Formula 1 | Gran Premio del Giappone 2024: temperature più basse del solito a Suzuka

L'anteprima di Pirelli sul quarto appuntamento del mondiale

Formula 1 | Gran Premio del Giappone 2024: temperature più basse del solito a Suzuka

La Formula 1 torna a Suzuka a poco più di sei mesi dall’ultima gara. Quest’anno, infatti, per la prima volta nella sua storia il Gran Premio del Giappone si svolge nel mese di aprile: fino al 2023 la gara era infatti collocata nella parte finale, in settembre o in ottobre, tanto è vero che molte volte su questa pista sono stati assegnati uno o entrambi i titoli iridati. Non hanno fatto eccezione nemmeno le ultime due edizioni: nel 2022 Verstappen si aggiudicò il suo secondo campionato proprio a Suzuka e l’anno scorso fu la Red Bull a laurearsi campione Costruttori.  

Il quarto appuntamento stagionale coincide nel Paese asiatico con il picco della stagione dei sakura, i fiori di ciliegio che fioriscono fra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Peraltro, non è la prima volta in assoluto che una gara della massima competizione automobilistica si corre in Giappone in questo periodo dell’anno: il 17 aprile 1994 si corse sul circuito di Aida la prima edizione del Gran Premio del Pacifico, replicata l’anno successivo, non più in aprile ma in ottobre. L’anticipo all’inizio della primavera porterà anche temperature inferiori a quelle cui le squadre sono abituate per questa gara visto che la media stagionale oscilla fra gli 8°C e i 13°C.

L’appuntamento di Suzuka è uno dei classici della stagione. Lungo 5,807 chilometri, il tracciato di proprietà della Honda è uno dei preferiti dei piloti perché mette alla prova il loro talento in virtù di un layout completo ed è contraddistinto da una caratteristica forma ad otto, unica nella storia della Formula 1. Oltre a rappresentare una straordinaria sfida per vetture e piloti, la pista mette a dura prova gli pneumatici, sia in termini di usura (l’asfalto ha livelli di rugosità e abrasività elevati) che in termini di forze e carichi cui vengono sottoposti, considerate le diverse tipologie di curve che lo compongono. Come tradizione, per questa pista la Pirelli ha selezionato il tris di mescole più duro fra quelle a disposizione, composto dalla C1 come Hard, dalla C2 come Medium e dalla C3 come Soft. Si tratta fra l’altro della stessa selezione utilizzata in Bahrain per la prima gara della stagione.

Solitamente la gara si sviluppa su due soste, considerato appunto lo stress cui vengono sottoposte le gomme e il loro degrado termico: peraltro, le eventuali temperature più basse rispetto al passato potrebbero essere un suo fattore mitigante e creare così le condizioni, soprattutto per vetture e piloti particolarmente gentili nella gestione dei pneumatici, per provare ad arrivare al traguardo fermandosi solamente una volta per l’obbligatorio cambio di mescola. Il rovescio della medaglia sta nella maggior difficoltà che si potrebbe incontrare nel portare alla giusta temperatura d’esercizio le gomme, soprattutto dopo la ripartenza dai box: ciò diminuirebbe anche l’efficacia dell’undercut, di solito molto utile su questo tracciato, anche alla luce del fatto che le mescole preferite per la gara sono tradizionalmente Hard e Medium.

La data non è l’unica novità che caratterizza la trasferta giapponese di quest’anno. Infatti, dopo il Gran Premio è prevista un’appendice di due giorni di prove – martedì 9 e mercoledì 10 aprile – che la Pirelli svolgerà, con la collaborazione di Sauber e Racing Bulls, per sviluppare costruzioni e mescole in vista della prossima stagione. Sono state finora 37 le edizioni del Gran Premio del Giappone fin qui disputate, di cui 33 a Suzuka: le quattro rimanenti furono ospitate sul tracciato del Fuji, di proprietà della Toyota. Il pilota più vincente è ancora Michael Schumacher con sei successi: il tedesco è anche primo nella classifica delle pole position (8) e dei piazzamenti sul podio (9). Per quanto riguarda le squadre, la McLaren ha il maggior numero di vittorie (9) mentre la Ferrari guida quella delle pole position (10).

Il circuito di Suzuka ha 18 curve, alcune delle quali – come la Spoon, la 130R e la combinazione in salita fra la 2 e la 7 – sono fra le più note del calendario iridato. Lo sono meno le due Degner, che prendono il nome da Ernest Degner, un corridore di moto tedesco degli anni Cinquanta e Sessanta, la cui storia merita davvero di essere raccontata. Nato a Gleiwitz (Silesia Superiore, oggi in territorio polacco) nel 1931 e cresciuto nella Germania Est, Degner era uno degli sportivi più in vista della parte orientale. Correva infatti con le MZ, moto a due tempi progettate da Walter Kaaden, un geniale ingegnere che, durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva lavorato per i nazisti a Peenemunde, la fabbrica di armi segrete voluta da Adolf Hitler. Grazie alla creatività di Kaaden, le MZ erano in grado di competere e battere non soltanto la concorrenza europea ormai consolidata ma anche quella dei costruttori emergenti, che cominciavano ad affacciarsi nelle competizioni più importanti in Occidente.

Nel 1960, ad esempio, la Suzuki aveva iscritto la prima moto da corsa ma era drammaticamente lenta, chiudendo il TT dell’Isola di Man 125 del 1960 a ben 15 minuti dal vincitore. Era chiaro che i giapponesi avessero bisogno urgentemente di know-how, ma dove trovarlo?  La risposta arrivò sotto forma di un incontro casuale svoltosi l’anno seguente tra Degner e la casa nipponica, cui prese parte il presidente Shunzo Suzuki. Durante la conversazione, il pilota tedesco disse che era stanco della sua vita opaca nella Germania dell’Est, visto che il resto del mondo stava iniziando a emergere dall’austerità post-bellica: gli pesava la sorveglianza degli agenti della Stasi, la polizia segreta, che lo seguivano a ogni gara (erano così preoccupati che potesse fuggire che alla famiglia non era permesso andare alle gare, così avrebbe sempre avuto un motivo per tornare a casa). Ovviamente, odiava anche il fatto che molti dei suoi colleghi piloti – con meno talento – fossero pagati una fortuna rispetto a lui, che doveva accontentarsi di uno stipendio pari praticamente a quello di qualunque altro lavoratore della MZ. Fu così raggiunto un accordo: Degner sarebbe scappato, avrebbe aiutato la Suzuki a sviluppare le moto e poi avrebbe corso per i giapponesi.

Ma non sarebbe andato via dalla DDR senza la sua famiglia e, con il Muro di Berlino appena eretto, portarli fuori sarebbe stato quasi impossibile. Così, in occasione del Gran Premio di Svezia del 1961 che si svolgeva a Kristianstad, Degner organizzò con l’aiuto di un suo amico della Germania Ovest – che faceva frequenti viaggi d’affari a Berlino Est – la fuga di sua moglie e i suoi figli, facendoli nascondere in un vano segreto nel bagagliaio di una Lincoln Mercury. Il piano di Degner faceva affidamento sul fatto che la Stasi dedicava più tempo a sorvegliare lui in pista all’estero che la sua famiglia in patria: aveva ragione. Degner, che in gara dovette ritirarsi per la rottura del motore, riparò in Germania Ovest per riunirsi alla famiglia prima di trasferirsi poi ad Hamamatsu, dove si trovava il quartier generale Suzuki. Una delle prime reazioni della MZ fu la cancellazione immediata del programma di gare all’estero, casomai ad altri piloti o tecnici fosse venuta l’idea di seguire l’esempio di Degner.

Degner corse nella stagione 1962 con una Suzuki: temeva costantemente di essere ucciso dalla Stasi ma alla fine riuscì comunque a conquistare il primo titolo iridato nella classe 50 cc.  Dall’anno successivo, però, la favola iniziò a trasformarsi in un incubo. Nel Gran Premio del Giappone a Suzuka cadde dalla moto nel posto ora noto come Degner Curves e, quando il serbatoio del carburante esplose, riportò gravissime ustioni che richiesero oltre 50 trapianti di pelle. Altri incidenti costellarono il suo ritorno alle corse fino al ritiro definito arrivato nel 1966. La convivenza con la sofferenza lo fece scivolare nella dipendenza dalla morfina: quando la morte lo colse improvvisamente nel 1983, all’epoca viveva a Tenerife (Spagna), in molti pensarono che fosse rimasto vittima di un’overdose ma, allo stesso tempo, fiorirono anche teorie fantasiose che lo vedevano vittima di una vendetta tardiva della Stasi. Alla sua memoria e come ringraziamento per il contributo dato alla storia del motociclismo sportivo giapponese furono intitolate le curve 8 e 9 del tracciato di Suzuka.

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