F1 | GP Abu Dhabi: l’analisi della gara

Hamilton conclude la stagione con un Grand Chelem, ma sono molti gli argomenti che hanno tenuto banco ad Abu Dhabi

F1 | GP Abu Dhabi: l’analisi della gara

La stagione 2019 di Formula 1 si conclude esattamente come era iniziata, con una Mercedes davanti a tutti. Sotto i riflettori di Yas Marina la W10 si è dimostrata imbattibile, rapida e costante, trovando con Lewis Hamilton la 15a vittoria stagionale per il team della “Stella”, il che la pone di diritto come una delle monoposto più forti di sempre. L’inglese non ha avuto rivali, rimanendo in testa dal primo all’ultimo giro e concludendo così l’ennesimo campionato vinto in grande stile. Alle sue spalle ha concluso Max Verstappen, secondo sul traguardo ma autore di una corsa più movimentata rispetto a quella del sei volte campione del mondo, in cui ha dovuto gestire diversi problemi sulla sua RB15 e rimediare in pista ad una partenza ed un primo stint che lo avevano visto scivolare dietro Charles Leclerc. Il giovane monegasco, che aveva conquistato la seconda posizione nel corso della prima tornata, non ha potuto fare molto per arginare la rimonta del rivale olandese, dovendosi accontentare del terzo gradino del podio come atto conclusivo della sua stagione di debutto in Ferrari.

Fuori di un soffio dalla top three Valtteri Bottas, autore di una bella rimonta dal fondo dopo essere partito dalla ventesima casella dello schieramento a causa di una penalità: il finlandese, seppur aiutato da un’ottima W10, ha messo in cascina una bella prestazione, grazie anche ai numerosi sorpassi effettuati pure senza l’ausilio del DRS, il quale non aveva funzionato nei primi giri di gara per via un problema tecnico sui server della FIA. Quinto l’altro Ferrarista, Sebastian Vettel, in parte sfortunato nelle vicende che si sono susseguite durante la corsa e che non gli hanno permesso di ambire ad un risultato migliore. Una prestazione in crescita per Alexander Albon, superato solamente nel finale dal tedesco della Ferrari, seppur ci sia da segnalare come il distacco da compagno di squadra sia ancora importante e che, considerando le prestazioni viste durante le simulazioni del venerdì, era forse lecito aspettarsi qualcosa di più dal pilota della Red Bull.

La sfida per la midfield si è rivelata particolarmente avvincente, con due sorpassi che proprio nelle fasi conclusive della corsa hanno deciso non solo l’ordine d’arrivo, ma anche quello della classifica mondiale piloti. A conquistare l’ultimo titolo “best of the rest” della stagione è stato Sergio Perez, autore di una corsa in cui ha saputo sfruttare al meglio la strategia per concludere al settimo posto, grazie anche ad un sorpasso sublime nel corso dell’ultimo giro su Lando Norris, ottavo sul traguardo. La corsa dell’inglese è stata però indubbiamente condizionata da uno spiattellamento della gomma anteriore destra che lo aveva costretto ad anticipare di qualche tornata la prima sosta: ciò nonostante Lando conclude la stagione in crescendo, in cui nel weekend di Abu Dhabi è rimasto davanti al compagno di squadra sia in gara che in qualifica. Tra le due McLaren si è inserito Daniil Kvyat, l’unico tra i piloti della midfield a partire con la gomma hard, per una strategia che ha dato i suoi frutti, permettendogli di arrivare a punti. A concludere la top ten, la seconda MCL34 di Carlos Sainz, autore anch’egli di un gran sorpasso nelle fasi finali della corsa che gli ha così permesso di conquistare quel punto necessario per assicurarsi il sesto posto nella classifica mondiale piloti.

Fuori dalla zona punti le due Renault, così come le Haas e le Alfa Romeo. Per quanto riguarda la squadra francese, né Ricciardo né Hulkenberg sono riusciti a concludere nei primi dieci, nonostante in realtà il tedesco, alla sua ultima gara con la squadra francese, si trovasse in decima posizione fino a poche staccate dal termine della corsa. Spostandoci sui team clienti motorizzati Ferrari, l’Alfa Romeo non è stata protagonista di un weekend particolarmente positivo, in cui ha sofferto sia in qualifica che in gara: il passo durante la corsa si è rivelato essere migliore di quello sul giro singolo, come ci si aspettava, ma ciò non è bastato per assicurarsi un arrivo nella zona punti. Stessa sorte anche per la Haas, che conclude così una stagione deludente, fatta di alti e (soprattutto) bassi, dove non è riuscita ad avere quella costanza necessaria per concludere l’anno con un buon risultato. Giornata deludente anche per Pierre Gasly, diciottesimo sul traguardo, la cui corsa si è complicata sin dal primo giro a causa di contatto con Lance Stroll: un incidente che non ha permesso al francese di lottare ad armi pari per difendere il sesto posto nella classifica piloti, conquistato proprio in extremis da Carlos Sainz.

Lewis Hamilton conclude con un Grand Chelem

Già ancor prima di arrivare ad Abu Dhabi, era ben noto che quello di Yas Marina sarebbe stato un circuito favorevole alla Mercedes, in cui negli ultimi anni le vetture del team tedesco hanno sempre dimostrato di avere qualcosa in più rispetto alla concorrenza, in particolare nell’ultimo settore, quello più guidato. Una storia che si è riconfermata anche in questa stagione, dove la W10 è parsa imbattibile, sia sul giro secco che sul passo gara. La forza delle “Frecce d’Argento” non si è vista solamente con Lewis Hamilton, il quale ha conquistato il suo sesto Grand Chelem in carriera, ma anche dalla rimonta di Valtteri Bottas, partito ultimo sulla griglia in seguito ad una doppia sostituzione della Power Unit sulla sua monoposto. Il motore usato in Brasile, infatti, dopo le opportune verifiche in fabbrica, era risultato danneggiato e non riutilizzabile, e per questo gli ingegneri della Mercedes avevano scelto di prendere la prima penalità della stagione montando una nuova unità. Durante la seconda sessione di prove libere, però, un incidente con Romain Grosjean aveva causato una perdita di liquidi e un danno tale da richiedere la sostituzione delle componenti montate in mattinata per una nuova unità, venendo così ulteriormente penalizzato. Ciò nonostante, Valtteri ha disputato una bella gara, e se da una parte il quarto posto può in un certo senso sembrare la normalità, come già successo in altre occasioni, dall’altro non bisogna dimenticare che questa rimonta è avvenuta sulla pista di Abu Dhabi, una delle più complicate su cui effettuare sorpassi, soprattutto considerando che per buona parte della corsa non è stato possibile utilizzare il DRS, cosa che sicuramente ha complicato e non poco la corsa del numero 77. Facendo un passo indietro, però, è interessante andare ad analizzare la gara dei due piloti Mercedes sin da inizio gara, perché seppur la domenica dei due alfieri Mercedes sia stata relativamente semplice da un certo punto di vista, determinati dettagli l’hanno resa una corsa particolarmente intrigante.

Per quanto riguarda Lewis Hamilton, la partenza ha forse rappresentato l’unico “ostacolo” nella corsa dell’inglese, da una parte perché si trattava della chance più concreta che avevano i piloti alle sue spalle per sorprenderlo, dall’altra perché un leggero errore commesso in curva 3 avrebbe potuto compromettere in modo irreparabile la sua giornata. Grazie ad un buon scatto dalla prima casella, Hamilton era riuscito a mantenere la testa della gara, arginando sul nascere un possibile attacco di Max Verstappen o Charles Leclerc. Ma è nell’impostazione delle curve successive che forse Lewis aveva commesso l’unico errore in una corsa altrimenti perfetta: approcciandosi a curva 2, infatti, l’inglese aveva mantenuto una linea leggermente più larga rispetto al solito, risultando abbastanza distante dal cordolo interno sulla sinistra, il che sicuramente avrebbe poi penalizzato a sua volta la percorrenza di curva 3, una delle più difficili della pista, che tende a spingerti verso l’esterno. E così è stato anche per il sei volte campione del mondo, che in curva 3 si era ritrovato con una linea di percorrenza tutt’altro che ideale, molto larga, tanto da portarlo addirittura in una zona dove erano presenti dei cordoli abbastanza alti che avrebbero potuto danneggiare il fondo della vettura passandoci sopra, esattamente come aveva fatto il pilota della Mercedes.

Lewis si era reso immediatamente conto di aver preso una “spanciata” non indifferente nel contatto con il cordolo, ed infatti pochi metri dopo aveva subito aperto la radio per chiedere al proprio ingegnere di verificare se dai dati si potesse riscontrare qualche danno di sorta al fondo della sua W10. Si tratta di un aspetto particolarmente interessante per due motivi: da una parte naturalmente aver potenzialmente rovinato il fondo avrebbe potuto significare non solo una perdita di performance, ma anche un’usura eccessiva dello stesso per i controlli (ricordiamo che ad esempio nella zona del t-tray, lo spessore deve avere una determinata misura minima per evitare la squalifica), mentre dall’altra ciò avrebbe dovuto lanciare un campanello d’allarme nell’impostazione degli altri tratti della pista, ove un impatto aggressivo sui cordoli avrebbe potuto danneggiare ulteriormente la monoposto. In realtà per Lewis non era stato così, perché sin dalla prima tornata era stato evidente che, nonostante quanto avvenuto in uscita di curva 3, l’impostazione di determinate curve seguiva esattamente quella che era stata mantenuta per tutto il weekend, ovvero uno stile particolarmente aggressivo, in cui veniva sfruttatoa ogni centimetro a disposizione per guadagnare il più possibile. Un comportamento che si verificava ad esempio al tornatino di curva 6, ma anche e soprattutto nell’impostazione di curva 11, quella posizionata alla fine del secondo lungo rettilineo in cui si trovano i box per le “support series”. Si tratta di una curva molto particolare, perché la zona di staccata del tracciato dedicato alla Formula 1 si va ad unire con quella che rappresenta la pit exit per le categorie di supporto, con queste due divise solamente da una sorta di cordolo relativamente basso, su cui molti piloti, soprattutto in qualifica, finiscono per andarci sopra per avere un’impostazione migliore per la curva successiva. Nulla di male naturalmente, ma considerando che potenzialmente la sua vettura avrebbe potuto essere danneggiata, Lewis forse avrebbe potuto essere leggermente più cauto e quantomeno nei primi giri non forzare così tanto in determinate zone della pista. Questo perché in realtà era stato lo stesso Hamilton nella tornata successiva a raccontare via radio di come la sua sensazione fosse che la monoposto stesse facendo “dragging”, ovvero stesse toccando l’asfalto con il fondo, nonostante in realtà dai box gli avessero anche comunicato che dai dati la situazione sembrasse tranquilla.

Al contempo, però, era chiaro che in quei primi giri il campione inglese stesse tentando di creare un piccolo ma sostanzioso solco tra lui e chi lo seguiva, in modo da poter comandare con più tranquillità la corsa sin dalle fasi iniziali, tanto che trovato quel margine di cui aveva bisogno, nel corso del sesto passaggio il team gli aveva chiesto di iniziare a pensare ad incrementare la gestione delle gomme. Non deve quindi sorprendere che in quei giri Lewis stesse spingendo e che quindi potesse risultare particolarmente aggressivo in alcune zone dove si può fare la differenza, proprio come nell’impostazione della sequenza di curva 11-12-13. Un comportamento ripetuto a lungo, quasi ogni giro, fino a quando non era stato poi lo stesso team a chiedergli via radio, nel corso del decimo passaggio, di iniziare ad interpretare diversamente quella zona della pista, rimanendo più verso sinistra: il campione del mondo ha poi immediatamente recepito il messaggio, tanto che già dalla tornata successiva aveva iniziato ad essere meno aggressivo in quella curva, evitando quindi che il fondo potesse danneggiarsi o consumarsi in modo eccessivo.

Da quel momento in poi, la corsa del ragazzo di Stevenage è stata essenzialmente in discesa, perché Lewis ha saputo gestire tutto alla perfezione, anche grazie all’ausilio del box che gli ha fornito riferimenti costanti sui tempi degli avversari e su quanto vantaggio avesse. Il primo stint è stato essenzialmente tarato sui rivali, capire le loro mosse e allo stesso tempo concentrarsi per mantenere al meglio le coperture, in modo da non allungare eccessivamente la seconda parte di gara. La sosta, l’unica della sua gara, è arrivata nel corso del ventiseiesimo giro, subito dopo quella di Verstappen, anche se in realtà i tempi erano ancora assolutamente competitivi e l’inglese non avrebbe avuto necessità di seguire quanto fatto dai rivali più diretti, nonostante in realtà avesse riportato qualche piccolo segnale di usura delle posteriori nelle tornate precedenti. Per darvi un’idea di quanto ogni dettaglio sia stato curato nel minimo dettaglio, la Mercedes è stata l’unica a squadra a fornire ai propri piloti un settaggio specifico in tema di brake balance per la sosta, in quanto la pit lane risultasse essere particolarmente scivolosa e un ripartimento spostato eccessivamente sull’anteriore avrebbe potuto portare ad un pattinamento o un bloccaggio delle gomme sulla piazzola in fase di frenata.

Grazie al grande vantaggio accumulato nella prima fase di corsa, una volta tornato in pista dopo la sosta non ci sono state particolari complicazioni per Hamilton, le cui uniche preoccupazione sono state quelle di riuscire a mettere altri tre secondi tra sé e l’inseguitore più diretto, nella fattispecie Charles Leclerc, in modo da aprire la finestra per la SC/VSC ed avere un pit stop “gratuito” in caso d’intervento della vettura di sicurezza, e di gestire al meglio gli pneumatici fino alla fine. Paradossalmente, data anche l’andatura piuttosto blanda – ma efficace – che stava mantenendo l’inglese, le sue coperture erano finite per essere al di sotto della temperatura ideale, tanto da dover ridurre il lift and coast e spingere un po’ di più in determinate zone della pista per riportarle nel range di lavoro predefinito. Una problematica che, come vedremo dopo, si presenterà anche per altri piloti. Ma nulla di tutto ciò ha potuto fermare il campione inglese dal conquistare il suo sesto Grand Chelem in carriera, per concludere in bellezza un anno dominato.

Si è rivelata più complicata ma più entusiasmante la gara di Valtteri Bottas, costretto a partire dal fondo a causa di una penalità dovuta alla sostituzione della Power Unit sulla sua vettura. Un’ultima tappa di stagione che non ha rispettato le aspettative del pilota di Nastola, ma che comunque gli ha permesso di divertirsi e lottare per il podio. Nel corso del primo giro, il numero 77 era stato subito molto scaltro a guadagnare diverse posizioni, di cui due grazie ad una bella staccata in frenata di curva 7, dove dopo aver completato i sorpassi era subito andato a difendere in modo molto intelligente l’interno della curva per non permettere ai rivali una contromossa.

Nelle tornate successive Bottas aveva continuato a superare avversari su avversari, uno dopo l’altro, fino a quando con il valzer dei pit-stop era riuscito a riportarsi addirittura in sesta posizione, sopravanzando anche Sebastian Vettel, vittima di una sosta particolarmente lenta. Ma non è stato però tutto così semplice come ci si potesse inizialmente aspettare, in quanto nelle prime fasi di corsa non era stato possibile utilizzare il DRS a causa di un guasto tecnico sui server della federazione e del race control. Valtteri aveva così dovuto utilizzare tutto il suo talento per riuscire a sopperire a tale mancanza, ingegnandosi anche in sorpassi particolari come quello su Stroll in curva 4. Nel giro di una decina di giri, complici anche i vari pit stop delle due Ferrari, delle McLaren e delle Renault, Bottas era riuscito a risalire fino alla sesta posizione, fino a quando non si è ritrovato bloccato dietro Nico Hulkenberg. La Renault ha dimostrato per tutta la stagione di avere velocità di punta abbastanza alte e ciò, senza l’ausilio dell’ala mobile, aveva reso molto più complicato riuscire a trovare il sorpasso, considerando oltretutto che sono davvero pochi i punti in cui è possibile tentare una mossa per sopravanzare gli avversari. Si è trattata di una fase particolarmente delicata della sua rimonta, perché oltre all’essere bloccato dietro Hulkenberg, Bottas doveva anche guardarsi le spalle, da un Sebastian Vettel dietro di sé pronto a tentare un sorpasso per rimediare ad un lento pit stop lo aveva fatto scivolare dietro al finlandese e al connazionale della Renault. Il Ferrarista aveva più volte tentato un attacco, ma senza l’ausilio dell’ala mobile, non era riuscito a sferrare quello decisivo che gli avrebbe restituito la posizione.

La corsa di Bottas ha iniziato a prendere una svolta diversa nel corso del 18° giro, quando la FIA aveva finalmente abilitato l’utilizzo del DRS, con cui il numero 77 era riuscito a passare Hulkenberg e a trovarsi in aria libera, anche se era chiaro che a quel punto, dopo tutto il tempo perso dietro ai rivali, la sua rimonta fosse già in parte compromessa. Un aspetto particolarmente interessante in merito alla prima parte di gara di Bottas, riguarda l’utilizzo delle mappature motore, in cui il finlandese e il box avevano continuato ad alternare l’utilizzo della strat 5 (quella più potente disponibile alla domenica) e strat 8 (per aumentare il recupero d’energia). Ciò ci può dare una duplice chiave di lettura: da una parte, naturalmente, che in Mercedes stessero facendo un giochino conosciuto soprattutto a Ferrari, ovvero recuperare la maggior quantità possibile d’energia nelle zone lente della pista per poi sfruttarla nei rettilinei, sopperendo alla momentanea mancanza dell’ala mobile. Dall’altra ciò può darci anche un’idea del fatto che Bottas potesse essere partito leggermente sottopeso rispetto agli avversari, con meno carburante a bordo, in modo da contare su una monoposto più leggera. Ciò spiegherebbe il perché in Mercedes abbiano continuamente suggerito al proprio pilota di utilizzare mappature più conservative in ogni momento in cui fosse possibile: un comportamento che in realtà non si è verificato solo nella prima parte di gara, ma anche nella seconda, dove il finlandee aveva proseguito la sua rimonta alternando l’utilizzo della strat 7 alla strat 8. Una strategia, che per fare un paragone, ricorda quella che utilizzò Sebastian Vettel nel 2017 in Malesia quando fu costretto a partire dal fondo dello schieramento.

Era però chiaro, comunque, che Bottas avesse un ottimo passo e ciò lo dimostrano i suoi giri a pista libera su gomma media usata, in cui risultava essere tra le vetture più veloci in pista, se non addirittura la più rapida. Ciò era anche un chiaro esempio di come l’usura della mescola intermedia, quantomeno sulla Mercedes, non fosse particolarmente elevata, e come nel caso di Hamilton in testa, si sarebbe potuto proseguire ancora a lungo, mantenendo tempi molto competitivi, come ha poi confermato lo stesso Valtteri via radio. Insomma, l’obiettivo della Mercedes era quello di scegliere il miglior rapporto tra usura e momento della sosta, che è poi arrivata nel corso del 29° passaggio, ovvero quando il finlandese era riuscito ad aprire una finestra utile per non rientrare nel traffico, e per cui gli ingegneri avevano deciso di montare la gomma hard. C’è da sottolineare come in realtà forse la squadra tedesca avrebbe potuto osare anche di più, continuando sulla media con tempi ancora estremamente positivi, per poi montare la soft per il finale di gara, tentando un approccio tutto all’attacco. Una scelta che avrebbe potuto dare i suoi benefici, ma molto probabilmente in Mercedes avevano preferito optare per una scelta più conservativa ma più sicura, dato che fino a quel momento la mescola dura aveva dato comunque l’impressione di essere la mescola migliore del weekend e che gli avrebbe permesso di arrivare fino in fondo con relativa tranquillità.

Secondo i calcoli svolti dagli ingegneri della Stella, anche con questo compound, grazie al passo dimostrato nei primi giri dello stint, le possibilità che il pilota di Nastola sarebbe poi arrivato a giocarsi il terzo posto con Charles Leclerc erano particolarmente elevate, tanto che avrebbe dovuto chiudere il gap che li separava con ancora 7 tornate da percorrere prima della bandiera a scacchi. Anche per questo in Ferrari, sotto suggerimento dei piloti, avevano poi optato per il variare la strategia, passando da una tattica da una a due soste, una mossa che in realtà in Mercedes avevano già compreso, tanto che proprio nella finestra di giri in cui poi Leclerc si sarebbe potuto fermato per montare una nuova gomma soft, gli ingegneri del team tedesco avevano chiesto al proprio pilota di spingere per chiudere il più possibile lo svantaggio tra i due. Non a caso, infatti, il distacco virtuale tra i due si era ridotto di ben quattro secondi nel giro di pochissime tornate, fino a portarsi intorno a poco più di due secondi. Un vantaggio minimo che Ferrari aveva dovuto sfruttare immediatamente per decidere se fermarsi o meno, sfruttando anche il fatto che da lì a poco Bottas avrebbe trovato Albon sulla sua strada, il che gli avrebbe fatto sicuramente perdere qualche prezioso decimo. Ben consci del fatto che le alternative fossero tra il farsi recuperare rimanendo in pista, oppure tentarsi di difendere fermandosi, in Ferrari avevano optato per questa seconda soluzione, decidendo di richiamare Leclerc per montare un nuovo set di soft da portare fino alla fine. Nelle prime tonate dopo la sosta, sfruttando il vantaggio di avere pneumatici nuovi particolarmente performanti, il monegasco era riuscito a ad aprire un gap di quasi nove secondi, fino a quando non si è poi verificato il cliff del compound stesso, il quale aveva permesso a Bottas di tornare a guadagnare, facendosi nuovamente aggressivo sul finale. Un aspetto interessante è che per le ultimissime tornate, la Mercedes abbia fatto un qualcosa che raramente di vede in gara, ovvero dare la possibilità proprio pilota di usare la mappatura da qualifica, quella più potente in assoluto, la “strat 2”, mentre generalmente in gara solitamente al massimo si vede la “strat 5”: probabilmente nelle tornate fino a quel momento completate, il team era riuscito a salvare così tanta benzina da potersi permettere un finale davvero aggressivo, sia come usura pneumatici che come consumo carburante, senza dimenticare che la Power Unit montata sulla sua monoposto era essenzialmente nuova, quindi non ci sarebbero dovuti essere particolari problemi intermini di affidabilità. Il finlandese, nonostante ci sia andato molto vicino, non è però riuscito a completare a sferrare l’attacco decisivo che gli avrebbe permesso di concludere la stagione con un podio, a coronoamento di una grande rimonta.

Si conclude quindi con una vittoria e una prova di forza la stagione della Mercedes. Un campionato dominato, soprattutto nella prima parte di stagione, dove la squadra tedesca si era dimostrata essenzialmente imbattibile. La seconda metà di campionato si è rivelata più ostica, dati anche i progressi di Ferrari e Red Bull, ma c’è da sottolineare come quella formata dalla Mercedes e Hamilton sia stata la coppia più costante, capace di giocarsi la vittoria essenzialmente su quasi tutte le piste, al contrario dei rivali. Al contempo è da segnalare anche la stagione particolarmente positiva di Valtteri Bottas, il cui distacco in classifica generale non racconta tutta la verità. È stato un anno sicuramente in crescita, in cui il finlandese ha compiuto dei grandi passi in avanti, soprattutto in qualifica, tanto che ha concluso il campionato con ben cinque pole position. Ciò che gli è mancato, oltre ad una dose di fortuna e qualche errore di troppo lato box, è stata la costanza, riuscire a battere Lewis quando ne aveva la possibilità, in particolar modo nella prima parte di stagione, in cui la Mercedes era chiaramente un passo avanti a tutti. Perché in realtà nella seconda metà di campionato spesso Bottas ha dimostrato di essere estremamente competitivo, ponendosi anche come punto di riferimento per la squadra in determinati appuntamenti. Ma ciò non basta per diventare campioni, soprattutto se dall’altra parte del box c’è uno dei piloti più forti della storia che raramente commette errori. Lato Mercedes, la sfida è ripetersi anche nel 2020, così come fatto negli anni precedenti, avendo come base per la vettura 2020 l’ottima W10: forse la miglior descrizione del capolavoro tedesco l’ha data proprio Hamilton, definendo la monoposto di questa stagione come una vera e propria opera d’arte.

Verstappen: un secondo posto come specchio della stagione

Nonostante la splendida vittoria del Brasile, Red Bull era arrivata ad Abu Dhabi con le idee ben chiare in merito a quali potessero essere le forze in gioco per questo atto finale del campionato 2019. Quello di Yas Marina era una pista che ben si adattava alle caratteristiche Mercedes e tenere il passo della W10, soprattutto nell’ultimo settore, non sarebbe stato semplice, neanche per la monoposto di Milton Keynes. Ciò era divenuto ancor più chiaro al sabato, quando in qualifica sia Hamilton che Bottas erano riusciti ad infliggere un distacco piuttosto consistente alla prima delle due Red Bull, quella di Max Verstappen, mentre Alexander Albon non era riuscito a concretizzare quel potenziale che sembrava potesse avere basandoci su ciò che era successo nelle prove libere. Ben consci anche in gara la Mercedes sarebbe molto probabilmente stata di un altro livello, la vera sfida si è vista tra Red Bull e Ferrari per la conquista del secondo e terzo posto, in cui hanno giocato in modo fondamentale non solo le scelte strategiche, ma anche gli errori commessi dai piloti.

Grazie alla penalità di Valtteri Bottas, Verstappen aveva guadagnato una casella sulla griglia di partenza, ponendolo in prima fila: da un certo punto di vista, seppur l’olandese non partisse dalla parte pulita dello schieramento, questa seconda posizione poteva essere un importante vantaggio per lui, perché nel momento in cui in curva 1 si sarebbe magari trovato affiancato con Hamilton, allora Max avrebbe potuto provare un attacco sull’interno, avendo la traiettoria a favore. D’altro canto, la seconda posizione garantiva all’olandese anche una buona opportunità di riuscire a difendersi da chi stava alle sue spalle nel caso fosse stato autore di uno scatto non particolarmente convincente, spingendo i rivali e concedendogli solamente l’esterno, in una curva dove trovarsi spinti particolarmente larghi può essere anche uno svantaggio nell’impostazione di curva 2. Nonostante le premesse, nulla di tutto ciò è avvenuto, e in curva 1 Verstappen era riuscito a mantenere la sua seconda posizione, complice uno scatto essenzialmente alla pari con chi lo precedeva. Il primo vero colpo di scena, però, non è tardato ad arrivare, solamente qualche centinaio di metri più tardi: in uscita dal tornantino di curva 6, Verstappen era stato protagonista di un controllo di sovrasterzo, il che non gli aveva consentito di avere la migliore accelerazione possibile per poi difendersi sul lungo rettilineo, dove infatti aveva poi subito il sorpasso da Charles Leclerc.

I pericoli non erano però finiti, dato che alle sue spalle c’era un’altra minaccia, quella rappresentata da Sebastian Vettel, che teoricamente sul compound soft avrebbe dovuto avere un vantaggio di grip alla partenza: il tedesco è stato scaltro ad approfittare della lotta tra il monegasco e Max per riuscire a guadagnare prezioso terreno, oltre che ad impostare una linea d’uscita migliore per quella che sarebbe stata la seconda grande opportunità d’attacco nel corso del primo giro, ovvero la staccata di curva 11. Vettel aveva sfruttato al meglio la scia, riuscendo oltretutto ad affiancare e superare la Red Bull numero 33, ma Verstappen non era rimasto a guardare, infilando una straccata particolarmente aggressiva con cui era riuscito a mantenere la terza posizione. Non era semplice, soprattutto considerando lo svantaggio di mescola, ma il pilota della squadra anglo-austriaca è stato davvero bravo nel chiudere tutti gli spazi, seppur in maniera molto aggressiva, come nella staccata di curva 17, dove ha cambiato direzione in maniera abbastanza netta proprio prima della zona di frenata, andando a coprire l’interno.

Un’ottima difesa, che però gli aveva fatto perdere decimi preziosi, tanto che alla conclusione del primo passaggio sul traguardo, Leclerc, che in quel momento si trovava davanti a lui, era riuscito a guadagnare già un piccolo ma considerevole vantaggio, abbastanza da metterlo al riparo nelle zone in cui Max avrebbe potuto sfruttare la scia per riavvicinarsi e tentare un attacco, tenendolo a debita distanza. Nei giri successivi il distacco dai due si è mantenuto su un livello più o meno costante, intorno ai due/due secondi e mezzo, che potenzialmente poteva anche essere un buon margine per tentare un undercut e recuperare la posizione persa alla partenza, soprattutto considerando che alle sue spalle Vettel era staccato di circa cinque secondi, un distacco utile a mettersi al riparo, senza dimenticare che il tedesco era anche su una strategia diversa, che lo avrebbe visto costretto a fermarsi anticipatamente rispetto ai suoi avversari più diretti. Per questo in Ferrari avevano deciso anticipare la sosta di entrambi i piloti, fermando sia Leclerc che il compagno di squadra: se facendo ciò avevano evitato la possibilità di un undercut da parte di Verstappen, dall’altra gli avevano però concesso la possibilità di avere pista libera, facendo il ritmo a lui più gradito per allungare lo stint e ritrovarsi con una gomma più fresca per la seconda parte di gara. Ed infatti è proprio così che è andata, con Max che non si era lasciato sfuggire l’opportunità di seguire quello che probabilmente era il piano iniziale, sentendo che le sue gomme, come confermato via radio fossero ancora in un buon stato di forma.

Se la corsa in quel momento sembrava essersi messa sui binari giusti, c’era in realtà qualcosa che lasciava né il pilota né il team tranquilli, qualcosa che preoccupava. Sin dal quinto giro, infatti, l’olandese aveva continuato a riportare ai propri ingegneri di una sorta di problema al motore, visibile soprattutto in uscita dalle curve lente, come la sette, in cui il pilota della Red Bull sentiva come una mancanza di risposta da parte della vettura. Dai box hanno impiegato poco a capire di cosa si trattasse, indicando come il problema potesse risiedere in un’errata “falsa” applicazione sul pedale dell’acceleratore, una sorta di ritardo. Ciò nonostante inizialmente questo problema sembrava gestibile, tanto che lo stesso Verstappen non ne aveva parlato più a lungo, lasciandolo quasi come un episodio a sé stesso, concentrandosi invece sulla gestione del passo e delle gomme. È intorno al ventesimo giro che si sono iniziati a vedere i primi segni di affaticamento sugli pneumatici dell’olandese, che via radio aveva riportato non solo come nelle curve a sinistra si stesse formando del pick-up nel centro della copertura anteriore stessa, ma anche che, come le Mercedes, aveva denotato anche un leggero drop delle gomme posteriori. In Red Bull non hanno poi tardato a reagire, richiamando Verstappen per la sua prima ed unica sosta, in cui avrebbe montato la hard per arrivare fino in fondo. Al momento dell’uscita dai box, come immaginabile, il gap da Leclerc era aumentato rispetto a quello che separava i due precedentemente, ma non in modo così significativo, attestandosi intorno ai cinque secondi: questo perché se è pur vero che la gomma nuova montata dal monegasco aveva dato i suoi frutti, permettendogli di guadagnare qualcosa in termini di prestazione, dall’altra era anche vero che la scelta della Red Bull di continuare il più a lungo possibile si era rivelata quella più efficace, in quanto i tempi ottenuti dal proprio pilota sulla media usata erano ancora altamente competitivi e costanti.

Ma è proprio in questo momento che per il numero 33 erano iniziati i problemi. Già nella prima parte di gara, come abbiamo visto, Max aveva riportato qualche sorta di incertezza nella risposta del motore e dell’acceleratore, in particolar modo nell’uscita di curva. Dopo il pit stop, però, questi problemi si erano ulteriormente ampliati, divenendo sempre più invasivi e fastidiosi, tanto che nel corso del ventiseiesimo giro, l’olandese aveva iniziato nuovamente a segnalare l’inconveniente ai box via radio: “Something is not correct”, aveva sentenziato dopo una grossa correzione di sovrasterzo in uscita da curva 18, come se ci fosse un ritardo nella trasmissione della potenza. “I got massive handbrake effect”, aveva poi aggiunto qualche curva più tardi, con il team che a sua volta gli aveva risposto che avrebbero controllato i dati per capire cosa stava succedendo. Al fine di porre al, anche solo parzialmente, al problema, il suo ingegnere di pista gli ha subito fornito dei nuovi parametri per la gestione del motore, scelti in collaborazione con Honda che, dal canto suo, stava lavorando dietro le quinte per tentare di comprendere e risolvere tale inconveniente. “Can we try engine 11 position 4”, è stato il messaggio dell’ingegnere di pista al pilota, a cui era stato anche chiesto di dare un feedback in merito, se la situazione fosse peggiorata o migliorata con i nuovi settaggi. A dispetto dei tentativi da parte della squadra di sistemare ciò che in quel momento non stava funzionando a dovere, l’olandese continuava a riportare insistenti problemi, tanto da arrivare a chiedere nuovamente di essere aiutato perché il motore lo stava rallentando eccessivamente.

Ciò nonostante, grazie alla differenza di passo tra i due, non ci era voluto molto al numero 33 per riuscire a riportarsi negli scarichi di Leclerc, tanto che in neanche cinque giri era riuscito a chiudere il gap che si era creato dopo la sosta. La sfida era aperta e toccava a Verstappen riprendersi quanto aveva perso in partenza. Anche in questo caso, non ci è voluto molto per portare a casa il sorpasso, avvenuto con una bella staccata in curva 7, millimetrica, in cui l’olandese non aveva lasciato il minimo spazio al rivale per controbattere. Un sorpasso che, per quanto all’esterno possa essere sembrato semplice, è stato in realtà una manovra perfetta, studiata e svolta chirurgicamente. Ma, paradossalmente, non era Leclerc il problema che continuava a preoccupare il box, nonostante in realtà il numero 33 subito dopo il sorpasso fosse riuscito ad accumulare anche un discreto vantaggio mettendosi al riparo da eventuali tentativi di risposta del monegasco, bensì i problemi al motore che lo stavano tediando dal momento della sosta in poi.

“It just feels like a massive torque hole at the beginning of the throttle map!”, aveva riportato Verstappen via radio, lamentandosi proprio di quelle che erano state le sensazioni avute nelle tornate precedenti, ovvero una sorta di mancanza di risposta nel momento in cui si andava sull’acceleratore. Un problema a cui, però, in Red Bull non avevano una soluzione definitiva, come confermato dallo stesso ingegnere di pista via radio, il quale però aveva rassicurato il suo pilota dicendogli che fosse abbastanza veloce per sopperire da solo in pista al guasto: “Understood. There’s nothing we can do about it Max. There is nothing we can do about it at this stage. You’re just going to have to live with it. You’re quick enough”. Ciò nonostante, naturalmente, il team e Honda stavano continuato a lavorare dietro le quinte per trovare il miglior compromesso possibile, in modo da quantomeno mitigare gli effetti che tale ritardo nella risposta poteva avere sul comportamento della monoposto. Nuove mappature che effettivamente avevano poi dato l’effetto sperato, come raccontato via radio dallo stesso Verstappen, il quale aveva fatto notare che, nonostante con questi settaggi l’engine braking fosse poco costante in fase di frenata, quantomeno la mancanza di risposta in fase di accelerazione era diminuita rispetto a quanto riscontrato precedentemente, aggiungendo che quello fosse il miglior compromesso tra quelli suggeriti fino a quel momento.

Superati questi ostacoli, complice anche l’ampio vantaggio accumulato su Leclerc che a sua volta si era fermato per la sua seconda ed ultima sosta, l’attenzione si era potuta spostare sulla gestione delle coperture, in modo da arrivare nella fase finale della gara con gomme ancora in buono stato, senza un particolare drop che avrebbe potuto costare caro. Una sensazione di relativa tranquillità, in cui il maggior problema è stato quello di non far scendere gli pneumatici al di sotto della temperatura ideale, esattamente come successo alle Mercedes. Il suggerimento da parte degli ingegneri ai box era stato quello di conciliare una buona gestione in curva 3, una delle più difficili ed impegnative della pista, con un aumento del passo al fine di dare maggiore temperatura agli pneumatici e non farli uscire dal range ideale. Un problema che comunque non ha influito particolarmente sulle prestazioni della monoposto numero 33, tanto che gli ha permesso di concludere la corsa in seconda posizione in tranquillità, assicurandosi così anche il terzo posto nella classifica mondiale piloti.

La corsa di Alexander Albon, invece, non è stata altrettanto positiva, sia in termini di passo che di risultato. Se da una parte si sono visti dei segnali incoraggianti, in una gara in cui è riuscito quantomeno a restare molto vicino a Sebastian Vettel, è anche vero che l’impressione del venerdì è che il pilota anglo-tailandese potesse avere qualcosa in più di quanto poi mostrato, sia sul giro secco che sul passo gara. C’è anche da sottolineare come Alex, così come avvenuto in Brasile, sia stato particolarmente aggressivo nei sorpassi e nelle difese, segno che il feeling con la vettura sta migliorando appuntamento dopo appuntamento, anche se naturalmente ciò non può essere abbastanza per battere il compagno di squadra.

La stagione della Red Bull si conclude così con un altro prezioso podio, in un campionato piuttosto altalenante in termini di prestazione. Il primo anno con Honda è stato comunque positivo, in quanto il motorista nipponico ha dato importanti segnali di crescita anche in confronto ai rivali, permettendo così alla squadra anglo-austriaca di potersi giocare la vittoria in numerosi appuntamenti. C’è però ancora molto da migliorare, non solo in termini di potenza e di consumi, che comunque sembrano aver raggiunto un buon livello, ma soprattutto in affidabilità. Non ci riferiamo più di tanto alle varie penalità accumulate durante la stagione, generalmente arrivate più per testare nuovi aggiornamenti della parte motoristica che per reale necessità, ma di tutti quei piccoli bug o glitch che si sono verificati durante l’arco del campionato, come quello che ha sperimentato Verstappen proprio ad Abu Dhabi. C’è anche da dire che molto probabilmente, soprattutto nella seconda metà di stagione, la Red Bull ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto, in parte proprio per le penalità, in parte anche per le varie situazioni di gara che non hanno permesso a nessuno dei due piloti di esprimersi al massimo, come i contatti negli Stati Uniti e in Messico.

Ferrari: un finale amaro

Quello di Abu Dhabi non è mai stato un appuntamento semplice per la Ferrari, dove non è ancora tutt’oggi riuscita a conquistare il successo di tappa, senza tra l’altro andarci davvero vicino. Ci sono state delle occasioni in cui effettivamente la Rossa avrebbe potuto vincere il suo primo Gran Premio a Yas Marina, ma ognuna di queste opportunità era in realtà più figlia delle circostanze di corsa che di reali meriti di performance. Nonostante varie filosofie aerodinamiche, sospensive e cambi regolamenti, le vetture di Maranello hanno sempre sofferto il terzo settore della pista di Abu Dhabi, e anche quest’anno la SF90 ha confermato questa tradizione negativa. Considerando che quella zona del tracciato è fatta di curve particolarmente lente, in cui è importante arrivare con gli pneumatici nelle migliori condizioni, ci si aspettava che la creatura in versione 2019 made in Maranello potesse dimostrarsi non al livello dei rivali, tanto che gli ingegneri Ferrari per cercare di sopperire ad uno scivolamento eccessivo del posteriore, avevano anche optato per l’utilizzo di un’ala da medio/alto carico, seguendo la nuova filosofia intrapresa da qualche gara a questa parte. Indubbiamente ciò non racconta tutta la storia, in quanto tanto carico viene generato dal corpo vettura, ma è un segnale che i tecnici del team italiano stessero cercando di trovare il miglior bilanciamento aerodinamico possibile al fine di equilibrare il vantaggio accumulato sui rettilinei contro ciò che si perdeva in curva, non solo per il giro secco, ma anche e soprattutto in vista della gara, dove saper gestire al meglio gli pneumatici è fondamentale. È anche chiaro, al contempo, che puntando su un’ala così più carica, nonostante quella di Yas Marina non sia una pista così esosa in termini di utilizzo di carburante, qualche problemino in chiave consumi questa scelta possa averla creata, il che è un tema che affronteremo successivamente nell’analisi.

Per comprendere fino a fondo la domenica della Ferrari, bisogna partire dal pre-gara, con tutte le polemiche annesse. A poco meno di un’ora dall’inizio della corsa, era giunta dalla FIA una comunicazione piuttosto interessante, che potenzialmente avrebbe potuto portare anche ad una squalifica: sulla vettura di Charles Leclerc, il quantitativo di carburante dichiarato dalla Ferrari e quello misurato dalla FIA durante i controlli non combaciavano. Nel primo comunicato redatto dalla Federazione non era però stato ancora espresso in che quantità e in che senso tali dati non combaciassero, ovvero se la Ferrari aveva caricato a bordo un quantitativo di carburante maggiore o minore rispetto a quanto dichiarato, limitandosi a sottolineare come ci fosse un’infrazione dell’articolo 12.1.1.i del regolamento sportivo (“fuel declaration of car 16”). A partire da questa stagione, infatti, tramite una direttiva tecnica inviata da inizio stagione, i team erano stati informati che dall’inizio di questo campionato in poi, sarebbero strati introdotti dei nuovi regolamenti e delle procedure più restrittive in tema di verifica dell’uso del carburante, in modo da constatare con maggior precisione i dati ed avere una più sicurezza in tema di controlli. In questa direttiva veniva confermato che ogni team avrebbe dovuto dichiarare due ore prima della corsa la quantità esatta di carburante che sarebbe stato immesso nel serbatoio della vettura, ovvero la quantità esatta che si sarebbe usata per i giri per completare i giri prima di arrivare in griglia (in cui generalmente si effettuano delle prove di partenza, si verifica che tutto sia a posto e si completa il radio check), il giro di formazione, la corsa e l’in-lap. Insomma, il carburante necessario da quando la vettura lascia il garage fino a quando finisce sotto i controlli della FIA nel parc fermé. Si tratta di una parte obbligatoria per tutte le squadre, ma sarà poi la FIA a decidere a campione su quali vetture effettuare ulteriori controlli prima della corsa, in modo da comprendere fino in fondo non solo quanto i dati forniti dai team fossero veritieri, ma anche per verificare l’effettivo utilizzo del carburante dichiarato, che esso non ecceda il limite dei 110kg previsti dal regolamento e che, oltretutto, non si superi il limite imposto dal flussometro. Una procedura in realtà molto semplice, in cui viene semplicemente pesata la monoposto in un primo momento con un carico di benzina a bordo che dovrebbe coincidere con quello dichiarato precedentemente alla Federazione e poi successivamente a vuoto. Da questi calcoli si può così ottenere la quantità esatta di carburante presente sulla vettura e, sia nel caso che essa corrisponda o meno al valore fornito dalla squadra, la FIA si assicura che non venga aggiunta o tolta ulteriore benzina applicando un sigillo, come avviene per altre parti della macchina stessa. Un valore che, però, nel caso specifico di Leclerc, non è coinciso con quanto era stato dichiarato precedentemente dalla Ferrari, con una discrepanza, si scoprirà dopo la gara, di ben 4,88kg.

Ma perché questi quasi cinque kg di carburante hanno suscitato così tanto scalpore? Per capirlo è importante fare un passo indietro e ripercorrere quanto è successo negli ultimi mesi. Naturalmente è ben noto che i dubbi sulla legalità della Power Unit Ferrari sono ormai estremamente diffusi dal paddock, spinti in particolar modo da squadre rivali che credono di aver dalla loro delle prove che possano spiegare da dove arrivi questo extra boost di potenza di cui dispone il motore del Cavallino. Se nella passata stagione ad essere sotto la lente d’ingrandimento era stata la parte elettrica dell’unità Ferrari, quest’anno ad essere finita sotto accusa è stata la parte termica, in particolare l’utilizzo della benzina e il rilevamento del flussometro. Una delle varie ipotesi che è circolata è che Ferrari riuscisse ad “ingannare” il flussometro, utilizzando così una quantità di carburante superiore a quella dichiarata per ottenere più potenza, sia in qualifica che in gara. Un’idea supportata a livello mediatico dal fatto che la Red Bull, prima del Gran Premio degli Stati Uniti, avesse inviato una richiesta di chiarimenti alla Federazione proprio in merito al riuscire ad aggirare il flussometro, da cui poi ne è uscita così una direttiva tecnica molto specifica nel suo contenuto. Ed è proprio intorno a questo punto che sono emersi dei dubbi importanti da parte di rivali e stampa in merito a quei 4,88kg di discrepanza tra i rilevamenti della FIA e quelli del Cavallino. È importante specificare che la FIA non ha mai chiarito ufficialmente se questi quasi 5kg di carburante riscontrati dalla Federazione fossero in più o in meno rispetto al valore dichiarato dalla Ferrari. Al contempo è anche fondamentale chiarire che, però, il carburante imbarcato sulla monoposto numero 16 era all’interno di quello che era il limite consentito dal regolamento, ovvero quei 110kg massimi che possono essere utilizzati durante la corsa: fosse stato il contrario, sicuramente si sarebbe giunti ad una squalifica, eventualità che invece non si è verificata.

Ipotizziamo però che questi cinque kg di carburante fossero aggiuntivi rispetto a quanto dichiarato dalla Ferrari. Ciò significa che in gara, Leclerc avrebbe avuto 5kg in più di benzina da usare nella sua lotta per la conquista del podio. Su un ipotetico pieno dal 100kg, si tratta di un valore che corrisponde quasi al 5% del totale, il che effettivamente è una differenza non da poco in termini di possibile sfruttamento. Naturalmente, però, non è tutto così diretto. Generalmente le squadre cercano di mettere a bordo il minor quantitativo di carburante possibile, in modo da non appesantire troppo la vettura, un fattore che sicuramente avrebbe importanti ripercussioni non solo in termini di consumo gomme (dato che 5/10 kg possono comunque avere un effetto consistente sul bilanciamento della monoposto), ma anche di performance pura, in quanto maggior carburante vuol dire anche maggior peso. Su un circuito come quello di Abu Dhabi, dieci chilogrammi di carburante in più equivalgono ad oltre tre decimi sul giro, quindi approssimativamente possiamo stimare che 5kg intorno al decimo e mezzo in più ad ogni tornata. Ciò che fanno gli ingegneri è trovare il giusto punto di equilibrio tra l’effetto peso del carburante aggiuntivo e quanto lo stesso potrebbe dare la possibilità di sfruttare al meglio la potenza del motore. Insomma, si deve raggiungere il punto in cui i vantaggi dello sfruttamento del carburante extra attraverso della Power Unit (che naturalmente non può essere sempre spinta al massimo per questioni di affidabilità) superino gli svantaggi portati dal maggior effetto peso. Non è semplice trovare il giusto equilibrio, anche perché è complicato prevedere quali saranno le condizioni che si troveranno in gara e come si evolverà la stessa. Naturalmente, in una situazione normale, quei 5kg in più in teoria non avrebbero dovuto essere motivo di grande discussione, perché naturalmente, anche avendone 10kg in più di quanto dichiarato, poi la squadra deve sempre rispettare il valore del flussometro e da lì non si può scappare. Il dubbio emerso agli avversari è però di facile comprensione: se la Ferrari fosse riuscita ad alterare i rilevamenti compiuti dal flussometro, che ha una frequenza di “refresh” estremamente rapida, questi 5 kg in più avrebbero potuto essere sfruttati per trarne un giovamento di potenza, ingannando il regolamento. Essenzialmente, secondo quest’ipotesi, il team italiano avrebbe dichiarato un valore più basso di quello effettivamente imbarcato, in modo che alle dovute verifiche i dati riscontrati dal flussometro, opportunamente ingannato, sarebbero andati a coincidere con quelli che ipoteticamente avrebbe dovuto leggere la FIA dopo la corsa, nonostante in realtà la SF90 avesse consumato cinque chilogrammi in più di carburante illegalmente per ottenere un boost di potenza momentaneo. Infatti, dopo ogni gara, la Federazione si riserva di controllare a campione le vetture, in modo tale da verificare che i valori di carburante usato e quelli rilevati dal flussometro coincidano. In merito a questa teoria, però, sorgono numerosi dubbi, soprattutto in quanto mancano dei punti chiave: sapendo di avere su di sé la lente d’ingrandimento non solo degli uomini della FIA, ma anche dei team rivali che avevano lanciato indirettamente pensanti accuse, perché la squadra del Cavallino avrebbe dovuto rischiare di essere beccata in flagrante imbrogliando palesemente e fornendo dati importanti ai rivali su cui basare le proprie teorie? In secondo luogo, se la Ferrari avesse deciso di imbarcare cinque 4,88kg di carburante in più solo per aggirare il flussometro, ciò avrebbe significato che o la squadra diretta da Mattia Binotto non era stata minimamente influenzata dalla direttiva tecnica uscita in seguito alla richiesta della Red Bull, oppure che, nonostante ciò che dicesse il regolamento, in Ferrari avevano comunque deciso di non rispettarlo rischiando la squalifica, il che, avendo la lente d’ingrandimento puntata su di sé, sarebbe poco furbo, soprattutto considerando che non c’era nessuna posta in gioco di particolare rilievo. Allora, se era tutto premeditato, perché rischiare così? Per concludere, quella di Abu Dhabi non era stata la prima volta in cui una delle due SF90 era stata pesata prima della corsa, tanto che, come dichiarato da Mattia Binotto, questa procedura era stata compiuta almeno altre dieci volte nei confronti della Ferrari, il che vuol dire per almeno metà delle tappe presenti nel calendario. Se in quegli altri appuntamenti non era stato rivelato nulla di anomalo, e il procedimento per ingannare il flussometro era il medesimo, allora perché avrebbe dovuto cambiare la situazione ad Abu Dhabi? Ci sono indubbiamente troppe questioni che non tornano, come però anche pensare che un team di questo livello riesca a sbagliare una procedura così basilare è al quanto difficile da credere, anche se chiaramente rimane il beneficio del dubbio, come possa esserci stato qualcosa di sbagliato nelle procedure dei controlli, per quanto improbabile. Insomma, il mistero rimane, anche perché in realtà la questione non si è conclusa qui, ma è stata nuovamente tirata in causa per un anomalo sfruttamento delle mappature motore del team di Maranello durante la corsa, discorso di cui parleremo a breve. Per arrivare a ciò, però, è importante analizzare la corsa delle due SF90, capendo fino in fondo le varie situazioni in cui si sono ritrovati i due piloti della Rossa e come ciò possa aver influito sull’utilizzo della Power Unit.

In vista della gara, in Ferrari avevano scelto un approccio diverso in vista della corsa. Da una parte Charles Leclerc sarebbe partito con la media, una gomma sulla carta più duratura e che avrebbe offerto maggiori spazi di manovra in tema di strategie, mentre dall’altra, Sebastian Vettel sarebbe scattato dalla quarta casella con pneumatici soft, indubbiamente più veloce nel consumarsi, ma che gli avrebbe potuto anche garantire un vantaggio di grip non indifferente nelle primissime fasi. Nonostante l’investigazione che pendeva sulle sue spalle, Leclerc aveva potuto prendere parte alla corsa normalmente, in quanto tutta la questione che si era scatenata nei minuti precedenti sarebbe stata discussa solamente dopo la bandiera a scacchi. Al via Leclerc era partito abbastanza bene, nulla di eclatante in realtà, ma abbastanza per mantenere il terzo posto, soprattutto considerando il fatto che si trovasse all’esterno nell’approccio alla prima curva e che Verstappen era stato molto furbo andando a cercare di chiuderlo per lasciarli il minimo spazio possibile. La miglior mossa della sua corsa è poi arrivata solamente qualche curva più tardi, all’inizio del secondo settore: nell’approcciarsi al tornantino, il monegasco era stato molto scaltro nel mantenere una linea particolarmente stretta, cosa non semplice, che seppur avrebbe penalizzato l’uscita, gli avrebbe al contempo consentito di recuperare parecchio spazio dall’olandese della Red Bull, facendosi più vicino sul lungo rettilineo, pronto per sferrare un attacco. Per sua fortuna, il sovrasterzo di Verstappen proprio in uscita dal tornatino, ha fatto si che la linea scelta da Leclerc per affrontare curva 6 divenisse ancor più vantaggiosa, annullando quello che sulla carta era l’unico svantaggio di una traiettoria così stretta.

Ciò aveva permesso al numero 16 di sfruttare la scia e portarsi davvero vicino al rivale olandese molto presto, completando il sorpasso che lo avrebbe portato in seconda posizione ancor prima della successiva staccata. Ben consci che riuscire ad attaccare o tenere il passo di Hamilton sarebbe stato estremamente difficile, anche per la rapidità con cui nel primo giro era riuscito ad accumulare un consistente vantaggio, la sfida si era accesa tra Ferrari e Red Bull per il secondo (amaro) gradino del podio. Fortunatamente per Leclerc, la battaglia tra Verstappen e Vettel nel corso della prima tornata, aveva permesso al giovane talento della Rossa di guadagnare rapidamente diversi decimi di secondo, mettendosi al riparo da un possibile ritorno del numero 33 nella tornata successiva. Ciò in realtà ha rappresentato un doppio vantaggio, non solo perché aveva dato l’opportunità a Charles di accumulare un vantaggio in termini cronometrici, ma anche perché aveva fatto sì che potesse ricaricare la batteria, molto vicino alla soglia limite (sotto il 30%) dopo il sorpasso.

Nelle tornate successive, l’obiettivo principale era quello di continuare a guadagnare sui rivali alle proprie spalle, cercando comunque di gestire al meglio gli pneumatici, tanto che dalla radio lo avevano anche pregato di prestare più attenzione e controllare il wheelspin in uscita dalle curve più lente. Per far ciò, Leclerc ha iniziato a modificare l’uso delle marce, evitando di “tirare” quelle più basse, che potevano creare maggior pattinamento, per passare direttamente a quella successiva, come in curva 8, curva 14 o curva 19, una delle più complicate di tutta la pista: in quest’ultima, ad esempio, dopo il messaggio giuntogli dai box, Charles aveva iniziato ad usare la quarta in tutta la percorrenza, evitando di sfruttare la terza, una marcia sicuramente più utile in termini di prestazione assoluta, ma anche avrebbe potuto portare a fenomeni di pattinamento eccessivi. Nel corso del settimo giro, gli era stato confermato di essere sul “Plan A”, ovvero la strategia di base prevista inizialmente, che prevedeva un singolo stop in cui poi sarebbe passato dalla gomma media a quella hard. Il tema gomme ha rappresentato un ruolo fondamentale nel primo stint, da una parte perché era sicuramente importante riuscire ad allungare il più possibile per poi avere una gomma più fresca nella seconda parte di gara, dall’altra perché lo stesso Leclerc aveva anche denotato delle strane vibrazioni nel momento in cui andava a percorrere una curva, nonostante in realtà dai dati tutto sembrasse in regola. A cambiare le carte in tavola, fornendo un grosso assist ai propri avversari, era stata però la Ferrari stessa, che nel tentativo di evitare un undercut da parte di Verstappen, che si trovava ad un distacco costante compreso tra i due e i due secondo e mezzo, aveva deciso di richiamare anticipatamente Leclerc per montargli il nuovo set di coperture hard con cui sarebbe arrivato fino in fondo. Si è trattato di un vero e proprio assist per i rivali, perché ciò aveva dato la possibilità non solo a Hamilton, ma anche e soprattutto a Verstappen, di poter proseguire a pista libera, mantenendo il proprio passo su una gomma che stava dimostrando di poter avere ancora tanto da dare. Una scelta che infatti ha dimostrato tutti i suoi punti deboli nel fatto che, nonostante la decina di giri a disposizione su gomma nuova prima del pit stop di Verstappen, Leclerc era riuscito a portare il suo vantaggio sull’olandese solamente a circa 5 secondi, il che voleva dire aver guadagnato meno di due decimi a tornata, un gap sicuramente insufficiente per pensare di poter arrivare fino in fondo e difendersi con una gomma indubbiamente più usurata di quella che avrebbe poi montato il pilota della Red Bull. Sotto questo aspetto è anche importante constatare, però, che durante questa determinata fase di corsa, la Ferrari aveva chiesto al suo driver di passare in engine 4, una mappatura sicuramente non particolarmente votata al risparmio di carburante in assoluto, ma che indubbiamente garantiva un maggior controllo sui consumi a discapito di una riduzione della potenza. È bene chiarire, però, che le mappature votate al salvataggio di carburante più spinto in Ferrari sono ben altre, come engine 5 e engine 6 (usate nelle libere), senza dimenticare i vari FS2, FS4 e FS6, che sono settaggi dedicati esattamente per questo scopo, anche se è pur vero che, nonostante l’engine 4 quest’anno non si sia sentito spesso, è anche vero che quello stesso settaggio era stato utilizzato anche in altri Gran Premio dove i consumi erano stati un tema delicato. Da questo punto di vista potrebbero scaturire diverse ipotesi, come il fatto che effettivamente la Rossa avesse sofferto problemi di carburante, o che le due vetture fossero partite con un quantitativo molto basso per avere una vettura molto leggera (e sarà utile analizzare anche la gara di Vettel sotto questo aspetto), o che la Ferrari abbia voluto scendere giù di potenza per nascondere qualcosa agli avversari. Senza contare che rimane piuttosto strano il fatto che prima della corsa i due alfieri del Cavallino abbiano compiuto solamente un giro prima di arrivare in griglia, una scelta abbastanza inusuale rispetto al solito: se è pur vero che qui effettuare prove di partenza non è possibile, d’altro canto generalmente si effettua sempre più di un giro per verificare che la vettura sia a posto ed effettuare i vari controlli.

Ciò nonostante, la differenza di passo tra il monegasco e Verstappen è stata abbastanza marcata, soprattutto dopo la sosta, dove l’olandese non ha impiegato molto tempo per riuscire a chiudere il gap che si era creato e a tentare l’attacco decisivo per riprendersi la seconda posizione persa in partenza, con un sorpasso preciso e ben eseguito. Per quanto il monegasco avesse cercato di resistere il più possibile, sfruttando le classifiche tecniche di difesa di casa Ferrari alternando l’utilizzo di una mappatura da alta ricarica d’energia come SOC 8 ad un boost di potenza più spinto come K1 Plus per avere le massime performance sui rettilinei, la differenza in termini cronometrici tra i due era talmente evidente e netta, che non ci sarebbe stato nulla da fare per il Ferrarista, la cui missione era così diventata difendere il terzo posto dalla rimonta di Valtteri Bottas.

In realtà la situazione a quel punto si era piuttosto complicata, perché da una parte c’era Leclerc il cui intento era sicuramente quello di lavorare di strategia per riuscire a recuperare Verstappen e il secondo posto, mentre dall’altra la preoccupazione Ferrari era sicuramente quella di riuscire a difendere quantomeno il podio. Insomma, da una parte il pilota guardava avanti, mentre dall’altra il team si guardava alle spalle. Una volta subito il sorpasso, infatti, il monegasco aveva subito aperto la radio per chiedere un cambio di strategia, passando al “Plan C”, ovvero fermarsi nuovamente per montare la soft e tentare un ultimo stint tutto all’attacco per recuperare sull’olandese della Red Bull, anche perché in realtà Charles in quel momento non aveva la minima idea di cosa stesse facendo Bottas alle sue spalle (tanto che dopo la sosta, avrebbe poi continuato a chiedere riferimenti su Max e non sul numero 77). Lato muretto box, a quel punto le opzioni papabili erano due: restare in pista sulla hard e proseguire nella speranza che il passo del finlandese avrebbe avuto un drop importante prima di fine gara, soluzione al quanto improbabile, oppure fermarsi nuovamente, montare una nuova soft e contare su un degrado magari più contenuto di quello che aveva riscontrato Vettel ad inizio corsa. Considerando che la prima opzione era al quanto improbabile, Ferrari aveva optato la seconda soluzione, decidendo di fermarsi un’altra volta per montare un nuovo set di pneumatici con cui difendersi nell’ultimo stint: una sosta che sarebbe arrivata indipendentemente dal suggerimento di Leclerc, in quanto rappresentava l’opzione più sensata in una situazione di per sé molto complicata, in cui serviva anche grande rapidità d’azione, visto che la finestra sul finlandese in quelle tornate stava divenendo sempre più piccola, fino a portarsi intorno ai due/tre secondi. L’aspetto interessante è che anche in questa fase di gara, la Rossa aveva continuato ad alternare l’utilizzo della mappatura “engine 4” all’ “engine 1”, davvero centellinata nel suo sfruttamento, ovvero solamente in quelle occasioni in cui era strettamente necessario, come in un sorpasso o in un tentativo di difesa. Il che è un fatto di per sé strano, perché è anche da considerare che l’unità montata sulla vettura numero 16 era anche praticamente nuova, essendo stata montata in Brasile, per cui non avrebbe dovuto risentire di problemi di affidabilità: se è pur vero che, come scrivevamo in apertura, gli ingegneri della Scuderia avevano deciso di utilizzare un’ala posteriore più carica di quella dei rivali, al contempo un utilizzo così minuzioso delle mappature più spinte non si era visto da molto tempo. Oltretutto c’è anche da sottolineare come in realtà i piloti della Rossa non siano stati protagonisti di grandi manovre di lift and coast, che al contrario si sarebbe viste e sarebbero state richieste dagli ingegneri nel caso i consumi fossero stati tirati propriamente al limite. Ciò nonostante, i primi giri su gomma nuova dopo la sosta erano stati estremamente veloci, e questo aveva permesso al monegasco di riuscire a portare il proprio vantaggio momentaneo su Bottas fino ad un totale di nove secondi, prima che il cliff della gomma iniziasse a mostrare i propri effetti, come in una curva a campana in cui la gomma aveva raggiunto il punto di massima prestazione prima della discesa. Per tentare di portare gli pneumatici fino alla fine nelle migliori condizioni possibili, più volte era stato chiesto al monegasco di fare del tyre saving, soprattutto in curva 3, una delle più impegnative e stressanti, ma chiaramente ciò andava a scontrarsi con la necessità di mettersi al riparto da un Valtteri in piena rimonta, pronto a sferrare l’attacco decisivo sul finale, il quale non aveva impiegato molto per chiudere il gap che si era creato dopo la sosta. Nonostante la chiara differenza di passo tra i due, Leclerc è stato bravo a difendersi e a portare a casa un podio come degna conclusione della sua prima stagione in Ferrari.

Si è trattata di una corsa ben più complicata per l’altro Ferrarista, Sebastian Vettel, vittima in parte della scelta del sabato di partire sulla soft e di alcuni errori ai box che non gli hanno permesso di lottare come avrebbe potuto. Aiutato anche dal grip che garantiva la gomma più soffice, alla partenza il tedesco era risultato essere il pilota ad essere scattato meglio dalla sua casella, impiegando, secondo dati ufficiali FOM, solamente 4,4 secondi per passare da 0 a 200km/h. Uno scatto talmente positivo che gli aveva anche permesso di riuscire ad affiancarsi al compagno di squadra, senza però affondare davvero il colpo, in parte perché è chiaro che Sebastian avesse scelto un approccio tranquillo alla partenza, e dall’altro perché davanti a sé aveva Verstappen, e ciò non gli garantiva grandi spazi di manovra.

Ciò nonostante, anche l’impostazione per curva 2 e 3 era stata davvero ottima, e anche in questo caso il quattro volte campione del mondo era riuscito a riportarsi all’altezza del compagno di squadra, dovendo però resistere anche in questa occasione, onde evitare incidenti nel caso Leclerc non avesse alzato il piede. Sfruttando lo slancio e il maggior grip garantito dalla gomma soft, Vettel era andato all’attacco anche di Max Verstappen, riuscendo a superarlo sul lungo rettilineo che porta alla staccata di curva 11: c’è da dire che forse in questo caso Sebastian avrebbe potuto essere leggermente più aggressivo nella chiusura, togliendo spazio all’olandese per tentare una risposta, soprattutto considerando che dal canto suo, il pilota della Red Bull non ha poi usato i guanti con il rivale della Ferrari, sfoggiando una difesa forse anche fin troppo dura. Ma al contempo è chiaro che sarebbe stata una risposta rischiosa e che un pilota come Max può riservarti delle sorprese e delle entrate particolarmente “cattive”, motivo per il quale forse rischiare non sarebbe poi stato così conveniente, soprattutto al primo giro con un’intera gara davanti. È importante inoltre constatare, che in quell’esatto momento, Vettel fosse in modalità ricarica della batteria, in quanto aveva usato buona parte della carica della batteria a disposizione attraverso i noti boost ibridi per attaccare sul rettilineo.

Fallito il tentativo di sorpasso, Vettel era comunque riuscito a mantenersi molto vicino a chi aveva davanti, un fattore utile soprattutto in previsione del DRS, grazie al quale avrebbe avuto quei pochi km/h di velocità in più utili per sfoderare un vero attacco. La mancata attivazione dell’ala mobile ha però sicuramente influito negativamente sulla corsa del tedesco, facendo sì che non potesse sfruttare al massimo quella breve finestra in cui la soft era chiaramente superiore rispetto alla media, ovvero fino a quando la mescola più soffice non avesse iniziato ad accusare un calo che l’avrebbe resa una gomma meno competitiva rispetto alla controparte. Un calo che ha iniziato a presentarsi intorno al settimo/ottavo giro, con un distacco che stava via via crescendo, anche perché Vettel aveva avuto la sfortuna di trovarsi Pierre Gasly, in quel momento doppiato, proprio in una delle zone più lente della pista, finendo per perdere preziosi decimi di secondo e staccarsi dal treno di quelli di testa. Al fine di riuscire a mantenersi il più vicino possibile, Sebastian aveva anche sfruttato i classici boost ibridi, ma ciò nulla poteva per sopperire ad una chiara differenza di passo. Come prevedibile, la sosta del tedesco è arrivata abbastanza presto rispetto ai rivali, nel corso del dodicesimo giro, ma ciò che nessuno si aspettava è che la Rossa avrebbe effettuato un doppio pit-stop, richiamando velocemente in sequenza entrambi i piloti. Ciò ha penalizzato soprattutto Vettel, il quale aveva subito un rallentamento durante la sua sosta, che lo aveva poi costretto a rientrare nel gruppetto alle sue spalle, ovvero quello formato da Nico Hulkenberg e Valtteri Bottas. Nonostante l’ausilio della gomma nuova, riuscire a superare su una pista come quella di Abu Dhabi, soprattutto senza il DRS e con prestazioni tra le due vetture molto simili, non è semplice e così è stato anche per Vettel, il quale ha sicuramente patito il fatto di non poter utilizzare l’ala mobile, nonostante in realtà fosse chiaro che il suo passo fosse di ben altro livello rispetto a chi lo precedeva. Una situazione che era costata a Vettel diversi secondi e la possibilità di riuscire a giocarsi concretamente l’ultimo gradino contro il compagno di squadra ma anche contro Bottas stesso, senza contare che l’essere bloccato nel traffico aveva dato anche l’opportunità ad Alexander Albon di riavvicinarsi e portarsi in una posizione particolarmente ravvicinata, sotto il secondo. Era chiaro, quindi, che riuscire a sopravanzare il finlandese della Mercedes fosse fondamentale, e non a caso il pilota di Heppenheim era subito andato all’attacco, cercando il sorpasso nel corso del diciassettesimo giro sia in curva 8 che in curva 11, senza però riuscire a concludere nessuno dei due. Nel primo tentativo, Bottas era stato molto bravo a chiudere, mentre nel secondo, quello potenzialmente decisivo, ciò che è mancata è stata un pizzico di fortuna, perché nel momento in cui Sebastian era uscito fuori dalla scia del rivale per tentare l’attacco ha subito perso qualcosa in termini di velocità massima, al contrario il finlandese il quale poteva contare sull’effetto traino di Hulkenberg davanti a sé, garantendogli quei pochi km/h orari in più utili per difendersi, tanto che alla fine del rettilineo, Vettel non si era ritrovato nemmeno in una buona posizione per tentare una staccata al limite.

Insomma, un’opportunità che poteva avere una storia diversa, anche perché nel momento in cui poi il pilota della Mercedes era riuscito a sbarazzarsi di Hulkenberg ed avere strada libera, i suoi tempi erano scesi in modo importanti, fattore che gli aveva oltretutto permesso di riuscire anche a guadagnare un piccolo vantaggio sul tedesco nonostante la gomma media usata montata sin da inizio gara. Come per Leclerc, è però importante segnalare che in questa fase della corsa, il muretto della Ferrari aveva istruito anche Sebastian di passare ad una mappatura più conservativa come engine 4, con in un certo senso lo stupore e le perplessità del pilota stesso: “Because we need it”, era stata la risposta di Ricciardo Adami, l’ingegnere di pista, in seguito ad una richiesta di chiarimenti. Al contempo, però, era stata anche concessa l’opportunità di poter usare i boost ibridi nel caso potessero essere necessari, come il K1. Perso il treno Bottas, l’obiettivo principale della corsa di Sebastian era quello non solo di mantenere Albon alle sue spalle a debita distanza, ma anche quello di salvaguardare l’utilizzo degli pneumatici, cercando una migliore gestione delle coperture posteriori in curva 3 e in curva 20: per far ciò il tedesco aveva iniziato ad applicare un tecnica di lift off, con cui sacrificava leggermente la prestazione assoluta per alzare il piede dall’acceleratore in alcune zone critiche della pista e ridurre lo stress sulle gomme stesse. L’esempio più concreto è quella di curva 3, dove se inizialmente la percorreva in pieno anche nel punto di corda, da circa il 35° giro in poi, ovvero da quando gli era arrivata la richiesta dai box, il quattro volte campione del mondo aveva iniziato ad alzare leggermente il piede, in modo da limitare le forze in azione sugli pneumatici e ridurne l’usura.

Così come per il compagno di squadra, era poi stato deciso in corsa un cambio di strategia, passando da una tattica ad una sosta ad una a due fermate, dove l’unica differenza con Leclerc era l’inversione della mescola: soft per il monegasco e media per il tedesco. L’ultimo stint di gara si è così trasformato in una vera e propria rincorsa al fine di recuperare il gap accumulato su Albon e riuscire a chiudere al quinto posto, con un sorpasso arrivato non senza però qualche difficoltà, perché così come Verstappen ad inizio gara, anche l’altro pilota della Red Bull era risultato piuttosto aggressivo nella difesa, compiendo anche una manovra molto al limite del regolamento. Ciò nonostante, Sebastian, è poi riuscito a guadagnare la posizione, concludendo così al quinto posto una gara pesantemente complicata da quel lento primo stop che lo aveva fatto finire nel traffico, quanto in realtà l’obiettivo era di rimandarlo in pista proprio fuori da quel gruppetto. Sicuramente in Ferrari avrebbe potuto scegliere un approccio più conservativo, anche perché la necessità di fermare Leclerc così presto non era impellente, né dal punto di vista strategico né da quello pratico. Un aspetto interessante riguardante gli ultimi giri della corsa del tedesco riguarda nuovamente l’utilizzo delle mappature: se nel corso del 53° giro, Ricciardo Adami aveva dato l’opportunità a Vettel di poter restare in engine 1 sino alla conclusione della corsa, subito dopo l’avvenuto sorpasso ai danni di Albon, sempre lo stesso ingegnere aveva aperto nuovamente la radio per comunicare al tedesco di tornare in engine 4, il che risulta un po’ strano. Se è pur vero che dopo aver sferrato l’attacco, il quattro volte campione del mondo si trovasse in una situazione relativamente tranquilla, perché non lasciarli comunque l’opportunità di usare le mappature più aggressive, precedentemente approvate, in modo da essere sicuri al 100% di avere la massima potenza a disposizione per concludere le ultime tornate in sicurezza? Perché così tanta fretta di tornare in engine 4 quando a quel punto chiaramente i consumi non erano un problema e l’affidabilità neanche?

Al netto di questi discorsi, indubbiamente si è trattata di una stagione molto complicata per la Rossa di Maranello, avara di particolari soddisfazioni. L’inizio è stato il momento più difficile, perché tra alti e bassi era comunque chiaro che la SF90 non fosse quella vettura che tutti si aspettavano, con chiari problemi di bilanciamento e gravi mancanze di carico, soprattutto all’anteriore, per una vettura che aveva fatto dell’efficienza aerodinamica il suo punto di forza. Una prima parte di stagione in cui i difetti dell’ultima vettura della Scuderia aveva mostrato tutti i suoi punti deboli e che non aveva permesso a nessuno dei due piloti di esprimersi ai livelli che ci si sarebbe aspettato. Il primo grande pacchetto di aggiornamenti era arrivato in Francia, atto soprattutto a focalizzarsi e risolvere i problemi all’anteriore che tanto avevano creato problemi negli appuntamenti precedenti. Ciò ha sicuramente aiutato in particolar modo Charles Leclerc, il quale è riuscito a fare un grosso passo in avanti in termini di set-up e di costanza in qualifica, tanto da concludere abbastanza stabilmente davanti al compagno di squadra. Un pacchetto aerodinamico e una nuova filosofia di lavoro, tentando di adattare più la macchina al proprio stile che viceversa, aveva portato il monegasco su nuovo livello, molto più competitivo e costante. Il secondo grosso pacchetto di aggiornamenti è poi arrivato a Singapore, per una delle tappe che sulla carta avrebbe dovuto essere tra quelle più difficili per la SF90. Ma così non è stato, perché la monoposto italiana, dopo aver vinto su tracciati veloci come quelli di Spa e Monza, si era dimostrata competitiva anche su piste estremamente lente e tortuose, dove aderenza meccanica e un buon set-up possono fare davvero la differenza. Il nuovo pacchetto di aggiornamenti, volto soprattutto a migliorare l’efficienza del posteriore a garantire maggior carico, aveva sicuramente aiutato Sebastian Vettel con i suoi problemi di stabilità con la zona posteriore della monoposto a cui, seppur avesse vinto i due appuntamenti precedenti, mancava ancora il raggiungimento del perfetto bilanciamento aerodinamico. Ciò nonostante, nella seconda metà del campionato, la SF90 si è spesso dimostrata una vettura estremamente competitiva, sia sul giro secco che sul passo gara, confermando che i progressi compiuti durante la stagione potevano essere un segnale incoraggiante, perché tali progressi in casa Ferrari non si vedevano da anni. Ciò che è mancata è stata però la costanza, perché sono molti gli appuntamenti in cui la Rossa si è dimostrata altalenante in tema di performance, al contrario della Mercedes che si è giocata il successo perlomeno in quasi tutti gli appunamenti del mondiale. Sicuramente la vettura della prossima stagione sarà basata su quella di quest’anno, non vedremo una rivoluzione, come dichiarato più volte anche da Mattia Binotto: sarà una monoposto su cui verrà cercato più carico aerodinamico, anche a dispetto dell’efficienza aerodinamica.

Midfield: un ultimo giorno di scuola tra strategie e sorpassi spettacolari

Arrivando ad Abu Dhabi, era tanti i temi di discussione che caratterizzavano la midfield: chi avrebbe conquistato il sesto posto nel mondiale piloti tra Pierre Gasly e Carlos Sainz Jr.? Come sarebbe stata l’ultima gara con la Renault per Nico Hulkenberg? La squadra francese sarebbe riuscita a difendere il quinto posto nel mondiale costruttori dalla Toro Rosso? Se nelle posizioni di testa il Gran Premio è sembrato abbastanza scontato in termini sia di performance che di risultati, a centro gruppo, la gara di Yas Marina ci ha regalato tanto spettacolo e una grande varietà di strategie, le quali hanno sicuramente reso questo ultimo appuntamento del mondiale davvero interessante.

A guadagnarsi per l’ultima volta il titolo di “best of the rest” è stato Sergio Perez, il pilota della Racing Point autore di una grandissima corsa, fatta di una gestione gomme eccezionale, come spesso ci ha abituato. Già al venerdì era sembrato chiaro che il messicano avesse potenzialmente il passo per riuscire a centrare un buon risultato alla domenica e indubbiamente l’undicesimo posto (poi decimo con la penalità a Bottas) delle qualifiche gli aveva dato anche una grossa mano da questo punto di vista, permettendogli di avere libertà in tema gomme per cui partire sulla media, una mescola più versatile e duratura, al contrario di chi aveva davanti a sé che sarebbe invece partito con la soft. Le prime fasi di gara sono state però un po’ movimentate per “Checo”, il quale era stato coinvolto nell’incidente tra Pierre Gasly e il compagno di team Lance Stroll, senza però riportare alcun danno di sorta: ciò però gli aveva fatto perdere diverse posizioni, vedendolo così costretto a rimontare e recuperare ciò che era stato perso nonostante inizialmente non fosse nemmeno possibile utilizzare il DRS. Con il prosieguo della corsa, il pilota della Racing Point ha dimostrato ancora una volta perché sia uno dei migliori nella gestione degli pneumatici, facendo durante quel set di partenza ben 37 giri, prima di passare alla hard per un ultimo stint tutto all’attacco. Il vero capolavoro è stato però quello compiuto nell’ultimo giro, nella battaglia con Lando Norris per il settimo posto finale: dopo aver tentato più volte di trovare uno spiraglio, mancavano solamente poche curve alla bandiera a scacchi. Nel tentativo di difendersi e portare a casa una settimana posizione che avrebbe anch’egli meritato, Lando Norris aveva scelto di approcciarsi a curva 11 con una linea particolarmente difensiva, restando al centro della pista, in modo che il suo avversario non avesse abbastanza spazio per tentare un attacco sull’interno, senza però compromettere esageratamente la percorrenza delle curve successive.

Ciò però aveva lasciato la porta aperta sull’esterno, dove seppur riuscire ad inserirsi ed affiancarsi al rivale risulta complicato, al contempo risulti essere anche una mossa non impossibile, soprattutto perché nella curva successiva chi si trovava largo avrebbe poi avuto l’interno, decidendo così qualche linea prendere e quanto forzare il tentativo. E così è stato anche per Perez, bravo ad allungare la staccata e percorrere curva 11 essenzialmente affiancato a Norris, fattore che gli ha poi dato la possibilità di riavere l’interno in curva 12 e completare un sorpasso spettacolare, come pochi se ne erano visto ad Abu Dhabi. C’è da sottolineare che forse Norris avrebbe potuto essere più aggressivo nella difesa, cercando di chiudere maggiormente l’esterno nella primissima fase di inserimento, senza però spingere il messicano fuori pista, cosa che lo avrebbe fatto finire sotto investigazione. È anche vero che, però, nel momento in cui Perez è poi riuscito ad affiancarsi, il pilota della McLaren virtualmente non poteva fare molto di più, in parte perché in quel momento l’alfiere della Racing Point si trovava nell’angolo cieco dell’inglese, in parte perché forzando e allargandosi troppo, sicuramente i due sarebbero venuti al contatto. “La prima parte della mia gara è stata un po’ incasinata, in quanto sono stato colpito da Gasly in curva 1 e ciò ha significato perdere alcune posizioni. Senza il DRS, abbiamo perso un po’ di tempo, ma siamo riusciti comunque ad effettuare dei sorpassi anche senza l’ala mobile. Dopo un lungo primo stint, dovevamo spingere per riuscire a recuperare il gruppo della midfield. Abbiamo fatto una gara molto positiva e il mio sorpasso durante l’ultimo giro su Norris in curva 11 è stata uno dei migliori della mia carriera. I sei punti che abbiamo guadagnato significano entrare nella top ten della classifica mondiale piloti e sono contento che siamo riusciti a raggiungere questo risultato”, ha commentato Perez a fine corsa.

Il messicano quindi aveva dovuto vedersela con uno degli altri protagonisti della zona di centro gruppo, Lando Norris, per cui il weekend di Abu Dhabi è stato indubbiamente un fine settimana positivo. Dopo aver centrato il settimo posto in qualifica ed aver così battuto il compagno di squadra negli scontri diretti sul giro secco, l’inglese era riuscito a mantenere la stessa posizione di partenza, nonostante un primo giro davvero movimentato, in cui aveva provato anche ad attaccare Alexander Albon, senza però trovare il sorpasso cercato. Giro dopo giro, Lando stava continuando a porre le basi per un buon risultato, fino a quando, nel corso dell’ottavo giro, un bloccaggio nella staccata di curva 17 non lo aveva costretto ad un pit stop anticipato sulla tabella di marcia, a causa delle eccessive vibrazioni che provenivano dallo pneumatico stesso.

Una sosta quindi molto anticipata, in cui Norris era stato costretto a montare il set di coperture hard con cui sarebbe dovuto arrivare fino alla fine, ovvero oltre 45 passaggi sullo stesso treno. Una decisione che per poco non gli sarebbe costata già il settimo posto, perché nel momento in cui poi ad esempio Nico Hulkenberg era rimasto in pista a lungo su quelle stesse gomme soft di partenza, i suoi tempi gli avrebbero permesso di andare molto vicino a concludere un overcut sull’inglese. Ciò nonostante, Lando è stato molto bravo nel gestire gli pneumatici fino alla fase finale della corsa, dove solamente quel sorpasso spettacolare di Sergio Perez gli ha tolto un settimo posto che fino a quel momento si era guadagnato. Indubbiamente ad aiutarlo è stato anche il fatto che il compagno di squadra, Carlos Sainz Jr. ed uno dei rivali più diretti, Daniel Ricciardo, abbiano passato molto tempo a marcarsi e darsi battaglia a vicenda, dando così la possibilità al numero 4 di avere così un piccolo margine di sicurezza nelle fasi successive dopo il pit stop, anche se erano tutti molto vicini. La corsa del pilota spagnolo aveva un solo obiettivo, ovvero riuscire a conquistare quei punti che gli sarebbero valsi il sesto posto nel mondiale piloti. Da questo punto di vista, allo spagnolo è andata anche molto bene, perché dal punto di vista strategico non si può dire che in McLaren non abbiano commesso qualche errore di troppo che avrebbe potuto pesare in modo irrimediabile sulla corsa del numero 55. La scelta di rispondere al pit stop di Daniel Ricciardo, un chiaro tentativo di riuscire a far fermare anche la seconda MCL34 dopo quella di Norris, è stato un errore, perché come dimostrato da Nico Hulkenberg, le possibilità per andare avanti e comunque avere un passo ancora di tutto rispetto c’erano tutte, tanto che nel momento in cui è poi tornato in pista dopo la sosta, il tedesco grazie al vantaggio della gomma nuova è riuscito a sbarazzarsi velocemente dello spagnolo, passando da quarto a secondo del gruppo. Da quel momento in poi c’è stata una fase di stallo, dove nessuno è poi davvero riuscito a tentare il sorpasso sull’altro, nonostante tutti si trovassero a circa un secondo di distanza l’uno dall’altro.

Ciò ha spinto il team di Woking a scegliere una strategia estremamente aggressiva, decidendo da una parte di lasciare Norris fuori sullo stesso set di pneumatici montato nel corso dell’ottavo giro, lasciandogli però anche la track position, in modo da difendersi sul finale da Sergio Perez, mentre dall’altra richiamando Carlos Sainz Jr. per un ultimo stint tutto all’attacco. Una mossa ancora oggi difficile da valutare, perché seppur sia chiaro che alla fine abbia funzionato, è anche vero che comunque è riuscita a dare i suoi frutti solamente nell’ultimissimo giro, grazie anche ad un grande sorpasso dello spagnolo su Nico Hulkenberg in staccata di curva 11, uno degli attacchi più belli dell’interno Gran Premio. Facendo ciò, Carlos era riuscito a conquistare anche la decima posizione e quel punticino che gli serviva per sopravanzare Pierre Gasly nella classifica piloti e concludere così al sesto posto. “Sono molto felice” – ha poi commentato il pilota della McLaren dopo la corsa -. “L’obiettivo era il sesto posto nel mondiale piloti e ci siamo riusciti! Non è stata una gara semplice, con tanto traffico e dover essere anche partiti con il compound più soffice. Abbiamo scelto una strategia a due soste sapendo che mi avrebbe messo in una posizione difficile per riuscire a raggiungere il decimo posto, ma sapendo anche che era la mia unica chance. Sono riuscito a raggiungere Hulkenberg alla fine e completare un sorpasso che non dimenticherò mai nel corso dell’ultimo giro. Sono molto felice della mia stagione e sono grato ad ogni singolo membro del team. Grazie!”.

Tra le due McLaren si è inserito un ottimo Daniil Kvyat, che ha fatto della strategia il suo punto di forza nella corsa di Abu Dhabi. Il russo era stato l’unico dei piloti della midfield a decidere di partire sulla gomma più dura di tutti, la hard, optando così per un primo stint particolarmente lungo che gli avrebbe dato, nel caso fosse riuscito a mantenere un buon passo e stare lontano dal traffico, di avere una buona chance di riuscire ad effettuare un’ultima parte di gara completamente all’attacco, in cui avrebbe potuto concludere anche nella zona punti. Un azzardo che effettivamente ha dato i suoi frutti, permettendo a Daniil di concludere con un ottavo posto e un’ultima bellissima prova di una stagione da ricordare. Non è andata invece altrettanto meglio all’altro pilota della Toro Rosso, Pierre Gasly, il quale dopo il podio conquistato nella rocambolesca gara in Brasile, giungeva ad Abu Dhabi con il solo obiettivo di riuscire a conquistare il sesto posto nella classifica mondiale piloti. Sarebbe stato difficile, ma così come dimostrato da Kvyat, con la giusta strategia e un pizzico di fortuna, sarebbe stata una missione possibile, conquistando quei pochi punti che lo avrebbero messo al sicuro da Carlos Sainz Jr.. Purtroppo per il francese, però, la sua gara si è rivelata ben più complicata di quello che si aspettasse, in quanto un incidente nel corso del primo giro provocato da Lance Stroll, lo aveva messo essenzialmente fuori gioco, costringendolo ad una sosta molto anticipata per cambiare il musetto. A rendere ancor più complicato il tutto sono state le difficoltà incontrate dalla squadra nel rimuovere proprio il muso danneggiato, impiegando quasi un minuto per completare la sosta e farlo ripartire sulla hard. Con oltre un minuto di svantaggio, però, era chiaro che la sua corsa era ormai definitivamente compromessa e senza l’entrata in pista della Safety Car, sarebbe stato praticamente impossibile non solo riuscire ad andare a punti, ma anche recuperare il gruppetto più lento di monoposto. Il suo mondiale si è così concluso con un mero 18° posto, pieno di rimpianti per quello che avrebbe potuto essere.

Fuori dai punti anche le due Renault, in lotta per una posizione nella top ten fino all’ultimo, a cui però è mancato qualcosa. Si trattava dell’ultima gara con la squadra francese per Nico Hulkenberg, il quale al sabato era riuscito a conquistare in extremis la Q3, vedendosi così però costretto a partire con la soft. Da un certo punto di vista la scelta di partire su questo compound non è stata del tutto errata per il tedesco, perché gli ingegneri Renault avevano provato una strategia alternativa, molto aggressiva, ma che inizialmente stava dando i suoi frutti: invece di richiamarlo in anticipo, seguendo quanto fatto dalla McLaren con i suoi piloti, gli strateghi della squadra francese aveva giustamente deciso di lasciare Nico fuori ancora per diverse tornate, constatando che i tempi ottenuti su quella soft usata erano ancora competitivi, abbastanza da potergli addirittura permettere di completare un overcut non solo sul compagno di squadra, ma anche su una delle due monoposto di Woking. Forse la sosta è arrivata un giro troppo tardi, ma in ogni caso la strategia scelta dalla squadra francese aveva dato i propri frutti, con il numero 27 che era riuscito a sopravanzare ai box il compagno di squadra, e in pista Carlos Sainz Jr. A differenza degli altri, però, con Hulkenberg la squadra di Enstone aveva optato per effettuare un secondo stint non sulla gomma hard, quella che essenzialmente avevano montato tutti, ma su quella media, il che ha lasciato un po’ sorpresi, perché se è pur vero che fosse fattibile, la soluzione più dura avrebbe sicuramente garantito maggior versatilità ed una migliore gestione per il finale di gara. Ciò nonostante, Nico era riuscito ad arrivare all’ultimo giro in una posizione ancora utile per un punto che avrebbe dato lustro ad un ultima corsa gestita molto bene. A privarlo di questa soddisfazione è stato solamente un gran sorpasso di Carlos Sainz Jr. e un consumo gomme che davvero lo aveva messo allo stremo, nonostante il tedesco fosse stato molto bravo a gestire il compound nei giri precedenti al duello. Giornata senza punti anche per Daniel Ricciardo, il quale ha seguito molto da vicino essenzialmente la stessa strategia dello spagnolo della McLaren, a cui però è mancata per tutta la gara uno spunto che gli facesse guadagnare la posizione in pista ai danni dei suoi rivali.

Per concludere, si è trattato di un fine settimana estremamente complicato per i clienti motorizzati Ferrari, ovvero l’Alfa Romeo-Sauber e la Haas. Per quanto riguarda il team italo-svizzero, indubbiamente dopo l’ottima prestazione del Brasile, nonostante si trattasse di una pista con caratteristiche molto diverse, chiaramente ci si aspettava un buon risultato anche ad Abu Dhabi, sperando quantomeno di inserirsi nella lotta per i punti. Già dal venerdì, però, era abbastanza chiaro che sarebbe stato complicato riuscire a finire nella top, perché, nonostante la vettura in realtà si comportasse bene, sia sul giro secco che sul passo gara mancava performance, con quest’ultimo che comunque sulla carta sembrava poter riservare qualche soddisfazione in più alla domenica. In Alfa Romeo hanno scelto una strada strategica molto chiara optando per il singolo pit stop: una tattica che in realtà in un certo senso ha funzionato, soprattutto con il finlandese, il quale ha concluso a meno di dieci secondi dalla zona punti, anche se c’è da segnalare che la battaglia sul finale per il decimo posto ha sicuramente aumentato il ritmo dei piloti che precedevano il finlandese, mascherando il distacco finale. Ciò nonostante, comunque, non è un risultato negativo in assoluto, ma rappresenta bene la stagione dell’Alfa Romeo, a cui quest’anno è mancata costanza. Dopo un buon avvio, nella seconda parte del mondiale spesso la squadra italo-svizzera è stata protagonista di buone prestazioni, ma non abbastanza per riuscire a conquistare i punti con una certa continuità. Per il compagno di squadra, Antonio Giovinazzi, si era invece scelto una strategia diversa, prendendosi l’azzardo di partire con la soft per completare una prima parte di gara tutta all’attacco. Una decisione che in realtà non ha pagato, perché la strategia a due soste non ha poi davvero permesso all’italiano di riportarsi vicino alla zona punti, rimanendo tra l’altro anche immischiato in un incidente con una Williams. Ciò nonostante, si tratta di una stagione comunque positiva per l’italiano, che più volte durante il campionato ha mostrato di aver fatto passi in avanti considerevoli, sia in qualifica che in gara, con il quinto posto in Brasile come miglior risultato dell’anno. Dopo un inizio complicato, in cui Antonio non era riuscito a trovare la quadra, con il passare delle gare l’italiano ha acquistato sempre più fiducia e prestazione, conquistando anche diverse Q3 e risultati di prestigio: peccato per alcune opportunità mancate, come quella di Spa, ma è un indubbiamente una buona base su cui partire per fare un salto di qualità nella prossima stagione.

Prossima stagione che dovrà essere completamente diversa invece per la Haas, che ad Abu Dhabi ha così concluso l’anno più deludente da quando è entrata in Formula 1, persino peggiore di quello del debutto nel 2016. Così come in altri appuntamenti, la VF-19 sulla pista di Yas Marina si è rivelata una monoposto di difficile comprensione, che non ha dato i risultati sperati: se in Brasile, così come l’Alfa Romeo, la vettura statunitense aveva dato dei buoni segnali, ad Abu Dhabi si è fatto nuovamente un passo indietro, vedendosi lontani dalla zona punti. Come ci si aspettava dopo la qualifica, per la Haas non c’è stato molto da fare, in una gara in cui, anzi, è stata anche sopravanzata dall’altro cliente motorizzato Ferrari dopo averla battuta al sabato. Si conclude così una stagione deludente, ben lontana dalle aspettative soprattutto distante in termini di risultati e performance da un 2018 che li aveva visti in lotta per il mondiale. La VF-19 passerà probabilmente alla storia come una delle vetture più incomprensibili della storia, capace di grande exploit ma anche di prestazioni estremamente deludenti.

“Un cordiale saluto”

Si conclude così la stagione 2019 di Formula, per cui noi vi ringraziamo di averci seguito (e se siete arrivati fino a questo punto, grazie e un saluto!) e vi auguriamo una piacevole pausa invernale, prima di rivederci per la stagione 2020, in cui l’obiettivo di tutti sarà ancora una volta quello di strappare lo scettro a Lewis Hamilton e alla Mercedes.

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