F1 | GP d’Olanda, Verstappen: vincere attaccando al momento giusto

Il pilota della Red Bull ha saputo respingere gli attacchi della Mercedes, che aveva diversificato la strategia per metterlo in difficoltà

F1 | GP d’Olanda, Verstappen: vincere attaccando al momento giusto

Davanti ad una folla pazza di gioia, per Max Verstappen non poteva esserci finale migliore nel proprio appuntamento di casa, grazie ad una vittoria che gli ha permesso di ritornare in testa alla classifica staccando di tre lunghezze il suo rivale più diretto, Lewis Hamilton. Un successo arrivato con una gara d’autorità, gestita dall’inizio alla fine nonostante i tentativi della Mercedes di ribaltare il risultato diversificando la strategia dei due piloti, in modo che potessero mettere sotto pressione il portacolori della Red Bull.

Su una pista dove i sorpassi risultano estremamente complicati, soprattutto senza un errore da parte dell’avversario, l’unica tattica per la casa della Stella era proprio quella di giocare due contro uno, di sfruttare l’incertezza delle strategie in gara per porre la squadra di Milton Keynes sotto scacco. Una tattica che, tuttavia, avrebbe funzionato solamente a determinate condizioni, che l’olandese far di tutto per evitare si potessero concretizzare. Proprio per questo, allo spegnimento dei semafori, Verstappen era subito andato sull’acceleratore, cercando di mettere tra sé e il britannico della Mercedes un gap sufficiente perché quest’ultimo non potesse sfruttare il DRS per portare l’attacco. Dopo due giri, Max era riuscito a mettere tra sé e i contendenti alle proprie spalle un gap di oltre due secondi, sufficiente per ragionare non solo sull’immediato, ma anche sulla lunga distanza. Un inizio gara tutto all’attacco, in cui a fare la differenza era stata la rapidità della RB16B nel portare in temperatura gli pneumatici, garantendo così un maggior grip, e allo stesso tempo la bravura dell’alfiere di Hasselt nel far funzionare un approccio così aggressivo, per quanto potenzialmente potesse avere i suoi contro: la prima fase di vita della gomma, infatti, è spesso quella più importante, in quanto un eventuale stress potrebbe portarne ad un degrado prematuro, motivo per il quale il sette volte campione del mondo alle sue spalle aveva deciso di prendersela con più calma, consapevole che si sarebbe trattato di una partita da giocare che avrebbe visto il suo momento più importante solamente a corsa inoltrata e non nelle fasi iniziali.

Se al venerdì e al sabato Verstappen non aveva riscontrato particolari problemi con il bilanciamento della monoposto, tanto che senza errori durante le qualifiche avrebbe potuto staccare completamente i suoi rivali infliggendogli un distacco ragguardevole, lo stesso non di poteva dire per la domenica, dove il maggior quantitativo di carburante a bordo non sembrava favorire la stabilità della vettura. In particolare, la RB16B numero 33 sembrava soffrire nelle zone più lente del tracciato, come curva nove e curva undici, a causa di continue perdite del posteriore che costringeva il talento olandese a continue micro-correzioni, le quali certamente andavano ad influire sul tempo complessivo del giro. Al di là di questi piccoli problemi, sin dalle tornate iniziali Verstappen si era dimostrato a proprio agio con la monoposto e dai box erano giunte indicazione ben precise, ovvero quelle di contenere l’usura degli pneumatici nei curvoni più rapidi del tracciato, come nel secondo settore in curva sette e otto, oppure in curva tredici, la penultima prima di spingersi sul banking del tratto finale e lanciarsi sul rettilineo di arrivo. Era chiaro che Red Bull stesse prendendo in considerazione tutti gli eventuali scenari che Zandvoort avrebbe potuto comportare: chiaramente, la chance più realistica da parte di Mercedes era quella di sdoppiare la strategia, mettendo Hamilton su una tattica a due soste e Bottas su un singolo pit stop, in modo che sul finale dello stint potesse rallentare il passo del pilota della Red Bull e mantenerlo alle spalle nella speranza che commettesse un errore o aprisse le porte ad un eventuale sorpasso da parte del sette volte campione del mondo.

Con un Gran Premio ancora legato all’incertezza, tuttavia, il muretto della squadra di Milton Keynes non poteva lasciarsi trovare impreparata, in quanto sapeva che una tattica a due soste non avrebbe offerto gli stessi benefici cronometrici della sosta unica, soprattutto se il portacolori della Mercedes non si fosse fermato a sua volta ma avrebbe proseguito, confermandosi su una condotta con un solo pit-stop. Nel caso il britannico fosse riuscito a mantenere un buon passo per arrivare fino alla fine senza perdere secondi preziosi nel traffico, le opportunità di portare a casa il trofeo più ambito non sarebbero poi state così ridotte, in particolar modo se vi si sarebbe presentata la possibilità di sfruttare ancora una volta Bottas per imporre la propria egemonia. Non doveva quindi sorprendere che il muretto della squadra di Milton Keynes avesse mantenuto un approccio più conservativo, in cui non serviva spingere per incrementare eccessivamente il gap, ma piuttosto il quantitativo necessario per riuscire a coprire un eventuale undercut, sapendo che ci sarebbe poi stato da gestire del  vantaggio il duello con il finlandese, usato come pedina sacrificale per riportare Lewis davanti a tutti. A dare questa idea era stato anche un team radio della Mercedes, che aveva comunicato al numero 44 che al piano iniziale sarebbero stati tolti cinque giri, un divario compatibile con quella che avrebbe potuto essere un’eventuale strategie a due soste.

Un’intuizione che si sarebbe rivelata giusta, perché dopo soli venti passaggi, la Mercedes aveva richiamato Hamilton, mettendolo in aria completamente pulita, dove avrebbe potuto sfruttare gli pneumatici senza alcuna intromissione da parte dei doppiati o di duelli vari. Per quanto ciò avrebbe significato sacrificare virtualmente la prima posizione nei confronti di Bottas, il team diretto da Chris Horner aveva le idee ben chiare su quali fossero gli obbiettivi della corsa di Zandvoort: restare a tutti i costi davanti a Lewis Hamilton, anche a costo di mettere a rischio il successo di tappa, dato che il confronto con l’inglese si sarebbe rivelato l’elemento più importante. Proprio per questo, nel giro successivo al pit stop di Hamilton, anche il muretto della Red Bull aveva deciso di richiamare il proprio pilota, in modo da pareggiare la strategia ed andare a coprire qualsiasi mossa che avrebbe fatto il rivale nella corsa per il mondiale. Nonostante i quattro secondi accumulati nel corso del primo stint, la squadra inglese non aveva alcun motivo di rischiare e rimanere fuori per completare qualche altro passaggio su un set più vecchio, per cui lo aveva fermato immediatamente, rispondendo colpo su colpo. Ma quei due secondi di vantaggio al rientro in pista sarebbero stati preziosi, perché avrebbero dato modo di dover evitare di spingere dall’inizio, quanto piuttosto di mantenere un livello costante e dolce nei primi giri nella speranza che questo approccio più dolce potesse portare i propri benefici sulla vita degli pneumatici.

Dopo il pit stop, tuttavia, era giunta quella che forse sarebbe stata la parte più difficile e frustrante del Gran Premio, ovvero vedersela con l’altra W12, quella di Valtteri Bottas, il quale non era ancora rientrato non solo per provare a completare la corsa con un solo pit-stop ma, soprattutto, per tentare di mettere i bastoni fra le ruote al battistrada e limitarne il ritmo, dando così ad Hamilton la possibilità di riportarsi vicino. Dopo qualche passaggio in cui la differenza tra i due sembrava evidente, verso la fine della sua rimonta, l’olandese si era preso qualche secondo di spazio: paradossalmente, Max non aveva fretta di tentare il sorpasso, così come non lo aveva l’inglese, che difficilmente sarebbe riuscito a completare una manovra di sorpasso senza che si venissero a creare le condizioni ideali data la complessità del tracciato e le poche opportunità. Dopo una fase di attesa, tuttavia, il pilota di Hasselt era andato all’attacco e nello spazio di un paio di tornate era già alle prese con quello che sarebbe stato il momento decisivo della corsa, il momento in cui bisognava attaccare. Una manovra che non sarebbe stata affatto semplice, per cui sarebbe stato suo malgrado proprio il finlandese a fare la differenza in negativo, arrivando all’errore nella staccata di curva undici, elemento che gli aveva permesso di avvicinarsi velocemente e sfruttare il banking, così come il lungo rettilineo, per portare il sorpasso e ritornare così in testa alla corsa.

Persa l’opportunità più importante ti ribaltare le sorti della corsa, il secondo stint non aveva visto una storia poi così differente dalla prima, ma vi erano tre elementi importanti da prendere in considerazione: il primo era il traffico, che su un circuito così tortuoso e stretto avrebbe potuto mettere in difficoltà anche nella fase doppiaggio. il secondo elemento era forse quello a cui prestare maggior attenzione, ovvero riuscire a portare Valtteri Bottas fuori dalla propria finestra per il pit stop, in modo che non si potesse ripresentare la medesima situazione a cui si era assistito in precedenza. Infine, il terzo tema chiave della lotta per il predominio di Zandvoort riguardava l’analizzare le varie tattiche a disposizione di Hamilton, la cui scelta più logica sarebbe stata quella di mantenersi vicino e tentare un undercut al momento giusto. Ma è proprio su quest’ultimo tema che va focalizzata l’attenzione per dimostrare la bravura del muretto Red Bull: nei giri in cui Hamilton sarebbe stato in procinto di fermarsi nuovamente montando ancora una media, l’ingegnere di pista di Verstappen gli aveva comunicato di abbassare il ritmo e spingere, in modo da forzare Mercedes stessa a dover reagire prima di perdere il treno. Un’ora o mai più, perché dopo quei giri spinti, Lewis non avrebbe potuto fare altro che fermarsi per avere qualche minima speranza che l’undercut potesse funzionare. Una mossa che in realtà non avrebbe dato i suoi frutti, in quanto cercando di spingere il britannico alla sosta, non avrebbero potuto far altro che rimandarlo nel traffico di centro gruppo, perdendo così ogni speranza di riuscire a concretizzare all’atto pratico una strategia aggressiva ma sfortunata. Scampato anche il pericolo Bottas, il muretto Red Bull ancora una volta aveva decido si giocare d’astuzia richiamando Verstappen per la sua ultima sosta. La decisione Mercedes di impostare una gara a due soste era sostanzialmente basata anche sui set a disposizione del team di Milton Keynes, la quale non disponeva di due treni di medie, al contrario della Mercedes, ma solo di un set di hard e una di soft. Cercando un approccio diverso, la speranza del team campione in carica era quella che la Red Bull sarebbe stata costretta a montare la mescola più tenera con largo anticipo, tanto da portarla ad un degrado precoce sul finale. Al contrario, tuttavia, Red Bull aveva semplicemente deciso di puntare sul compound più duro, indubbiamente meno prestazionale ma che avrebbe portato meno grattacapi sulla lunga distanza. Da lì fino al traguardo l’incognita maggiore era quella del traffico, che Verstappen era riuscito a districarsi non senza qualche difficoltà, conquistando così un preziosissimo successo che lo ha riportato in testa alla classifica mondiale, privando oltretutto Mercedes di un’opportunità concreta di ottenere un risultato ancor più importante.

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