Pagelle del Gran Premio della Cina

Commenti semiseri alla gara di Shanghai

Pagelle del Gran Premio della Cina

Prima vittoria in F1 per Nico Rosberg e primo successo dopo più di cinquant’anni per la Mercedes nella massima formula. A Shanghai le vetture d’Argento si ritrasformano in Frecce e vanno a comporre un podio tutto in grigio, con Rosberg a precedere le due McLaren. Giù dal podio le Red Bull, con Webber ancora più in palla di Vettel, male le Ferrari. Peccato per Michael Schumacher, stoppato da un pit stop sfortunato quando era secondo. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 6,5 – Bizzarro. Questo è il primo aggettivo che ci viene in mente se pensiamo al suo weekend. Fuori dalla top ten in qualifica, decisamente troppo prudente in partenza, quando perde altre quattro posizioni, poi consistente e regolare nel resto della gara e grintosissimo nelle ultime fasi. Bizzarro, appunto. Si prende le responsabilità per la partenza a rilento -semplicemente non sono stato reattivo, dice… vivaddio qualcuno che non se la prende con antistallo e compagnia bella- che gli fa quasi perdere la posizione anche da Kovalainen [!]. La squadra azzarda una strategia particolare, tenendolo in pista con due sole soste, e tutto sommato si rivela la scelta giusta. La scarsa velocità di punta lo blocca dietro Räikkönen per un’eternità, prima che si scateni il finimondo. Bello il duello -perso- con Webber negli ultimi metri del Gran Premio. Chiude al quinto posto, e complessivamente poteva andar peggio. Sul voto pesa però come un macigno la qualifica deludente. Anche se, in gara, gli abbian visto sprazzi di grinta che ci son piaciuti. Bizzarro, appunto.

Mark Webber: 8 – Nonostante abbia la meglio su Vettel solo alla penultima staccata, la sua gara c’è piaciuta ben più di quella del tedesco. Perché? Semplice, perché ci ha fatto divertire. Anche nel suo caso la strategia scelta dal muretto con le aaali è particolare, con i pit stop molto anticipati. Nella prima fase di gara questo gli fa recuperare le posizioni perse al via con il solito scatto modello canguro [il giorno che partirà non dico bene ma decentemente gli regaleremo una cassa di Dom Perignon]. Guadagna una posizione su Räikkönen in maniera ruvida quando il finlandese esce dai box e quindi si incolla agli scarichi di Hamilton seguendolo in tutto quello che fa: curve, staccate, sorpassi, e così via. Assieme passano Ricciardo, Kovalainen, Massa, di Resta. Poi, in lotta con Perez, impenna [!!!] la sua Red Bull come solo lui sa fare, quasi a voler intimidire gli avversari. Poi sempre ai box passa Hamilton, supera Senna, si fa passare ancora da Hamilton, passa Räikkönen e all’ultimo respiro ha la meglio -con una manovra molto decisa- su Vettel. Chiude quarto una gara gagliarda e tenace. E allunga ancora sul compagno di squadra in campionato. Not bad for a number 2 driver (cit.) verrebbe da dire… Ruvido.

Jenson Button: 8,5 – Martin Whitmarsh, il suo capo, dice che sarebbe stato impossibile riprendere Rosberg. Se lo dice il capo [11mo comandamento] bisogna credergli a prescindere. Ma sa tanto di pretattica spinta, e noi che di mestiere facciamo i bastian contrari sosteniamo che sì, forse Nico avrebbe vinto lo stesso, ma avrebbe sudato molto per tenere a bada il ritorno di JB. Se la qualifica è a tutti gli effetti deludente, la sua condotta di gara, al solito, è un mix letale di concretezza, pazienza e aggressività. Attende con calma il momento propizio e poi, dopo il ritiro di Schumacher, sferra l’attacco. Si ferma ai box e passa in tromba Senna, Perez, Vettel, guadagnando oltretutto anche un secondo al giro su Rosberg. Poi l’ultima sosta si trasforma in un tagliando. Perde 10 secondi e, soprattutto, finisce impigliato in mezzo a un gruppetto capitanato dalla Lotus di Räikkönen che, a proposito di Dom Perignon, gode un mondo a recitare la parte del tappo. E quando, con il cedimento improvviso del finlandese, si scatena l’Inferno, è bravo a tenersi fuori dai guai e a guadagnare il secondo posto superando anche Vettel. Peccato, ma tanto non avrebbe potuto vincere… Parola di Whitmarsh. S-Ruotato.

Lewis Hamilton: 9 – Lampi dell’antica grinta si intravvedono [sì, proprio con due V, fa più vintage] all’orizzonte. Sarà l’Oriente, ma anche in Cina lo Zen pare all’inizio prendere il sopravvento sulla cattiveria agonistica che da sempre lo contraddistingue. Si qualifica secondo ma deve partire settimo per via della sostituzione del cambio. Parte bene, passa Räikkönen ai box e poi si libera di piloti con una strategia diversa con classe ed astuzia, nonostante una vettura lenta in rettilineo. Resiste in pista a Webber ma deve cedergli la posizione ai box. Alla fine è anche lui in coda al trenino trainato dal finlandese della Lotus. Poi, quando si accendono le ostilità, ecco i lampi di cui si diceva in apertura di pagella. In poche tornate si libera di Webber, Räikkönen e Vettel con una decisione che ci ricorda quella dei bei tempi andati. Conquista con pieno merito il terzo terzo posto di fila che gli regala la testa del mondiale e un’iniezione di fiducia niente male. Anche perché se fosse partito da dove si era qualificato… beh, chissà. Non diciamo altro, Whitmarsh potrebbe protestare. Per intanto Lewis c’è piaciuto, e parecchio. E si merita -stavolta- più di JB. Zen.

Fernando Alonso: 6 – Non è sempre domenica. O meglio, solitamente è sempre domenica, quando si corre, ma non sempre piove. A Shanghai di acqua non c’è nemmeno l’ombra e dunque le prospettive di ben figurare svaniscono come neve al sole [il meteo ci piace, sì, ci piace]. Tutto sommato è anche un po’ sfortunato, perché passa gran parte della gara imbottigliato nel traffico, e la scarsa velocità di punta della Ferrari -dovuta più alla scarsa trazione in uscita di curva che ad un’effettiva scelta d’assetto- gli rende molto complicato liberarsene. Bello il sorpasso a Webber ad inizio gara, bello il duello con Maldonado, che si ripropone in due momenti distinti della gara. E che lo vede, tra l’altro, sconfitto in entrambi i casi. Nel primo perde la posizione anche da Perez, nel secondo il venezuelano lo supera e lo tiene dietro fino alla bandiera a scacchi. Chiude nono, con un paio di svarioni di troppo, dovuti sì alla foga nella lotta ma figli anche di una certa frustrazione. Evitabili, forse, e dannosi ai fini del risultato finale. E’ ancora terzo, nel mondiale, ma urgono correttivi urgenti. Nervoso.

Felipe Massa: 5,5 – Mettiamola così. Se per i primi due appuntamenti dell’anno avevamo scritto «Troppo brutto per essere vero», adesso resta sempre bruttino ma di un brutto credibile e verosimile. Sempre mediamente inferiore ad Alonso, recita comunque dignitosamente la parte di seconda guida, che è quello che la Ferrari gli chiede e si aspetta da lui. Manca l’accesso alla Q3, al via duella con Grosjean dopo essere stato tamponato da Senna, poi anche lui -imbottigliato nel traffico- fa fatica a risalire causa la scarsa velocità di punta della sua Ferrari. Complice la strategia a due sole soste, viene inquadrato praticamente solo quando concorrenti più veloci e con gomme più fresche lo sorpassano. Chiuderà tredicesimo, fuori dalla zona punti, ma tutto sommato ad appena cinque secondi da Alonso. Più che da cinque e mezzo sarebbe da sei meno meno, in effetti. Chissà che non gli serva a tirarsi un po’ su di morale. Tra l’altro, potenza delle statistiche, a un certo punto finisce anche in testa. Indovinate che giro era? Il diciassettesimo… Coraggio!

Michael Schumacher: sv – Vabbè, così però non è giusto. Per due anni ti danno del rincoglionito, quando la colpa è sì tua ma anche del mezzo che hai sotto al culo. Poi al terzo anno hai a disposizione una macchina decente ma la domenica si scioglie come neve al sole. Alla terza gara dell’anno pare che i problemi siano risolti, e che succede? Se le gomme si consumano regolarmente, allora tanto vale montartene bene solamente tre. Eccheppalle. E’ vero, aveva subito -per la prima volta quest’anno- il compagno di squadra a partire dal sabato, però di finire così ingloriosamente non se lo meritava. Dice «sono cose che succedono». Chissà cosa avrà pensato davvero. Macumbato.

Nico Rosberg: 10 – Quella che gli inglesi chiamano Maiden Victory merita un dieci quasi sempre. Perché è un momento particolare, nella vita di un pilota, a volte arriva in condizioni particolari o è frutto di circostanze contingenti, ma è sempre e comunque da ricordare. Quella del figlio di Keke (anzi, a dirla tutta il vero nome di Rosberg sr è Keijo Erik) è strameritata e, per certi versi, ricorda vagamente il primo successo ottenuto da Alonso. Allora -Hungaroring 20003, se non andiamo errati- l’Asturiano guadagnò un vantaggio colossale sugli inseguitori sfruttando il blocco di Webber nelle prime tornate, stavolta Nico si giova del tappo di Räikkönen, che tiene dietro un nutrito gruppetto per diversi giri. Il tappo di Räikkönen e il pit stop disgraziato di Button, l’unico che poteva ragionevolmente sperare di prenderlo. Ma, detto questo, poche storie, ragazzi. Quando vinci con venti secondi di vantaggio sul secondo classificato non ci sono se e ma che tengano. Non sbaglia una virgola, dalla partenza alla bandiera a scacchi. Onore al merito. E chissà se da Shanghai cambierà qualcosa anche nella sua testa. Benvenuto #1.

Kimi Räikkönen: 5,5 – Con lui non c’è mai da annoiarsi, questo va detto, ribadito e ripetuto. Un fulmine al sabato -ma lì, al solito, è questione di manico, poche storie- in gara la squadra gli cuce addosso una strategia a due soste sperando così di nascondere il ritmo gara non eccezionale fatto vedere nelle libere. Perde la posizione da Hamilton al pit stop, la perde anche da Webber dopo un duello bello tosto, poi finisce dietro Massa e gli resta incollato senza riuscire a passarlo per diversi giri. Alla fine si ritrova locomotiva di un trenino formato da Vettel, Button, Grosjean, Webber, Hamilton, e altri più staccati. Sembra in grado di tenerli dietro poi, d’improvviso le gomme finiscono [nemmeno avessero un interruttore on-off, pazzesco] e si scatena il pandemonio, una delle sequenze di giri più confuse degli ultimi anni. Liberi tutti. Nell’arco di pochi km passa dal secondo al quattordicesimo posto [!!!]. Lo sopravanzano Button, Hamilton, Webber, Vettel, Grosjean, Senna, Maldonado, Alonso, Kobayashi, Perez, di Resta e Massa. Un Armageddon, insomma. Lui non si scompone, taglia il traguardo e dice «semplicemente la strategia non ha funzionato». Non c’eravamo arrivati. Al di là delle battute, da uno della sua esperienza ci aspettavamo che riuscisse a gestire un po’ meglio le coperture. Del resto se son durate dieci giri meno di quanto ipotizzato, forse un po’ di colpa ce l’avrà anche lui. O no? Spiace bocciarlo, e tutto sommato forse non se lo meriterebbe nemmeno. Ma tanto non se la prenderà. Violento con le gomme.

Romain Grosjean: 7,5 – Lo confessiamo, candidamente: quando lo abbiamo visto duellare ad inizio gara con Massa abbiamo pensato «Ecco, un’altra gara finita subito». E invece no, brutti cafoni che non siamo altro, e invece no. E invece no [lo ripetiamo] perché stavolta Romain corre in maniera saggia, evitando per una volta di cedere alla tentazione di strafare. E i risultati si vedono. Resiste all’attacco di Perez, in maniera tosta, poi cede a Button perché capisce che a lottare avrebbe solo da rimetterci. A fine gara nel pandemonio innescato dall’improvviso rallentamento del suo compagno di squadra prova a resistere a Webber ma finisce largo e perde la posizione anche da Hamilton. Questa è l’unica critica che gli si può formulare, per il resto bene, bravo, bis. Immaginiamo che il sesto posto finale sia un po’ una liberazione dopo un inizio di stagione complicato anzichenò, e che anche psicologicamente riesca ad affrontare le gare successive in maniera più serena. E comunque, ragazzi, parlate pure di strategie, decadimento, quello che volete… ma tenersi dietro Räikkönen a parità di macchina non è cosa che accada tutti i giorni. Benvenuto #2.

Paul di Resta: 6 – Per un Grosjean che in pratica avvia il suo mondiale, c’è un di Resta che fa una fatica bestia a cercare di tenersi a galla. Lo avevamo scritto e lo confermiamo: la Force India è, a nostro sindacabilissimo giudizio, la delusione di questo inizio di stagione. Anche a Shanghai la vettura di Mallya si dimostra poco competitiva e in affanno. Soprattutto, e questo lo ha evidenziato anche lo scozzese a fine gara, i valori in campo sono molto simili, e nel giro di pochi decimi di secondo ci sono un sacco di scuderie più o meno equivalenti. Ecco, la vettura indiana è tra le meno. Di per sé Paul non corre male, la partenza è discreta e per diversi giri tiene dietro la Red Bull di un certo Vettel. Poi però alla lunga i nodi vengono al pettine e, pian pianino, scivola indietro pur senza commettere errori particolari. Gara quasi monotona, la sua, nella quale ha modo di divertirsi -si fa per dire- solo quando vetture più veloci lo raggiungono e lo sverniciano. Hamilton, Webber, Alonso [!]. Chiuderà dodicesimo, davanti al compagno di team e anche davanti a un certo Massa. Chiedere di più forse sarebbe eccessivo. Annoiato.

Nico Hülkenberg: 5,5 – Valgono più o meno i discorsi fatti per il compagno di squadra. Con la differenza che mentre Paul non commette errori, lui si incasina al via facendo pattinare le ruote nemmeno fosse Carolina Kostner e poi rovinando non si capisce bene come il musetto della propria vettura. Il danno c’è, ma non così evidente, tanto che dal box decidono di tenerlo fuori comunque fino alla prima sosta. Lui strilla via radio «Understeer!!! Understeer!!!» che vorrebbe dire «Sottosterzo!!! Sottosterzo!!!» ma dal muretto lo ignorano, in quanto lo sanno benissimo ma probabilmente pensano: «Chi è causa del suo mal pianga sé stesso». Alla prima sosta comunque, in vena di generosità, il musetto nuovo glielo montano, ma oramai è un po’ troppo tardi per salvare il risultato. Chiuderà malinconicamente quindicesimo, a riflettere sul destino cinico e baro e sull’inflessibilità giustizialista della sua crew ai box. Anche se, francamente, non crediamo che sarebbe cambiato poi molto se le cose fossero andate diversamente. Anzi. Punito.

Kamui Kobayashi: 6 – La tentazione di eccedere nel voto c’è, eccome se c’è. Ma ragioniamo. Parte terzo in griglia, un risultato eccezionale. Parte terzo, ok, ma parte male, malissimo, e alla prima curva ha già perso tre posizioni. Lo passa, per dire, anche Perez. Ti aspetteresti una remuntada epopeica, rabbiosa. E invece no. Un po’ per la strategia non azzeccatissima, con le soste sempre in leggero ritardo, un po’ per il passo di gara della sua Sauber, non esaltante, un po’ perché lo abbiam visto -ma è una nostra impressione- guidare nervoso e contratto, forse perché dopo un sabato simile pregustava una domenica diversa. Ma sul Sabato del Villaggio se ne son dette e scritte tante, probabilmente anche in Giappone dove -zoo a parte- non abbiamo notizie della presenza di Leopardi di qualche tipo. L’acuto arriva nel finale, quando nel tentativo di un sorpasso a tre tra Räikkönen, Perez e il giapponese, il suo compagno di squadra per poco non lo spedisce sull’erba. Nonostante questo tiene la vettura in strada e, il giro successivo, lo passa, conquistando il punticino che alla fine porterà a casa. E che gli vale la sufficienza, striminzita, in una gara strana e deludente. Anche in virtù dello sterile giro più veloce. Leopardato.

Sergio Pérez: 5,5 – Se da un lato del box ci si interroga sul perché di una prestazione sottotono, dall’altra non è che le cose stiano chissà quanto meglio. Anzi, anzi. La cosa più bella del weekend di Checo è la partenza, dove indovina il pertugio giusto e si issa davanti anche a Kobayashi. Poi è tutto un susseguirsi di duelli sì spettacolari ma dispendiosi e dispersivi. Prima fa a ruotate con Grosjean, rimettendoci anche la posizione da Vettel, poi tappa Hamilton e Webber in virtù di una maggior velocità di punta seppur in crisi di gomme. Quindi passa Alonso, approfittando di un errore dello spagnolo, è costretto a cedergli di nuovo, passa Räikkönen -quasi spedendo sull’erba il compagno di squadra- e si fa infilare proprio da quest’ultimo praticamente a fine gara. Al solito -e a questo punto ci viene spontaneo chiederci il perché- è molto lento nel ripartire dai pit stop. Cosa curiosa se si considera che al via invece offre sempre prestazioni eccellenti. Mah. Forse aveva bisogno di un bagno d’umiltà dopo la sbornia -meritatissima- malese. Ci è semplicemente parso un po’ troppo sopra le righe. Calma!.

Daniel Ricciardo: 5 – Che fatica! La Toro Rosso a Shanghai non sembra andare nemmeno a spingerla. Lui ci mette del suo con una partenza -anzi, a dirla tutta un primo giro- sin troppo prudente, in cui perde terreno rispetto agli avversari diretti. Finisce addirittura dietro Kovalainen, che passa in pista intorno al ventesimo giro. Da lì in poi sparisce, letteralmente, e lo rivediamo solo al traguardo, diciassettesimo, dietro anche al compagno di squadra, staccato, triste. Lui dice che la sua gara è andata migliorando giro dopo giro, e che alla fine il ritmo era buono. Mah, non siamo così d’accordo. Va bene tutto, ci può stare che la vettura non fosse esattamente in forma, a Shanghai, e ci può stare anche una giornata storta da parte del pilota, per carità. Ma a nostro sindacabilissimo avviso la sua prestazione è insufficiente. Avrà comunque modo di rifarsi più in là. Deludente.

Jean-Éric Vergne: 6,5 – Il francesino, per contro, pur con una macchina poco performante, ha modo di fare e farsi notare. Innanzitutto partendo dai box, per sostituire dei pezzi che a dire della squadra non funzionavano bene. Poi quando, circa a metà gara, fa segnare il giro più veloce provvisorio. Una bella vetrina, non c’è che dire, ancorché provvisoria ed evanescente. Quindi prendendosi la soddisfazione di tagliare il traguardo davanti a Ricciardo [anche la rima…] di ben 12 secondi. Essendo partito dalla pit lane, lo ricordiamo per chi se lo fosse perso. Mica male, dunque. Certo, il sedicesimo posto finale è triste, grigio, ma -scaramanzia a parte- sedici è meglio di diciassette. O no? E tra l’altro -per chiudere- dice anche di essersi divertito. Beh, se e quando la Toro Rosso inizierà ad andar forte lo vedremo fare le capriole nell’abitacolo dalla gioia. Entusiasta.

Pastor Maldonado: 8 – D’ora in poi li chiameremo gemelli diversi. Pastor e Bruno, Venezuela y Brazil. I due viaggiano praticamente a braccetto per buona parte della corsa, pur con sostanziali differenze nella condotta di gara. Dei due gemelli Pastor è quello più focoso, irascibile, vivace, sanguigno. Sempre pronto a duelli all’arma bianca. In particolare se dalle sue parti c’è un certo Fernando Alonso, con in quale ingaggia una lunga e logorante lotta che alla fine lo vedrà comunque vincitore. Peccato per la partenza un po’ così, per il resto c’è piaciuto, forse perché sta iniziando a mettere assieme grinta e concretezza. E poi è sempre bello vederlo guidare, un po’ al limite, un po’ oltre, che la macchina sia stabile o nervosa. Aveva voluto fortissimamente questo rinnovo e i fatti gli stanno dando ragione, la Williams è competitiva e lui può finalmente trarne i frutti. Vedremo quanto durerà. Profeta.

Bruno Senna: 8 – In quanto gemello, merita esattamente lo stesso voto di Pastor. Anche se caratterialmente non potrebbero essere più diversi. Tanto Pastor è arcigno nell’espressione e aggressivo alla guida, tanto Bruno appare solare nel volto e pulito al volante. Oddio, a dirla tutta alla prima staccata va addosso a Massa tamponandolo leggermente, ma è più per colpa dello scarto verso sinistra di un collega che per imperizia da parte sua. Poi con calma fa la sua gara, evitando rischi o battaglie inutili e così facendo -senza fuochi d’artificio- si ritrova davanti al gemello. Meritatamente. Il settimo posto è il secondo risultato utile consecutivo, e che risultato… Che ci stia prendendo gusto? Chissà. A noi, per il momento, va -anzi vanno- più che bene così. E la cosa che ci piace di più evidenziare -ma qui siamo tendenziosi, e lo riconosciamo- è che sempre meno gente associa, al suo nome e cognome, l’appellativo “Il nipote del grande Ayrton”, con quel pizzico di strisciante cattiveria. Non è Ayrton, probabilmente non lo sarà mai, ma sta dimostrando di meritare il sedile su cui poggia le chiappe. Sereno.

Heikki Kovalainen: 6,5 – Alla solita partenza-show [dovremmo essere abituati, ma ogni volta ci stupisce] abbina stavolta una gara jellata e degna del miglior Trulli. Jarno ci manca, evidentemente non solo a noi, tanto che stavolta tocca ad Heikki recitare la sua parte. Scatta bene, dicevamo, e conduce una gara regolare, al solito. Poi al secondo pit stop i meccanici ci mettono una vita a cambiare le gomme. Tempo sprecato, tra l’altro, visto che deve poi fermarsi anche il giro successivo e perde un’eternità, nel vero senso del termine. Alla fine chiuderà ventitreesimo, ultimo dei classificati, dietro anche alle due HRT. Ma colpe specifiche da attribuirgli francamente non ne troviamo. Tra l’altro ottiene pure uno stellare tredicesimo giro più veloce, a riprova che la grinta non manca, mai. Una volta abbiamo scritto che sembra correr meglio ora rispetto a quando era in McLaren. Una provocazione, ma che sia anche un po’ vero? Stoico.

Vitalij Petrov: 6,5 – Ebbravo il compagno Petrov. Al solito il soldatino dagli occhi di ghiaccio -e dalle sopracciglia importanti- fa il suo portando la Caterham a vincere la platonica sfida tra le vetture dei tre nuovi team. La sua gara è decisamente poco appariscente. Ricordiamo la partenza a rilento, nella quale gli balza davanti anche Glock, un paio di soste ai box, un sorpasso subito ci pare da Vergne -ma andiamo a memoria e potremmo sbagliarci- e poco altro. Senza acuti ma senza errori o sbavature di sorta. Basta questo per garantirgli la sufficienza? Comodamente. Anzi, ci mettiamo pure un mezzo punto in più. Perché, dite voi? Perché no, rispondiamo noi. In fondo il Compagno è arrivato in Caterham odiato praticamente da tutti, vilipeso, trattato alla stregua del peggior raccomandato. Il pilota con la Valigia. Piena di Rubli, tra l’altro. Tutto vero, intendiamoci. Ma, come cantavano Jo Squillo e Sabrina Salerno, «Siamo donne, oltre alle gambe c’è di più». Chi ci dice che oltre ai Rubli non ci sia anche un pizzico di qualcos’altro? In fondo Kovalainen non lo sta massacrando, e il finlandese non è proprio un fermo. Noi ve la buttiamo lì, poi affari vostri. Cantautore.

Pedro de la Rosa: 6,5 – Taglia il traguardo, a più di quaranta secondi dalla Marussia di Pic. Ma lo taglia, e non con le forbici o con la motosega. Oddio, a voler essere cattivi l’unica differenza tra una HRT e una motosega è che una ha la distribuzione a catena e l’altra no. Però siamo onesti… questa macchina è stata assemblata a Melbourne, non ha potuto fare test di sorta, eppure sta in pista, si tiene assieme e in maniera quasi quasi decorosa. Certo, becca un secondo dalle Marussia sul giro più veloce in gara, per non parlare delle Caterham. Ma il problema, nel caso di Pedro, è a monte, e sta nell’aver scelto di imbarcarsi in un’avventura del genere. Accettato questo, va tutto bene. E ci sta anche essere soddisfatti per aver lottato, seppur fugacemente, con Kovalainen. Ci sta anche di esaltarsi per aver -recita il comunicato- rischiato di chiudere a pieni giri. Ci sta pure ostentare un inquietante ottimismo per il futuro. Ci sta tutto, insomma, e anche di più. Come? Volete sapere della gara? Beh, presto detto. Parte malino ma resta lo stesso davanti al compagno di squadra, che scatta placido come un bradipo sotto oppiacei. Tiene il ritmo, sta lontano dai guai, acquisisce dati, si gode il panorama. What else? Serafico.

Narain Karthikeyan: 6 – Ma sì, dai, come fai oggettivamente a bocciarlo? Reduce dagli insulti raccolti a Sepang -ricordiamo che Vettel lo definì simpaticamente «un cetriolo al volante»- ha come prima mission quella di recuperare un briciolo di stima da parte della frangia dei suoi colleghi con più puzza sotto il naso. Quindi, brutalmente, guardare più gli specchietti che la pista. La seconda mission è quella di allontanare l’ingombrante ombra di Liuzzi dal suo sedile. Concetto, tra l’altro, che dà un nuovo, esaltante significato alla locuzione “Guerra tra Poveri”. Poi, ma solo in terza istanza, ci sono delle qualifiche da portare a termine e una gara da finire dignitosamente o giù di lì. Con una vettura che, per sua stessa ammissione, «con le gomme morbide si muoveva molto sul rettilineo». A confrontare le velocità con quelle degli avversari, ci verrebbe di fare la battutaccia e insinuare che è esattamente il contrario, ma vabbè. Lui comunque, bando alle ciance, taglia il traguardo, a due giri dal vincitore, quasi un giro dietro de la Rosa. A rigor di logica sarebbe da 5 e mezzo, ma stavolta la sufficienza gliela regaliamo. Chissà quando gli ricapiterà… Miracolato.

Timo Glock: 6 – Fa fatica, per sua stessa ammissione, a controllare il compagno di squadra. Che è al terzo Gran Premio in F1, aggiungiamo noi, con una vettura ben lungi dall’essere bilanciata e facile da guidare. Parte bene, passa Petrov e nelle prime fasi sembra in grado di tenerlo dietro. Poi il russo gli scappa e da lì inizia progressivamente a perdere terreno. Accusa un degrado anomalo della gomma anteriore sinistra che lo costringe -parole sue- a rallentare e a guidare con cautela. Forse un problema d’assetto, forse un qualcosa di rotto, forse la luna, l’oroscopo, Marte in Urano con Nettuno in Saturno e Venere in opposizione, non si sa. Fatto sta che Pic a un certo punto va più forte. Punto. Bastava ammetterlo, in realtà, senza inventarsi chissà cosa. Ad ogni modo lo tiene dietro, anche se per soli quattro secondi, e questo -solo questo- gli vale un sei stiracchiato come le basi aerodinamiche su cui poggia l’impianto progettuale della Marussia. E, badate bene, tutto sommato non sono nemmeno delle peggiori: pensate ai due qui sopra… Affaticato.

Charles Pic: 7 – Bravo, bravo, bravo. Alla terza apparizione nella massima formula inizia a far vedere delle belle cose. Chiude incollato agli scarichi di Glock, in gara gira più veloce di lui, non fa errori, è solido, ottimista. Regolare. E pure simpatico, già che ci siamo. Una bella sorpresa, dunque, anche se già a Sepang non ci era dispiaciuto. Questo deve essere per forza di cose un anno di apprendistato, farlo con la seconda peggior vettura del lotto non è esattamente il massimo, la tentazione di strafare deve essere sempre dietro l’angolo. Ma anche in questo caso il francese è bravo a misurare obiettivi e speranze, velocità e rischio, grinta e correttezza nei doppiaggi, saggezza ed entusiasmo. Non so, ripeto, a noi è piaciuto parecchio. Il voto è un incoraggiamento che gli facciamo a proseguire con la stessa attitudine mentale fatta vedere a Shanghai. Positivo.

Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it

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