F1 | GP di Abu Dhabi: i novanta minuti che hanno deciso il mondiale

Max Verstappen conquista il suo primo titolo iridato battendo Lewis Hamilton in un finale che non ha convinto tutti

F1 | GP di Abu Dhabi: i novanta minuti che hanno deciso il mondiale

Max Verstappen è Campione del mondo. Dopo una stagione lunga quasi nove mesi, l’atto conclusivo del campionato 2021 ha consegnato all’olandese della Red Bull il suo primo titolo iridato, in un finale inaspettato e ricco di emozioni contrastanti per i protagonisti di uno dei mondiali più belli da anni a questa parte. Una sfida che si risolta proprio negli ultimi passaggi, creando tuttavia numerose polemiche che al momento non hanno ancora trovato una risposta definitiva, nonostante giovedì sera sarà in programma la cerimonia ufficiale della Federazione Internazionale, dove il numero 33 dovrebbe essere insignito ufficialmente del titolo più ambito in questo sport.

“È incredibile essere campione del mondo e non avrei potuto chiedere un’ultima gara dell’anno più folle. È stata un po’ una montagna russa, dal non avere davvero una possibilità di vincere fino all’ultimo giro, tutto si è cambiato, e abbiamo dato tutto. Naturalmente, con la ripartenza della Safety Car nell’ultimo giro abbiamo avuto le gomme più fresche, ma è comunque necessario fare la mossa decisiva e per fortuna ha funzionato”, ha spiegato Max durante le interviste, consegnando al mondo le sue prime parole da Campione del mondo. Un epilogo che, però, non ha convinto tutti, soprattutto chi ne è uscito sconfitto da questo duello, Lewis Hamilton e la Mercedes, anche se l’inglese non si è detratto dal complimentarsi con il suo avversario: “prima di tutto, congratulazioni a Max e alla sua squadra. Penso che abbiamo fatto un lavoro incredibile quest’anno. La mia squadra, tutti in fabbrica, tutti gli uomini e le donne che abbiamo, e qui, hanno lavorato così duramente quest’anno. È stata la più difficile delle stagioni. Sono così orgoglioso di loro, così grato di essere parte del viaggio con loro. In quest’ultima parte della stagione abbiamo dato assolutamente tutto e non ci siamo mai arresi e questa è la cosa più importante”, aveva dichiaro Lewis nelle interviste prima del podio, con quelle che sarebbero state le ultime parole prima di un lungo silenzio stampa, interrotto solamente dall’annuncio delle proteste presentate dal team di Brackley per tentare di ribaltare un risultato che, dal loro punto di vista, non avrebbe rispettato il regolamento. Trecento chilometri che hanno deciso il destino del mondiale, da ripercorrere per arrivare a comprendere le motivazioni dietro uno dei finali più strani e rocamboleschi che si sia visto in tempi recenti.

La gara – Si ribaltano i ruoli

Al sabato, Verstappen sembrava aver posto il primo importante tassello nella sua rincorsa al titolo, centrando una pole che avrebbe potuto rivelarsi fondamentale, specie se l’olandese fosse riuscito a mantenere la testa della corsa anche nei momenti successivi la partenza. Dopo aver danneggiato l’unico set di gomme medie a disposizione in qualifica, l’alfiere della Red Bull era infatti stato costretto a segnare il suo miglior tempo sulla soft, diversificando così la strategia di gara dal suo principale rivale, quel Lewis Hamilton che, invece, era stato in grado di completare la seconda manche direttamente sulla mescola a banda gialla. Una scelta che, alla vigilia, non sembrava comunque del tutto penalizzante, perché i riscontri del venerdì durante le prove libere sul compound più tenero avevano lasciato sensazioni positive, tali da spingere diverse squadre di centro gruppo a adottarla nella prima parte di gara, consci che ad ogni modo la media avrebbe offerto una maggior flessibilità sulla lunga distanza. Proprio per questo riuscire ad essere efficaci in partenza sarebbe stato un aspetto indispensabile per Max, in modo da avere l’opportunità di gestire nel migliore dei modi gli pneumatici e, soprattutto, di togliere tale vantaggio a chi avrebbe potuto coglierne maggiormente i frutti come l’inglese della Mercedes. Pochi secondi che avrebbero potuto cambiare il destino di una corsa e dell’intero mondiale. Pochi secondi che avevano effettivamente ribaltato gli scenari perché, nel momento del rilascio frizione dopo lo spegnimento dei semafori, Verstappen non era stato in grado di opporsi alla progressione di Hamilton, il quale si era reso autore di un ottimo scatto al via sopravanzando rapidamente l’olandese, vittima di una carenza di grip dalla prima casella. Un’inversione di ruoli a cui l’olandese aveva subito cercato di rispondere, provando a riprendersi la posizione alla chicane sei-sette, con una staccata degna di una delle sue migliori manovre, indubbiamente aggressiva, ma allo stesso tempo pulita, anche se non aveva lasciato al sette volte campione del mondo alcun margine per rimanere in pista, approfittandone per tagliare la curva e riprendere la testa della corsa. Al fine di evitare una possibile sanzione, il pilota di Stevenage aveva tentato di restituire il più velocemente possibile quanto guadagnato a livello cronometrico l’episodio contestato, riportando il distacco tra i due da circa un secondo e mezzo a soli cinque decimi. Una decisione molto scaltra, non solo perché molto probabilmente gli aveva evitato una penalità per aver lasciato la pista traendone un vantaggio, ma anche perché lo aveva fatto prima del terzo settore, quello in cui Verstappen avrebbe sofferto maggiormente nella gestione della vettura e degli pneumatici nel caso fosse rimasto ad una distanza ravvicinata dal leader, perdendo così quanto Hamilton gli aveva appena restituito.

Superato quel primo scoglio, gli scenari si erano completamente ribaltati e per l’inglese tutto sembrava essere in discesa. Un cambio di ruoli, dove chi doveva inseguire si era trasformato in lepre, mentre chi doveva fuggire era diventato il cacciatore. Un equilibrio difficile da trovare soprattutto per il portacolori della squadra di Milton Keynes, il quale da una parte doveva spingere per tentare di non lasciar scappare il nuovo capoclassifica, ma dall’altra non poteva nemmeno esagerare per evitare di stressare eccessivamente le gomme ed anticipare di conseguenza la sosta, che nei piani iniziali molto probabilmente avrebbe dovuto avvenire intorno al ventesimo passaggio. Aspetto di cui Hamilton era indubbiamente consapevole e, proprio per questo, nei giri successivi al sorpasso aveva cercato di mantenere un ritmo sufficientemente rapido da permettergli di conquistare quei pochi secondi di vantaggio utili a negare l’effetto scia sui rettilinei al rivale, per poi amministrare gli pneumatici e il vantaggio accumulato fino al momento in cui si sarebbe reso necessario rientrare ai box. Pochi secondi che  lo avevano messo anche al sicuro da un possibile undercut, trovandosi nella comoda posizione di poter valutare le opzioni a propria disposizione e muoversi nelle modalità che il team considerava più redditizie, tra cui figuravano l’opportunità di rimanere in pista qualche giro in più per ridurre la lunghezza del secondo stint, oppure giocare in modo sicuro andando costantemente a coprire le mosse degli avversari.

Una differenza di passo tra i due che era ravvisabile in particolare nel terzo settore, quello più impegnativo per gli pneumatici posteriori, ovvero l’asse che più di qualunque altro avrebbe subito uno stress maggiore in condizioni di massimo carico di carburante. Riuscendo a mantenere sotto controllo le temperature, Hamilton era in grado di portare qualche km/h in più di velocità di percorrenza nei tratti più lenti, come poteva esserlo quello dell’hotel, guadagnando ad ogni passaggio un margine che andava dai due ai quattro decimi, mentre Verstappen era costretto a rispondere in quelle zone del tracciato in cui poteva provare a forzare l’anteriore, come nell’ingresso della nove, dove manteneva una traiettoria più interna ed aggressiva anticipando leggermente la staccata, o nei punti in cui erano le coperture del lato sinistro a dover compiere la maggior parte del lavoro, come nella temuta curva tre. Sensazioni confermate anche dai team radio dei due contendenti, in particolare quelli del sette volte campione del mondo, a cui era stato comunicato che le uniche zone in cui l’olandese era in grado di recuperare a livello cronometrico fossero proprio quelle in cui si tendeva a gestire gli pneumatici, consapevole che più a lungo avrebbe fatto durare la mescola media e maggiori sarebbero stati i benefici nella seconda metà della gara. Giro dopo giro, tuttavia, il degrado delle coperture e le difficoltà nel far funzionare il posteriore erano diventate sempre più evidenti per Max, tanto da spingere gli strateghi della Red Bull ad individuare una finestra utile in cui farlo rientrare, anche se questo avrebbe significato anticipare di diverse tornare la sosta ai box. Una necessità sottolineata anche dallo stesso pilota il giro prima del pit stop, quando aveva aperto la radio per informare i propri ingegneri che le gomme stessero effettivamente soffrendo e che, per lo stint successivo, avrebbe voluto un angolo di attacco inferiore all’anteriore, in modo da ritrovare un miglior equilibrio aerodinamico sulla vettura ed aiutare il retrotreno. In una fase così delicata della corsa, molto probabilmente un’ala posteriore più carica avrebbe potuto dare positivamente il proprio contributo, ma è bene ricordare che al venerdì la squadra di Milton Keynes aveva accusato il problema problema opposto, in particolare in mattinata, quando aveva riscontato con entrambi i propri alfieri un vistoso sottosterzo che l’aveva portata ad effettuare prove comparative con configurazioni aerodinamiche differenti, tra cui proprio una soluzione più scarica non solo per aumentare le velocità di punta, ma anche per aver maggior libertà di azione nel caso si fossero riproposti problemi nel far funzionare l’avantreno nel resto del fine settimana.

Per far rientrare Verstappen, tuttavia, era indispensabile dare un’occhiata anche a cosa stesse succedendo alle sue spalle, in particolare la posizione di Valtteri Bottas, il quale avrebbe sicuramente allungato quanto più possibile lo stint per sfruttare appieno la gomma media e liberarsi sulla lunga distanza del traffico che aveva caratterizzato i suoi primi chilometri di gara. Sfruttando quella finestra che si era venuta a creare sul finlandese, la Red Bull aveva deciso di richiamare il proprio aspirante al titolo, fermandolo nel corso del tredicesimo passaggio per quello che avrebbe dovuto essere il suo unico pit stop fino al traguardo, seppur ciò lo avrebbe fatto tornare in pista alle spalle sia di Lando Norris che di Carlos Sainz, con quest’ultimo che fino a quel momento si era reso protagonista di un ottimo stint di apertura. Si sarebbe potuto aspettare qualche altra tornata per avere lo spazio utile per uscire davanti al Ferrarista? Da un punto di vista puramente cronometrico si trattava di un’opzione da prendere in considerazione, perché con altri tre o quattro giri su quel set il problema non si sarebbe posto data la differenza di passo tra i due, ma è chiaro che allo stesso tempo Red Bull non volesse neanche perdere tempo su Lewis, forzandolo a rientrare in modo da non dargli l’opportunità di estendere la prima parte di gara sulla mescola a banda gialla. Anche se Mercedes avrebbe potuto effettivamente allungare lo stint, il rischio di ritrovarsi Max a soli pochi secondi dopo la sosta era fin troppo elevato, un pericolo che gli strateghi non erano disposti a correre per qualche tornata in meno su una gomma che, comunque, avrebbe dovuto garantire una buona durata sulla distanza.

Sfortunatamente per il numero 33, tuttavia, quel giro e mezzo in più passato alle spalle dello spagnolo della Rossa aveva comportato una perdita di tempo piuttosto significativa, tanto da portarlo ad un distacco dal rivale alla corona iridata di circa otto secondi, due in più rispetto a prima della sosta. Per riuscire a richiudere una forbice che si era allargata più di quanto preventivato, l’unica speranza della Red Bull era che Sergio Perez riuscisse a portare a termine il piano prestabilito, posticipando la prima posta per tentare di rallentare quanto più a lungo possibile Hamilton, dando modo al proprio compagno di squadra di riavvicinarsi e, nel migliore dei casi, approfittarne per riunirsi alla lotta. Una decisione che aveva dato i propri frutti, perché quei due giri in cui il messicano era stato in grado di tenere il britannico alle proprie spalle rispondendo colpo su colpo avevano permesso a Verstappen di ridurre il distacco dalla vetta a poco meno di un secondo e mezzo, riaprendo virtualmente la rincorsa al successo di tappa e al mondiale, soprattutto per quanto sarebbe successo negli ultimi passaggi.

Se quel duello aveva dato nuovamente speranza al team anglo-austriaco, per Hamilton aver perso quel piccolo, ma prezioso vantaggio che era riuscito a costruire prima del pit stop, significava dover ricostruire tutto da capo, tornando a spingere per mettere tra sé e chi aveva alle sue spalle un margine di sicurezza tale da non consentire di trarre profitto dalla scia e rimanere davanti anche in caso di eventuali episodi o errori. Un compito che Lewis aveva portato a termine alla perfezione, aggiungendo nello spazio di dieci tornate ulteriori tre secondi a quanto accumulato in precedenza, complice anche un approccio meno aggressivo da parte dell’olandese rispetto alla prima parte di gara nei curvoni veloci, molto probabilmente per preservare delle coperture con cui sarebbe dovuto arrivare sino alla bandiera a scacchi. L’entrata della Virtual Safety Car poco dopo metà gara per rimuovere la vettura di Antonio Giovinazzi, fermo a bordo pista per un problema idraulico, aveva offerto alla Red Bull un’opportunità che non si era lasciata sfuggire, rientrando ancora una volta per montare il secondo set di gomme dure con provare un’ultima parte di gara tutta all’attacco. In fondo, la squadra capitanata da Christian Horner non aveva nulla da perdere ed era altrettanto consapevole che, senza quel pit stop, le chance di riacciuffare il leader virtuale della classifica prima del traguardo erano minime. Una mossa a cui Mercedes aveva deciso di non rispondere, non tanto perché non ve ne fosse stato il modo, ma perché il rischio assunto sarebbe stato oltremodo elevato: fermarsi per primo avrebbe significato lasciare il via libera a Verstappen, il quale senza dubbio avrebbe seguito la tattica opposta per guadagnare la track position con circa nove/dieci secondi di vantaggio, mentre rientrare nel secondo passaggio avrebbe comportato il pericolo che la fase di “VSC ending” giungesse proprio nel momento del pit stop, ritrovandosi in condizioni di bandiera verde in pit lane, come tra l’altro sarebbe effettivamente accaduto nel caso avessero perseguito la seconda opzione. Un rischio che gli strateghi della Stella non erano disposti a correre, specie tenendo a mente che, rimanendo in pista, Lewis avrebbe comunque avuto dalla sua un considerevole un margine di circa diciannove secondi da amministrare nei venti giri restanti, un gap piuttosto rassicurante su delle coperture che gli avrebbe permesso in ogni caso di giungere sino alla bandiera a scacchi senza particolari difficoltà.

Per quanto riuscire a recuperare un secondo per tornata sembrasse un’impresa sostanzialmente impossibile, come dimostravano anche i raffronti cronometrici, Verstappen non si era dato per vinto, iniziando a togliere decimi su decimi, fino a riportarsi ad un distacco di circa undici secondi. Uno sforzo che, all’apparenza, poteva quasi sembrare vano, ma che avrebbe assunto un significato completamente differente se negli ultimi giri della corsa si fosse presentato un episodio inaspettato a loro favore. Quei pochi ma fondamentali secondi guadagnati nella prima parte del terzo stint, avevano infatti permesso all’olandese di ritornare nella “finestra” dell’inglese, rendendo di fatto impossibile per Hamilton fermarsi nuovamente in caso di VSC o Safety Car senza il rischio concreto di perdere la prima posizione proprio a favore del rivale nella lotta al titolo, il quale avrebbe potuto decidere di rimanere fuori per guadagnare la track position rendendo ancor più decisivo l’intervento di Perez nella prima metà di gara. Una decisione estremamente delicata che si era presentata alla fine del cinquantatreesimo passaggio, quando, a seguito di un incidente che aveva visto coinvolto Nicholas Latifi in curva quattordici, il direttore di gara non aveva potuto fare altro che richiamare la vettura di sicurezza al fine di permettere la rimozione della monoposto del canadese, ferma in piena traiettoria. Il peggior scenario possibile per il battistrada si era appena realizzato e ciò aveva nuovamente posto il team di Brackley in una situazione estremamente difficile, di fronte ad una decisione che avrebbe potuto completamente ribaltare il destino di una corsa fino a quel punto gestita in scioltezza. Rientrare sarebbe stata un’opzione perseguibile, ma quasi certamente avrebbe significato perdere la testa della corsa, con il rischio che quest’ultima, dati i pochi giri ancora a disposizione, si concludesse proprio alle spalle della Safety Car, senza alcuna possibilità di recuperare quanto lasciato durante la sosta. Un rischio che, ancora una volta, Mercedes non era disposta a prendersi e, come evidenziano anche i primi team radio, gli stessi strateghi della Stella erano piuttosto convinti che la gara non sarebbe ripartita, consci che il tempo materiale per completare tutte le procedure, tra rimozione del pericolo in pista e gestione dei doppiati, avrebbe potuto essere non sufficiente riprendere prima della fine. Al contrario, sperando che la situazione si potesse risolvere velocemente, Red Bull aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto, richiamando Verstappen ai box per montare una gomma soft con cui avrebbe potuto giocarsi seriamente le chance di vittoria nel caso si fosse tornati in una situazione di bandiera verde. Chiaramente, in quel caso l’inglese sarebbe stato esposto ad un facile sorpasso perché, con pneumatici di oltre quaranta passaggi più freschi e di due compound più tenero, la storia della corsa avrebbe avuto un epilogo piuttosto scontato.

Cinque giri avrebbero potuto stravolgere l’esito di un mondiale che, a trenta chilometri dal traguardo, sembrava ormai scritto. Dopo una prima fase in cui era stato ricompattato il gruppo, non si attendeva altro che la comunicazione al direttore di gara che avrebbe permesso ai doppiati superare la vettura di sicurezza. Una comunicazione che, però, non era giunta prima del cinquantasettesimo passaggio, il penultimo, lasciando anche un certo stupore nel momento in cui si era realizzato che tale procedura non sarebbe andata a coinvolgere tutti i doppiati, come avviene normalmente, bensì solo quelli che si trovavano tra i due contendenti al titolo. Situazione che sarebbe divenuta ancora più strana quando, pochi secondi dopo, lo stesso race director aveva annunciato che la Safety Car sarebbe rientrata alla fine di quella tornata, lasciando che la lotta per l’alloro iridato si risolvesse negli ultimi cinque chilometri di uno dei campionati più lunghi ed intensi della storia. Sfruttando le coperture più tenere e fresche, Verstappen era stato in grado di concludere rapidamente la pratica, attaccando Hamilton, il quale era rimasto su gomme con ormai oltre quaranta giri alle spalle, alla staccata di curva cinque. Una manovra prevedibile, ma eseguita anche con una certa intelligenza, perché mantenendo una traiettoria più aperta a centro curva aveva reso impossibile all’inglese tentare l’incrocio che aveva pianificato con una linea più larga sin dal principio, conscio che ad ogni modo il suo vero punto debole sarebbe stata la fase di trazione, dove penumatici più freschi avrebbe potuto fare davvero la differenza. Nonostante i tentativi di risposta da parte del sette volte campione del mondo, soprattutto alla staccata di curva nove, Verstappen era stato in grado di gestire in maniera eccellente un momento estremamente delicato, posizionandosi sempre nel posto giusto per respingere eventuali attacchi. Un finale unico e inaspettato aveva regalato un nuovo campione del mondo.

Si sarebbe potuta dare bandiera rossa?

Indubbiamente, tra le opzioni a disposizione del direttore di gara in seguito all’incidente di Latifi, vi era anche quella di neutralizzare completamente la corsa, dando l’opportunità ai due aspiranti al titolo di cambiare le coperture e lanciarsi per un duello alla pari negli ultimi cinque giri. Sarebbe stata una scelta potenzialmente corretta, più di quella che si è effettivamente vista, uno “finale per le televisioni”, come lo hanno definito diversi piloti. Uno show, perché per arrivare a quel punto si è dovuto stravolgere l’intepretazione di un regolamento applicato allo stesso modo da anni, ma che in questo caso ha visto un’applicazione differente per riuscire ad avere quell’ultimo giro utile di “suspense” che avrebbe potuto cambiare, forse nel modo peggiore possibile, il destinto di un mondiale che sembrava ormai scritto. La bandiera rossa sarebbe sì stata una soluzione più equa per entrambi, ma allo stesso tempo sarebbe sempre andata alla ricerca dello show, perché quella situazione chiaramente non era tale da richiedere l’interruzione della gara, senza contare che, molto probabilmente, il direttore di gara di aspettasse che i tempi di recupero fossero più contenuti, potendo così comunque rispettare la procedura e dare la bandiera verde per assegnare il titolo proprio sul finale. Gli episodi esistono e, se questi erano stati tali da mettere Hamilton in una situazione tale da esporlo ad un possibile attacco negli ultimi passaggi (nel caso tutte i punti necessari fossero stati eseguiti alla lettera), chiaramente il direttore di gara non avrebbe potuto prenderli come una scusante per mostrare una bandiera rossa che, in quel momento, non avrebbe avuto alcun bisogno di essere esposta solo per mettere alla pari i due contendenti. Una situazione da Safety Car, come si è poi effettivamente visto, che però richiesto più del necessario, portando ad un finale ricco di polemiche.

Le proteste Mercedes

Se in casa Red Bull era impossibile contenere i festeggiamenti per un risultato speciale al termine di una gara ed una stagione particolarmente intensa, in casa Mercedes l’umore non poteva essere lo stesso, in particolare dopo un finale che aveva generato diverse polemiche. Dubbi che la stessa casa tedesca aveva espresso presentando due reclami ufficiali, per l’infrazione degli articolo 48.8 e 48.12 del regolamento sportivo. La prima protesta riguardava la possibilità che Verstappen avesse superato Hamilton ancor prima della ripartenza, manovra espressamente proibita: un reclamo che, però, aveva trovata una pronta risposta da parte dei commissari, sottolineando che, seppur fosse vero che l’olandese avesse sopravanzato il rivale, ciò era si era verificato per un brevissimo lasso di tempo mentre entrambe le vetture stavano alternando le fasi di accelerazioni e frenata per riscaldare l’impianto frenante e che, soprattutto, la vettura numero 33 era tornata alle spalle del leader prima della linea del traguardo, la quale avrebbe sancito la conclusione del periodo di neutralizzazione.

Ben più complicata, invece, la seconda protesta, quella che coinvolgeva l’articolo 48.12 del regolamento. Due erano gli elementi contestati dalla squadra di Toto Wolff: il primo aspetto girava intorno al fatto che non a tutti i doppiati fosse stata lasciata l’opportunità di sdoppiarsi, come dovrebbe invece dovrebbe avvenire normalmente, mentre il secondo si connetteva proprio a quanto detto in precedenza, più nello specifico che la Safety Car sarebbe dovuta rientrare ai box solamente nel giro successivo in cui l’ultima vettura doppiata avrebbe superato il leader della corsa, cosa che in realtà non è avvenuta. Una richiesta di chiarimenti che nulla aveva a vedere con Verstappen direttamente, ma che andava solamente a coinvolgere le modalità e le procedure applicate dal race control, le quali, a loro volta, avrebbero determinato il risultato finale del Gran Premio.

La prima parte dell’articolo 48.12 recita che “Se il direttore di gara considera sicuro farlo, e il messaggio ‘Lapped cars may now overtake’ [le vetture doppiate possono ora sorpassare, n.d.r.] è stato inviato a tutti i concorrenti tramite il sistema di messaggistica ufficiale, tutte le vetture che sono state doppiate dal leader saranno tenute a passare le monoposto nel giro di testa e la Safety Car.” Infatti, ai piloti doppiati viene generalmente concessa l’opportunità di sdoppiarsi solamente quando la situazione di pericolo in pista è risolta e/o vi sono le condizioni per farlo senza mettere a rischio i commissari presenti lungo il tracciato. L’incidente di Latifi era avvenuto in una zona del tracciato al quanto delicata, in un tratto piuttosto stretto e, comunque, in piena traiettoria, motivo per il quale per Michael Masi, il direttore di gara, sarebbe stato fondamentale mettere al primo posto la sicurezza dei marshall, soprattutto perché nel momento in cui sarebbe stato confermato l’ordine di lasciar passare i doppiati, questi non avrebbero più dovuto rispettare il delta, potendo accelerare per tentare di ricongiungersi in fondo al gruppo. Una situazione che si era già presentata l’anno passato a Imola, seppur in circostanze particolari, quando alcuni piloti che stavano cercando di riconnettersi al gruppo dopo essersi sdoppiati avevano rischiato di investire dei commissari che stavano ancora lavorando sul tracciato per rimuovere dei detriti, rilanciando le preoccupazioni per una fase che presenta tutt’ora è tema di discussione.

Come è possibile osservare dalle immagini, nel corso del cinquantacinquesimo passaggio, erano ancora in corso le procedure per la rimozione della vettura con il trattore preposto, motivo per il quale per Masi sarebbe stato pericoloso consentire già in quel momento ai doppiati l’opportunità di sopravanzare la vettura di sicurezza. Potenzialmente, il primo giro indicato per concedere questa possibilità sarebbe stato il successivo, il cinquantaseiesimo, ma anche in questo caso si erano presentate delle criticità. Osservando il camera car di Pierre Gasly, passato sul luogo dell’incidente circa una cinquantina di secondi dopo Hamilton, in quanto stava cercando di ricongiungersi al gruppo dopo essersi fermato ai box per montare le gomme più tenere, emerge come in quella zona della pista fossero ancora presenti i commissari in piena traiettoria.


Non a caso, mentre il leader si trovava già verso curva sei della cinquantaseiesima tornata, il direttore di gara aveva indicato che le vetture doppiate non avrebbero avuto l’opportunità di sdoppiarsi, come previsto dal regolamento, per cui il tutto sarebbe stato rimandato quantomeno al giro successivo in attesa che i marshall finissero il loro lavoro. Ma perché ciò aveva richiesto così tanto tempo? Prima di tutto, la posizione della vettura non era delle più semplici. Per quanto fosse vero che dall’altra parte della careggiata vi fosse un’apertura in cui portare la vettura, ciò avrebbe significato far passare le altre monoposto nella zona in cui erano presenti numeri detriti di carbonio, motivo per il quale si era preferito adottare l’utilizzo di un trattore provvisto di gru, seppur più distante. Lo stesso pilota della Williams, in realtà, aveva necessitato di oltre un minuto per uscire dalla monoposto, dovendo ricevere prima conferma che la vettura fosse sicura dal punto di vista elettrico. Oltre a dover pulire il tracciato dai detriti provocati dal contatto con le barriere e verificarne la sicurezza della stessa, durante l’attesa per l’arrivo del trattore e dell’autorizzazione per toccare la vettura senza subire il rischio di uno scarica elettrica (che sarebbe arrivata circa quaranta secondi dopo l’uscita del pilota dall’abitacolo), i freni della vettura di Latifi avevano iniziato ad andare a fuoco, spingendo i commissari a dover usare l’estintore per spegnere il principio d’incendio.

Ciò aveva rallentato ulteriormente i lavori, richiedendo più tempo di quanto si potesse immaginare inizialmente pulire completamente il tracciato, con le procedure di rimozione della vettura che erano iniziate solamente tre minuti e mezzo dopo l’impatto. Un aspetto verificabile anche dal feed internazionale, in cui si possono osservare i marshall iniziare a lasciare il luogo dell’incidente a lavori ultimati proprio mentre le vetture stanno passando nella zona incriminata al termine del cinquantaseiesimo giro. Il direttore di gara avrebbe potuto dare già al termine di quel giro l’ordine di lasciar passare i doppiati? Probabilmente sì, ma è bene tenere a mente lo stesso Masi, tramite le telecamere interne del circuito, aveva la possibilità di seguire con attenzione e costanza l’andamento dei lavori, in modo da poter giudicare in prima persona se fosse sicuro iniziare la procedura di sdoppiaggio. Viene da sé supporre che, in quel momento, per il commissari e il race director non si erano ancora create le condizioni necessarie per lasciar modo a chi era indietro di un giro di sopravanzare la vettura di sicurezza.

Una comunicazione che sarebbe arrivata solamente a metà del passaggio successivo, il cinquantasettesimo, quando però solamente a cinque degli otto doppiati, ovvero quelli presenti tra Hamilton e Verstappen, era stata concessa l’opportunità di poter sopravanzare la vettura di sicurezza, mentre gli altri tre, nella fattispecie Ricciardo, Stroll e Schumacher, i quali si trovavano alle spalle del pilota della Red Bull, sarebbero dovuti rimanere nelle posizioni occupate fino a quel momento, generando estrema confusione anche per i piloti stessi. Ed è proprio intorno a questo punto che girano i due elementi dell’accusa presentata dalla Mercedes. Il regolamento, infatti, recita che “a meno che il direttore di gara non ritenga che la presenza della Safety Car sia ancora necessaria, una volta che l’ultima vettura doppiata ha superato il leader, la Safety car tornerà ai box alla fine del giro successivo.” Non solo l’ultima vettura doppiata, Mick Schumacher, non aveva l’opportunità di sdoppiarsi, ma la vettura di sicurezza era anche rientrata nello stesso giro in cui era stata data la comunicazione che Norris, Alonso, Ocon, Leclerc e Vettel avrebbero potuto sdoppiarsi, e non il successivo come da regolamento. Aspetti che la squadra di Brakley aveva ben evidenziato durante l’udienza con gli steward dopo la corsa, a cui Red Bull, parte interessata del caso, aveva cercato di rispondere sottolineando come nel testo originale (“If the clerk of the course considers it safe to do so, and the message “LAPPED CARS MAY NOW OVERTAKE” has been sent to all Competitors via the official messaging system, any cars that have been lapped by the leader will be required to pass the cars on the lead lap and the safety car”), quel “any” non indicherebbe tutte le vetture doppiate, lasciando un senso di ambiguità. Per quanto effettivamente in quel contesto lasci un certo senso spazio a possibili interpretazioni, è chiaro che il principio fondamentale di quell’articolo è che tutti i doppiati devono aver la possibilità di superare la vettura di sicurezza, come aveva spiegato lo stesso Masi qualche mese fa in occasione del Gran Premio dell’Eifel, dove il fatto che ben dieci vetture dovessero sdoppiarsi aveva prolungato il periodo in cui la vettura di sicurezza era rimasta in pista: “C’è un requisito nel regolamento sportivo, lasciar passare tutte le auto doppiate” – aveva spiegato il direttore di gara -. “Con dieci o undici vetture dovevano ancora sdoppiarsi, il periodo di Safety Car è stato un po’ più lungo di quello che ci saremmo aspettati normalmente”, aveva poi aggiunto Masi. Vieni quindi da chiedersi il perché il direttore di gara non avesse quantomeno rispettato questo punto, dato che molto probabilmente vi sarebbe stato il tempo materiale per lasciar passare anche gli altri tre doppiati. Chiaramente, è facile suppore che per motivi di show, l’unico vero interesse fosse quello di avere in posizione ravvicinata i due contendenti al titolo, ma è anche vero che molto probabilmente gli ultimi doppiati avrebbero rallentato ulteriormente il momento in cui richiamare la vettura di sicurezza, dando fastidio al leader della corsa nelle fasi si preparazione della ripartenza.

Il secondo punto contestato dalla Red Bull riguardava l’articolo direttamente successivo, il 48.13, il quale recita che “Quando il direttore di gara decide che è sicuro chiamare la Safety Car, il messaggio “Safety car in this lap” sarà inviato a tutti i concorrenti attraverso il sistema di messaggistica ufficiale e le luci arancioni della vettura di sicurezza saranno spente. Questo sarà il segnale per i concorrenti e i piloti che entrerà [la Safety Car] entrare nella corsia dei box alla fine di quel giro.” Poche parole che, secondo i rappresentati della squadra di Milton Keynes, andrebbero a sovrascrivere quando detto dall’articolo precedente, tali per cui, in caso si presentasse il suddetto messaggio, sarebbe quindi obbligatorio per la Safety Car rientrare proprio alla fine di quel giro, indipendentemente da ciò che suggeriscono altre parti del regolamento. Infine, per sostenere la propria posizione, sempre la Red Bull aveva portato al tavolo anche l’articolo 15.3, secondo cui il direttore di gara avrebbe la possibilità di gestire autonomamente tutti questi aspetti, potendo controllare d’autorità l’uso della vettura di sicurezza, senza però entrare nello specifico in merito a quali aspetti siano influenzati da tale opportunità.

Aspetti parzialmente condivisi anche dagli steward stessi, i quali avevano ulteriormente sottolineato come tutti i team avessero trovato un accordo in passato per far sì che i Gran Premi finissero in condizioni di bandiera verde e non dietro la Safety Car, andando quindi in parte a sfruttare quelle parti aperte ad interpretazione del regolamento per ottenere un finale più emozionante. Anche se l’articolo 48.12 non fosse stato applicato al completo, come riportato dai commissari nel documento ufficiale, l’articolo 48.13 e, più in particolare il messaggio “Safety Car in this lap”, andrebbe a sovrascrivere completamente quando detto in precedenza, rendendo di fatto obbligatorio il rientro della vettura di sicurezza ai box, nonostante la contraddizione con quanto viene affermato solamente poche righe più in alto. Aspetti che avevano portato anche ad evidenziare come, per il parere degli steward, la richiesta della Mercedes di stilare la classifica finale in base alle posizione del penultimo giro non sarebbe stata appropriata, in quanto di fatto ciò avrebbe accorciato la corsa di un giro, un passo che chiaramente i commissari non si sentivano di fare non avendo elementi a sufficienza per giustificare tale ipotesi. Il giro in più dopo la fase di doppiaggio viene applicato non solo per dare l’opportunità alle vetture che hanno da poco superato la Safety Car di ricongiungersi al gruppo, per quanto quest’ultimo elemento non sia obbligatorio, ma anche per dare modo ai commissari lungo tutto il percorso di prepararsi per la ripartenza, senza esporli ad alcun rischio.

Le spiegazioni fornite dagli steward, che non sembrano comunque andare totalmente in contrasto con il regolamento, sembrano indicare che il direttore di gara sostanzialmente non abbia infranto in toto alcun articolo nel momento in cui ha preso quelle decisioni che hanno portato a numerose polemiche, elemento che la FIA potrebbe portare a proprio favore. Ciò che sembra in discussione sembra più la possibile interpretazione dello stesso, che lasciano spazio ad ambiguità e possibilità di conflitto, fino ad un punto in cui lo show ha avuto la priorità sullo sport e le regole sempre fino a quel momento applicate in casi simili. Approccio in parte confermato anche da Masi stesso, il quale durante l’udienza ha poi aggiunto che l’applicazione degli articoli 48.12 e 48.13 sarebbero serviti a rimuovere le vetture che avrebbero interferito in una situazione di gara tra i leader, anche se ciò allo stesso tempo sarebbe andato a penalizzare coloro che, invece, si trovavano alle loro spalle, come ad esempio Valtteri Bottas, il quale per sopravanzare un doppiato nel corso dell’ultimo giro aveva dovuto seguire una traiettoria estremamente penalizzate in curva cinque, vedendo sparire ogni opportunità di attaccare Carlos Sainz per la lotta al podio. Incongruenze con il passato che potrebbero anche andare contro quello che è il FIA International Sporting Code, soprattutto se il caso dovesse essere portato davanti ad una corte. Dopo aver visto rigettata la prima protesta, pochi minuti più tardi la stessa sorte era anche alla seconda, lasciando Mercedes con poche opportunità ancora in mano per tentare di ribaltare un risultato che loro ritenevano ingiusto, date le numerose incongruenze, se non presentare una richiesta di intenzione d’appello con cui avere il tempo di approfondire il caso prima di decidere sul come muoversi in via definitiva. Se le decisioni della FIA saranno in linea con il regolamento, ciò sarà sicuramente oggetto del possibile appello della Mercedes, sempre che quest’ultima decida di procedere con una comunicazione che dovrebbe arrivare prima delle ore venti di giovedì, rientrando nelle novantasei ore concesse.

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