Lewis Hamilton: le cadute di stile di un fragile pluri iridato

Dopo la conquista della terza corona iridata il talento inglese è stato protagonista di atteggiamenti discutibili

Lewis Hamilton: le cadute di stile di un fragile pluri iridato

Lewis Hamilton, il campione amato, la popstar che incanta in giro per il mondo, il talento che mette d’accordo tutti, tifosi e non, sta facendo di tutto per mostrare al mondo della F1 il suo lato oscuro, quello di un pilota tracotante al limite dell’indisponente, a causa di un’ambizione sfrenata che consuma e corrompe l’animo, che sembra divorare e cancellare quella nobiltà d’animo propria dei fuoriclasse.

Dove è finito quel Lewis che dietro le collane da rapper celava un animo comunque sensibile, pronto a riempirsi la bocca citando Ayrton Senna, a complimentarsi con la propria squadra, ad esaltare all’inverosimile i suoi uomini. Il terzo titolo Piloti in carriera conquistato ad Austin doveva essere la molla definitiva verso una consacrazione plenaria, senza macchie. Hamilton è il terzo pilota più vincente di tutti i tempi per numero di vittorie (43), è un pilota straordinario, per certi aspetti fuori dal comune, poteva e doveva reagire diversamente alle sue ultime vittorie.

Il punto è questo: e se Lewis avesse dimostrato di non sapersi comportare da vincitore? Non si ricorda, ad esempio, di un Sebastian Vettel che dopo il terzo titolo conquistato nel 2012 si sia paragonato in qualunque modo ai mostri sacri della categoria o abbia asserito di essere addirittura il migliore. E’ il tempo che ti consegna alla Storia, che ti porta nell’Olimpo dei grandi. Hamilton è un ragazzo di trent’anni che sta compiendo un percorso meraviglioso, ma è emblematico il suo disagio esistenziale e la voglia di affermarsi contro tutto e tutti, forse alla continua ricerca di una sua precisa identità.

Nel Gp del Messico, da campione del mondo 2015, non ha saputo accettare la superiorità messa in mostra da Nico Rosberg. Lewis ha dapprima ignorato il vincitore, per poi provocarlo in conferenza stampa, alludendo al famoso colpo di vento che avrebbe danneggiato Nico ad Austin. Hamilton punta a distruggere il compagno di squadra, tentando di umiliarlo oltremodo, gratuitamente, come se la pista non parlasse già in modo chiaro. Insomma Hamilton dovrebbe capire che è oggettivamente più forte e che la sua leadership non è messa certo in discussione per una gara. E’ una questione di freddezza, di autostima, doti che – sembra assurdo – sembrano talvolta mancare a Lewis.

Non pago, l’anglocaraibico si è scagliato quasi in modo feroce contro la Mercedes, colpevole a suo dire di aver regalato la vittoria a Rosberg in Messico. Come si può sputare senza motivo nel piatto dove si mangia (e bene)? Come si può attaccare il team che qualche giorno prima avevi glorificato in pompa magna? Dove è il confine tra l’immenso talento e la fragile isteria?

E per chiudere – lungi dal cercare il facile conseso popolare – con quale stile e quale metro di giudizio ci si paragona a quel Michael Schumacher che ha vinto sette titoli mondiali, asserendo per giunta che l’indimenticato pilota di Kerpen vincesse in modo poco pulito? Netta ed imperdonabile la caduta di stile, al di là delle attuali condizioni di salute di Schumi.

A meno che Hamilton non si reputi davvero un dio sceso in terra o un santo; se così fosse la sportellata rifilata a Rosberg alla partenza di Austin è stata solo una misericordiosa carezza del migliore pilota di tutti i tempi. Ma la sensazione è che questo splendido tre volte campione del mondo debba ancora comprendere appieno il suo stesso spessore, esorcizzando comportamenti da primadonna e imparando a comportarsi da vero vincente, anche nei modi.

Antonino Rendina

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