Red Bull Racing: Vettel VS Webber

Red Bull Racing: Vettel VS Webber

Analizziamo le prestazioni dei due piloti della Red Bull Racing, il tedesco Sebastian Vettel e l’australiano Mark Webber, compagni di squadra dal 2009. L’analisi si limita agli ultimi quattro campionati, per cui sarà presa in considerazione la carriera di Webber prima del 2007 con la sola finalità di valutarne meglio eventuali meriti e demeriti.

Capitolo Vettel.
Il pilota tedesco, negli ultimi tre anni, ha sicuramente fatto la gioia dei team per cui ha corso. Già nel 2008, sono stati proprio i 10 punti guadagnati con la vittoria di Monza a permettere alla Toro Rosso di sopravanzare il “team di punta” di Mateschitz, cioè la Red Bull: 39 a 29.

Il trend di Sebastian è in crescita costante da quattro anni, ossia dal momento in cui gli hanno dato in mano il volante di una Formula 1.

Vettel esordisce in gara al Gran Premio degli Stati Uniti 2007, sua unica corsa disputata al volante della BMW, per sostituire Robert Kubica tenuto fermo, per precauzione, dopo lo spaventoso incidente della settimana prima in Canada: al traguardo sarà ottavo, guadagnando un punto già alla gara d’esordio, su una pista mai vista.

Le altre sette gare, dal Gp d’Ungheria, le disputa sulla Toro Rosso, che decide di ingaggiarlo per sostituire il deludente americano Scott Speed: Seb giunge quarto in Cina, terminando così il suo campionato a quota 6 punti. Per quanto riguarda il mondiale costruttori, dei 9 punti raccolti dalla scuderia faentina quell’anno 5 li porta Sebastian Vettel, che quindi fa meglio dei due piloti titolari Vitantonio Liuzzi e Scott Speed.

Nel 2008 continua sulla Toro Rosso, e termina il campionato all’ottavo posto con 35 punti, togliendosi la soddisfazione della prima pole e della prima vittoria, sotto il diluvio, a Monza. Demolisce il compagno di squadra Sebastien Bourdais (vincitore di quattro titoli nella serie americana CART) che racimola solo 4 punti.

Nel 2009 è vice campione del mondo con 84 punti: ottiene quattro vittorie, due secondi e due terzi posti, e quattro pole positions. Webber, suo compagno di squadra, conclude al quarto posto con 69,5 punti, ottenuti anche grazie a due vittorie.

Quest’anno Sebastian vince il titolo mondiale con cinque vittorie totalizzando, grazie al nuovo punteggio, 256 punti. Soffre il compagno di squadra Mark Webber, che gli è davanti nella seconda parte della stagione, nonostante la squadra lo preferisca palesemente all’australiano, fino alla bandiera a scacchi di Abu Dhabi, dove grazie alla quinta vittoria stagionale passa in un sol colpo dal terzo al primo posto, vincendo il mondiale.

Fin qui gli elogi. Seb, nelle ultime due stagioni, ha dimostrato di soffrire nel corpo a corpo contro avversari “di peso”: clamoroso l’errore nel Gp di apertura della stagione 2009, in Australia, quando si scontra con Kubica, perdendo un podio praticamente certo. Segue team radio in mondovisione in cui chiede scusa alla squadra dandosi dell’idiota. Quest’anno sono stati altrettanto clamorosi gli errori con Webber in Turchia e la collisione con Button in Belgio.

Capitolo Webber.

Già, Mark Webber. La vittima predestinata. Una seconda guida con l’unico compito di sottrarre punti ai rivali di Seb, che avrebbe dovuto guardargli le spalle senza impensierirlo.

Un Coulthard, insomma. O un Barrichello. O un Massa al primo anno in Ferrari.

Invece l’australiano diventa il primo rivale del giovane tedesco, al punto da far sorgere un interrogativo: nel 2010, ha sorpreso Mark o ha faticato più del dovuto Sebastian?

Prima di tentare di rispondere, diamo una rapida occhiata alla carriera in F1 del pilota australiano.

Mark Webber ha esordito in F1 al Gran premio d’Australia 2002, sulla Minardi-Asiatech, concludendo quinto e conquistando 2 punti in un’”epoca” in cui i punti venivano assegnati ai primi sei arrivati. Bollare quella prestazione esclusivamente come frutto del caso, poiché in quel Gp tagliarono il traguardo otto vetture su 22, pare essere una crudeltà gratuita, che toglierebbe il merito a Mark di aver disputato una gara priva di errori su una vettura tutt’altro che competitiva. In quella stagione dominò i compagni di squadra Alex Yoong e Anthony Davidson, che sostituì il malese in due occasioni. Quei 2 punti furono il bottino della scuderia di Faenza in tutta la stagione, e le consentirono di chiudere il mondiale al nono posto davanti a Toyota e Arrows.

Nel 2003 e 2004 corre con la Jaguar-Cosworth, divenendo il punto di riferimento di un team che fa correre, sull’altra vettura, ben tre piloti: Antonio Pizzonia e Justin Wilson nel 2003, Christian Klien (protetto dalla Red Bull) nel 2004. In entrambe le stagioni i suoi risultati saranno migliori dei compagni di squadra: 17 dei 18 punti ottenuti dal team nel 2003 li porta a casa Mark, mentre l’anno successivo, con una macchina meno competitiva, ne realizza 7 sui 10 totali.

Nel 2005 la Red Bull rileva il team e per Mark non c’è posto: viene così ingaggiato dalla Williams-BMW che lo affianca a Nick Heidfeld, il quale avendo esordito nel 2000 ha due anni in più di esperienza: concluderà il mondiale con 36 punti contro i 28 di Nick, ma il pilota tedesco, che stava facendo meglio dell’australiano, è costretto a saltare gli ultimi cinque Gp in seguito a un incidente nel corso di alcuni test a Monza. Dopo l’ultima gara di Heidfeld, in Turchia, il punteggio era comunque di 28 a 24… quindi Mark non stava certo sfigurando. Perla della stagione è il terzo posto di Montecarlo… preceduto proprio da Heidfeld e da Kimi Raikkonen, vincitore.

Nel 2006 continua sulla Williams dove, con una monoposto meno competitiva dell’anno precedente, s’impone sull’esordiente Nico Rosberg, con 7 punti contro 4.

Fin qui, tutto si può dire tranne che ci troviamo di fronte ad un pilota che sta in Formula 1 “per caso” o grazie a qualche ricco sponsor: in cinque stagioni fa sempre meglio del compagno di squadra. L’unica ombra è il 2005 dove, comunque, lo seguiva da molto vicino.

Arriviamo così al 2007, ossia la prima annata che prendiamo in esame per fare un confronto.

In quell’anno, con ormai cinque stagioni ininterrotte di Formula 1 alle spalle, torna alla Red Bull, dove ha come compagno di squadra il veterano David Coulthard: termina il campionato al dodicesimo posto con 10 punti, contro i 14 dello scozzese. Stravince il confronto in qualifica (13 a 4), mentre in gara va a punti (che si assegnano ai primi otto) in tre occasioni contro le quattro di David. Ottiene come miglior piazzamento il terzo posto nel Gp d’Europa (quello del duello, con litigata finale, tra Massa e Alonso), e due settimi posti. Coulthard, per contro, arriva quinto in due occasioni, una volta quarto (in Giappone) e una ottavo. Il momento peggiore, probabilmente, è proprio in Giappone quando, sotto la pioggia in regime di safety car, viene tamponato da Vettel (alla sua sesta gara) sulla Toro Rosso: in quel momento era secondo con il rifornimento già fatto, mentre Lewis Hamilton, primo, doveva ancora fermarsi.

La Red Bull Racing conferma entrambi i piloti anche nel 2008, e in questa stagione Mark s’impone su David Coulthard, al via della sua ultima stagione: conquista 21 punti contro gli 8 del compagno di team, arrivando quarto a Monaco, qualificandosi secondo in Inghilterra e terzo a Monza… nel giorno della prima pole di Sebastian Vettel. In campionato la Red Bull motorizzata Renault, nonostante ottenga più punti dell’anno precedente (29 a 24), conclude settima, superata di 10 lunghezze (li vogliamo “attribuire” alla vittoria di Vettel a Monza?) proprio dalla “cugina” Toro Rosso motorizzata Ferrari.

Arriviamo così al 2009, dove Mark e Sebastian, dopo essersi incrociati in pista nei precedenti tre anni, si ritrovano infine a convivere all’interno dello stesso team: la Red Bull Racing.

Webber ha undici anni più di Vettel, e in Australia si avvia a disputare la sua ottava stagione completa di Formula 1, con alle spalle 123 Gp, quattro secondi posti come miglior risultato in qualifica e due terzi posti come miglior risultato in gara.

Vettel, invece, si presenta a Melbourne per iniziare la sua seconda stagione completa (e terza in assoluto), con alle spalle 26 Gp, una pole position come miglior risultato in qualifica e una vittoria come miglior risultato in gara.

Il campionato si apre con il dominio della Brawn (e del suo contestatissimo doppio diffusore), che centra sei vittorie nelle prime sette gare e ottiene quattro pole positions. La vittoria mancante, in Cina, se la aggiudica proprio Vettel, seguito da Webber: per la Red Bull sono la prima vittoria e la prima doppietta. Il giorno precedente, sabato, Seb aveva regalato al team la sua prima pole.

Mark deve aspettare fino alla nona gara, Gran premio di Germania sul circuito del Nurburgring, per ottenere la sua prima vittoria nel mondiale di Formula 1: con quel successo salirà a 45,5 punti. Nelle stesse nove gare Vettel ha vinto due volte (in Cina e al Gp precedente, in Inghilterra): il tedesco lascia Silverstone con 47 punti. Tre secondi posti per l’australiano, due per il tedesco; entrambi salgono in un’occasione sul gradino più basso del podio. Un ritiro per Vettel, a Montecarlo per incidente, nessuno per Webber. Due arrivi fuori dai punti per entrambi. Sebastian è giovane, va forte, ha gli occhi di tutti puntati addosso… ma “l’anziano” Webber rende come lui, e non commette errori per troppa foga. Dove Vettel va meglio, come confermerà nel 2010, è in qualifica: tre pole contro l’unica, sempre in Germania, di Webber.

Nel Gp successivo, in Ungheria, Hamilton e la McLaren entrano nella storia: per la prima volta s’impone una monoposto dotata di KERS. Raikkonen arriva secondo e Webber, col terzo posto, supera Vettel, ritirato, in classifica: 51,5 punti contro 47.

E qui, praticamente, finisce un po’ il mondiale di Mark, con l’australiano che nelle successive cinque gare non ottiene punti: alcune gare troppo “movimentate”, caratterizzate soprattutto da cattive qualifiche (due volte nono, una decimo, in Giappone addirittura diciannovesimo, miglior risultato il quarto posto di Singapore) ne minano le possibilità in classifica generale. Se a sette gare dalla fine era davanti a Vettel di 4 punti, al via della penultima gara in Brasile è indietro di 18. Insomma… quello che gli succederà nel 2010: ultimo risultato “importante” in Ungheria, a cui segue una lenta discesa.

In Brasile vince, mentre nell’ultimo Gp ad Abu Dhabi è secondo: nel mondiale chiude quarto staccato di 14,5 punti dal compagno di squadra.

Sicuramente si può dire che nel 2009, fino a metà campionato, tutte le attenzioni sono state catalizzate dalle polemiche sul diffusore, dalle prestazioni di Button che da “onesto impiegato” diventa un fenomeno vincendo sei gare su sette, dalle difficoltà della Ferrari, dallo stesso Vettel che da baby fenomeno inizia a frequentare stabilmente l’alta classifica… e nessuno si accorge che i due ragazzi della Red Bull viaggiano, in realtà, con lo stesso rendimento.

Nella seconda parte di stagione, invece, il tentativo di rimonta di Barrichello (che vince a Valencia e Monza) e la sensazione, persistente, che comunque nulla e nessuno priverà Button della vittoria nel mondiale, insieme all’aumento di competitività di Ferrari e McLaren, distraggono le attenzioni dalla Red Bull e dalle difficoltà di Mark.

Il 2010 di Webber, come si è già intravisto, ricalca più o meno l’andamento del 2009, con due significative differenze: la prima, è che nella stagione scorsa l’australiano ha, da subito, in mano il volante della monoposto più competitiva presente in griglia, e quindi anche le giornate più “storte” risultano alla fine migliori di quelle “storte” del 2009; la seconda è che l’assegnazione dei punti fino al decimo posto contribuisce a diminuire gli zeri in classifica e dare la sensazione di un rendimento migliore.

Mark nel 2010 parte piano e dopo quattro gare, vale a dire prima del Gp di Spagna in cui conquisterà la prima vittoria stagionale, è ottavo in classifica con soli 28 punti, risultando il peggiore non solo dei tre top team, ma anche di Rosberg (in quel momento secondo) e Kubica. Button, nel frattempo, è in testa alla classifica con 60 punti; Vettel è quinto a quota 45.

Poi arrivano i Gp di Spagna e Monaco, in cui Mark azzecca due weekend perfetti con pole, vittoria e gara tutta in testa: è primo nel mondiale, a quota 78 punti, alla pari con Vettel.

Il Gp successivo è quello della Turchia: al 40esimo giro, quando Vettel travolge Webber, la Red Bull scopre improvvisamente di non avere più un pilota fenomeno e una seconda guida… bensì due autentici galletti da combattimento nello stesso pollaio. E invece di dire un semplice “è stato un normale incidente di gara che può capitare quando si hanno due piloti in grado di vincere, ma noi non daremo ordini di squadra”, i capi supremi prima danno ragione a chi dei due ha torto (Helmut Marko è il principale sostenitore di Vettel all’interno del team), e poi lasciano al team manager Christian Horner la gestione della faccenda sulla linea “i ragazzi corrono alla pari, che vinca il migliore”.

Talmente alla pari che in Gran Bretagna, tre Gp dopo, smontano un’ala anteriore nuova dalla monoposto di Webber per montarla a Vettel: se è così ininfluente, come dirà Chris Horner, che bisogno c’era? A maggior ragione nel clima di tensione che si respirava nel team dopo la Turchia.

Mark vince la gara e si ripete in Ungheria, ottenendo la quarta e ultima vittoria dell’anno.

Con ancora sette gare da disputare è in testa al mondiale, a quota 161 punti: 4 più di Hamilton e 10 più di Vettel.

A quel punto, sarà la pressione che passa tutta su di lui, sarà la battaglia di nervi all’interno del team, sarà la spalla infortunata o chissà cos’altro, sta di fatto che, come nel 2009, il suo rendimento cala: non vince più, mentre si scatenano Alonso e Vettel.

Il punto è proprio questo: il non vincere. In sette gare mette assieme tre secondi posti, un terzo, un sesto, l’ottavo di Abu Dhabi e il ritiro della Corea. Piazzamenti identici alla prima metà… dove però in mezzo ci sono quattro vittorie.

Com’è andata ad Abu Dhabi, inclusa la terza peggior qualifica dell’anno, lo sappiamo tutti: chiude il mondiale al terzo posto, 14 punti dietro al compagno di squadra che vince il mondiale. In pratica lo stesso distacco che aveva alla fine del mondiale 2009.

I numeri parlano chiaro: per due volte disputa la prima metà di stagione con lo stesso rendimento di Vettel, per due volte disputa la seconda metà in calo.

Mark Webber non è un fermo: sicuramente è più lento di Vettel in qualifica; incappa in weekend in cui non trova l’assetto ideale, cosa che invece non sembra capitare a Vettel; questo però si annulla considerando che commette meno errori di Sebastian. Se Seb eliminerà gli errori dovuti alla giovane età e alla minore esperienza (dei “magnifici sei” è quello con meno Gp alle spalle), sicuramente emergerà in maniera decisa e non dovrà più curarsi di quello che succede nel box accanto. In caso contrario, probabilmente, i due continueranno a duellare per la supremazia all’interno del team.

Conclusione.

C’è un aspetto, che probabilmente sfuggito a tutti, nel modo in cui la Red Bull Racing ha gestito i suoi piloti: Sebastian Vettel è la coronazione del sogno di Dietrich Mateschitz, proprietario dell’azienda produttrice di bibite energetiche, e del suo consulente per gli sport motoristici, Helmut Marko.

Sebastian Vettel è ciò che Mateschitz (e Marko) sognava da quando, nel 2004, ha comprato la Jaguar, rinominandola Red Bull Racing: scoprire il talento in un ragazzo giovanissimo e portarlo a vincere il mondiale di F1.

Vettel è ciò che Lewis Hamilton è stato per Ron Dennis e la McLaren: qualcuno dice ironicamente “polli allevati in batteria”, sta di fatto che quando un team scopre in un suo giovane pilota le qualità per essere numero uno… a quel punto non guarda più in faccia a nessuno. Se Ron Dennis non si preoccupò di fare un torto, nel 2007, a Fernando Alonso, il bicampione del mondo in carica, ingaggiato già a fine 2005… figurarsi cosa deve essere importato al management Red Bull di mettere in secondo piano un pilota “semplicemente” bravo come Mark Webber…

Per “torto”, a beneficio dei tifosi di Hamilton, si intende la semplice considerazione che Alonso, nell’estate 2007, non stava disputando un campionato deludente, tale da giustificare la promozione di un pilota esordiente, per quanto fenomenale, a prima guida: fatta questa premessa e dato lo stipendio percepito da Alonso (quello che spetta al numero uno), sarebbe stato normale frenare le ambizioni di Lewis dicendogli “quest’anno il numero uno è il tuo compagno di team. Il prossimo anno correrete alla pari”.

A questo va aggiunto anche il fatto che Mateschitz compete (e quindi investe) nel campionato del mondo di Formula 1 con un secondo team: la Scuderia Toro Rosso, che è la traduzione letterale di Team Red Bull.

La Red Bull, dopo aver sostenuto (almeno in parte) la carriera dei vari Christian Klien, Robert Doornbos, Vitantonio Liuzzi, Scott Speed, Sebastien Bourdais, raccogliendo poco o nulla, ha tutto il diritto di eleggere Sebastian Vettel a numero uno.

A tutti questi piloti la Red Bull, tramite i due team, ha offerto una possibilità in Formula 1. A costoro vanno aggiunti lo stesso Vettel, Sebastien Buemi e Jaime Alguersuari, senza contare i vari giovani rampanti tra cui al momento spiccano Daniel Ricciardo e Brendon Hartley.

Questa possibilità la Red Bull l’ha offerta dove vedeva del talento, a prescindere, come magari farebbe una casa automobilistica, dalla nazionalità: Mateschitz ha fatto correre in F1 un austriaco, un olandese, un italiano, un americano, un francese, un tedesco, uno svizzero, uno spagnolo, e adesso sono sulla rampa di lancio un australiano e un neozelandese.

Sebastian Vettel, vincitore del mondiale 2010 di Formula 1 è, ora più che mai, giustamente, re in casa propria.

Mark Webber, per quanto dicano Mateschitz, Marko, Horner o Newey, sarà leader della Red Bull solo nel momento in cui a Vettel dovesse mancare la possibilità matematica di aggiudicarsi il titolo.

Filippo Ronchetti

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