Pagelle del Gran Premio del Bahrain
Commenti semiseri alla sabbia [finta] di Sakhir
Desert Storm, così si chiamava l’operazione militare statunitense contro l’Iraq all’indomani dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Echi di guerra e di rivolta soffocano il rumore dei motori, in Bahrain, e tengono banco sin dal venerdì. In condizioni surreali, assurde, dove una squadra abbandona il circuito al venerdì pomeriggio per terrore di subire un secondo attentato [e per questo viene boicottata dalla FoM], si corre una gara in cui la Red Bull torna padrona con Vettel e in cui le Lotus dimostrano di avere un potenziale prossimo alla vittoria. Tutto il resto è guerra, rivolta, sabbia, sabbia finta, palme, sceicchi. Grazie, mister Ecclestone. Di Cazzate ne hai fatte tante, nel corso degli anni. Ma questa ci mancava. E scusate lo sfogo.
Sebastian Vettel: 10 – Flashback 2011. Il tedesco fa la pole, scatta bene al via e va a vincere in mezzo alla sabbia [finta] del deserto del Bahrain. Una vittoria, quella di Sebastian, che vale però -a modestissimo parere di chi scrive- ben più rispetto a tante altre ottenute l’anno scorso. Perché la Red Bull è sì competitiva, ma non stellare. La pole arriva con un giro splendido, strappata per pochi millesimi ad Hamilton, e in gara la pressione delle Lotus, soprattutto quella di Räikkönen con gomme nuove, è velenosa e reale. Nessun errore, nessuna sbavatura, nessun calo di tensione. Non spettacolare ma bravo, davvero. E per questo si merita il massimo dei voti. Dice che è stata una gara difficile, costantemente condotta al limite. Ed ha ragione. L’unico momento di relax ce l’ha subito dopo il via, quando riesce a prendere il largo con relativa facilità. Poi è una guerra prima con il cronometro, poi con gli specchietti. Non si capisce cos’altro avrebbe potuto fare, di più. Bentornato.
Mark Webber: 5 – Flashback 2011 parte seconda. Vettel vola, lui atterra. E dire che, per una volta, era anche partito bene, pur [al solito] non potendo disporre del kers per tutto il primo giro. Poi Grosjean lo passa con relativa facilità, e in pista lo supera anche Räikkönen. Guadagna una posizione ai box grazie alle disgrazie di Hamilton e decide che tutto sommato è il caso di accontentarsi del quarto quarto posto di fila. In ottica campionato, dice lui. In ottica campionato, aggiungiamo noi, beccare al traguardo 38 secondi dal compagno di squadra non ci pare una mossa saggia. A qualcuno, in seno al team, magari vien voglia di fare un passo indietro nel tempo e ricontrollare le sue prestazioni dell’anno scorso. Suvvia, Mark, un po’ di grinta in più. Anche perché il vantaggio che aveva in classifica su Vettel è già esaurito. Urge sveglia, urgente, per non fare la fine del bell’addormentato nel cockpit 2011-style. Pigro.
Jenson Button: 5,5 – Decisamente non la sua miglior giornata. Quando le cose non vanno bene te ne accorgi dal quantitativo di giustificazioni che si mette a tirar fuori. Che poi magari sono anche vere, intendiamoci, ma fanno una certa impressione. Prima il degrado delle gomme posteriori, forse causato da un problema all’ala anteriore [!]. Poi uno scarico rotto, che contribuisce a squilibrargli la vettura. E infine [ma questi son dati di fatto] la foratura a tre tornate dalla fine e il ritiro il giro successivo. Ma, a parte questo, non una gran giornata nemmeno per lui alla guida. Troppo prudente in partenza, viene sopravanzato da Grosjean e da Räikkönen dopo appena sei giri. Quindi si libera di Alonso ma inizia a perdere progressivamente terreno e sparisce via via dagli specchietti di chi è davanti. Lo ritroviamo nel finale, quando attacca Rosberg e di Resta ma deve fermarsi per una foratura alla posteriore sinistra. Preludio al ritiro del giro successivo. Lo zero nella casella dei punti, anche senza il ritiro, non è tutta farina del suo sacco, forse. Ma dal pilota saggio, avveduto e intelligente che è è lecito e doveroso aspettarsi prestazioni più consistenti. Appannato.
Lewis Hamilton: 8,5 – In dialetto trentino suonerebbe più o meno come «Sa vot dirghe???», ovvero «Cosa gli vorresti dire?» Lui si qualifica in prima fila a una manciata di millesimi da Vettel. La squadra sbaglia due pit stop su tre facendogli perdere manciate non di millesimi ma di secondi. In passato c’è stato chi ha paragonato LH a un certo Mansell. Beh, il Leone per una posteriore sinistra esplosa perse un mondiale. All’inglesino la posteriore sinistra gliela fissano male non una ma due volte. A confronto Fantozzi ci fa la parte di Gastone Paperone [anche se immaginare Martin Whitmarsh nei panni dell’ineffabile geometra Filini ci piace, sì sì, ci piace un sacco]. Lui corre anche bene, torna a tirar fuori le palle quando Rosberg lo spinge sulla sabbia [finta] e lo passa lo stesso, supera Alonso, gli dicono di passare al piano B [ve lo immaginate Filini travestito da 007??], passa anche Kobayashi e si mette in scia ad Alonso pur non riuscendo a sopravanzarlo. Chiuderà ottavo, e per sua stessa ammissione i quattro punti raccolti sono l’unica cosa positiva del weekend. Ma al solito dà tutto, tanto che -pur con tutti i problemi- veleggia molto vicino al compagno di squadra. Per questo si merita un votone, per questo e per il sorpasso da urlo ai danni di un inspiegabilmente incattivito Rosberg. Tozzi-Fan.
Fernando Alonso: 7 – Al solito ottimizza il materiale a disposizione. Stavolta è anche fortunato a giovarsi del regalone che gli fanno le due McLaren, facendosi gentilmente da parte e permettendogli di guadagnare due posizioni rispetto quanto la vettura e la gara gli offrirebbero. Poi il resto è cronaca di ordinaria lentezza. Instabilità. Difficoltà. La sua Ferrari in accelerazione scoda come una biscia. Nonostante tutto il via è ottimo, e anche qui siamo alle solite. Poi lo passano Räikkönen, Button, Hamilton, di Resta [ai box]. Quindi c’è Rosberg. Ecco, su Rosberg forse andiamo controcorrente. Inutile star qui a fare i puritani. Dire che ci piacciono i duelli degli anni ’70, degli anni ’80, Digione-Style, e poi cacciar fuori urletti da verginelle se un pilota stringe l’altro fuori pista. Dove, beninteso, non c’è un muro ma una spianata di sabbia finta da far invidia ad un parcheggio Ikea. Insomma, siamo seri. La botte piena e la moglie ubriaca non si possono avere. Tutto questo per dire che le lamentazioni [sì, proprio lamentazioni] di Fernando via radio non ci son piaciute troppo. Ad ogni modo la sua gara è positiva ancorché non stellare. Ordinaria ottimizzazione, riprendendo quanto detto prima. Peccato non sia riuscito a passare di Resta, gli avrebbe garantito un voto molto più alto. Aiutato [dalla McLaren].
Felipe Massa: 6 – Primo piazzamento a punti dell’anno. Prima sufficienza di stagione. Piena. Grazie soprattutto ad una partenza in cui recupera qualcosa come sei posizioni. Mica male. Bello il duello con Räikkönen nei primi giri. Il finlandese passa, il brasiliano risponde, Kimi ripassa. Good ol’ Times, direbbero in Texas. Progressivamente perde terreno ma resta a galla, girando su tempi accettabili e restando vicino al caposquadra. Lo passano Hülkenberg in pista -ma lì è anche e soprattutto questione di strategia- e Hamilton ai box -e qui è SOLO strategia- ma lui si mostra tenace superando Kobayashi per quello che in quel momento è l’ultimo stallo utile in zona punti, che poi si trasforma magicamente in un nono posto grazie al ritiro di Button. Dai, va bene così. L’imbarazzante zero in classifica è cancellato, l’onta è lavata, almeno per ora. Forse -ma qui si entra nel campo delle supposizioni- è addirittura più di quanto si aspettasse lui stesso dal deserto del Bahrain. Certo, quaggiù non poteva piovere, proprio no… Sbloccato.
Michael Schumacher: 7,5 – Venghino, siori, venghino. Venghino, siori, al Circo delle sfighe. Dove ogni colpo di sfortuna diventa leggenda. Dove la jella normale non esiste, esiste solo la Jella Cosmica. Dove se c’è una cosa che può andar male non solo lo farà, ma lo faranno anche tutte le altre. Dove il Signor Murphy non solo detta légge, ma la scrive, la lègge e ci fa pure di conto. Il libro “Le sfighe del diversamente giovane Michael” si arricchisce di un nuovo, esaltante capitolo, ambientato stavolta nel deserto. Una compilation esilarante in cui alla rottura del DRS al sabato e all’errore strategico della squadra si aggiunge anche la decisione di sostituire il cambio beccando una penalizzazione in griglia di cinque posizioni. Della serie «si è slogato una caviglia, spezziamogli una gamba. Anzi, dai, no. Tutte e due». Parte ventiduesimo. Chiude decimo. In una gara con tre soli ritiri. Al diciassettesimo giro era già tredicesimo, dopo aver passato in pista -in scia a Maldonado- una marea di vetture. L’ultimo sorpasso, quello che gli vale la decima posizione, è ai danni di Kobayashi, ed è forse il più bello. Non ci viene in mente nient’altro di intelligente. Non che quello che abbiam scritto finora lo sia, certo. Però qui davvero non sappiamo più se ridere o piangere. Lui lo sa, bene. Ride, come un ragazzino. Che si diverte a giocare con le macchinine nonostante l’età. Peter Pan.
Nico Rosberg: 7 – Merita meno del compagno di squadra. Soprattutto per la partenza oggettivamente troppo prudente, che lo spedisce in mezzo al gruppone. Più che della strategia, del passo di gara, delle gomme, del kers, quello che si ricorderà però della sua gara sono le difese ai danni di Hamilton e Alonso. Difesa inutile, nel caso dell’inglese, vincente, al contrario, contro lo spagnolo. Alla voce Alonso abbiamo già dato la nostra versione. Ma la ribadiamo. A noi piace la lotta dura. Non ha senso parlare di F1 vera relativa al passato, esaltare i duelli dei Cavalieri del Rischio, e poi indignarsi per una difesa dura e cattiva come quella di Nico. Delle due l’una. Tenete presente che al di là del nastro d’asfalto non c’è un muro, ma una via di fuga in sabbia [finta] ampia quanto un piccolo stato del Centroamerica. E -a voler esser cinici- Hamilton ha anche dimostrato che ci si poteva passare. Quello che non ci piace, a dirla tutta, è la mancata uniformità di giudizio da parte dei commissari. Un giorno ti sanzionano anche se ti pulisci il naso con le dita sotto il casco, il giorno dopo diventano improvvisamente tolleranti. Questo ci destabilizza, ed è su questo che -se comandassimo noi- chiederemmo chiarimenti. Piccola postilla: quando Nico ha attaccato Kobayashi pure il Jap ha stretto, verso destra. Solo che non c’era la via di fuga, ma il muretto dei box. Nico è passato e non si è lamentato. Punto. Tutto il resto è noia marchiata DRS. Cattivo.
Kimi Räikkönen: 9,5 – Manca il massimo dei voti per due imprecisioni. La prima a inizio gara, quando dopo aver passato Massa va largo e si fa risuperare dal brasiliano, salvo poi riprendersi la posizione poco dopo. La seconda quando, arrivato negli scarichi di Vettel, manca un po’ di decisione in due occasioni e così facendo perde le uniche possibilità di sopravanzarlo, pur avendone il ritmo. Per il resto, per tutto il resto, giù il cappello. Sacrifica la qualifica -parte undicesimo- per salvare gomme nuove in ottica domenica pomeriggio. E il risultato gli dà ragione. Ad inizio gara è impressionante. Passa Massa -due volte-, Button, Alonso, Webber, Grosjean, e si attacca al culo della Red Bull di Vettel come un’ombra. Con un po’ di determinazione forse avrebbe anche potuto passarla, ma va ben bene così. Chiude al secondo posto la sua quarta gara dopo il rientro in F1. E si lamenta pure -per quanto possa lamentarsi uno così- perché dice che avrebbe potuto vincere. Alzi la mano chi, tre mesi fa, avrebbe ipotizzato uno scenario anche lontanamente simile a questo. E poi via, dove avrebbe potuto sfiorare la vittoria Iceman se non nel deserto? Per noi, amanti del paradosso, già questo basterebbe ad esultare. Geniale.
Romain Grosjean: 9,5 – Si merita quanto il suo compagno di casacca. O meglio, per certi versi risulta un po’ meno efficace, ma c’entra anche il numero di gomme risparmiate nelle qualifiche. Per altri, però, andrebbe premiato forse di più perché è la prima volta che si trova a lottare per queste posizioni e in un contesto così difficoltoso non commette errori di sorta. Quindi una mano lava l’altra e pari siamo. Parte bene, passa Button, Webber e Hamilton in men che non si dica. Tiene il ritmo di Vettel, seppure a distanza, ma deve poi farsi da parte al ritorno di Räikkönen, che ha gomme più performanti. Fa il valletto, per così dire, ai due mattatori accontentandosi di un terzo posto splendido, inaspettato, favoloso. Se la Lotus sarà in grado di confermarsi a questi livelli non siamo in grado noi di dirlo. Quel che è certo è che Romain ha avuto un’occasione e l’ha saputa sfruttare nel migliore dei modi. Per una volta senza errori, senza eccessi, senza foga. Sul futuro si vedrà. Bravo.
Paul di Resta: 7,5 – I piloti Force India si trovano a correre in condizioni psicologiche tutt’altro che facili, che ben poco hanno a che fare con lo Sport. Una bisarca del team subisce un attacco terroristico. La squadra diserta le prove libere del pomeriggio, Ecclestone minaccia il team di boicottaggio. Durante le qualifiche le Force India non vengono inquadrate praticamente mai. Roba da matti. Come Matti sono gli uomini al muretto, che partoriscono un’idea folle: fare solo due soste, quantomeno con lo scozzese, e vedere cosa succede. Perso per perso, si saranno detti, fa perso al quadrato, di catastrofi qua attorno ce ne sono di ben peggiori. E allora via, con un occhio e mezzo al degrado dei pneumatici. Chiaramente all’inizio Paul fa faville, non fermandosi si trova addirittura ad essere in testa. Bellissima la manovra con cui si libera, in un colpo solo, di Maldonado e Perez. Il rovescio della medaglia è che, alla fine, le sue coperture sono un po’ più che finite. Non riesce a resistere a Rosberg ma tiene dietro eroicamente [«Double Kers, Double Kers!!!!» continuano a strillargli nelle orecchie] la Ferrari di Alonso pur con pneumatici posteriori sulle tele. Chiude sesto, al di sopra del valore della vettura. E più di quanto si aspettassero lui e la squadra. Uno schiaffo a Ecclestone, in un certo senso. Che ci trova solidali a prescindere. Scaltro.
Nico Hülkenberg: 6 – Le prende da di Resta in qualifica, le riprende in gara. Anche per lui vale il discorso fatto per il compagno di squadra, e per tutti i membri del team. Correre così non è bello. Così come non è bello trovarsi ad essere il rovescio della medaglia [aridaje!!!] di un azzardo vincente. La Force India fa fatica, a Sakhir, e lui si adegua al ritmo deficitario della macchina. Certo, magari se avesse corso anche lui sulle due soste forse staremmo qui a parlare di una gara diversa. Ma così non è andata, e amen. E dire che a un certo punto andava come un missile. In rapida sequenza lo vediamo passare Senna -a causa di un errore di quest’ultimo-, Ricciardo e persino Massa. Ma è un fuoco di paglia frutto di incroci strategici, nient’altro. E quando corri con meno prospettive di risultato ti trovi a spingere di meno. L’eccezione è il contrario, non questa. Alla fine chiuderà dodicesimo, a venti secondi da di Resta, e tutto sommato contento che il weekend si sia chiuso senza guai peggiori. C’è da capirlo. Ed è per questo che, seppur stiracchiata, gli regaliamo la sufficienza. Per stavolta. Sollevato.
Kamui Kobayashi: 5 – Ogni buon dizionario di Italiano alla voce azzardo scriverà, più o meno, qualcosa come «Affidarsi alla sorte, rischio, pericolo». Un qualcosa che cioè può andar bene o male. Nel primo caso sei un eroe. Nel secondo un pirla. La Sauber con Kamui prova l’Azzardo delle due soste, esattamente come la Force India con di Resta. Come sia andata lo dice l’ordine d’arrivo. E, nel caso un cui non abbiate voglia di andarvelo a vedere, ve lo raccontiamo noi. Tutto bene fino a tre quarti gara, poi le gomme finiscono. In un amen lo passano Rosberg, Hamilton, Massa, Michael Schumacher e Perez. E deve pure fermarsi, a sette giri dalla fine, per farla ugualmente, la terza sosta, perché la Sauber non sta in strada. Non esattamente un capolavoro. Né di strategia né, aggiungiamo noi, di gestione delle coperture. Il lampo della sua gara è la difesa dura attuata ai danni del rimontante Rosberg. Il tedesco lo affianca in rettilineo, Kamui lo stringe contro il muretto dei box, Nico passa lo stesso. Fine. Senza parole, polemiche, strascichi. Ci piace così. Il tredicesimo posto finale? Ehm… Sgommato.
Sergio Pérez: 6 – Ok, finisce undicesimo, fuori dalla zona punti. Ma tutto sommato ci risulta difficile bocciarlo. Perché a Sakhir è semplicemente la Sauber, che non va. La squadra decide saggiamente che, in quanto un azzardo [cfr. Kobayashi, ndp], le due soste val la pena provarle con un solo pilota. A Checo viene affibbiata una più canonica strategia sulle tre fermate, che lo tiene più indietro in classifica rispetto a Kamui per buona parte della gara, ma non al traguardo. Bella la lotta con Maldonado e di Resta, bello il sorpasso a Ricciardo, quando aveva bisogno di non perder tempo dietro alla Toro Rosso sensibilmente più lenta. Perde la posizione da Michael Schumacher proprio all’ultima sosta, e questo -con il senno di poi- gli costa il punticino artigliato dal tedesco, perché poi entrambi si liberano di un Kobayashi in crisi di gomme ed entrambi beneficiano del ritiro di Button. Chiude dunque undicesimo, negli scarichi della Mercedes del 7 volte campione del mondo. Tutto sommato la sufficienza ci sta. il secondo posto malese è lontanissimo, d’accordo, ma come scritto prima qui a Sakhir piove per tre giorni all’anno. Sarebbe stato un po’ troppo incocciare proprio in uno dei tre. O no? Ottimista.
Daniel Ricciardo: 4,5 – Una volta, parlando di giovinastri perdigiorno, i cosiddetti re del sabato sera, si diceva “Alla sera Leoni, al mattino Coglioni”. Senza voler scomodare la saggezza popolare [lo facciamo fin troppo spesso, ahinoi] vi diamo un solo dato. Parte sesto, al primo giro transita diciassettesimo. Un capolavoro. Scatta male, nella foga di recuperare tocca una vettura e rovina anche l’ala anteriore, che deve fermarsi a sostituire. «Questo -dice- non era quello che speravo dopo essere partito dalla sesta posizione in griglia». Ci arrivavamo da soli. Dopo il primo pit stop cede completamente di testa. Viene inquadrato solo quando subisce sorpassi. Maldonado, Michael Schumacher, Perez, Hülkenberg, persino Petrov. Roba da matti. Con la M maiuscola, anche qui. In compenso ha ben un’ora e mezzo di gara per riflettere sull’errore e fare autocritica. Inutile qualificarsi sesto se poi dopo duecento metri ti trovi a vanificare tutto. Le gare, diceva sempre un certo Mario Andretti, non si vincono alla prima curva. Né a Indianapolis né a Sakhir. Chiude quindicesimo, alle spalle del compagno di squadra. Triste.
Jean-Éric Vergne: 5 – Non ci siamo. Se il compagno di squadra rovina il lavoro di un intero weekend alla prima curva, lui va oltre e si porta avanti già al sabato, qualificandosi diciannovesimo. Con Ricciardo sesto. Un po’ troppo, anche a voler essere di manica larghissima. Dice di aver fatto una bella gara, di aver avuto un ritmo veloce e costante e che avrebbe potuto raccogliere un risultato migliore se fosse partito più avanti. Bienvenue, Monsieur Lapalisse! Scherzi a parte, non ci siamo. Partendo in quelle posizioni è impossibile fare risultato, soprattutto se guidi una Toro Rosso e non uno Sputnik Sovietico di quelli tosti. Urge migliorare, in questo fondamentale. Poi tutte le attenuanti ci sono, è chiaro. Il francesino è appena alla quarta gara in F1, avrà tempo e modo di imparare. Se in fretta, però, è meglio. Buemi ed Alguersuari son stati fatti fuori proprio perché la squadra non aveva tempo da investire su di loro. Meglio fare alla svelta. Soporifero.
Pastor Maldonado: 7 – Anche se corre poco merita un bel voto, perché si trova a partire ventunesimo per colpe non sue, leggi la sostituzione del cambio, e finché resta in gara è aggressivo e gagliardo come al solito. Con Schumacher negli scarichi passa Petrov, Ricciardo, Vergne e Perez. Risale bene, dunque. Poi la foratura, il testacoda e il successivo ritiro. Cordolo? Detrito? Probabilmente la seconda, ma ad oggi il particolare non è stato chiarito. Peccato, perché correva bene e poteva sul serio arrivare a punti. Sarà per la prossima. Combattivo.
Bruno Senna: 5,5 – Fa più fatica di Maldonado a tenere un buon ritmo. In realtà gli è pure dietro, a un certo punto. Viene inquadrato poco, e soprattutto quando qualcuno lo supera. Nello specifico Hülkenberg e Kobayashi. La partenza non è male, ma paga pegno in termini di velocità rispetto alle vetture che aveva davanti e perde progressivamente tempo e terreno. La sua scarsa esperienza, in F1, esce fuori evidente quando a fine gara ammette candidamente «Penso che siamo stati abbastanza aggressivi con il setup oggi, ma a volte non capisco bene cosa succede». Non fa una piega. Negli ultimi giri accusa vibrazioni sempre più forti al pedale del freno e, per evitare guai peggiori, la squadra lo richiama ai box facendolo ritirare. Giusto così, anche perché non stava raccogliendo il risultato della vita. Anzi. Una giornata storta ci può stare, comunque, poco male. Avrà modo di rifarsi. Confuso.
Heikki Kovalainen: 6,5 – Peccato, davvero. Peccato perché la qualifica spettacolare, con l’ingresso nella Q2, meritava maggior fortuna. Invece, dopo la solita partenza a razzo, viene toccato da dietro da una vettura che gli fora la posteriore sinistra [aridaje!!!!] e lo costringe a fermarsi ai box per sostituirla con una integra. Qualsiasi piccola speranza di compiere un exploit con la modesta Caterham se ne vola via così, con il vento del deserto, come il mattino spazza via i sogni [ammazza quanta poesia…]. Nonostante questo raggiunge e si libera delle HRT e delle Marussia e a fine gara accuserà un distacco di appena 11 secondi da Petrov. Per cui, vista l’innocenza nell’incidente al primo giro, gli concediamo una sufficienza piena, anche in virtù della splendida qualifica. Chissà se e a quando l’exploit di cui parlavamo prima è rimandato. Noi tutto sommato glielo auguriamo, perché l’impegno da parte del biondissimo pilota di Rovaniemi non manca mai. Inossidabile.
Vitalij Petrov: 6,5 – Mezzo punto in più per il sorpasso inflitto a Ricciardo. Sfido chiunque a pronosticare un sorpasso vero, in pista, da parte di una Caterham ai danni di una Toro Rosso. Siamo seri, solo questa soddisfazione varrebbe il prezzo del weekend. La gara del Compagno Petrov, per il resto, è regolare, senza picchi di sorta e senza sbavature. Anche perché -primi giri esclusi- si trova spesso a correre da solo, lontano da chi lo precede e ben davanti a Marussia e HRT. Una gara contro il coronometro, dunque, per la pura soddisfazione di aver dato il meglio. Ma va bene così, anche perché la macchina sembra tutto sommato rispondere bene. E chissà che in una delle prossime 3-4 gare non riesca, al netto di nubifragi o safety car, a chiudere a pieni giri. Vogliamo scommettere? Fatevi sotto.
Pedro de la Rosa: 6 – Hai più di quarant’anni. Guidi una vettura che corre in Formula 1 ma NON è una Formula 1. Non ci sono prospettive di miglioramento, né a breve né a medio termine. Guidi anche bene, non sei un fenomeno ma nemmeno un fermo. In Bahrain arrivi terz’ultimo, davanti al tuo compagno di squadra e a una vettura che viene classificata pur essendosi ritirata. Al traguardo rimedi 30 secondi dalla vettura davanti, che non è altro che una Marussia, perbacco. E hai la soddisfazione di tener dietro il tuo vicino di box, un indiano dal cognome impronunciabile che non più tardi di un mese fa un due volte campione del mondo ha definito -ingenerosamente- un Cetriolo. Tutto questo salamelecco per esprimere due concetti due. Il primo è sempre lo stesso. Chi te lo fa fare, Pedro? Il secondo è relativo a noi. Con che coraggio vorresti bocciarlo? Enigma.
Narain Karthikeyan: 6 – Valgono quasi pedissequamente le considerazioni fatte sopra. Con delle differenze. Quello che è stato definito Cetriolo è lui. E stavolta, oltre a non far danni nei doppiaggi, arriva negli scarichi di de la Rosa, che ha sì quaranta e passa anni ma anche una solida esperienza in F1 e un podio in bacheca. Oggettivamente si fa fatica, a stilare un giudizio significativo su gare di questo tipo. Becca mezzo secondo in qualifica ma lo restituisce sul giro più veloce in gara. Parte a rilento, come al solito, a questo punto ci viene da pensare più per prudenza che per sbaglio. E da un certo punto in poi deve guardarsi la gara più dagli specchietti che da davanti l’abitacolo. E’ vita, questa? Non lo so, non lo sappiamo. Per intanto sufficienza di stima, pacca sulle spalle e sguardo compassionevole. Con la consapevolezza che in questo mondo non esistono più nemmeno i miracoli. Se mai siano esistiti. Mite.
Timo Glock: 5 – Vergognoso il passo indietro della sua Marussia in Bahrain. In due giorni e mezzo ingegneri e pilota non riescono a trovare il bandolo della matassa, nemmeno lontanamente. E il risultato è una vettura lenta che più consumare grattugia le gomme, costringendo Timo a guidare con prudenza [!!!] e senza spingere. Colpe solo parzialmente sue, ma che diamine, le indicazioni da chi devono arrivare, da Pic? Chiude staccato di due giri, a un giro dalle Caterham. Dopo che in qualifica era stato battuto anche da de la Rosa, che ha già i suoi bei problemi, e da Pic. Sì, avete capito bene, da Pic. No, stavolta arrivare alla sufficienza è praticamente impossibile. Ci perdonino in casa Marussia, ma se cede anche il caposquadra non vediamo come si possa invertire una tendenza già di per sé ininvertibile. E scusate il neologismo. Confuso.
Charles Pic: 7 – A rigor di logica sarebbe da senza voto. A rigor di logica e anche di pratica. Ma non andrà così. Non andrà così perché il francese impara in fretta. Batte Glock in qualifica, di tre decimi, e gli sta ben davanti fintanto che resta in gara. Senza errori, senza sbavature. Senza timori reverenziali, alla quarta gara in Formula 1. E con una Marussia, per chiudere il cerchio, mica una Red Bull, una McLaren, una Mercedes, una Lotus o una Ferrari. Il motore lo stoppa poco prima di metà gara. Ma non gli toglie il votone che gli abbiamo assegnato. Se lo merita tutto, per la seconda volta di fila. Sveglio.
Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it
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