Pagelle del Gran Premio degli Stati Uniti

Pagelle del Gran Premio degli Stati Uniti

Circuit of the Americas, Austin, TX. Nell’ultimo Tilkometro a vincere è Lewis Hamilton, che superando Vettel a 13 giri dalla fine fa un favorone a Fernando Alonso che chiude terzo, staccassimo, ma ancora in lizza per il titolo. Splendido quarto Massa, che viene sacrificato dalla squadra prima della gara in virtù della ragion di stato del cavallino. Vedremo a Interlagos se sarà servito. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 8,5 – Beh, non osiamo immaginare quanto realmente gli girassero le scatole subito dopo la gara. Guadagna ulteriormente su Alonso, è vero, e gioca a fare il saggio dicendo che è stata comunque una gara positiva. Ma poche storie, quando domini il weekend dalla prima sessione di prove fino a tre quarti di gara… beh, ti brucia eccome farti passare e rinunciare al successo. Meritato, sì, ma non tanto quanto per LH. La Red Bull, evidentemente, non aveva sul passo di gara quella supremazia che si pensava, diciamo che quanto a prestazione i due binomi SV/RB e LH/McL si equivalevano. Dura, quindi dover ingoiare questo rospo che di fatto gli fa perdere sette punti pesantissimi prima di Interlagos. Forse sarebbe bastata un po’ di concentrazione in più, chissà. E prendersela con Karthikeyan….. beh, lasciamo stare o diventiamo cattivi. Ad ogni modo la sua gara è positiva. Ma non abbastanza. Che sconti un po’ di nervosismo? Teso.

Mark Webber: 6 – Non è questa il momento della stagione in cui esser teneri, al di là della stima e della simpatia che il sottoscritto possa provare per chicchessia. Le prende sonoramente, a tutti gli effetti. In prova e fintanto che resta in gara. Passa Hamilton al via ma l’inglese gli ribalza davanti nello spazio di poche tornate. Poi inizia ad accusare problemi di ogni tipo, dal Kers al cambio all’alternatore che lo lascia a piedi. Chiaro che senza il ritiro avrebbe tenuto dietro Alonso senza problemi. Ma l’unica cosa buona per la squadra, che gli vale la sufficienza, è che si sia rotta la sua, di Red Bull, e non quella di Vettel. Come -vero anche questo- accaduto troppe volte quest’anno. Parafulmine.

Jenson Button: 7 – Una settimana fa è uscito su Autosport -la bibbia per chiunque mastichi un po’ di motorsport- un interessante articolo che si intitolava “Cosa può insegnare Button ai giovani piloti”. In buona sostanza l’autore sosteneva che la capacità di JB di lottare e sorpassare in maniera pulita è un qualcosa che i giovani della playstation-generation dovrebbero studiare. Ecco, il Gran Premio degli Stati Uniti è forse la dimostrazione più lampante della correttezza di questa tesi. La rimonta di JB è stata tanto precisa quanto inesorabile. Andiamo a memoria: Maldonado, Grosjean, Michael Schumacher, Senna -due volte- Perez, Alonso, ancora Grosjean, Räikkönen. Quest’ultimo meraviglioso. Quasi tutti senza DRS e riportando la macchina in garage senza nemmeno un graffio. Splendido, sul serio. Perché solo sette, dite? Cavolo, ha pur sempre preso quasi un minuto da Lewis… Preciso.

Lewis Hamilton: 10 – Lo diciamo? Lo dico. Tecnicamente la sua domenica è stata di un altro pianeta rispetto a tutti gli altri. Come scritto sopra, è vero che i binomi SV/RB e LH/McL si equivalevano, ma è anche indubitabile che nel suo caso è stato il manico a fare la differenza. Veloce lo è sempre stato, ad Austin è stato preciso e pulito come raramente gli abbiamo visto fare in carriera. Mai un bloccaggio, mai una sbavatura, si concede solo una piccola escursione mentre è in lotta con Webber. Poi è chirurgico, tesse la sua tela e al momento buono sferra l’attacco alla vetta sverniciando Vettel al 42mo giro e andandosi a prendere una vittoria meritata. Chissà con che spirito saluterà la squadra dopo Interlagos, specie visto cosa sta succedendo dalle parti di Stoccarda. Ma per ora dieci, con lode se possibile, e bacio accademico. Ma non pensate male. Fenomenale.

Fernando Alonso: 6 – Anche qui siamo cattivi. Poche storie, Felipe andava di più. E parecchio. Punto. Non crediamo di meritare la scomunica di chicchessia nel rilevarlo. E se così fosse, pace, abbiamo le spalle sufficientemente larghe per potercelo permettere. Obiezione, Vostro Onore. Fernando è bello, è bravo e non avrebbe comunque potuto ottenere un risultato migliore. Vero anche questo. Ma senza il ritiro di Vettel e senza la buffonata del cambio di Massa o altri giochi di squadra sarebbe finito quinto. Per cui obiezione respinta, avvocato. Nando si merita la sufficienza solo per la bella partenza -dal lato pulito della pista, sempre grazie al cambio- e poco altro. E mettiamoci d’accordo su chi subisce la pressione di chi. Perché l’Alonso migliore avrebbe ruggito molto di più. E sta a noi rilevarlo, cavolo. Stanco.

Felipe Massa: 9 – Sapete perché non gli diamo dieci? Solo perché non ha mandato tutti a cagare. Quello che gli propongono, agli occhi di chi scrive, è VERGOGNOSO. Ma come, uno rischia l’osso del collo in prova per guadagnare anche un solo millesimo di secondo e tu anche solo pensi di fare una carognata del genere? E tra l’altro, signori, questi qua son gli stessi che ai tempi dell’incidente simulato di Piquet jr a Singapore -che fra l’altro, a posteriori, costò il titolo proprio a Felipe- si indignarono stracciandosi le vesti. Va bene i giochi di squadra, va bene “Let Michael pass for the Championship”, va bene “Fernando is faster than you” ma questo è oggettivamente troppo, almeno per chi vi scrive. Non pretendo di convincervi, sia chiaro. L’opinione è mia, solo mia, né del sito né di chissà chi altro. Ma -ricordatevi- correre è un’altra cosa. E ve lo ripeto. CORRERE è un’altra cosa. Motorsport is something different. Quanto a Massa, poco altro da dire se non che porta a casa la miglior gara dell’anno, appena ai margini del podio. Peccato per il suo futuro. Sul serio. E non ci sono aggettivi, stavolta.

Michael Schumacher: 6,5 – L’unico aggettivo che ci viene in mente ragionando sull’epilogo della sua carriera è grottesco. E non per colpa sua, chiariamoci. Si vede che al solito dà l’anima, in pista. In qualifica si arrampica su posizioni molto più nobili di quanto il mezzo permetterebbe. Ma poi in gara fa tenerezza vederlo sverniciato da chiunque gli passi a fianco. Probabilmente se ad Austin avesse corso anche il vostro pagellista [al volante della sua Golf], sarebbe arrivato davanti anche lui. La sua Mercedes sembra andare sul ghiaccio, il grip è più o meno simile. E senza aderenza meccanica, senza trazione e senza velocità -non ci vuole un premio Nobel a capirlo- non si va da nessuna parte. Esce dalla prima curva quinto, chiude sedicesimo dopo aver addirittura dovuta fare un pit stop suppelemtare per mancanza oggettiva di battistrada. Boh, davvero. Si fa fatica a capire che senso abbia tutto questo. Dispiace debba lasciare così. E ha anche il coraggio di fare dell’ironia, invece di prender tutti a male parole. Gentiluomo.

Nico Rosberg: 6,5 – Francamente c’è davvero poco da dire, della sua gara. Sempre dietro, sempre lento, si prende la platonica soddisfazione di battere al traguardo Michael Schumacher ben sapendo che di sostanziale non c’è nulla. Lo si vede inquadrato solo durante la lotta con il compagno di squadra e Vergne, lotta che costa il ritiro al pilota francese della Toro Rosso. Per il resto la macchina non va nemmeno a spingerla, l’unica è portarla al traguardo sperando di non far danni e augurandosi che questo 2012 finisca subito. Tra l’altro dice che son stati fatti esperimenti utili in chiave 2013. E se i Maya avessero ragione, contro ogni pronostico? Ve la buttiamo lì… Fatalista.

Kimi Räikkönen: 8,5 – Alla fine della fiera non è che ottenga ‘sto risultato travolgente, chiude sesto appena davanti a Grosjean, che peraltro ne combina un paio delle sue. Ma il votone se lo merita perché entra nelle due manovre più belle viste ad Austin. Nella prima è il protagonista, quando si inventa un sorpassone -di quelli veri, senza DRS- all’esterno ai danni di Hülkenberg. Nella seconda è il comprimario, in occasione del sorpasso subito da JB a poche tornate dalla fine. Si difende con cattiveria ma con correttezza, le auto si sfiorano, gli spettatori apprezzano. Un grande spettacolo, regalato da due fenomeni tanto diversi quanto affascinanti. Parte male, si tocca proprio con il tedesco della Force India, finisce dietro, rimonta con cattiveria e guadagna posizioni su posizioni. Poi, dopo il pit stop, le temperature si abbassano e la sua Lotus inizia ad accusare problemi di aderenza che lo frenano e favoriscono, come già detto, il recupero di Button. Ma, ad ogni modo, chiude sesto e resta al terzo posto nel mondiale. Più che bene, signori, più che bene. Spettacolare.

Romain Grosjean: 8 – Un paio di svarioni dei suoi li infila anche in Texas, quando decide di saggiare l’asfalto delle vie di fuga del nuovo parcheggio made in Tilke. Però tutto sommato sono errori veniali, perché al traguardo chiude comunque vicino al suo caposquadra. A onor del vero avrebbe anche potuto arrivargli davanti, senza quei due errorini -grave soprattutto il primo- ma gli perdoniamo gli eccessi in virtù della bella manovra con cui, nelle prime fasi di gara, si sbarazza in un sol colpo di Räikkönen e di Michael Schumacher in lotta tra loro. Capolavoro di furbizia e opportunismo che ci scalda il cuore e ci fa alzare l’asticella del voto di quel tanto che basta per passare da sufficiente a buono. Anche perché partiva indietro per colpe non sue, leggi sostituzione del cambio. Se un domani tornasse a infilare una domenica di quelle dritte, senza errori di nessun genere, sarebbe bello. Figuriamoci poi dare continuità. Ma un passo per volta… Scaltro.

Paul di Resta: 5 – Ancora una prova opaca, nervosa e ricca di sbavature. Subisce Hülkenberg nella prima parte di gara, pian pianino gli si avvicina -bello tra l’altro il sorpasso a Michael Schumacher- iniziando a girare su tempi più che discreti. Poi però a cavallo tra il 25mo e il 30mo giro -non inquadrato- compie un erroraccio spiattellando le gomme e rendendo la vettura inguidabile. Il problema è decisivo se si considera che aveva da poco fatto la sua prima e -nei programmi- unica sosta. Dopo aver constatato l’impossibilità di andare avanti, deve fermarsi ai box un’altra volta per montare un set di gomme fresche. Perdendo qualsiasi possibilità di raccogliere un piazzamento nei punti. Taglia il traguardo in quindicesima posizione, doppiato. E ovviamente staccatissimo dal compagno di squadra, che invece ingrassa ulteriormente il proprio bottino in classifica. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Spiattellato.

Nico Hülkenberg: 8 – E’ in uno stato di forma strepitoso, e tutto quello che tocca diventa oro. Ha raggiunto un livello di simbiosi con la sua vettura che gli permette di tirarne fuori il massimo senza nel contempo rischiare di andare ad arare le vie di fuga. Bravo. Anche in Texas, tra vacche, cowboy e Stetson a tesa larga Nico si trasforma nell’Incredibile Hülkenberg portando in alto la sua macchina in qualifica e regalandosi una prima parte di gara nei quartieri altissimi della classifica. Splendido il duello -anche se perso- con Räikkönen. Poi con le gomme dure inizia a perdere terreno e alla fine è costretto a difendersi dalle due Williams per conservare un posto in zona punti. Hai detto niente: la coppia di Grove ha il DRS, lui solo tanto mestiere. Eppure questo -seppur con qualche affanno- basta a regalargli l’ottavo posto finale che arricchisce ulteriormente la sua classifica e il suo bottino di sorrisi. Peccato la stagione stia per finire, sul serio. Siam sicuri firmerebbe per ricominciare daccapo con le stesse vetture. Altro giro, altra corsa. Felice.

Kamui Kobayashi: 5 – Lo diciamo? Lo diciamo. Per tutto il weekend non ci ha capito niente. Non che la Sauber viaggiasse a velocità folle, intendiamoci, tutt’altro. Ma il jap di scuola Toyota oggettivamente non cava un ragno dal buco. Per parecchio tempo resta l’ultimo dei piloti dei cosiddetti vecchi team, prima che l’harakiri Mercedes e la doppia sosta di di Resta non gli regalino un paio di posizioni. Con la stessa vettura Pérez non fa miracoli ma quantomeno si fa vedere. Ha una faccia stralunata, a fine gara, quando dice che la vettura ha iniziato ad andar forte solo con le gomme dure quasi finite. Al limite dell’esoterico, un campo nel quale non intendiamo affatto avventurarci. C’è rischio di finir male. E in mancanza di giustificazioni più concrete, non possiamo dargli la sufficienza. Medium.

Sergio Pérez: 6 – Finalmente, vivaddio, non combina casini. Non succedeva da prima della firma sul contratto con la McLaren, quindi da qualche buon Gran Premio. Come si dice in gergo, questa E’ la notizia, per quanto lo riguarda. Detto questo, e dato a Sergio quel che è di Sergio, va rimarcato che la sua prestazione non finirà certo negli annali della storia di questo sport. A inizio gara sembra tonico e gagliardo, si libera -come tutti del resto- di Michael Schumacher e passa anche Bruno Senna con una certa abilità. Poi però si perde tra pit stop e traffico e alla fine raccoglierà solo l’undicesimo posto, il primo dei non premiati dalla zona punti. Non molto, ma sempre meglio di quanto accaduto nel garage a fianco al suo. La sufficienza ci sta, dunque, stiracchiata ma dignitosa. Ora che pare abbia smesso di far danni, tornerà anche veloce per salutare la squadra che l’ha inventato -Pippo Baudo docet- con un ultimo, bel risultato? See you in San Paolo. Placato.

Daniel Ricciardo: 7 – Ripensando alla sua gara quel che ci torna in mente immediatamente è la bellissima battaglia con Pastor Maldonado a metà gara, con i due che simpaticamente se le danno di santa ragione per due-tre giri. In maniera corretta e sportiva, precisiamo a scanso di equivoci. L’australiano ci prova in tutte le maniere, a passare il venezuelano, che ha però ogni volta la meglio. Ma non è il solo highlight della gara di Daniel, che in partenza recupera quasi tutte le posizioni che non era riuscito a conquistare al sabato e nei primi giri si appropria anche delle restanti. La sua rimonta si infrange sul muro della Williams e -di fatto- sarà proprio quel mancato sorpasso a stopparlo, al traguardo, in dodicesima posizione, dietro anche a Pérez. Questione di strategie, di timing, roba complicata che fatichiamo anche noi a capire. Ma ci basta quanto abbiamo visto -anche tenuto conto del potenziale della vettura- per valutare come più che buona la sua prestazione. Di più, onestamente, non si poteva chiedere. Massiccio.

Jean-Éric Vergne: sv – Che ci crediate o no, le Mercedes in un Gran Premio disgraziato come quello di Austin sono comunque riuscite a fare una vittima. Ed è proprio Jean-Éric. Il francese, dopo una prima parte di gara accorta, si ritrova in guerra con le due spuntatissime Frecce d’Argento di Rosberg e Schumacher e-non si capisce bene come, se per un contatto o una scordolata troppo violenta- ci rimette la sospensione anteriore destra. Le immagini -almeno quelle che abbiamo a disposizione- non chiariscono del tutto la dinamica, e noi non ce la sentiamo di bocciarlo. Quindi astensione e via così. Comunque sfortunato.

Pastor Maldonado: 7,5 – Per tutta la gara segue Senna, colpa di una partenza non eccezionale che gli fa perdere posizioni su posizioni. Stare a centrogruppo significa lottare. Lui non si è mai tirato indietro nel farlo, figuriamoci in una pista nuova con spazi di fuga chilometrici come il neonato Circuit of the Americas. Diciamo subito che ci fa divertire. Prima con Button, quando dà vita a una giostra sorpasso-controsorpasso-controcontrosorpasso che manda in sollucchero i texani sulle tribune e tutti noi da casa. Poi con Ricciardo, e qui peraltro la gara dell’irriducibilità è lui a vincerla. Infine con Senna, a poche tornate dalla fine, quando si infila nel pertugio lasciato aperto dal brasiliano e gli strappa il nono posto. Per una volta, e anche qui signori c’è da stupirsi anzichenò, senza toccarsi con nessuno e senza fare scemenze di sorta. Facesse sempre così… e se fosse partito meglio avrebbe forse potuto impensierire maggiormente anche Hülkenberg. Ma va benone così. Scommettiamo che la coppia Williams in Brasile farà fuoco e fiamme – in senso buono? Instancabile.

Bruno Senna: 7,5 – Si merita lo stesso voto del compagno di squadra anche se protagonista di una prestazione molto diversa. E’ lui, infatti, a fare da attore protagonista a inizio gara, a disimpegnarsi meglio nei duelli d’alta classifica dimostrando di saperci fare e, all’occorrenza, di disporre anche di grinta sufficiente a divertire la platea. Curiosamente anche lui duella con JB sulla stesso canovaccio [sorpasso-controsorpasso-controcontrosorpasso] del compagno di squadra. Ed è determinato quando, nell’ultimo quarto di gara, spreme il massimo dalla monoposto -e dalle gomme- per raggiungere Hülkenberg. Troppa generosità si paga: si tira dietro Maldonado che, una volta ripreso il tedesco della Force India, lo passa senza pietà mettendosi lui negli scarichi di Nico. Dopo che è toccato a Bruno fare il lavoro sporco. Certa gente non sa nemmeno lontanamente cosa sia la gratitudine.. Scherzi a parte, va benissimo così. Una delle migliori prestazioni dell’anno, a detta di chi scrive. Che gli valga da boost per la gara di casa? Chissà, chissà. Se lo meriterebbe, un risultatone. Tradito.

Heikki Kovalainen: 5,5 – Per tutto il weekend non riesce a venire a capo di un problema che lo affligge sin dai primi km fatti al venerdì: mandare in temperatura le gomme anteriori. Se all’inizio la questione poteva essere la scarsa aderenza del tracciato, andando avanti si è capito che non era quello il punto. E in gara le cose non migliorano. Passa Pic al via e Glock nelle prime tornate, ma non riesce a tenere il passo di Petrov e dovrà accontentarsi di fargli da valletto fino alla bandiera a scacchi. Non il massimo, stavolta, per uno che sta cercando in tutte le maniere di riciclarsi per il 2013 con un volante più competitivo. Ma è anche vero che la prestazione texana non va ad inficiare più di tanto quanto di buono fatto vedere in questa stagione -e in quella passata- al volante della Caterham. Le motivazioni quantomeno paiono intatte. E questo è importante. Meno uno all’alba. Ammesso che di alba si tratti davvero, e che non sia un triste -e tutto sommato immeritato- tramonto per il biondo di Rovaniemi. Paggetto.

Vitalij Petrov: 7 – Insolitamente a suo agio sin dai primissimi km, riesce in gara a capitalizzare quanto fatto vedere in prova -rapportato alla prestazione del suo vicino di garage- rubando ad Heikki il ruolo che ha recitato nella maggior parte delle gare, ovverosia quello di leader della muta degli inseguitori [rispetto alle vetture normali, of course]. E dire che le Caterham, in qualifica, le avevano prese dalle Marussia, anche qui in maniera abbastanza sorprendente. Poi però subito dopo il via le cose rientrano nell’ordine più naturale, e il gioco per Vitalij è semplicemente quello di girare costante, non causare problemi nei doppiaggi e portare la macchina al traguardo. Nonostante una fastidiosa vibrazione ai freni che comunque non pregiudica il risultato. Oggettivamente il massimo, a parer nostro. Arriveranno tempi migliori? Chi può dirlo. Per intanto andiamo a Interlagos, poi… Pulito.

Pedro de la Rosa: 7 – A cinque giri dalla fine gli si rompe addirittura il sedile. L’incubo è quello di strisciare i reali glutei sull’asfalto, incubo che per fortuna dura poco visto che il resto della scocca resiste. Scherzi a parte, è comunque costretto ad adattarsi ad una nuova posizione di guida nelle ultime tornate a causa del cedimento di un elemento in carbonio del sedile. Ha tanti Gran Premi d’esperienza, qualche buon anno sulle spalle, ma questa crediamo non gli fosse mai capitata. Del resto della sua gara c’è poco da dire. La HRT fa tenerezza nella sua instabilità. Il distacco rimediato dalle Marussia è imbarazzante, becca cinque secondi da Vettel nel computo dei giri più veloci. Cosa ti inventi, per dargli un voto? O per bocciarlo? Francamente non lo sappiamo. La professionalità e l’impegno restano intatti. Batte il suo compagno di squadra. E resta invisibile nei doppiaggi, che è il massimo complimento si possa fare a un pilota delle retrovie. Questo ci basta. Onesto.

Narain Karthikeyan: 6 – Qualche Gran Premio fa il bicampione del mondo più giovane della storia della Formula 1 lo definì un Cetriolo per via di un’incomprensione durante un doppiaggio. L’anno scorso in Canada Massa in un team radio ebbe ad apostrofarlo «It’s stupid, it’s stupid». Nell’ultima gara Rosberg gli è volato sopra con la vettura e tutto, sfiorandogli il casco. E ad Austin, TX, lo stesso bicampione del mondo eccetera eccetera se l’è presa con lui per il sorpasso decisivo subito da Hamilton. Se un indizio è un indizio, quanti ce ne vogliono per fare una prova? Fate voi. Anche se, onestamente, Seb avrebbe potuto per una volta scegliere di fare il gentleman e parlare d’altro, evitando di gettare la croce addosso al povero Narain. Che di croce ne ha già una gigante da portare; ha quattro ruote, un motore e si chiama HRT. Ma sì, forse qualche colpa ce l’avrà pure. Ma ha davvero senso, in sede di pagelle, infierire su un pilota che guida in queste condizioni? Noi non ce la facciamo. Non abbiamo abbastanza pelo sullo stomaco. Pace. E poi in gara gira addirittura più veloce di de la Rosa… Parafulmine.

Timo Glock: 7 – Almeno non corre da solo, stavolta. Al via -per sua stessa ammissione- perde il controllo della macchina due volte, facendosi passare da Petrov. Poi lo passa anche Kovalainen. Lo segue, cerca di passarlo ai box ma invano. Quindi più avanti lo avvicina, riesce addirittura a sopravanzarlo ma poche tornate dopo deve nuovamente arrendersi e cedergli la posizione. Chiude dietro alle due Caterham. Peccato, perché il risultato in qualifica -in cui le Marussia si erano issate davanti alle vetture gialloverdi- faceva ben sperare. Invece nulla di nuovo sul fronte occidentale. Ma almeno batte nuovamente -e stavolta pure sonoramente- il compagno di squadra, su una pista nuova per tutti e due. Segno che, se vuole, sa ancora essere veloce ed efficace. E’ chiaro che non è sempre facile essere decisivi, quando si corre con una macchina come la sua. Ma la qualità del Professionista, non del pilota ma del Professionista, si valuta anche e soprattutto da questo. Risvegliato.

Charles Pic: 5 – Getta nel water la sue occasione. Quella cioè di poter battagliare alla pari con Glock su un a pista nuova per tutti e due. In cui, per una volta, sarebbe partito alla pari. E invece no. Buono in qualifica, disastroso in gara. Dice che un contatto alla prima curva gli danneggia l’ala anteriore provocandogli sottosterzo. Non si capisce perché non gliel’abbiano cambiata durante la sosta. Oramai si fa quasi di default, ogni qualvolta c’è qualcosa che non va sulla vettura. Bah. Becca più di trenta secondi da Timo. Un’enormità. In passato siamo stati larghi di manica con Charles, perché ha avuto modo di impressionarci positivamente. Non se ne abbia a male se stavolta siamo eccessivamente duri. Tutto serve per imparare. Per spronare. E chissà, magari potrà tornargli utile -nel suo immensamente piccolo- anche questa bocciatura. Confuso.

Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it

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