John Edward Barnard – Parte Seconda

John Edward Barnard – Parte Seconda

Nel 1983 John introduce nel progetto della nuova monoposto McLaren una certa forma delle pance a “bottiglia di Coca Cola” rivoluzionando ancora i criteri di progettazione delle vetture, dopo che il regolamento aveva vietato l’utilizzo di minigonne per scopi aerodinamici. Gli anni seguenti sono quelli più ricchi di vittorie con tre titoli piloti e due costruttori, e una stagione, quella del 1984, praticamente dominata dai due piloti della McLaren, Lauda e Prost. Alla fine di questo triennio John saluta Dennis e il team di Woking e si trasferisce a Maranello dopo che le sue vetture progettate per la McLaren avevano già vinto 31 Gran Premi.

John arriva alla Ferrari per riportarla alla vittoria. Inizialmente viene chiamato per sviluppare il progetto voluto da Enzo Ferrari per sbarcare in Indycar, ma John suggerisce saggiamente al team di Maranello di concentrarsi principalmente sulla Formula 1, territorio in cui, non sta viaggiando in acque tranquille al momento. Passa così, tutto il 1987 a costruire il suo nuovo ufficio di design finanziato dalla Ferrari in Inghilterra. L’inaugurazione è data l’anno seguente. Il primo progetto che segue è quello della vettura per l’annata 1989. La diagnosi è chiara: a essere per lui stravolgerebbe i progetti precedenti, allo scopo di far vincere i piloti di Maranello, ma ci vogliono tanti soldi, e bisogna stare attenti a rientrare nel regolamento che prevede i motori naturalmente aspirati per l’anno successivo. Nella solitudine del suo studio a Guildford, lontano dalle distrazioni della fabbrica e dai pettegolezzi della stampa, Barnard lavora incessantemente alla sua nuova creatura. Alla Ferrari però non si crea una nomea di persona simpatica, in primis per il suo isolazionismo nel suo lavoro, in secondo luogo perché vieta ai meccanici di bere del vino durante i pranzi dei giorni di test.

La vettura per il 1989 monta una strana innovazione: il cambio semiautomatico azionato da delle leve dietro al volante. Nonostante un’insperata vittoria di Mansell a Rio all’inizio della stagione, questa novità causa non pochi problemi ai tecnici della Ferrari, causando molte volte il ritiro delle due rosse. Risolti i problemi la Ferrari si risolleva nella seconda parte della stagione, e anche i più scettici si ricredono per quanto riguarda i vantaggi del cambio semi automatico, e tutti i team cominciano a copiare la soluzione di Barnard. L’arrivo di Prost in Ferrari e la cessione di Berger alla McLaren inducono Barnard ad allontanarsi dalla scuderia di Maranello: John trova un posto alla Benetton, un posto che egli reputa tranquillo, con un team inglese, lontano dalla terribile stampa italiana. La Benetton B190 debutta al Gran Premio di San Marino dello stesso anno, e tempo la fine della stagione riesce a vincere due gare con Nelson Piquet. John disegna le vetture per le due annate successive della Benetton, ma se ne va prima della fine della stagione 1992 dopo un diverbio con Flavio Briatore riguardante i costi di progettazione.

A metà del 1993, dopo una breve collaborazione con la Toyota, barnard fa di nuovo capolino in quel di maranello, dove la Ferrari era di nuovo sprofondata in una crisi di risultati. Ancora una volta con la 412T1B riportò berger alla vittoria in germania nel 1994. Passa altri quattro anni a Maranello, dove vede passare tra le proprie mani le auto che portano alla vittoria piloti come Alesi e Schumacher. Introduce nel 1995 la frizione dietro al volante come una levetta del cambio, inizialmente solo sulla macchina di Berger, in quanto Alesi vuole mantenere il suo vecchio stile di guida.L’ultima creazione per la ferrari è la F310B, vettura usata per il campionato del mondo del 1997. La Ferrari Design Development diventa allora B3 Technologies separandosi totalmente da Maranello.

La azienda che ha per presidente Barnard stipula dei brevi contratti con la scuderia Prost e Arrow per gli anni seguenti, ma successivamente passa nel mondo delle corse motociclistiche. Nel 2008 però John decide di vendere la sua compagnia a tre investitori, andando definitivamente “in pensione”.

Parte Prima

Matteo Bramati.

 

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