F1 | Bottas il boscaiolo, Kimi l’indomito e Kvyat il vendicatore: tre eroi in copertina
Tre storie diverse. Tre storie da raccontare del GP d'Australia
“We can be heroes, just for one day”. Perché Melbourne per alcuni, di rosso vestiti va’, è stata un malinconico mistero di forma e sostanza, lo sconforto unito allo sconcerto, mentre Altri hanno indossato il mantello, come se fossero i protagonisti di un film della Marvel, per raccontare una propria versione della storia australiana, per dare un significato anche più profondo all’incedere rutilante delle gomme sull’asfalto.
A ribaltare pregiudizi e battutine, risolini e sfottò, a vincere e convincere c’ha pensato Valtteri Bottas. Il prode “boscaiolo” finlandese, a parte il look più aggressivo, ha lavorato su se stesso, s’è presentato più motivato e determinato ai nastri di partenza, ha incassato la fiducia della Mercedes e del suo mentore Wolff, e insomma ha ricordato un po’ a tutti di poter essere anche un vincente. Lumiere ha domato la Bestia, Spartaco ha rotto le catene e si è preso l’anfiteatro, ha trasformato la barba incolta e un approccio più politicamente scorretto in un messaggio a reti unificate: scusate se esisto, scusate se so anche essere veloce, scusate se posso fulminare in partenza anche Carl Lewis Hamilton di pirsona pirsonalmente.
Eroe per un giorno, ma non per caso. E il sorrisetto soddisfatto di Totone Wolff la dice lunga, ricordate quanto sia importante per un costruttore come Mercedes dimostrare che a trionfare è prima la macchina che il singolo pilota. Intelligenti Pauca, e questo Bottas il suo mantello potrebbe anche provare a tenerselo stretto.
Ma non esistono solo i primi, c’è un’intera griglia che ribolle per natura, che vive di duelli ravvicinati, di contatti più o meno leciti. Nella quale si è calato alla perfezione un campionissimo indomito, un uomo che fa del silenzio la migliore arma contro le cavolate scritte e dette, ha lo sguardo di ghiaccio ma l’anima passionale di chi guiderebbe questi missili fino a sessant’anni. Di Kimi Raikkonen stupiscono leggerezza e al contempo professionalità, il carisma con cui ha preso per mano l’Alfa Romeo Racing, la facilità con cui sono arrivate le prestazioni.
La sua maschera da supereroe è una coltre di ghiaccio dietro la quale si celano lo spessore e il talento di chi fa ancora la differenza. “Ma si poteva fare anche meglio, purtroppo abbiamo dovuto cambiare le gomme troppo presto” perché per Iceman fa tutto parte di una straordinaria normalità, non c’è autocompiacimento per aver gestito quasi per tutto il GP un treno di gomme medie, ma il rammarico per non essere arrivato più in alto.
Il terzo eroe di giornata è l’uomo invisibile, il russo de Roma, il vendicatore (di se stesso) Daniil Kvyat. Invisibile agli occhi della cinica Red Bull, che lo ingaggia e silura a proprio piacimento dal 2016 ad oggi, una storia tormentata fatta di alti e bassi, di cadute e ritorni, di promozioni e retrocessioni. Ciò che non ti uccide ti rende più forte, e a soli ventiquattro anni Kvyat sembrava un reduce di guerra condannato a tracannare whisky e a giocare a biliardo come nelle peggiori pellicole americane, se solo non gli fosse stata data l’opportunità di farsi giustizia da se. E a Melbourne, in quella che è una vera e propria azione di forza, ci mette tutto: classe, testa, velocità, cattiveria. Kvyat ha preso solo un punticino, ma il decimo posto suona come la più dolce delle rivincite.
Il russo ha stretto i denti e lottato tutta la gara contro Gasly, ha permesso alla piccola Toro Rosso di chiudere davanti alla casa madre Red Bull, ha fermato i bibitari importanti sotto lo sguardo impassibile di Helmut Marko. Chissà cosa avrà pensato in quegli istanti, lui, l’invisibile diventato Vendicatore. Avrà staccato le cuffie e si sarà isolato – non sia mai fosse arrivato un team order trasversale – perché nella vita può capitare di essere invisibili, ma fessi proprio no. Hero. Just for one day. Ma è stato un grande giorno.
Antonino Rendina
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