F1 | Hamilton straordinario, ma per molti la vittoria di Interlagos è solo figlia del motore…
L'inglese ha emozionato non tanto per la rimonta compiuta, ma per come ha osato nel duello con Verstappen
“Non è finita“. Lo aveva promesso Lewis Hamilton al termine della Sprint Race di sabato, dove aveva dato sfoggio della sua classe per rimontare dall’ultima posizione in griglia fino alla quinta dando così gusto e pathos ad un format onestamente indigesto a molti appassionati. I campioni sanno tenere fede alle promesse e così il buon caro Lewis si è ripetuto anche ieri rendendo emozionante una gara che lo ha visto issarsi in testa la GP dopo un lungo inseguito alla Red Bull di Max Verstappen.
Quello di Interlagos sembrava il weekend dove Verstappen poteva mettere il punto esclamativo nella lotta al titolo, portandosi ad una “gara” di vantaggio , e invece la campagna iridata si è fatta più viva che mai a tre gare dalla conclusione della stagione. Un weekend che pareva segnato per Hamilton, costretto dapprima a montare un nuovo motore termico (il quinto in questo 2021, mettendo ancora una volta in luce la scarsa affidabilità Mercedes…) ed incappare così in una penalità che lo metteva in posizione di debolezza a cui poi si aggiunta una squalifica ineccepibile (come accaduto per Vettel in Ungheria, quando c’è di mezzo un dato matematico non c’è scampo…) che pareva essere la pietra tombale per il 44.
E invece Hamilton si è rimboccato le maniche e come fanno i grandi campioni ha scacciato quella negatività che lo avrebbe potuto ledere, soprattutto a livello mentale, mettendo in chiaro una cosa: Max Verstappen dovrà sudare le fatidiche sette camicie per trasformare in realtà quel sogno chiamato Mondiale. Eppure, come capita molto spesso, le grandi gare di Hamilton passano sotto traccia perché guida una Mercedes. Come se fosse un peccato di lesa maestà avere tra le mani una monoposto competitiva, ma soprattutto come se Verstappen stesse tenendo testa al rivale guidando una vettura spinta con i piedi in stile Flintstones. Anche in questo caso, come accaduto ad Austin e Città del Messico, ha vinto il binomio migliore macchina-pilota.
Per carità nessuno nega le prestazioni straordinarie della W12, ma per i più Hamilton ha vinto solamente perché aveva quel motore fresco che gli ha permesso di fare la differenza senza dimenticare che proprio l’inglese era quello che aveva maggiormente da perdere nell’appuntamento di Interlagos. Doveva osare su Verstappen (molto malizioso nella chiusura su Lewis, a parti invertite in molti avrebbero chiesto la penalità del 44) e ha osato regolando Max nelle fasi finali di gara.
Ecco perché la vittoria di Hamilton ha emozionato. Non tanto per la mera successione dei sorpassi, dei quali solamente alcuni sono stati “sudati”, ma per la precisione e i dettagli nella guida e per averci creduto fino in fondo: per riaprire il Mondiale doveva rischiare e non aveva altro risultato che la vittoria. Condita da quella bandiera brasiliana sventolata nel giro di rientro ai box. Hamilton non è Senna, ci mancherebbe, ma è stato come tornare indietro nel tempo. A quella torcida che caratterizzava l’Interlagos dei tempi d’oro. Proprio negli anni in cui correva Ayrton. Passato e presente, come per magia, si sono allineati ed è stato bello. Molto bello.
Piero Ladisa
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