F1 | GP della Turchia: l’analisi della gara

I passaggi fondamentali nella lotta per la conquista del podio

F1 | GP della Turchia: l’analisi della gara

Dopo il Nürburgring e Imola, nel corso di questo campionato la Formula 1 ha fatto il suo ritorno su un altro circuito storico della categoria, il tracciato turco di Istanbul Park. Un gradito ritorno per un appuntamento che mancava nel calendario ormai da diverse stagioni a causa di problemi finanziari, i quali avevano portato la pista ad essere destinata ad altri scopi con un utilizzo ridotto, riducendo anche gli invertenti di manutenzione. Dopo le dovute ispezioni, ciò aveva spinto gli organizzatori dell’evento a correre ai ripari, riasfaltando il tracciato solamente poche settimane prima che il Gran Premio prendesse luogo, rendendolo particolarmente scivoloso a causa degli oli che trasudavano dallo stesso. Una vera e propria sfida per i piloti, che sin dal venerdì si erano lamentati del poco grip fornito dalla pista, con tempi superiori di circa dieci secondi alle previsioni dei team. La pioggia del sabato, tuttavia, aveva rappresentato un’ulteriore complicazione ad una situazione già di per sé complicata, mettendo le squadre di fronte alla necessità di rivedere gli assetti e i componenti delle vetture: le basse temperature, unite alle velocità ridotto in tale condizioni, avevano fatto sì che le gomme subissero uno stress minore rispetto a quanto preventivato e che i freni necessitassero di essere riscaldati piuttosto che raffreddarli.

In uno dei Gran Premi più complicati della stagione non poteva non risaltare il talento di un Campione come Lewis Hamilton, il quale, grazie alla vittoria ottenuta all’Istanbul Park, è riuscito ad aggiudicarsi il settimo titolo mondiale in carriera, eguagliando un’altra leggenda dello sport, Michael Schumacher. Lo ha fatto con una prestazione di altissimo livello in condizioni variabili e non ci poteva essere modo migliore per celebrare questo ennesimo traguardo. Una giornata perfetta, al contrario di quella dell’unico contendente rimasto nella corsa al mondiale, Valtteri Bottas, sprofondato tra incidenti e testacoda al di fuori della zona punti. Ad accompagnare l’inglese sul podio vi erano altri due protagonisti della corsa di domenica scorsa, Sergio Perez e Sebastian Vettel, capaci di trarre il massimo da una prima parte di gara in cui avevano messo le basi per un risultato che era sfuggito in altre occasioni, soprattutto per il messicano. Nonostante i due fossero su strategie molto diverse tra loro, la lotta per il podio era risolta solamente nell’ultimo passaggio, con un arrivo al decimo di secondo in cui era stato coinvolto anche Charles Leclerc, autore di un errore nella fase decisiva nonostante una bellissima rimonta. Un risultato importante in particolar modo per la squadra anglo-canadese, che gli ha permesso di estendere il suo vantaggio per il raggiungimento del terzo posto nel mondiale costruttori a discapito di Renault e McLaren. Il team francese, infatti, si è dovuto accontentare solamente di un punto arrivato grazie al decimo posto di Daniel Ricciardo, mentre il suo compagno di squadra, Esteban Ocon, era rimasto suo malgrado coinvolto in alcuni incidenti nel corso del primo passaggio. Mezzo pieno il bicchiere in casa McLaren, quinta e ottava sul traguardo con Carlos Sainz Jr. e Lando Norris: piazzamenti che, da un certo punto di vista, tuttavia, lasciano l’amaro in bocca considerando il passo mostrato da entrambe le monoposto sul finale di gara, il quale poteva garantirgli una posizione d’arrivo ancora migliore se non fosse stato per uno stint iniziale estremamente negativo.

A dividere le due MCL35 del team inglese sono state le Red Bull, rispettivamente sesta e settima alla bandiera a scacchi. Uno dei più delusi non può non essere Max Verstappen, il quale si è visto sfuggire l’opportunità di centrare il successo di tappa a causa di una partenza infelice e di un brutto testacoda mentre si trovava in zona podio, così come Alex Albon, autore di diversi errori proprio nella fase cruciale del Gran Premio. Solamente una nona posizione per colui che era stato il poleman del weekend, Lance Stroll, autore di una seconda parte di gara incolore dopo aver mantenuto a lungo e meritatamente la testa della corsa.

Non si è trattato di un fine settimana positivo in casa AlphaTauri, mai veramente in lotta per riuscire a portare a casa un risultato di rilievo a causa delle difficoltà in termini di grip e gestione degli pneumatici riscontrati sin dal venerdì: la penalità aggiuntiva nel pre-gara che aveva costretto Pierre Gasly a prendere il via dal fondo della griglia non aveva di certo aiutato, ma era chiaro che i problemi della AT01 andassero ben oltre questo semplice fattore. Corsa al quanto complicata anche per la Haas, costretta al ritiro con entrambe le vetture. Un rimpianto soprattutto per Kevin Magnussen, rallentato da un lungo pit stop mentre si trovava in lotta per conquistare qualche punto iridato. Discorso diverso per l’Alfa Romeo, la quale in qualifica era riuscita a portare entrambe le vetture in Q3, centrando per la prima volta in stagione la top ten con entrambe le monoposto. La domenica del team italo-svizzero, tuttavia, aveva preso una brutta piega già del pre-gara, quando Antonio Giovinazzi era finito nella ghiaia durante i giri di schieramento, danneggiando l’ala anteriore della sua monoposto: nonostante fosse riuscito a prendere il via della corsa, l’italiano si è poi dovuto ritirare in seguito ad un problema al cambio, mentre Kimi Raikkonen non è riuscito ad andare oltre il quindicesimo posto complici le difficoltà nel fare funzionare le gomme nel corretto range di funzionamento. A concludere la classifica la Williams, la cui corsa non era iniziata nel migliore dei modi a causa di un incidente da parte di George Russell in pit lane, in cui aveva danneggiato l’ala anteriore della sua vettura. Ciò aveva spinto il team a prendere una decisione importante, mantenendo entrambe le monoposto ai box, in modo da effettuare qualche modifica e lasciargli l’opportunità di tentare una strategia diversa da quella degli avversari, partendo sulla mescola intermedia. Una decisione che sfortunatamente non ha pagato come si aspettavano gli ingegneri, complice anche il ritiro di Nicholas Latifi dopo un contatto con Romain Grosjean.

Mercedes: Hamilton si conferma sempre piĂą nella storia

Nel corso della stagione, la Mercedes W11 si è dimostrata senza dubbio la vettura più competitiva, vincendo il titolo costruttori e aiutando Lewis Hamilton a conquistare il suo settimo alloro iridato in carriera. Una superiorità figlia di una monoposto competitiva in ogni aspetto, dalla potenza della Power Unit alla gestione degli pneumatici, ma di fronte all’asfalto dell’Istanbul Park, gli ingegneri si erano trovati di fronte ad una nuova sfida. I pochi dati a disposizione della pista, unite condizioni particolari che si erano presentate, avevano fatto sì che i tecnici non si dovessero più affidare a quanto era stato estrapolato dalle simulazioni, bensì al vero e proprio lavoro in pista, migliorando il set-up della monoposto giorno dopo giorno. Avendo a disposizione molti dati in merito al comportamento della W11 ottenuti nel corso della stagione, naturalmente la squadra non partiva da un foglio bianco, ma riuscire ad estrarre il massimo dal pacchetto non sarebbe stato semplice. Sin dalle prove del venerdì era divenuto chiaro come in questa occasione la monoposto non sembrasse una schiacciasassi come in altri weekend, ma necessitasse di un duro lavoro di messa a punto per fare funzionare al meglio gli pneumatici e portarli nel corretto range di funzionamento. Un aspetto che si era evidenziato soprattutto in qualifica, dove è importante estrarre il massimo in un breve lasso di tempo e non sulla lunga distanza. Difficoltà che James Vowles, Strategy Director di casa Mercedes, ha cercato di spiegare fornendo un’accurata analisi di quali fossero le debolezze in quelle determinate condizioni: “Semplicemente non riuscivamo a generare l’energia e le temperature nelle gomme in un solo giro. Tutto riguarda l’energia che riesce a mettere nelle gomme, il motore produrrà energia e farà funzionare le gomme generando pattinamento, le i freni generanno energia che poi si trasferirà agli pneumatici. Ma ovviamente il tracciato era bagnato e la pioggia porta via parte di quell’energia dalle coperture in continuazione, quindi tutto sta nel riuscire a fornire più energia di quanto ne viene tolta. Più vai veloce in alcune zone del tracciato, più riuscirai a generare energia che andranno ad incrementare le temperature, ma sotto quest’aspetto non eravamo al livello dei leader, non riuscivamo a raggiungere il livello di performance richiesto”, ha dichiarato l’inglese.

In vista della corsa, tuttavia, era lecito aspettarsi un miglioramento, non tanto nei primissimi giri, dove Mercedes avrebbe comunque faticato a far entrare rapidamente gli pneumatici, quanto più in fase successiva della gara, uscendo quindi sulla lunga distanza. Nonostante una qualifica deludente che lo aveva relegato al sesto posto, Hamilton era riuscito a riscattarsi subito in partenza, guadagnando diverse posizioni grazie ad un ottimo scatto allo spegnimento dei semafori: a dargli una grossa mano era stato anche il pessimo avvio delle due Red Bull, che aveva dato così l’opportunità all’inglese di ritrovarsi con la linea più interna completamente libera ed affondare l’attacco sulle due Renault in curva 1, grazie a cui era riuscito a risalire sino al terzo posto. Così come in Portogallo, tuttavia, in condizioni di così scarso grip e con pneumatici non ancora in temperatura, Hamilton si era saggiamente dimostrato molto cauto nella guida, cercando di limitare il più possibile il numero di errori che avrebbero potuto compromettere irrimediabilmente la sua rincorsa al settimo alloro iridato. Nonostante la premura nel gestire la vettura, tuttavia, Hamilton era stato suo malgrado protagonista di un lungo in curva 9 dopo una correzione in entrata, perdendo la posizione sia su Sebastian Vettel che Max Verstappen.

Difficoltà evidenti, che si erano notate anche nei passaggi successivi dove, a causa di qualche piccolo errore, Lewis aveva perso contatto con il gruppo davanti a sé, rimanendo distaccato di qualche secondo. Una delicatezza al volante che la si poteva apprezzare anche nell’utilizzo del cambio, molto dolce in scalata per evitare di scomporre il posteriore, e in frenata, dove cercava di non forzare eccessivamente per evitare di arrivare al bloccaggio. Solamente verso il settimo giro la situazione era iniziata progressivamente a migliorare grazie all’aumento delle temperature sull’asse anteriore, ma a quel punto era già arrivato il momento di prendere una scelta: rientrare ai box per montare un nuovo set di pneumatici intermedi oppure rimanere in pista e percorrere ancora qualche passaggio con la full wet. L’aumento delle temperature all’asse anteriore, anche per via dell’utilizzo del DAS che era stato brevemente adoperato sui rettilinei, unita alla tanta acqua in pista che i piloti potevano percepire, aveva spinto Lewis a pensare che effettuare un pit stop in quel momento sarebbe stato inutile e che, al contrario, la scelta migliore sarebbe stata quella di rimanere in pista aspettando che un successivo miglioramento delle condizioni. Tuttavia, i tempi segnati da coloro che si erano precedentemente fermati per montare l’intermedia avevano spinto gli ingegneri della Mercedes a forzare la strategia, richiamando Hamilton alla fine dell’ottavo passaggio proprio per passare al compound che in quel momento sembrava dare i risultati più confortanti a livello cronometrico. Una decisione che, tuttavia, andava oltre la semplice scelta della singola mescola. Se nel corso del primo stint, infatti, l’inglese era stato l’unico in griglia insieme ad Alex Albon e Valtteri Bottas a prendere il via su un treno di gomme full wet completamente nuovo, per la seconda parte di gara la situazione si sarebbe capovolta, dato che Lewis aveva chiesto categoricamente di passare ad un set di pneumatici usati. Una scelta di certo non inusuale, tanto che spesso i piloti tendono a “rodare” anche le coperture d’asciutto completando gli installation lap durante le sessioni di prove libere.

Subito dopo la sosta, grazie anche ad un piccolo errore da parte di Sebastian Vettel, Hamilton era riuscito a riportarsi negli scarichi del tedesco della Ferrari, dimostrando potenzialmente di avere dalla sua un buon passo per il resto del Gran Premio. Riuscire a sorpassare il più rapidamente possibile il quattro volte campione del mondo sarebbe stato fondamentale, non solo per mettersi al riparo da coloro che stavano giungendo alle sue spalle, come Alexander Albon, ma anche per mantenere il ritmo di Max Verstappen, il quale dopo il suo pit stop era riuscito a sopravanzare di strategia il portacolori del Cavallino e a trovarsi a pista libera, pronto per dare il via la rincorsa ai due piloti della Racing Point. La disattivazione momentanea del DRS da parte della direzione gara, tuttavia, aveva reso estremamente più complicati i sorpassi in pista e, per tentare un attacco, sarebbe stato vitale sfruttare al meglio il lungo rettilineo e la successiva zona di frenata. Un’opportunità che Lewis si era creato subito dopo la conclusione della Virtual Safety Car nel quattordicesimo giro, portandosi nella scia del Ferrarista e provando un attacco alla staccata di curva 12, che in realtà un vero e proprio tentativo non era: nonostante l’inglese si fosse portato in posizione sull’interno, i freni e gli pneumatici ancora freddi, uniti ad una linea ancora bagnata, avevano spinto Hamilton a desistere dall’affondare, anticipando così il punto di frenata. A dispetto delle manovre evasivo prese, Hamilton non aveva comunque potuto evitare di arrivare quasi al bloccaggio delle gomme, finendo lungo e lasciando l’opportunità ad Albon di completare il sorpasso e portarsi in quinta posizione. A sua volta, l’anglo-tailandese della Red Bull non aveva impiegato molto tempo a sbarazzarsi del rivale della Rossa, riportando così ancora una volta in auge la sfida proprio tra Vettel e l’alfiere del team di Stoccarda, le cui differenze in termini di guida erano ben evidenti. Il tedesco manteneva una linea molto tondeggiante, utile non solo a preservare gli pneumatici, ma anche a massimizzare l’uscita di curva, mentre il pilota di Stevenage aveva optato per un approccio esattamente all’opposto, mantenendo linee più interne in entrata e percorrenza che gli permettessero di percorrere meno strada possibile. Complici diversi lunghi in curva 1 e 4, due delle zone più insidiose della pista, dove era presente ancora molta acqua e dove era semplice perdere il posteriore essendo un tratto in discesa, unito all’incremento di ritmo da parte di Vettel, Hamilton aveva iniziato ad accusare un gap di diversi decimi sul giro, fino ad arrivare ad un distacco di circa quattro secondi dal portacolori della Scuderia di Maranello. Uno svantaggio che in realtà Lewis avrebbe chiuso abbastanza rapidamente, anche grazie ai vari doppiaggi, i quali avevano fatto perdere al tedesco della Rossa diversi secondi, dando così l’opportunità all’inglese di riavvicinarsi nonostante non vi fosse stato un miglioramento del passo da parte sua.

Arrivati verso il trentesimo passaggio, era giunto il momento di comprendere quale fosse il prossimo passo da fare, scegliere in che direzione andare. Se da una parte la speranza degli ingegneri era quella di ritardare il più possibile la seconda sosta in attesa che la pista si asciugasse e permettesse la transizione dalle intermedie alle slick, lo stesso non si poteva dire per i piloti, i quali avevano più volte espresso i propri dubbi in merito al fatto che il tracciato potesse cambiare drasticamente di condizioni prima della conclusione della gara. Diverse erano anche quindi le indicazioni che arrivavano tra le due parti: gli ingegneri chiedevano a Lewis di salvare il più possibile le coperture, andando anche sulle zone più bagnate lungo i rettilinei, in modo abbassare le temperature della superficie ed evitare che la gomma di degradasse, mentre Hamilton valutava come unica opzione quella secondo cui, nel caso di seconda sosta, l’unica alternativa valida sarebbe stata quella di montare un secondo set di gomme intermedie con cui arrivare fino in fondo. A cambiare la situazione, tuttavia, era stato il pit stop di Sebastian Vettel, che in realtà in Mercedes non si aspettavano come confermato via radio, anche perché in casa Ferrari probabilmente avevano mancato di qualche giro quella che sarebbe stata la finestra ideale per rientrare e sfruttare quei pochi giri di vantaggio in termini prestazionali che la gomma nuova garantiva nei confronti di una più usata. Ciò aveva cambiato le carte in tavola, perché da una situazione in cui il team tedesco si aspettava di dover rimanere a lungo ancora alle spalle del tedesco, si era passati ad una in cui Hamilton aveva finalmente pista libera e poteva spingere secondo il proprio passo tanto che, superato anche Albon, il quale era finito in testacoda in curva 4, era stato lo stesso Lewis a chiedere ai box di rimanere in pista ed evitare un secondo pit stop, continuando la sua riconcorsa nei confronti delle due Racing Point, poi raggiunte solamente qualche tornata più tardi. Grazie alla differenza di passo e all’ausilio del DRS, Lewis era riuscito a sbarazzarsi rapidamente anche di Sergio Perez, prendendosi la testa della corsa nel trentasettesimo passaggio. Proprio questa scelta di rimanere fuori, unita ad un’ottima gestione degli pneumatici, era stata la mossa che gli aveva garantito il successo di tappa. Per capirne il motivo, però, è importante fare una breve introduzione su quali fossero le alternative in gioco per il campione inglese e perché questa strategia abbia funzionato così bene nel suo caso.

Innanzitutto, come dicevamo, il pit stop di Vettel aveva chiaramente spostato la strategia verso il ritardare il più possibile il pit stop sperando nell’asciutto e, con il senno di poi, questa scelta sembrava essere supportata anche dai tempi, che si erano chiaramente abbassati una volta che Hamilton era finalmente riuscito a girare in aria pulita. Rimanendo in pista con un’intermedia già visibilmente consumata, la preoccupazione principale era quella che, nel caso l’asfalto si fosse continuato ad asciugare, sulla lunga distanza la gomma arrivasse ad un livello tale da comprometterne non solo la durata, ma anche la stabilità della stessa, accelerandone il degrado e diminuendone la performance, magari avvertendo quelle malsane vibrazioni che avrebbero potuto compromettere l’integrità dello pneumatico stesso. Un problema che avrebbe potuto cambiare completamente le carte in tavola e che magari avrebbe costretto Lewis ad un pit stop in una finestra poco favorevole, facendogli perdere diverse posizioni. Ma perché ciò non è avvenuto e quali sono i fattori che hanno poi permesso all’inglese di arrivare alla bandiera a scacchi senza grossi problemi? Prima di tutto, un aspetto da tenere in considerazione erano le condizioni della pista. Per tutta la durata del Gran Premio, gli ingegneri avevano chiesto più volte ai propri piloti di fornirgli dei feedback in merito alle condizioni dell’asfalto, in particolar modo in che momento questo sarebbe stato pronto al passaggio agli pneumatici slick. Verso metà gara, tuttavia, i piloti avevano indicato non solo che la pista fosse ancora troppo bagnata per montare immediatamente degli pneumatici da asciutto, ma anche che sicuramente ci sarebbero voluti ancora molto passaggi per arrivare a talo punto, dato che l’asfalto progrediva molto lentamente. Ciò aveva rappresentato un elemento fondamentale nella strategia dell’inglese, perché nel caso il tracciato si fosse asciugato velocemente, il castello di carte costruito fino a quel momento da Lewis sarebbe caduto rapidamente. La gomma intermedia, infatti, è pensata per dare il meglio di sé in condizioni di pioggia leggera, quando tendenzialmente vi è ancora un po’ di acqua in pista che possa mantenere lo pneumatico stesso nel corretto range di temperatura, evitandone il surriscaldamento che invece incontrerebbe su un asfalto essenzialmente asciutto. Questo perché la mescola di questa particolare copertura è estremamente morbida, in modo da aiutare i piloti a portarla nella corretta finestra di funzionamento il più rapidamente possibile, soprattutto in quelle situazioni in cui vi è molta acqua in pista e, di conseguenza, sia le temperature che le energie in gioco sono molto più basse di quelle a cui i team sarebbero abituati in condizioni normali, rischiando di andare incontro al graining. Su un tracciato che si sta progressivamente asciugando, però, la situazione si capovolge e il rischio è quella di surriscaldarla eccessivamente, accelerandone il degrado e peggiorandone le prestazioni, motivo per il quale non è inusuale vedere i piloti spostarsi letteralmente dalla linea ideale per andare su quelle zone in cui vi è presente ancora molta acqua, in modo da diminuire per quanto possibile le temperature sulla parte più esterna dello pneumatico. Un fenomeno oltretutto accelerato dal fatto che in condizioni di pista bagnata le squadre tendono ad usare pressioni maggiori, in modo da massimizzare il processo di riscaldamento delle gomme su un’impronta ridotta, il che sarebbe invece deleterio in una situazione d’asciutto, dove lo pneumatico finirebbe per scivolare incrementando, come in un circolo vizioso, ancora di più le temperature. Un aspetto a cui un pilota del calibro di Hamilton aveva pensato, comunicando ai box che, in caso di seconda sosta sulle intermedie, i meccanici avrebbero dovuto rimuovere le coperture dalle termocoperte, in modo da diminuire le pressioni: indubbiamente questo non avrebbe aiutato nella fase iniziale dello stint, complicando la fase di warm-up, ma sarebbe stato fondamentale sulla lunga distanza.

A giocare un ruolo fondamentale nella strategia del pilota inglese era quindi stato proprio il fatto che la pista non si fosse mai propriamente asciugata e che, soprattutto, non lo avesse fatto rapidamente, dando così il tempo all’intermedia di consumarsi omogeneamente e trasformarsi in una sorta di slick, distribuendo oltretutto il calore un’impronta a terra maggiore. Per quanto la gomma avesse comunque visto un degrado, come confermato dal team, le prestazioni erano comunque rimaste stabili, tanto che i tempi del sette campione del mondo non aveva subito un decadimento evidente, ma anzi, continuavano ad essere estremamente competitivi anche con il passare dei giri. Chiaramente, tuttavia, per quanto si trovasse in una situazione favorevole, vi era sempre un punto limite da non raggiungere, un punto di non ritorno, il che richiedeva un costante controllo sia da parte del pilota che da parte del team, in modo da non stressare eccessivamente le gomme e portarle ad una situazione tale per cui si sarebbe dovuta rendere necessaria un’ulteriore sosta. Una preoccupazione che in casa Mercedes era giunta a circa quindici passaggi dalla bandiera a scacchi, soprattutto per il progressivo aumento di vibrazioni da parte delle coperture, le quali stavano spingendo il team anglo-tedesco a prendere in considerazione delle alternative per arrivare al traguardo in piena sicurezza. Tra queste vi era anche la possibilitĂ  di fermarsi una seconda volta, in parte proprio per salvaguardare gli pneumatici, in parte perchĂ© in caso fosse arrivato un secondo acquazzone, quelle intermedie – ormai slick – montante sulla vettura numero 44 non avrebbero mai potuto garantire il supporto necessario per concludere il Gran Premio senza difficoltĂ . Per questo, prima di tutto, a una decina di passaggi dalla conclusione, il muretto Mercedes aveva aperto la radio per comprendere quanto Lewis stesse spingendo e se vi fosse di trovare quei decimi utili ad avere dalla propria i secondi necessari per fermarsi nuovamente e rientrare comunque davanti a tutti. Dal canto suo, Hamilton era stato piuttosto chiaro come, seppur stesse cercando di salvare gli pneumatici per arrivare fino alla bandiera a scacchi, incrementare il passo non sarebbe stata una soluzione praticabile, ma che anzi avrebbe solo finito per danneggiare delle coperture che negli ultimi passaggi avevano anche visto peggiorare quei fenomeni di vibrazioni avvertiti precedentemente. Con il possibile arrivo della pioggia sul finale, in Mercedes avevano giustamente deciso di cautelarsi, richiamando Hamilton ai box a due tornate dalla conclusione, in modo da potergli garantire un set di pneumatici che lo avrebbe messo al sicuro anche se la pista si fosse ulteriormente bagnata. Una scelta che, per quanto potesse essere condivisibile, Lewis aveva deciso di non seguire, preferendo rimanere in pista: oltre al fatto che mancassero solamente pochi passaggi alla bandiera a scacchi, vi era da tenere in considerazione come la pit lane fosse estremamente scivolosa e fosse rimasta molta acqua stagnante, per cui il rischio di finire a muro anche a velocitĂ  ridotta era sempre dietro l’angolo. Una decisione che aveva pagato, soprattutto nel momento in cui la pioggia tanto attesa non sarebbe poi arrivata, permettendo all’inglese di tagliare il traguardo in prima posizione e di aggiudicarsi il suo settimo titolo mondiale in carriera con stile, grazie ad una delle prestazioni migliori della stagione.

Prima dell’appuntamento turco, l’unico pilota rimasto in grado in impensierire Hamilton a livello matematico per la corsa all’alloro iridato era il suo compagno di squadra, Valtteri Bottas. Il nono posto conquistato in qualifica, tuttavia, non rappresentava di certo la posizione ideale per mantenere aperta la lotta per il mondiale, anche se prendere il via dalla parte più pulita della griglia gli avrebbe potuto sicuramente fornire un vantaggio. In effetti, la scatto allo spegnimento dei semafori era stato particolarmente positivo, tanto da permettergli di recuperare la posizione sulle due Red Bull e di portarsi immediatamente in scia alle Renault. Ciò che il finlandese non poteva aspettarsi, però, era il fatto che si sarebbe trovato in una situazione per cui non avrebbe avuto modo di affrontare curva 1 con una linea più interna, date le numerose vetture presenti, il che lo aveva costretto ad allungare la staccata e a finire sulla parte sporca e ancor più bagnata del tracciato. Il testacoda di Esteban Ocon in curva 1, dovuto ad un contatto con il suo compagno di squadra, non aveva aiutato da questo punto di vista, perché nel momento in Bottas era andato sui freni proprio evitare il francese, con il poco grip a disposizione in quella zona della pista non vi era nulla che il pilota della Mercedes potesse fare evitare di finire a sua volta in testacoda e, così, in ultima posizione.

Fortunatamente per il finlandese, il gruppo davanti a sé non aveva preso il largo, quindi sarebbe bastata qualche curva per riprendere contatto e dare il via alla propria rimonta. Già in curva sette, infatti, Bottas era stato in grado di superare sia Lando Norris, arrivato lungo in seguito ad un errore, che Romain Grosjean, portandosi così alle spalle di Charles Leclerc, suo malgrado autore di un pessimo start allo spegnimento dei semafori. Nel tentativo di sopravanzare anche il Ferrarista, il pilota della Mercedes aveva sfruttato al meglio la percorrenza di curva otto, portandosi sulla traiettoria più interna per la frenata di curva nove, uno dei migliori punti di sorpasso dell’intero circuito. Una mossa di per sé comprensibile, ma che in realtà avrebbe pagato a caro prezzo: nonostante Bottas avesse effettivamente alzato il piede piuttosto presto dall’acceleratore, frenando in un punto in cui la pista era ancora così sporca e bagnata era arrivato quasi immediatamente al bloccaggio dello pneumatico posteriore destro, perdendo essenzialmente il controllo della sua monoposto e arrivando al contatto con Esteban Ocon, che si trovava qualche metro più avanti al monegasco della Rossa. Chiaramente, nel momento in cui Valtteri aveva pensato a quell’attacco, il suo obiettivo non era quello di sopravanzare anche il francese della Renault, troppo distante per pensare una mossa così aggressiva, ma essendo arrivato al bloccaggio degli pneumatici così presto, non vi era molto che potesse fare per evitare l’incidente. Oltre al testacoda, due elementi avevano ulteriormente complicato la sua corsa: a causa del contatto, infatti, il sistema sterzante era rimasto leggermente danneggiato, facendo sì che anche sui rettilinei, la vettura puntasse verso sinistra. Inoltre, sul lato sinistro dell’ala anteriore, si poteva notare come il footplate fosse rimasto danneggiato, incastrandosi poi per qualche giro nella zona dei bargeboard. Un problema non di poco conto per il numero 77, il quale nonostante fosse comunque riuscito a recuperare la coda del gruppo, come altri piloti si trovava essenzialmente bloccato a causa delle difficoltà nel completare i sorpassi senza l’ausilio del DRS. Proprio per questo motivo dopo pochi passaggi il finlandese aveva aperto la radio per chiedere una cambio di strategia, anticipando la sosta per passare all’intermedia e completare un undercut su coloro che si trovavano davanti a lui.

Una decisione che aveva dato i suoi frutti e che gli aveva permesso di recuperare qualche posizione, ma che sarebbe stata solamente l’anticamera di un pomeriggio disastroso. Non riuscendo a mandare in temperatura gli pneumatici, infatti, Valtteri aveva faticato a trovare il ritmo e i molteplici testacoda, sei in totale, non avevano di certo aiutato, soprattutto per quest’ultimi erano arrivati non tanto per un problema di gestione della monoposto, ma semplicemente perché in alcune situazioni di gara o era finito su una linea molto esterna e più sporca, dove il grip era minore, oppure su una di quelle pozze d’acqua stagnante, in particolar modo all’uscita di curva 1. Errori, quindi, di per sé evitabili e che di certo non rispecchiano le abilità del finlandese anche in queste condizioni, dove in passato si era spesso dimostrato competitivo. Sul finale il team aveva anche valutato l’opportunità di fare un azzardo e passare sulle gomme d’asciutto, rinunciandovi per diversi motivi. In primo luogo, bisognava tenere in considerazione che mescole avesse portato Pirelli per questo weekend: aspettandosi prestazioni molto più importanti e forze maggiori, il costruttore italiano aveva portato i compound più duri a disposizione dell’intera gamma, il che avrebbe reso molto complicato portarli in temperatura con asfalto così scivoloso e temperature così fredde, innescando il graning. Secondo motivo riguardava la situazione di gara: prima dell’ultima sosta, Bottas si trovava comunque in quattordicesima posizione a quasi trenta secondi dalla zona punti e, molto probabilmente, anche se la mescola d’asciutto avesse dato un margine prestazione, non sarebbe stato sufficiente per chiudere quel distacco, quindi il gioco non valeva la candela. Una giornata storta per il pilota finlandese, una delle peggiori degli ultimi anni, ma potrà subito rifarsi la prossima settimana, quando la Formula 1 si sposterà sul circuito di Sakhir in Bahrain, una pista dove Valtteri ha spesso dimostrato di essere veloce.

Racing Point: una gara a due facce

Dopo undici anni, la Racing Point era finalmente tornata davanti a tutti, conquistando la pole position del Gran Premio di Turchia grazie ad una fantastica prestazione di Lance Stroll, da sempre abile nell’estrarre il massimo dal pacchetto in particolar modo in situazioni di bagnato estremo. La prima e la terza posizione rappresentavano un ottimo punto di partenza su cui costruire una gara che avrebbe potuto vederli non solo in lotta per una posizione sul podio, ma anche sul gradino più alto nel caso tutti i tasselli fossero andati nel posto giusto. Una sensazione che in casa Racing Point si poteva avvertire anche subito dopo la partenza in cui, sfruttando il lato pulito della pista, sia Stroll che Perez erano riusciti a mantenere la testa della corsa, conquistando rapidamente un rapido vantaggio sugli avversari. Così come in qualifica, anche alla domenica la RP20 nei primissimi giri sembrava a suo agio, soprattutto sotto l’aspetto del riscaldamento degli pneumatici, garantendo così l’opportunità ai piloti di trovare un miglior feeling e poter osare sia in percorrenza che in frenata, zone dove in realtà gli avversari incontravano maggiori difficoltà. Ciò lo si era visto soprattutto con il canadese, che alla fine del primo giro poteva contare di un vantaggio sul compagno di squadra di quasi quattro secondi, mentre il rivale più vicino, Sebastian Vettel, si trovava in terza posizione ma circa otto secondi e mezzo. Un vantaggio che, soprattutto nei primissimi passaggi a gomma fredda, incrementava costantemente, fino a portarsi stabilmente intorno ai quindici secondi, quando anche il gruppo alle loro spalle aveva iniziato a portare gli pneumatici in un buon range di funzionamento e a prendere il ritmo.

Ciò si era rivelato estremamente importante per la strategia del team anglo-canadese, che avrebbe avuto così tutto il tempo di analizzare i tempi degli altri e comprendere al meglio quale sarebbe stato il momento ideale per fermarsi e montare l’intermedia. Con Lance Stroll, questa fase era giunta nel corso del nono passaggio, ma le preoccupazioni principali non andavano tanto al canadese, quanto al suo compagno di squadra. Dopo il pit stop di Sebastian Vettel, Max Verstappen aveva finalmente avuto pista libera per tentare di imporre il suo ritmo e iniziare la propria rimonta nei confronti dei battistrada. Se la progressione dei tempi dei piloti della Racing Point era stata positiva, nulla aveva a che vedere con quella dell’olandese, che in pochissime tornate erano riuscito a recuperare svariati secondi al duo di testa, tanto impensierire gli ingegneri del team anglo-canadese, i quali avevano preferito cautelarsi e richiamare il più presto possibile anche Perez, chiedendogli oltretutto di spingere nei primi momenti a gomma nuova e fornendogli mappature più aggressive che avrebbero aiutato anche nella fase di warm-up. Fortunatamente per il messicano, la scelta del muretto aveva dato i suoi frutti, permettendogli di mantenere la seconda posizione nonostante l’olandese gli fosse uscito quasi affiancato. Dalla sua, vi era anche un altro fattore: fino a quel momento, infatti, non era stato abilitato l’utilizzo del DRS da parte della direzione gara, per cui qualunque sorpasso avrebbe dovuto essere portato a termine senza l’ausilio dell’ala mobile. Ciò chiaramente aveva reso il lavoro di Verstappen molto più complicato, non solo perché tendenzialmente il messicano della Racing Point fosse estremamente competitivo in fase di trazione, ma anche perché il leggero vantaggio in termini di velocità massima sui rettilinei gli garantiva un pizzico di sicurezza in più. Nonostante, infatti, il portacolori della Red Bull cercasse di inventarsi linee interne ed incroci che gli permettessero di percorrere meno strada possibile e di avvicinarsi a colui che lo precedeva, nelle zone nevralgiche del tracciato, Perez riusciva sempre a costruirsi un piccolo tesoretto che lo metteva ai rimpari dagli attacchi da parte di chi aveva alle spalle.

Complici vari punti di forza delle due vetture e la situazione di stallo che si era venuta a creare in quel momento, l’unica speranza per Verstappen di tentare concretamente un attacco che potesse fargli guadagnare era quella che il messicano commettesse un errore, magari in una zona specifica del tracciato che gli avrebbe poi aperto uno spiraglio per inventarsi il sorpasso. Un’opportunità che si era creata nel corso del diciottesimo giro, in cui Perez era arrivato leggermente lungo in curva nove dopo aver toccato una pozzanghera d’acqua, perdendo così l’opportunità di sfruttare al massimo l’uscita e portare maggiore velocità sul rettilineo successivo. Nel tentativo di rimanere in scia, tuttavia, l’olandese era finito in testacoda, lasciando così spazio al numero 11 della Racing Point di prendere momentaneamente fiato. Una situazione che, tuttavia, era durata solamente qualche passaggio, perché già pochi giri più tardi una nuova minaccia si era fatta viva alle spalle del messicano, corrispondente al nome di Alex Albon. Dopo aver sorpassato Lewis Hamilton e Sebastian Vettel, infatti, il pilota della Red Bull sembrava aver trovato un’ottima confidenza con la proprio monoposto, come dimostravano anche i tempi ottenuti, un secondo più rapidi rispetto ai suoi diretti rivali, il che gli aveva permesso di riportarsi rapidamente negli scarichi della vettura di Perez. Anche in questo caso, però, sembrava ripetersi lo stesso scenario che si era visto con Verstappen: il portacolori della Racing Point sfruttava al meglio la velocità di punta della sua RP20 e interpretava linee che gli garantissero la massima performance in uscita, mentre Albon, nonostante facesse di tutto per avvicinarsi, non lo era mai a sufficienza per tentare concretamente un affondo in curva dodici. Fortunatamente, dopo qualche giro sotto assedio, un piccolo errore da parte dell’anglo-tailandese aveva dato nuovamente l’opportunità a Sergio di prendere aria e ricrearsi un piccolo tesoretto da gestire in prospettiva futura.

Con una pista che si andava via via asciugando e con un margine da amministrare, intorno al trentesimo passaggio era giunto il momento di fare un recap della corsa comprendere quali sarebbero state le mosse da prendere da lì a breve. Fermarsi o non fermarsi? A paventare la possibilità di una seconda sosta era stato lo stesso Perez, chiedendo se vi fosse la possibilità di montare un nuovo set di intermedie. Un’eventualità che in realtà ai box avevano già discusso all’interno di un piano più ampio, che avrebbe visto come chance migliore quella di aspettare che la pista si asciugasse per poi passare agli pneumatici slick. Inizialmente, lo stesso messicano era sembrato piuttosto negativo in merito a questa possibilità, ma nel corso del trentatreesimo passaggio, qualcosa era cambiato. Da una strategia che fino a qualche giro prima sembrava un azzardo, Sergio aveva aperto la radio per dire al proprio muretto di tenere in considerazione gli pneumatici d’asciutto come una seria e valida alternativa per il resto del Gran Premio. Una fase molto delicata della corsa, perché nel frattempo Perez era riuscito anche a chiudere il gap sul proprio compagno di squadra, il quale stava soffrendo in modo importante fenomeni di graining all’anteriore a causa di un danno all’ala anteriore della sua monoposto. Indubbiamente essere rimasto alle spalle del canadese per qualche passaggio aveva urtato negativamente il passo dell’altro alfiere della Racing Point, permettendo oltretutto il ritorno di Lewis Hamilton, il quale stava sopraggiungendo con un passo inarrivabile per chiunque. Il pit stop di Stroll aveva dato pista libera a Perez, ma a quel punto la situazione era ormai già compromessa: grazie anche all’ausilio del DRS, che era stato attivato verso metà gara, per l’inglese della Mercedes era stato semplice sbarazzarsi dei rivali e prendere la testa della corsa. Persa la posizione sul rivale, il dubbio continuava ad essere il medesimo, fermarsi oppure rimanere fuori. Un riferimento importante in merito alla decisione da prendere su questa decisione veniva non solo dalle parole del messicano pronunciate precedentemente, ma anche dal suo compagno di squadra, il quale aveva effettuato una seconda sosta solamente qualche giro prima: nonostante avesse appena montato un secondo set di intermedie, Stroll aveva iniziato a mostrare fenomeni di graining, i quali impedivano di estrarre la massima performance dalla vettura. Spinta da queste motivazioni, e dal fatto che in quel momento Max Verstappen si trovasse nella loro pit window, la squadra anglo-tedesca aveva deciso di rimanere in pista, sperando di poter difendere fino alla fine il secondo posto in classifica. Con il progressivo consumo degli pneumatici che diveniva sempre più evidente, l’unica arma nelle mani di Perez era quella di riuscire a gestire le gomme il più possibile, in particolar modo in curva otto, molto severa sulle coperture. A sei passaggi dalla conclusione, le Ferrari alle sue spalle stavano continuando la loro rimonta, arrivando spesso ad essere anche un secondo al giro più rapidi di chi gli stava davanti ma, fortunatamente per il messicano, diversi errori da parte di Leclerc avevano fatto sì che Sergio potesse arrivare all’inizio dell’ultima tornata con un piccolo ma prezioso vantaggio.

Dopo aver svolto un grandissimo lavoro durante l’arco di tutta la corsa, sarebbe stato davvero un peccato vedersi sfuggire il podio proprio negli ultimi chilometri, per cui sarebbe servito un giro perfetto. Purtroppo per lui, tuttavia, un errore in curva nove dopo aver leggermente toccato la chiazza d’acqua che era rimasta in entrata, aveva dato l’opportunità a Charles Leclerc di sopravanzarlo e a Sebastian Vettel di avvicinarsi ulteriormente alle sue spalle. Una sfida che non era comunque conclusa, perché Perez era stato in grado di prendere la scia del monegasco e piazzare la sua “trappola”, con una mossa grazie a cui aveva dimostrato, ancora una volta, perché in molti lo considerino un grande pilota. Approcciandosi al punto di frenata, Sergio si era intelligentemente spostato verso la propria destra, sulla traiettoria più asciutta e che gli avrebbe garantito maggior grip, di fatto impendendo a Leclerc di fare la stessa mossa, rimanendo quindi più interno, in un tratto in cui fuori dalla linea ideale vi era ancora dell’acqua stagnante. Una scelta cruciale che, così come quella di alzare il piede dall’acceleratore e anticipare la staccata, aveva portato Leclerc a ritardare a sua volta la frenata, facendolo oltretutto in una zona più interna dove sarebbe stato semplice arrivare al bloccaggio, come si era poi effettivamente verificato, arrivando lungo. Grazie ad un’ottima mossa, Perez era riuscito a riprendersi il secondo posto, ma le minacce alle sue spalle non erano ancora finite. Grazie al duello tra i due, infatti, Sebastian Vettel era riuscito a ripotarsi negli scarichi del pilota della Racing Point, avvicinandosi al punto tale da poter avere una chance, seppur estremamente ridotta, in uscita dall’ultima curva. Proprio in questi frangenti, Perez aveva fatto la differenza per la seconda volta, ponendosi al centro della curva come una sorta di ostacolo, il che gli aveva permesso di andare sull’acceleratore solamente a macchina completamente dritta, riducendo il pattinamento al posteriore e massimizzando la fase di trazione. Due autentiche perle di guida che gli erano valse un meritatissimo secondo posto nonostante un finale tutto in difesa.

Se Sergio era riuscito a convertire la posizione di partenza nel suo primo podio stagionale, lo stesso non si poteva dire per Lance Stroll, autore di una corsa a due facce. Se nella prima parte di gara il canadese era stato essenzialmente perfetto, trovando immediatamente il ritmo e costruendosi un buon vantaggio su cui gestire il resto della corsa, qualcosa era cambiato intorno al venticinquesimo passaggio, che avrebbe rappresentato l’inizio del declino. Già nei giri precedenti, in realtà, Stroll aveva evidenziato una leggera diminuzione del ritmo, ma via radio aveva rassicurato il muretto dicendo che fosse in una fase di gestione. Una situazione che, tuttavia, qualche giro più tardi aveva iniziato a prendere una piega diversa, perché nonostante i tempi fossero ancora competitivi, sulla vettura numero 18 si iniziava ad avvertire un fastidioso sottosterzo che, se inizialmente sembrava comunque essere gestibile, man mano che ci si addentrava nel resto della corsa, diveniva un problema sempre più ingombrante. Nel corso del venticinquesimo passaggio, infatti, Lance aveva chiesto delucidazioni in merito a quali potessero essere le ragioni che avevano portato a tale sottosterzo, ricevendo come risposta che potesse essere una questione sia di consumo che di temperature, con le anteriori che stavano iniziando a calare. Proprio per questo era stato suggerito al canadese anche di essere un pochino più incisivo in determinate zone del tracciato, come ad esempio una frenata più aggressiva in curva 1 o fare meno lift in curva 8, due tratti in cui una maggior aggressività avrebbe potuto aiutare a mantenere maggiori temperature negli pneumatici. Nei passaggi successivi, la situazione continuava a divenire sempre più grave, nonostante, da parte sua, Lance stesse seguendo quelle che erano le indicazioni dei box, soprattutto per il graining all’anteriore destra. La speranza del muretto era quella di proseguire ancora il più a lungo possibile, fino a quando non sarebbe stato possibile fermarsi e montare un nuovo treno di pneumatici da asciutto, per cui venivano chiesti continui aggiornamenti sulle condizioni della pista, ma l’insistenza da parte di Stroll nel riportare le difficoltà con la vettura e chiedere di prendere azioni avevano spinto il team a richiamarlo anticipatamente sulla tabella di marcia. Inizialmente, il canadese stesso, nonostante si trovasse in un momento particolarmente difficile, sembrava riluttante a seguire tale scelta, chiedendo di rimanere in pista, ma nel giro successivo una nuova richiesta da parte del muretto aveva convinto il pilota a rientrare. Da qui la seconda sosta per montare un nuovo set di intermedie il quale, tuttavia, dopo poche tornate sembrava tornata ad avere le stesse identiche problematiche del primo set in termini di graining a causa dell’impossibilità di far funzionare le gomme nel corretto range di temperatura, soprattutto all’anteriore, per cui sarebbe stato inevitabile perdere diverse posizioni, come è poi effettivamente accaduto. Data la prima parte di gara e il passo mantenuto dal suo compagno di squadra durante tutto il Gran Premio era lecito chiedersi come Stroll fosse potuto andare incontro a delle difficoltà così pronunciate e se qualcosa avesse potuto influire negativamente sulla sua prestazione. Nel corso delle verifiche post-gara, in cui i tecnici avevano avuto l’opportunità di controllare la monoposto nel dettaglio, era stato riscontrato come uno degli “strake” nella parte inferiore dell’ala anteriore si fosse mossa dalla sua posizione ideale, andando ad influire sul carico generato in quella zona. Vale la pena menzionare il fatto che, secondo quanto dichiarato dal team, l’elemento non si fosse completamente danneggiato, per cui sarebbe stato complicato vederlo anche esternamente dalle immagini, ma semplicemente si fosse spostato, alternando l’equilibrio della monoposto. Ciò spiegherebbe anche perché in real time sarebbe stato difficile comprendere dai dati l’eventuale problema, esattamente come qualche settimana fa ad Imola in casa Mercedes, dove inizialmente il team non era riuscita a comprendere a fondo le motivazioni di quella perdita di carico nonostante i numeri a disposizione. Un vero peccato per il canadese, che per circa trenta giri avevano ben figurato in testa alla corsa, soprattutto nel primo stint di gara dove era riuscito a fare la differenza sulla concorrenza.

Ferrari: Vettel nuovamente sul podio

Dopo una buona prestazione ad Imola in gara in termini di performance e gestione gomme, il Gran Premio di Turchia avrebbe rappresentato un’opportunità importante per la Ferrari per confrontarsi su un circuito con caratteristiche più simili ad altri presenti sul calendario. Nelle prime tre sessioni di libere, con una pista scivolosa ma comunque praticabile, la Rossa si era dimostrata competitiva, sfruttando al meglio le condizioni per ben figurare, ma la delusione in qualifica, con entrambi i piloti fuori in Q2, aveva lasciato ben più di qualche dubbio su quali potessero essere le possibilità di rimonta dei due portacolori del team di Maranello alla domenica. Sarebbe stato quindi fondamentale sfruttare al meglio i primi giri, azzeccare il momento in cui cambiare compound e commettere meno errori possibile.

Un’indicazione che Sebastian Vettel aveva recepito a pieno, rendendosi protagonista della sua miglior partenza stagionale, un aspetto in cui quest’anno in realtà spesso non aveva particolarmente brillato. Un ottimo rilascio della frizione dalla parte pulita della griglia, oltre ad un buon senso del posizionamento, avevano permesso al tedesco di risalire fino al quarto posto dopo pochissime curve, mettendo nel mirino anche Lewis Hamilton, il quale, così come a Portimao, nei primi giri sembrava aver scelto un approccio molto cauto. Proprio un errore dell’inglese in frenata di curva nove, tuttavia, aveva dato l’opportunità al tedesco di approfittare della situazione e portarsi virtualmente in zona podio, nonostante alle sue spalle Max Verstappen si dimostrasse un rivale tosto da gestire. Nelle prime fasi di gara, in condizioni così mutevoli e difficili da gestire, l’obiettivo era soprattutto quello di mantenere le monoposto in pista e, da questo punto di vista, Sebastian era stato perfetto, commettendo il minor numero di errori possibili grazie ad una guida particolarmente cauta: lo stesso, invece, non si poteva dire per i suoi avversari, in particolare per Verstappen che, a causa di un lungo in curva dodici, aveva perso contatto da chi gli stava davanti. Al di là dell’errore, l’olandese si era dimostrato molto competitivo e, con una guida particolarmente aggressiva che lo portava a stringere molto le curve e a cercare di percorrere meno strada possibile, non era stato difficile riportarsi negli scarichi di Sebastian, prima che quest’ultimo tornasse ai box nel corso del sesto giro per effettuare il passaggio alle gomme intermedie. I primissimi metri sul nuovo compound non erano stati dei più semplici, soprattutto per le difficoltà nell’effettuare la fase di warm-up degli pneumatici: un aspetto cruciale, perché in realtà si trattava di una fase cruciale per la sua strategia, dato che Verstappen era rimasto in pista per tentare di effettuare un overcut proprio sul tedesco, il quale sarebbe poi riuscito nel momento in cui il pilota della Red Bull sarebbe rientrato. Un’opportunità che era arrivata anche dal fatto che Vettel stesso fosse impegnato in un altro duello, quello con Lewis Hamilton, il quale dopo la sosta si era riportato nuovamente a ridosso di uno dei suoi rivali più tosti in carriera, evidenziando in particolare la differenza in termini di stile di guida tra i due. Così come nel primo stint, infatti, il portacolori della Ferrari puntava su linee molto più tondeggianti, che non solo mettessero meno sotto stresso gli pneumatici, ma che favorissero anche la trazione in uscita, andando ad accelerare essenzialmente con una monoposto più dritta, mentre, al contrario, Hamilton massimizzava l’entrata e la percorrenza, con traiettorie molto più interne ed aggressive.

L’entrata della Virtual Safety Car aveva fatto sì che alle loro spalle anche un altro pilota potesse ricompattarsi, ovvero Alex Albon, il quale si stava dimostrando estremamente competitivo non solo sui tempi, ma anche nel feeling con la monoposto, soprattutto in frenata. Questo elemento aveva rappresentato un punto fondamentale, perché dopo il rientro ai box della vettura di sicurezza, l’anglo-tailandese era riuscito a sopravanzare sia Hamilton, grazie anche ad un errore dell’inglese, che Vettel: in particolare, con quest’ultimo aveva fatto la differenza proprio la staccata, dato che in curva sette era riuscito ad effettuare una frenata al limite senza arrivare al bloccaggio. Una confidenza che gli aveva permesso di prendere anche abbastanza rapidamente il largo, mentre alle sue spalle la lotta tra Sebastian e Lewis sarebbe proseguito ancora a lungo. Se inizialmente Vettel sembrava subire un po’ il confronto, con il passare dei giri il suo ritmo iniziava lentamente progredire, fino a quando, verso metà dello stint, aveva dato una sterzata notevole alla sua corsa, aumentando il passo e distaccando in maniera perentoria Hamilton alle sue spalle. Un ritmo tra i più veloci in pista che dimostrava anche come il lavoro di gestione gomme nella prima fase avesse dato i suoi frutti: nonostante il momento favorevole e nonostante stesse riuscendo a chiudere il gap da chi gli stava davanti, in casa Ferrari era giunto il momento di fare dei calcoli e comprendere quale sarebbe stata la strada da seguire da lì a breve. Continuare il più a lungo possibile nella speranza che la pista si potesse asciugare per passare sulle slick, oppure fermarsi nuovamente e montare un ulteriore set di slick. Le indicazioni, in questo caso, provenivano proprio dal tedesco, che non solo aveva sottolineato come molto probabilmente ci sarebbero voluti ancora molti passaggi prima che l’asfalto si asciugasse, ma che aveva anche proposto in prima persona il passaggio su un secondo set di intermedie. Un suggerimento che, inizialmente, non era stato seguito dal team e che, in realtà, era costato diversi secondi al tedesco, il che si poteva soprattutto apprezzare nel confronto con Leclerc. Se prima della sosta di quest’ultimo, Vettel si trovava circa venti secondi davanti al compagno di squadra, nel momento in cui Sebastian si sarebbe fermato qualche giro dopo, quel gap sarebbe sceso a soli sette secondi, a dimostrazione che quelle tornate in più in cui era rimasto fuori, nonostante le richieste di fermarsi, avevano penalizzato non poco la SF1000 numero 5. Tutto ciò, naturalmente, al di là del lento pit stop che era costato all’incirca tre secondi in più del normale. Se è pur vero che l’idea era quella di aspettare per le gomme d’asciutto, era chiaro come montare un secondo set di gomme intermedie avrebbe garantito comunque una certa sicurezza in merito all’arrivare sino alla bandiera a scacchi senza problemi, per cui sarebbe valsa la pena magari anticipare la sosta, magari cercando di sfruttare anche quella piccola finestra che si era creata su Max Verstappen. Al di là di ciò, ormai le scelta era stata fatta ed era giunto il momento di tornare a spingere, sfruttando l’occasione per riuscire a sopravanzare Lance Stroll il quale, da qualche giro a quella parte, aveva iniziato ad accusare grossi problemi agli pneumatici. Nonostante Sebastian fosse riuscito a sbarazzarsi del canadese, la lotta aveva dato l’opportunità anche a Charles Leclerc di rientrare e di portarsi in una posizione utile per tentare un attacco sul compagno di squadra, che sarebbe arrivato solamente qualche giro più tardi. Con ancora circa una ventina di giri, la situazione non era di certo negativa, dato che si trovava in una buona posizione e poteva essere addirittura in lotta per il podio con un pizzico di fortuna, per cui in quella fase sarebbe stato molto importante gestire al meglio gli pneumatici, come Sebastian aveva fatto anche nella prima parte del secondo stint. Una gestione che aveva pagato, perché sul finale della corsa, Sebastian era riuscito ad abbassare nuovamente il ritmo, girando su tempi che né Sergio Perez né il suo compagno di casacca riuscivano a mantenere. Arrivato all’ultimo giro, tuttavia, nonostante non fosse particolarmente distante dal duo davanti, le possibilità di giungere a podio sembravano essere ridotte e solamente un errore avrebbe potuto riaprire la lotta.

Un’opportunità che era arrivata grazie ad un lungo proprio di Perez in curva nove, che aveva dato così l’opportunità a Leclerc di avvicinarsi e tentare un attacco. Il successivo errore del monegasco, tuttavia, aveva lasciato aperta la porta a Vettel che, da ottimo opportunista, non si era lasciato sfuggire, infilando l’altra SF1000 e prendendosi un bel terzo posto. Dopo una stagione così complicata, in cui dovendo spesso partire nel traffico non era riuscito a dimostrare le sue potenzialità, giungere a podio in una corsa dove finalmente aveva potuto mettere in mostra ancora una volta le sue abilità, rappresenta sicuramente una bella soddisfazione e un’iniezione di fiducia.

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