Verstappen incanta sotto la pioggia di San Paolo, ma la FIA deve concedere una maggiore libertà ai piloti

Hamilton, Rosberg e Verstappen per una Interlagos 2016 sicuramente da ricordare

L'olandese ha messo in mostra il meglio del proprio repertorio, inanellando una serie di sorpassi da urlo sotto il diluvio brasiliano. Una prestazione da cineteca che di certo non è stata replicata dalla FIA
Verstappen incanta sotto la pioggia di San Paolo, ma la FIA deve concedere una maggiore libertà ai piloti

Sembrava una tranquilla domenica “made in Charlie”: pioggia, condizioni estreme e partenza sotto regime di safety car. Nulla di nuovo.

Si, perchè da quel tragico Gran Premio di Suzuka di due anni fa qualcosa è cambiato nella gestione delle gare sotto la pioggia, non che prima ci fosse la possibilità di fare tutto quello che si voleva, ma l’immagine di Jules Bianchi piantato sotto una gru giapponese aveva innescato un meccanismo di autodistruzione molto pericoloso per il mondo della Formula Uno. Una specie di caccia alla sicurezza che in alcuni casi sfociava in qualcosa di misto tra l’assurdo e il ridicolo.

Assurdo e ridicolo dicevamo, si, perchè la gara di ieri sembrava il preludio all’ennesima occasione persa per un sistema che da qualche anno a questa parte comincia pericolosamente a vacillare.

Non sono io a dirlo, per carità, Roberto Valenti non è nessuno per giudicare un prodotto che coinvolge sponsor, tv e squadre che investono milioni e milioni di euro per una semplice ala anteriore, ma gli ascolti tv che negli ultimi tre/quattro anni (in concomitanza con l’arrivo dei motori ibridi) hanno subito un crollo che definirei quasi verticale.

E si sa, senza ascolti gli sponsor non si avvicinano e la stessa Federazione si ritrova tra le mano un prodotto “incompleto”. Le squadre hanno persino creato un gruppo di lavoro “strategico” per capire i motivi che spingevano gli appassionati a cambiare canale e magari guardare un vecchio film western o una partita di pallone.

Insomma, si è fatto tanto ma per poi, alla fine, non concludere nulla. Tornando al Gran Premio di ieri, le dieci tornate abbondanti dietro la meravigliosa Mercedes AMG GT S F1 e le due bandiere rosse esposte sul tracciato di Interlagos sembravano presagire a una domenica di totale fallimento. Piloti fermi ai box, pubblico che, disperato, puntava l’indice verso il basso e riempiva di fischi una direzione corsa incapace di reagire.

Ma proprio quando tutto sembrava perduto (si potrebbe anche interpretare come un cartone animato dove il cattivo sembra avere la meglio sulle forze del bene, ma vabbè), la direzione gara ha deciso di dare ascolto agli appassionati, mettendo da parte i fantasmi di Suzuka e lasciando la possibilità ai piloti di battagliare nonostante le condizioni alquanto proibitive del tracciato di Interlagos (qui bisognerebbe aprire un’altra parentesi, ma meglio lasciare stare).

Abbiamo visto duelli ruota a ruota, imprese quasi epiche (vedere una Sauber e una Manor giocarsi la zona punti non è roba di tutti i giorni) e un campioncino olandese che nella domenica di San Paolo ha deciso di mettere insieme Donnigton ’93 e Catalunya ’96. Paragone scomodo? Può darsi, ma le immagini parlano chiaro. Insomma tutti felici e contenti di rivedere qualcosa che nelle tv della gente mancava da tanto, forse troppo tempo.

La verità è che come nella vita reale, i fantasmi del passato vanno chiusi in un cassetto e lasciati come ricordo. Non ci vuole un gruppo “strategico” per capire che in determinate condizioni lo spettacolo va incoraggiato, prendendosi anche delle responsabilità che in primo luogo possono sembrare troppo pesanti. Il ruolo del direttore di gara alla fine serve a questo.

Come ho scritto poco sopra, non sono nessuno per poter giudicare il lavoro di gente che sta in Formula Uno da anni e anni, ma sono una persona a cui piace analizzare i fatti e questi dicono che gare come quelle di ieri danno di nuovo speranza a un mondo che pian piano sta rischiando di perdersi. Alla gente non frega nulla del suono o se le Formula Uno corrono con un V8 aspirato o con un V6 ibrido, ma nella sostanza interessa lo spettacolo. Duelli e manovre da lasciare alle generazioni future.

E’ sbagliato tutto ciò? Non penso.

Piuttosto che pensare alle solite piccolezze (negli ultimi tre anni, credetemi, ne abbiamo sentite di tutti i colori), cominciamo a togliere il regime di parco chiuso, permettendo alle squadre di dare ai propri piloti, asciutto o pioggia poco importa quanto a contare sono i decimi di secondo, un mezzo sicuro con cui spingere al massimo.

Diamo fiducia ai piloti. Cerchiamo di riportare al centro dell’attenzione l’appassionato, colui che paga fior di quattrini per entrare in un autodromo o che spende l’intera paghetta per comprare la maglietta del proprio campione.

La Formula Uno non può più permettersi di pensare solo a se stessa, visto che il rischio più grande è quello dell’autocombustione, ma è arrivato il momento di portare avanti una visione d’insieme dove la gente deve avere un ruolo di primissimo ordine. Il materiale umano di certo non manca (Hamilton, Rosberg, Vettel, Verstappen, Ricciardo… insomma di carne al fuoco c’è ne abbastanza) e di sicuro non è neanche troppo tardi per correggere alcuni errori fatti in passato (vedi appunto il regime di parco chiuso, la VSC e le vie di fuga in asfalto).

Ieri all’interno del paddock era presente il mitico Slash dei Guns’N Roses e mai come questa volta il paragone con la bellissima “November Rain” è più azzeccato. Una pioggia di novembre ha regalato agli appassionati una delle gare più belle degli ultimi anni e la speranza è che questo sia un nuovo punto di partenza per il futuro.

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