La Ferrari guarda al 2019: tante incertezze e le pericolose aspettative su Charles Leclerc

La Ferrari è attesa da un duro lavoro, tecnico e mentale

La Ferrari guarda al 2019: tante incertezze e le pericolose aspettative su Charles Leclerc

Al tramonto di martedì di Abu Dhabi la Ferrari ha mandato in pensione la SF71H e ha archiviato (finalmente) questo indecifrabile e illusorio 2018. Una stagione che può già coniugarsi al passato, relegandola ai polverosi scaffali della storia della F1.

E’ stato l’anno delle grandi aspettative deluse, dell’inspiegabile tracollo, dei molteplici errori di Vettel alla guida e degli sviluppi sbagliati. Il mondiale perso è già una spada di Damocle su quello che ha da venire, è una stilettata permanente al fianco, una fitta che non passa, il sapore amaro della polvere mangiata sul traguardo dopo una lunga corsa, quando eri partito con i migliori auspici per poi cadere a metà percorso.

C’è un aspetto, mentale, che preoccupa più degli altri. Quanta resilienza dovrà dimostrare la Rossa per rialzarsi dopo questa ennesima batosta, la più pesante deglo ultimi anni, quasi esiziale? La fatal Monza e le gare successive hanno segnato un solco lungo il viso degli uomini del Cavallino, che però non è la specie di sorriso della famosa canzone di De Andrè. Sembrava più che altro una smorfia di delusione, stanchezza, pesantezza. Sono gli occhi del primo degli sconfitti – Vettel – che hanno smesso di brillare. E’ lo sguardo spento e trascinato a spaventare più che lo scenario tecnico.

Perché, dopotutto, la SF71H si è dimostrata essere una grande vettura, ai limiti del vincente, non sfruttata appieno in troppe circostanze nè sviluppata al meglio: un micidiale mix che avrebbe condannato chiunque. Rappresenta in ogni caso una valida base da cui ripartire, con un gran motore. Bisognerà però lavorare sull’aerodinamica, perché la Ferrari deve tornare ad essere competitiva in trazione in uscita dalle curve lente. I tratti guidati sono stati spesso e volentieri un’immeritata sofferenza per i piloti.

Lavorare in factory e farlo in piena armonia. Da spazzare via con un colpo di spugna i dubbi sul rapporti tra Arrivabene e Binotto. Non li conosciamo, non possiamo sapere, ma leggiamo e ci informiamo. Per il bene della Ferrari non dovrebbero sussistere dissidi tra due figure così apicali. La facciata serve a poco, altrimenti la Ferrari fa la fine di quei palazzi a lavori in corso con i mega pannelli a coprire le impalcature. Servono coesione, unità di intenti, senso di appartenza totali. Ci sono? Ci saranno?

Serve, e qui tocchiamo il tasto più dolente, il miglior Sebastian Vettel. Bersagliato da una parte dei tifosi e dalla stampa. Capro espiatorio di tutti i peccati ferraristi, il tedesco vivrà un inverno nell’occhio del ciclone, con in più la difficoltà obiettiva di dover ritrovare serenità e tornare ad un rendimento più adeguato alla sua fama. Seb non va crocifisso, ma è indubbio che la versione seconda metà del 2018 non sia proprio quella migliore, va’.

Intanto, al suo battesimo da titolare, ventiquattrore dopo il test di Vettel, Charles Leclerc è già sembrato perfettamente a proprio agio al volante della monoposto del Cavallino. I tre decimi rifilati dal monegasco al prossimo team mate non hanno alcun significato (stessa mescola hypersoft ma specifica 2019 per Charles). Ancora preoccupante (se non inquietante) è però la risonanza mediatica dell’esordio del pilotino ex Sauber. Titoloni, auspici, speranze. E’ l’attesa del messia che risollevi la Rossa dal limbo e dal fango, è la speranza sulle spalle (maddai!) di un fin troppo giovane ed inesperto talento. Le stesse speranze che quattro anni fa gravavano sulle spalle di Vettel, che oggi è diventato il triste tetracampeao da prendere e rottamare. Avanti il prossimo, è un mondo che non fa sconti e non sa aspettare.

Antonino Rendina


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