Pagelle del Gran Premio della Malesia

Pagelle del Gran Premio della Malesia

Tutti aspettavano la pioggia, ma non è arrivata. Tutti aspettavano la Red Bull, e questa si è presentata di nuovo in grande spolvero, soprattutto nelle mani di Sebastian Vettel. Ma il GP della Malesia 2011 sarà anche ricordato per le gomme morbide che durano di più delle dure e per i tanti pit stop che hanno condizionato la gara. Logico che in queste condizioni vengano esaltate pulizia di guida (Button) ed esperienza (Heidfeld). Oltre le previsioni McLaren e Renault, Ferrari così così, gare complicate per Alonso e Hamilton. Buona lettura!


Sebastian Vettel: 10
– Viene un po’ il dubbio che dietro le vittorie del tedesco ci sia qualcosa di più del talento di guida o della fantasia progettuale di chi disegna la monoposto. Quando senti comunicazioni del tipo «Resto sul piano A», «Siamo nella fase 1», «entriamo nella fase 2 prima di passare al piano B» onestamente ti viene un po’ paura. Linguaggio da controspionaggio vero e proprio. Ma no, non è la sindrome da X-Files, e neanche un anelito complottistico che fa tanto spy story (quella del resto l’abbiamo avuta qualche estate fa). E’ solo la degenerazione di un mondo in cui ora tutti possono ascoltare tutti e quindi nessuno può dire niente. Potenza del paradosso. Così come è paradossale che un ragazzo di 23 anni riesca a gestire vettura, gomme giocattolo e Kers capriccioso meglio di -quasi- tutti quanti. Ma così va la vita. E allora, pur guidando un’astronave, non possiamo non concedere a Seb il massimo dei voti anche in questo caso. magistrale.

Mark Webber: 8 – Il quarto posto finale vale più di quanto non sembri. Soprattutto perché per colpe non sue -leggi l’assenza del Kers- dopo la prima curva si ritrova in nona posizione. Quindi ingaggia una lotta con Kobayashi di una ripetitività da far invidia a uno studio sul moto perpetuo. I due -complici il DRS e il Kers che non c’è- si passano e ripassano 5-6 volte, ogni volta in maniera più cattiva, finché dai box capiscono che forse -alleluja- è il caso di puntare sulla strategia. Si ritrova ad anticipare gli stop rispetto a tutti, facendo gara praticamente a sé fino all’ultimo stint, quando si ritrova dietro Massa. Passa il brasiliano -in difficoltà con le gomme- con cattiveria, induce all’errore Hamilton e ci prova anche con Heidfeld, senza riuscirci. Una gara disordinata, generosa, compromessa sin dal via, ma caparbia e tutto sommato positiva. Un po’ Don Chisciotte contro i mulini a vento dotati di Kers, ma ci è piaciuto. Voto forse esagerato ma di incoraggiamento. Lo aspettiamo combattere ad armi pari col compagno di squadra. InKersato.

Lewis Hamilton: 6,5 – Premessa: difficile limitare ad un numero il suo weekend. D’accordo, gli scelgono una strategia suicida, ipotizzando un ultimo stint lunghissimo mai tentato da nessuno nemmeno nelle libere. D’accordo, in qualifica era stato bravissimo e fino a metà gara stava procedendo senza sbavature. E tra l’altro si era liberato di Petrov con autorità dopo una sosta. Ma l’appuntamento malese evidenzia impietosamente quelli che sono i limiti di un pilota altrimenti perfetto: la gestione delle gomme e la lucidità sotto pressione. Resiste a Webber in maniera ostinata ma corretta, zigzaga davanti ad Alonso beccandosi una penalità -forse eccessiva, ma le regole son regole- ma così facendo distrugge le coperture. Senza nessuna pietà. Perde la posizione da Heidfeld, da Webber, e deve oltretutto fermarsi di nuovo. No, così non va, non è così che si gestisce una gara e ci si adatta alla situazione. Se le cose non cambiano, quest’anno per vincere serviranno testa e delicatezza, non solo irruenza e velocità. Bocciarlo ci pare forse troppo, ma non ci va di essere teneri. Violento.

Jenson Button: 9 – Un Signore, se mai ne è esistito uno. Con le gomme, non con le donne, s’intende. Ma questa è un’altra storia. Il GP della Malesia ci racconta una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, di un pilota freddo, regolare, eccezionale nella gestione dei pneumatici e magistrale nel saperli risparmiare. Evita problemi alla prima curva, si esibisce in un sorpasso doppio ai danni di Michael Schumacher e Buemi, subisce una sverniciata da Alonso ma non se ne cura, conscio che non è lì che si giocherà la partita, ma ben più tardi. E difatti a fine gara -quando si tirano le somme- la sua vettura resta una delle più veloci in pista, capolavoro in stile “La cicala e la formica”. To finish first, first you have to finish. Questo vecchio proverbio della tradizione motoristica inglese è il marchio di fabbrica di Jenson. Guida pulita, oculata, risparmiosa. Le gomme ringraziano. E la classifica pure. Velocisticamente non regge il confronto con il compagno, ma domenica -e probabilmente per molte altre gare, diciamo noi- la partita si giocava da un’altra parte. In questo mondiale può dire la sua. Delicato.

Fernando Alonso: 6,5 – Copia/Incolla da Hamilton. Premessa: difficile limitare ad un numero il suo weekend. Tanti i fattori da tenere in considerazione. C’è una qualifica positiva, ma anche una partenza che lo vede scivolare dietro alle Renault e -ancora una volta- al compagno di casacca. C’è una gara in rimonta, condita da due bei sorpassi -senza DRS- a Button e Kobayashi, ma anche un erroraccio con tanto di tamponata ad Hamilton (apriamo una parentesi: a nostro modestissimo parere il buon Alesi, visti i suoi trascorsi e il suo modo di correre, nell’accusare Hamilton si è bevuto il cervello. O l’ha venduto a qualcuno vestito di rosso). Erroraccio che gli costa una sosta ai box e successivamente una penalizzazione. D’accordo che magari era innervosito dallo zigzag dell’inglese nel giro precedente, ma la differenza tra un pilota e un Campione sta anche nel non farsi saltare il neurone. Per correttezza nei confronti di chi sostiene che lo spagnolo senza collisione avrebbe potuto insidiare Vettel, ci pare poi giusto sottolineare che le sue gomme senza la sosta forzata difficilmente avrebbero retto fino a fine gara, sforzate nel duello con Hamilton. Ma si tratta di se e ma, che contano poco. Difficile dare un voto, dicevamo. Proviamo: Qualifica da 8, Partenza da 5, Gara da 9, erroraccio da 4. La media aritmetica fa sei e mezzo. Complicato.

Felipe Massa: 7 – Zitto zitto, come un ospite a una festa non troppo desiderato, invitato solo perché non si poteva fare altrimenti, Felipe raccatta un quinto posto positivo sul quale oltretutto ha anche qualcosa da recriminare. Senza il problema al primo pit stop, infatti, avrebbe forse potuto chiudere anche davanti Webber. Anche qui entriamo nel campo dell’imponderabile, ma il fatto stesso che ne stiamo parlando significa che qualcosa di buono il brasiliano l’ha fatto. Sopravanza ancora una volta Alonso al via, stavolta con una certa cattiveria, in gara passa Petrov -due volte-, Webber -che a fine gara lo ripassa-, e si fa superare da Vettel. In poche parole una corsa caparbia, tutto somamto anche abbastanza regolare, senza errori, che alla fine paga. In certe gare più che darle è importante non prenderle. Il segreto sta nel capirlo prima della bandiera a scacchi. Saggio.

Michael Schumacher: 6,5 – Guardando la gara viene per l’ennesima volta da chiedersi chi gliel’abbia fatto fare. Eppure la domanda è fuori luogo, e vi spiegheremo perché. Parte bene e recupera 3 posizioni, lotta con Petrov, fa a sportellate con Buemi, si fa superare da Button, passa Kobayashi, il giapponese lo riattacca con successo, passa Algersuari -che ha 21 anni meno di lui-, finisce largo facendo un po’ di rally e battaglia di nuovo con Petrov, fino a chiudere nono, tre posizioni davanti al compagno di casacca, conquistando pure due punti. Ora, rispondete sinceramente. Avete due possibilità. Starvene a casa a guardare il Gran Premio in mutande sul divano -peraltro alle 10 di mattino, che non è mai bello- ascoltando le tiritere che vi tira vostra moglie, oppure salire su una Mercedes e sgomitare a centrogruppo come non avete mai fatto. Voi cosa scegliereste? Suvvia, siate onesti. La verità è che a 42 anni il Crucco si diverte, e in occasioni come queste fa divertire pure noi. Come bocciarlo? Keep goin’, Michael.

Nico Rosberg: 5 – Abbiamo speso fiumi d’inchiosto per parlare di nuove regole, di ali mobili, di Kers, di DRS e di altre diavolerie che hanno come unico obiettivo quello di ravvivare lo spettacolo. Eppure nella F1 moderna non ci sono Santi che tengano: se sbagli la partenza la tua gara è compromessa quasi irrimediabilmente. E il buon Nico potrà spiegarvelo con dovizia di particolari. Scatta male e finisce inghiottito nella pancia del gruppo. Viene pescato più volte dal regista mentre è impegnato in battaglie più o meno furiose con Di Resta, Algersuari, Buemi e compagnia bella. Ma non c’è niente da fare, esce dalla prima curva in tredicesima posizione e chiude dodicesimo. Pur girando, in gara, sette decimi più rapido di Michael Schumacher. Andrà meglio la prossima volta? Difficile, vista la vettura a disposizione. Ma non è tanto questo il punto, quanto piuttosto che le prende dal compagno, e non è mai bello. Intruppato (al via).

Nick Heidfeld: 9 – Due settimane fa dicevamo: “Troppo brutto per essere vero”. Avevamo ragione. Già dalle qualifiche, dove si piazza davanti a Petrov, si capisce che in Malesia tira tutta un’altra aria. La partenza ha quasi del miracoloso, trova il pertugio giusto che gli pemette di issarsi fino al secondo posto. Da lì fa valere tutta la sua esperienza, che gli permette di capire quando è il caso di non intestardirsi e quando invece è il caso di attaccare. Encomiabile la resistenza offerta ad Hamilton prima e a Webber poi nel finale di gara. Il terzo posto finale è il modo migliore per cancellare un weekend, quello australiano, nel quale tutto -ma proprio tutto- era andato storto. Certo, se Alonso non avesse tamponato Hamilton difficilmente sarebbe arrivato sul podio, ma conta poco. Così come poco conta se ad ogni pit stop ha perso posizioni, segno forse di una strategia non impeccabile. Oggi Quick Nick e Jenson Button ci hanno fatto vedere che la testa conta ancora, in questo Circus sempre più circo e sempre meno F1. E scusate se è poco. Bentornato.

Vitaly Petrov: 5,5 – La Red Bull è la migliore monoposto del lotto, e non ci sono dubbi. Lui cosa fa? Chiude gli occhi e guida cercando di far finta che la sua monoposto sia a tutti gli effetti una Red Bull. Ultimi ritrovati della parapsicologia. Indovina una partenza da leggenda, migliore ancora di quella del compagno di squadra. Dal cameracar si può apprezzare lo scatto e soprattutto la sterzata verso sinistra che gli fa guadagnare una marea di posizioni. Lotta come un ossesso, le dà, le prende, in maniera tanto dispersiva quanto indomita. Subisce il sorpasso da Massa, poi finisce largo e si fa passare anche da Alonso -alleluja!!!-, duella nell’ordine con Michael Schumacher, Hamilton, Kobayashi, Heidfeld e Massa. Poi, quando un solido piazzamento nei punti pare oramai assicurato, cerca la prova definitiva: prova a vedere se davvero la Red Bull mette le ali. Si allarga nella via di fuga, usa il cordolo come rampa di lancio e decolla. Lì, però, emerge finalmente che la sua è solo una Renault. Invece di spiccare il volo atterra pesantemente e sfascia lo sterzo, vanificando quanto di buono fatto finora. Imperdonabile. Ci dispiace bocciarlo, perchè sta crescendo benissimo, ma la sufficienza non possiamo dargliela. Peccato.

Rubens Barrichello: 5 – «Non so cosa si sia rotto sulla vettura. Certo è che abbiamo avuto un ‘toc’ con un’altra macchina (Sutil, ndr e avevamo forato una gomma. Del resto quando si parte dietro certe cose possono succedere». Questa la leggendaria dichiarazione rilasciata da Rubens subito dopo il ritiro. L’esperienza serve, è evidente. O meglio, dovrebbe servire ad evitare di dover dire certe cose. Fare a sportellate alla prima curva è stupido. Ritrovarsi a fondo classifica è inutile. E il ritiro è la nota meno stonata di un weekend da dimenticare. Possibile che non riesca a concludere un fine settimana senza danni? Maldestro oltre ogni limite.

Pastor Maldonado: sv – Anche stavolta non riesce a fare più di una decina di giri, prima che la sua Williams renda l’anima al padreterno. In mezzo c’è un contatto con un’altra vettura nel quale ci rimette un pezzo d’ala. Ma si sa, la squadra ha tenuto Barrichello proprio per far da chioccia al giovane venezuelano. Che sta imparando molto velocemente. A far danni. Scampa un votaccio solo perché la macchina si esaurisce prima della nostra pazienza. Fortunato.

Adrian Sutil: 5 – Non c’è modo migliore di iniziare una gara sfasciando la propria ala anteriore contro un’altra macchina. E’ come quando si alza le mani contro qualcuno: si passa immediatamente dalla parte del torto. La sosta per cambiare alettone lo fa scivolare al penultimo posto e da lì, senza pioggia o safety car, recuperare è praticamente impossibile. Lui galleggia cercando di tornar su tenendo un buon ritmo -anche se in gara gira più lentamente di di Resta- ma a conti fatti l’unico sorpasso in pista di cui abbiamo memoria è quello ai danni di Alguersuari. Chiude una decina di secondi dietro al compagno di squadra, che tutto sommato non son nemmeno tantissimi. Ma gli resta comunque dietro. E -visto che stiamo parlando comunque di un esordiente- non ci siamo. Involuto.

Paul di Resta: 7 – Mezzo punto in più perché è un esordiente. Non compie sfracelli, sia chiaro, ma in una gara caotica come quella malese riesce a non andare in confusione e, alla fine della fiera, raccoglie un punticino più che meritato. E stavolta in pista, non a tavolino. Va detto che il weekend era iniziato alla grande già dal sabato, quando aveva sopravanzato di tre posizioni il compagno di team. Regolare alla partenza, bada più a non combinar casini che a compiere leggendarie evoluzioni artistiche. Una approccio che -come abbiamo già avuto modo di sottolineare- in Malesia ha pagato eccome. Viene inquadrato solo due volte: a inizio gara quando subisce un sorpasso da Rosberg, e nelle ultime battute quando i ruoli si invertono, cioè quando è lui a passare il finnotedesco. Ma va benone così. Gli unici brividi li ha quando -a suo dire- viene colpito dai trucioli di gomma sparsi lungo il tracciato. È l’unico a lamentarsi del problema: bisogna capire se è ha millantato difficoltà solo per aggiungere valore al piazzamento oppure se è davvero lui l’unico, grande jellato del GP. Francamente -non lo nascondiamo- è un dilemma che ci interessa poco. Intelligente.

Kamui Kobayashi: 7,5 – Il DRS è più efficace del Kers. Ora lo sappiamo. Grazie a Kamui e a Mark Webber, presumibilmente precettati dalla Federazione per fare questo tipo di raffronto. I due infatti se ne fregano altamente di tutto quello che hanno intorno e nei primi 15 giri non fanno che scambiarsi posizione. Il compione è sempre lo stesso, di volta in volta incattivito dalla recidiva. Webber passa Kobayashi. Tornante. Kobayashi aziona il DRS. Webber non ha il Kers. Kobayashi passa. Amen. Poi Webber si ferma e da lì inizia la vera gara di Kamui. Anche se non è che le cose cambino molto, visto che ogni volta che il regista lo becca è sempre in bagarre, prima con Michael Schumacher e poi con Petrov, due volte. Il sorpasso inflitto al tedesco dà modo al prode Gianfranco Mazzoni di aprire un nuovo capitolo nel suo libro sulla sagra dei luoghi comuni: «Davvero irriverente Kamui, sempre all’attacco il piccolo samurai». Non lo ringrazieremo mai abbastanza. Altro che la mamma è sempre la mamma o non esistono più le mezze stagioni. Ad ogni modo, grazie anche alla strategia a sole due soste, artiglia un ottavo posto che diventerà un settimo dopo la gara. Per una volta una buona notizia per lui dai commissari. Ci ha fatto divertire, nemmeno avesse davvero la sua Katana con lui nell’abitacolo. Tosto.

Sergio Perez: 6 – Non è sempre domenica, o meglio, non è sempre domenica e non si è sempre in Australia. Il deb messicano torna sulla terra e subisce il compagno di squadra per tutto il fine settimana. Ci sta, niente da dire. Anche se lampi di classe sono comunque arrivati quando, in piena bagarre con le due Toro Rosso, si permette il lusso di passare Buemi portandosi dietro anche Algersuari. Certe impennate d’orgoglio si pagano. Lo svizzero attiva la contraerea e lancia un pezzo della sua vettura contro quella del messicano, colpendola al fondoscocca. Inevitabile il ritiro al 26mo giro. La prossima volta d’obbligo un intervento diplomatico. Abbattuto.

Sebastien Buemi: 5 – In casa Toro Rosso il clima è idilliaco. I due piloti non parlano tra di loro, non si scambiano informazioni e non perdono occasione per giocare all’autoscontro anche in gara. Il sogno di tutti i team manager. La forza dei nervi distesi si riflette anche su Buemi, che azzecca sì la partenza ma si ritrova dietro Jaime Alguersuari e appena ne ha l’occasione rischia di tamponarlo. Quindi, mentre è in lotta con Michael Schumacher, viene passato da Button. Poi rientra ai box, e un presunto problema al limitatore -lui dice che ha pigiato il pulsante due volte e che si è attivato solo alla seconda pressione…- gli fa rimediare addirittura uno stop&go. Forse poteva starci il semplice drive through. Torna in pista infuriato, subisce un doppio sorpasso da Perez e Algersuari e perde completamente la testa, come un Toro (che vede) Rosso (questa poi…). Spara via un pezzo di carrozzeria che colpisce il messicano. Forse il bersaglio era lo spagnolo, ma tanto -avrà pensato- parlano la stessa lingua per cui va bene anche così. Alla fine chiude tredicesimo ad un giro. Davanti al compagno di squadra, ed è già qualcosa. Ma buttare via così un weekend è da criminali. Esaurito #1.

Jaime Alguersuari: 4,5 – Se Atene piange Sparta non ride. Anzi, si dispera. Citiamo testualmente: «Ho bisogno di analizzare questa gara con gli ingegneri, perché ad essere onesti, io non capisco cosa è successo». Proviamo noi a spiegarglielo. Prima cerca in tutti i modi di toccarsi con Buemi, poi lo passa sfruttando l’attacco di Perez, quindi inzia a fare a cazzotti con le proprie gomme e negli ultimi passaggi viene sopravanzato -se non andiamo errati- da Michael Schumacher, Sutil e Rosberg. Citiamo ancora: «Ben presto ho capito che non potevo tenere il passo con i ragazzi davanti». Impeccabile. Certo è che se dedicasse le proprie energie a cercare di capire il perché la vettura mangia le gomme come fossero noccioline, anziché giocare alla guerra con Buemi, magari le cose potrebbero andar meglio. Chiude quattordicesimo, dietro al compagno di team. Ultima citazione: «Date le difficoltà che ho avuto, penso che finire la gara è stata di per sé una conquista e il meglio che potessi fare oggi». Se il nostro ragionamento vi piace, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Eccheccavolo. Esaurito #2.

Jarno Trulli: 5,5 – Siamo alla barzelletta. Stavolta gli immancabili problemi tecnici iniziano al via, quando la frizione non stacca e lui si avvia come un paracarro, imboccando la prima curva in ultima posizione. Quindi al primo pit stop perde tempo perché i suoi meccanici non riescono a fissare in tempi ragionevoli una delle quattro ruote. Cerca di recuperare subito -letteralmente- dimenticandosi di frenare alla prima curva in uscita dai box, spiattellando le gomme. Impagabile. Quindi -non si sa bene come- riesce a riprendere e superare Glock, ma è solo il canto -invero un po’ stonato- del cigno. Di lì a poco la frizione infatti dice basta ed è costretto al ritiro. La dura scorza dell’abruzzese doc esce fuori quando a fine gara ha il coraggio di dichiarare che finalmente il team sta iniziando a mostrare quello che la macchina può fare. Speriamo per lui che non ci creda davvero. (dis)illuso.

Heikki Kovalainen: 6 – In prova batte Trulli. In gara gira più forte di Alguersuari. Al traguardo è quindicesimo, nemmeno troppo staccato dalla Toro Rosso dello spagnolo. Chiedergli di più sarebbe oggettivamente troppo. La sua gara è regolare, è costantemente il primo delle vetture dei cosiddetti nuovi team, e azzarda due sole soste, strategia che paga dato che riesce a tenere un ritmo dignitoso sino a fine gara. Si dice soddisfatto e tutto sommato ne ha ben donde, anche se -considerato che due anni fa guidava una McLaren- non è nemmeno scontato. Ci piacerebbe per una volta veder battagliare i due alfieri Lotus alla pari, ma vista la proverbiale jella che si abbatte su Jarno immaginiamo sarà dura. Ma non sarà questo a negargli la sufficienza. Serafico.

Narain Karthikeyan: sv – Un passo alla volta. In Malesia le HRT non si erano qualificate, stavolta almeno hanno preso il via. Per il traguardo ripassare, please. L’indiano -che fulmine di guerra non lo è mai stato- fa quello che può, becca un secondo da Liuzzi in qualifica e in gara cerca soprattutto di non far danni. Cosa che gli riesce bene per sedici giri, fino a quando cioè la temperatura dell’acqua non raggiunge livelli di guardia e viene richiamato ai box per buttare la pasta…. ops, per evitare guai maggiori al propulsore. Un passo alla volta, dicevamo. Magari in Cina riusciremo pure a dargli un voto. Bollito.

Vitantonio Liuzzi: 6 – La tua vettura è stata assemblata solo ai box nel primo weekend di gara. Ovviamente non ti qualifichi, ma al secondo appuntamento riesci a superare la tagliola del 107% dando oltretutto un secondo al tuo compagno di squadra. In gara sei il più lento -Karthikeyan a parte-, hai come unico obiettivo quello di finire la gara e lo manchi per soli otto giri, quando cioè ti richiamano ai box perché l’alettone posteriore sta per sfasciarsi. A chiunque verrebbe da chiedersi se ne vale davvero la pena, no? Ma il buon Tonio ci mette lo stesso l’anima, addirittura supera un paio di vetture al via -salvo perdere subito quanto guadagnato- e, per usare un paragone calcistico, non tira mai indietro la gamba. La sufficienza ci sta, eccome se ci sta. E dire che qualche anno fa è salito pure sulla Red Bull. Irriducibile.

Timo Glock: 6 – Vale un po’ il discorso fatto per Kovalainen. nel senso che quando perdi il treno giusto -McLaren per il finlandese, Toyota per il tedesco- l’unico modo per restare nella massima formula è fare buon viso a cattivo gioco e sperare in un miracolo. Che in Malesia, ovviamente, non arriva. Lui prova comunque a fare il suo: passa Trulli in partenza e lo tiene dietro fino al pit stop. Poi però subisce il furioso -!!!- ritorno dell’abruzzese e deve cedergli la posizione, salvo tornargli davanti quando questi si ritira. Procede al piccolo trotto fino al sedicesimo, ultimo posto finale. Il suo commento a fine gara è un capolavoro di Retorica: «A parte i passi che dobbiamo fare ancora in termini di prestazioni, tutto sta funzionando bene». Detto da uno che guida una vettura che gira a 6” dai primi, si commenta da solo. Come bocciarlo? Oratore.

Jérôme d’Ambrosio: 5,5 – Ci rendiamo conto di essere un po’ larghi di voti con questi piloti, ma ci pare ingiusto infierire e soprattutto per noi è più facile trovare aspetti positivi rispetto a quelli negativi. Nello specifico il belga si qualifica sì dietro a Glock, beccando mezzo secondo, ma finché è in gara tutto sommato non sfigura e si permette addirittura il lusso di girare più forte dell’esperto tedesco. Poi però finisce fuori, da solo, e questo gli costa la sufficienza. E’ comunque pur sempre un deb, per cui un minimo d’indulgenza ci pare d’obbligo. O no? Rimandato.

Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it

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