F1 | Lewis Hamilton è il più grande di tutti i tempi?
La risposta alla domanda che gli appassionati si pongono negli ultimi giorni potrebbe essere affermativa
Lewis Hamilton. Tredici anni di carriera in F1 e sei titoli mondiali. Arrivati a questo punto, avendo seguito passo dopo passo tutta la carriera dell’anglo-caraibico ci si potrebbe sbilanciare senza voler mancare di rispetto a nessuno: Luigino probabilmente è il GOAT della F1, il più grande di tutti i tempi.
Non è un discorso di paragoni con Senna, Schumacher, Prost, Villeneuve o altre divinità terrene della categoria. E’ la mera constatazione dell’impatto sulla categoria e della crescita di questo campione, un crescendo rossiniano che l’ha visto dapprima acerbo fulmine di guerra e poi maniacale fuoriclasse completo sotto tutti i punti di vista.
La velocità pura, lo stile aggressivo, la guida spettacolare, i bloccaggi e i sovrasterzi, la naturalezza sotto l’acqua sono doti ammirate sin dagli esordi, sin dai primissimi anni. Nel 2008 a Silverstone Lewis doppiava tutti mentre i colleghi annegavano letteralmente in acque agitate. Nel 2010 su asfalto umido diede una lezione di guida a Spa, consacrandosi quale talento purissimo. Anche negli anni più bui (2009, 2011) contrassegnati da un grande momento di fragilità personale, Hamilton ha vinto gare e fatto pole, timbrando sempre il cartellino.
Hamilton e Schumacher, ormai così vicini nei numeri strepitosi, sono la perfetta nemesi l’uno dell’altro. Michael ha rappresentato il talento dell’abnegazione, la velocità al servizio della determinazione, il carisma nel trascinare un intero team conducendolo per mano nel Mito. Con Lewis siamo (quasi) agli antipodi. Si somigliano per la voglia di vincere, per il cannibalismo alla Eddy Merckx, per la fame atavica anche dopo aver fatto incetta di titoli.
Ma Hamilton rappresenta la velocità più pura, con una predisposizione all’applicazione meno forte di quella del kaiser, e un carisma diverso. Michael era la Ferrari, Hamilton corre per la Mercedes, ma resta un One Man Show. Una superstar.
“Luigi VI” è un titolo nobiliare guadagnato con le unghie, sgomitando anche contro compagni di squadra forti e agguerriti. Esordire con Fernando Alonso e batterlo, ad esempio. Convivere per anni con un mastino come Jenson Button, prendendole pure e passare poi da JB a Rosberg, un altro figlio di buona donna del motorsport.
Ma è proprio il confronto con Nico che ha fatto spiccare il volo a Hamilton. Luigino ha battuto l’amico rivale nel 2014 e nel 2015, per poi perdere clamorosamente il derby iridato nel 2016. Lì era ancora un pilota vulnerabile, che poteva commettere errori, incline a mini crisi passeggere, oltremodo sensibile al feedback della monoposto.
Poi qualcosa è cambiato. Hamilton dal 2017 non ha sbagliato più nulla; il campione controverso e fragile ha lasciato posto ad un fuoriclasse nel pieno della maturità tecnica ed agonistica, capace di vincere a ripetizione, ma anche di limitare i danni nelle giornate no. Continuando a sognare Senna ma correndo un po’ come Prost, più simile a Schumacher nella gestione dei mondiali (dominati) che al capriccioso funambolo conosciuto nei primi anni di carriera.
Per questo forse, per la maturazione continua e progressiva, per la velocità pura alla quale si sono unite le doti di lettura gara, gestione delle gomme (prima le spiattellava, ora è tra i migliori della griglia nel farle durare), della meccanica, delle fasi della gara, Hamilton merita il posto più alto tra i mostri sacri della F1. Ogni anno c’era qualcuno pronto a farlo crollare, da Alonso a Vettel. Ogni anno ha avuto la forza mentale di imporsi. Still I Rise. E continueremo anche a prenderlo per il culo per le sparate sui social, per il personaggio cool che si è costruito, Lewis il festaiolo, Lewis by Hollywood, ma il suo film se l’è costruito tutto tra le curve, sudando e remando anche controvento, ed è da premio Oscar.
Antonino Rendina
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