Kvyat e Kubica ci ricordano che la F1 ha bisogno di storie, altro che messaggini sull’Halo…

Il motorsport è fatto prima di tutto di uomini e di passioni, Liberty Media non deve dimenticarlo...

Kvyat e Kubica ci ricordano che la F1 ha bisogno di storie, altro che messaggini sull’Halo…

Andatelo a spiegare a Liberty Media, alla FIA, a chi comanda, di come la F1 necessiti di emozioni vere, di storie di uomini, di potersi fare metafora della vita stessa, di un canestro da tre sulla sirena, quando tutto sembra ormai andato, marcio, perso.

Daniil Kvyat e Robert Kubica sono due facce della stessa medaglia. Nella loro parabola c’è il sapore della vittoria e quello più acre della polvere, c’è verità perché c’è passione, sentimento, umanità.

Quello del pilota polacco è stato un urlo di gioia strozzato sul più bello, una favola negata dagli interessi economici, dalla realpolitik, da un business che si fa atto di fede e necessità. Illusoria la Williams, fatua nelle speranze di dargli il sedile come lo è nella ricerca di un lignaggio che s’è perso nella memoria dei tempi. Robert ha lottato per anni contro la malasorte piombatagli addosso sotto forma di un freddo guard rail, in una domenica di inizio febbraio, quando erano pronte a spalancarsi per lui le porte di Maranello. Ha lottato ed è tornato, inaspettatamente, temprato, sicuro, pronto.

Prima con la Renault – sembrava addirittura in procinto di sostituire Palmer a stagione in corso – e poi con la Williams. Con Grove sembrava fatta, ma ha prevalso la candidatura, robustamente supportata da un munifico sponsor, di Sergey Sirotkin, ventiduenne russo di buone speranza, privo delle stimmate del fenomeno, ma non certo un fermo. Anche per lui l’impatto con la massima categoria non sarà dei più semplici, poiché molti appassionati vedranno il russo come colui che ha infranto il sogno di Kubica. Meglio tacere, poi, dell’infelice scambio di tweet tra Mercedes e Renault sull’annuncio di Kubica, una caduta di stile che non è andata giù agli appassionati. Si può scherzare ed essere anche dissacranti, nei limiti però del tatto e del buonsenso, almeno così dovrebbe essere.

A rialzarsi come Rocky è toccato allora, inaspettatamente, a Daniil Kvyat, messo alle corde dalla stessa Red Bull che tanto aveva fatto per portarlo in F1. Bistrattato, snobbato, per certi versi – in un mondo che rimane roba per pochi privilegiati – maltrattato. Dai podi e i piazzamenti con la Red Bull, alla retrocessione in Toro Rosso. Passi falsi e buone prestazioni alternati senza una logica, chiara conseguenza di una totale mancanza di fiducia da parte dei vertici del gruppo bibitaro, di una delegittimazione che non poteva sortire effetti positivi. Riprova ne è stato il siluramento definitivo subito dopo una gara conclusa in zona punti. Nemmeno un pilota di F1 merita di vivere così costantemente sotto pressione.

Per il “russo di Roma” le porte della F1 sembravano definitivamente essersi chiuse, a doppia mandata, prima del ripescaggio da parte della Ferrari. Ancora giovanissimo, Kvyat si occuperà principalmente del simulatore, ma la sua resta una piccola rivincita che merita di essere raccontata. Crocifisso per due anni di fila a causa dell’incidente di gara con Vettel a Sochi, giudicato ad ogni minimo errore non idoneo alla F1, Kvyat s’è tolto lo sfizio di sbattere in faccia ai detrattori il vessillo del Cavallino, che non è cosa da tutti.

La Ferrari con l’ingaggio del russo è stata intelligente e lungimirante. Maranello s’è assicurata un pilota esperto, giovane, talentuoso. Daniil conosce i segreti del simulatore Red Bull e questo è un ulteriore, non secondario, vantaggio. In più, pronto in rampa di lancio, c’è un pilota ancora ambizioso che – rigenerato – potrebbe trovare spazio in futuro in Alfa Romeo Sauber, in Haas, ed è comunque un pungolo per i titolari. Parliamo dopotutto del pilota che nel 2015 ha avuto la meglio nel confronto diretto con un certo Daniel Ricciardo.

Le sorti diverse di Kvyat e Kubica – KK, come una mano fortunata a poker – ci ricordano che sono le storie dei piloti la parte più emozionante e coinvolegente del motorsport. Ne faccia tesoro Liberty, così impegnata a trovare un ruolo alle grid girls, a immaginarsi loghi futuristici e led luminosi sull’Halo, a pensare a monoposto appaiate in griglia di partenza. “Avremo macchine belle come quelle dei videogame” urla Ross Brawn, come se questa continua deriva virtuale fosse motivo di vanto, quando non fa nient’altro che immalinconire e stordire. Ben venga il progresso tecnico, ben vengano monoposto performanti, ma tutto ciò non si trasformi nel feticisimo tecnologico e nell’astrattezza più totale. Alla base di tutto c’è pur sempre un bambino che sogna di fare il pilota, arriva in F1, perde, vince, cade, si rialza, emoziona.

Antonino Rendina


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