F1 | Serve una Ferrari formato Ducati, che impari a divertirsi e a godersi l’attimo

Binotto ha piena fiducia nel suo gruppo di lavoro, ma la Rossa deve avere un approccio più sbarazzino

F1 | Serve una Ferrari formato Ducati, che impari a divertirsi e a godersi l’attimo

Servirebbe una Ferrari formato Ducati. Già, con Leclerc in versione Bagnaia. Una squadra che alle cadute (in senso letterale) e agli errori ha sempre reagito senza scomporsi, senza drammi, senza farsi fagocitare dalla pressione mediatica, che invero è sicuramente minore rispetto a quanta aleggia su Maranello.

Dalla Rossa di Borgo Panigale la Ferrari deve rubare l’impermeabilità, la testardaggine, la leggerezza. Sarà che il Motomondiale è un po’ il multiverso della F1, dove è tutto meno formale, abbottonato, drastico. Sarà che c’è un fatalismo diverso, e anche maggior rispetto tra i protagonisti, perché lì aumentano rischi e pericoli e quindi i risultati sportivi hanno il peso che meritano, senza schiacciare squadre e piloti.

Ma la Ducati quando Bagnaia vince è felice, esulta, fa festa, non vive con l’ossessione di un titolo mondiale che pure manca dal 2007 (tu guarda un po’), si gode l’attimo. Alla Ferrari questo, forse anche a causa delle troppe aspettative, non è concesso. Viviamo – mi ci metto dentro in prima persona – con il pallino del mondiale, del ritorno all’iride, calcolatrice alla mano e occhi fissi sulla classifica, con il campionato trasformato in una grande corsa ciclistica a tappe.

E’ un tifo ansioso e ansiogeno che probabilmente – non v’è prova certa – sta pesando più del dovuto sulle spalle degli uomini di Maranello. Ma così facendo è una rincorsa persa in partenza, è il paradosso di Achille e la tartaruga, più la vetta si avvicina e più si allontana, più c’è aria di grandi trionfi e più arrivano clamorosi tonfi.

Evidentemente Binotto, spesso e anche giustamente criticato per tante dichiarazioni e scelte opinabili anche su queste pagine, ha capito perfettamente il problema. Leggendo la sua lunga intervista a Motorsport.com si evince quella che è la chiarissima volontà del Capo GeS, ovvero dare piena fiducia ai suoi uomini, tutti, strateghi compresi, perseverare con questo ciclo tecnico senza scossone alcuno, e alleggerire un po’ la pressione.

Ecco allora che l’obiettivo mondiale diventa l’obiettivo competitività, l’obbligo di vittoria soltanto quello di tornare in alto. Passo dopo passo. Fa storcere il naso a chi sognava la grande riscossa e pone un grande quesito: come si può puntare tutto su un progetto di riscossa e ritrovarsi così indietro in classifica?

La risposta è, nel bene e nel male, la F1-75. Ferrari ha avuto il merito di aver sfornato una monoposto da vertice, potenzialmente vincente e ha avuto ancor di più la capacità di svilupparla in corso d’opera. Notizia quest’ultima tanto più confortante se si torna con la memoria indietro di qualche anno. Riprova che il “ciclo tecnico” varato da Binotto non è fallimentare. Eppure questa auto così bella e bestiale ha vinto solo quattro gare su tredici, dimostrandosi talvolta poco affidabile, talvolta “sprecata” a causa degli errori della scuderia e più raramente dei piloti.

Il risultato è una Rossa che ha raccolto relativamente poco, che è tornata competitiva ma numeri alla mano lontana dal vertice (80 lunghezze nel Piloti e 97 nel Costruttori). Velocissima ma perdente. L’auto della riscossa ma mondiale “perso” già alla pausa estiva. La monoposto sovente più veloce in pista che consente alla rivale Red Bull di vincere quasi in scioltezza nove gare su tredici. Un paradosso che rischia di mandare tutti al manicomio, che intristisce, demoralizza.

La Ferrari adesso è a un bivio: deprimersi e cadere in una spirale negativa di insicurezza o correre in modo più sbarazzino e leggero, dimenticando per un po’ la parola Mondiale. E la stessa narrazione sulla Scuderia è a un bivio: parametrarsi alla Red Bull e constatare un probabilissimo fallimento o godersi gli attimi e le eventuali vittorie di tappa, facendo un ennesimo atto di fede verso una squadra in costante work in progress.

L’occhio ceruleo e malinconico di Leclerc dovrebbe trasformarsi quanto prima in uno sguardo di gioia e in una esultanza liberatoria e vorremmo vedere una Ferrari che si diverta a correre, che approcci alle gare in modo meno abbottonato e schematico, non abbia paura di rischiare ed essere aggressiva, e viva la vittoria non come una condanna, ma come un momento di gioia, di unione di intenti, di crescita del gruppo.

Il 2022 può essere un anno di svolta, che segni un inizio e non una fine, ma la Rossa deve imparare a divertirsi. Divertirsi per imparare a vincere, abbandonando gli sguardi imbronciati, l’atmosfera greve, solenne, l’aria da imputata bastonata di un processo che dev’essere ancora celebrato. Il Cavallino deve correre senza più la pressione del risultato a tutti i costi, con la testa libera. Ragionando curva per curva e non per massimi sistemi. Altrimenti pesa tutto, anche una singola gomma in mano ad un meccanico al pit-stop. Ci sarà tempo per diventare una corazzata, intanto pensiamo a goderci i momenti. Sarebbe bello se in casa Ferrari la parola d’ordine della seconda metà di stagione fosse leggerezza.

Antonino Rendina


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