. Ma a Silverstone è autore di una gara saggia, accorta, quasi lungimirante. Di retrovia per buona parte della corsa, fino alle battute finali, quando con una strategia corretta si trova nelle condizioni di rimontare e si arrampica fino al nono posto. Lo si vede praticamente solo alla fine, ma ben vengano comportamenti tattici così se poi alla fine porta a casa la pagnotta. Resta il nodo qualifica -ma qui c’entra un po’ anche la conformazione della vettura che al sabato è mediamente sempre meno efficiente che alla domenica- e quello costanza: in certi giorni c’è, vedi appunto Silverstone, in certi altri tende ancora ad addormentarsi troppo. Ma sta ancora crescendo e imparando. E nell’ottica di valutare la prestazione, nell’ex aeroporto della RAF si merita un bel voto. Placido.

Heikki Kovalainen: 6,5 – Per una volta non si produce nel suo numero più gettonato, la partenza a palla di cannone. Anzi, si tocca pure con un’altra vettura, perdendo addirittura terreno. Caso rarissimo. Così come rarissime sono le emozioni, durante la sua gara. La Caterham è più veloce di HRT e Marussia e più lenta di tutte le altre. Per cui di solito gli unici motivi di interesse in gare dall’andamento lineare come quella di domenica sono i duelli -veri o presunti- con il compagno di squadra. Che stavolta, però, saluta la compagnia addirittura prima di partire. Già tanto, dunque, che non si sia addormentato a metà gara. Anche se siamo pronti a scommettere che un paio di sbadigli li ha tirati, Sissignore. Magari tra una partita e l’altra con l’Uccello Incazzato. Un occhio sulla strada e un altro sullo smartphone. Potenza della modernità. Delirio [il nostro, perdonateci]. Annoiato.

Vitalij Petrov: sv – Non parte nemmeno. Il suo motore diventa il Motore Immobile di aristotelica memoria. Propulsore buono per la filosofia ma non per la gara. Peccato? Diciamo di sì, ma non ne siamo convinti nemmeno noi. Nel senso che si sarà annoiato di meno ai box, visto come sono andate le cose. Filosofo.

Pedro de la Rosa: 6,5 – Taglia il traguardo, e già questa è -al solito- una conquista. Si prende addirittura il lusso di azzardare una strategia alternativa per beffare le Marussia. Ovvviamente non va in porto, ma il solo fatto di averci provato è lodevole. Significa che lentamente si sta passando dalla logica della sopravvivenza a quella del vivere. Certo correre è un’altra cosa, ma passo dopo passo non è detto che non si ci possa avvicinare anche a quello step. Lui ad ogni modo c’è sempre. Non è un fenomeno ma vale molto di più della vettura che guida, così come la sua motivazione è ben superiore a quella che ti aspetteresti da uno della sua età al volante di una monoposto come la HRT. Che dio lo conservi, c’è bisogno anche di gente come lui. Stoico.

Narain Karthikeyan: 6 – Si fa anche qualche buon giro davanti alla Marussia di Pic. Che -per inciso- aveva girato al di sopra del 107% del tempo limite nelle prove ufficiali ed è stato ammesso solo in deroga al regolamento al Gran Premio. Ma questo non vuol dir nulla: onore al merito e onore a Narain per quelle pochissime tornate. Poi le gomme posteriori finiscono, e il ritmo -che già è quello che è in condizioni normali- crolla definitivamente. Fa una volta di più tenerezza vederlo buttarsi quasi fuori pista durante i doppiaggi. Con una reverenza e un’educazione impagabili. Come un bambino che all’improvviso si trova di fronte ai suoi idoli. Ops, forse è così sul serio. Emozionato.

Timo Glock: 6,5 – Fa quasi strano sentirlo parlare dopo il traguardo senza lamentarsi di qualcosa. Forse -malignando- verrebbe da dire che quello che è successo alla De Villota gli ha fatto capire che i problemi veri sono altri. O, molto più probabilmente, perché per una volta è tornato a rivestire i galloni di caposquadra indiscusso. Non perché non li abbia, intendiamoci. Ma perché in più di un’occasione le prestazioni di Pic hanno fatto storcere il naso a qualcuno riguardo alla sua reale motivazione. Stavolta invece no. Più veloce in qualifica, più efficace in gara, per un po’ tiene anche il passo delle Caterham prima di tornare nella posizione che più gli compete, ovvero tra le vetture di Tony Fernandes e le HRT. Corretto nei doppiaggi, senza sbavature nel pilotaggio, sereno in volto e ottimista a fine gara. Direi che la sufficienza ci sta tutta. Ritrovato.

Charles Pic: 5,5 – Stavolta fa fatica, a partire dalle qualifiche, dove fallisce il limite del 107% e può prendere il via solo in virtù di una speciale concessione. In gara resta dietro alle HRT per diversi giri, troppi, prima di liberarsene e di condurre una gara solitaria fino alla bandiera a scacchi. Certo, restare dietro a de la Rosa fino al secondo pit stop non depone troppo a suo favore. Passi per le difficoltà in qualifica -è pur sempre un deb-, ma un pizzico di grinta in più in gara poteva anche mettercela. Ed è per questo, solo per questo, che gli neghiamo la sufficienza. Vedremo se saprà rifarsi in Germania. Come abbiamo già scritto sopra, una giornata storta, tanto più se si guida una vettura così, è un peccato veniale anzichenò. Assolto.

Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it

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