Ispirazione Senna

Il primo maggio di vent’anni fa terminò definitivamente un’epoca del motorsport.

Ispirazione Senna

A volte il cuore si ferma. Il respiro si interrompe. Gli occhi si rifiutano di credere a quanto stanno assistendo. Il mondo stesso sembra arrestare per un attimo il suo moto. Per poi riprendere il cammino sapendo bene che molte cose non saranno più le stesse.

 

Vent’anni fa perdeva la vita Ayrton Senna, un ragazzo di trentaquattro anni che era riuscito ad dare un motivo di orgoglio e di felicità ad un popolo che, allora ancor più di oggi, era costretto a vivere in condizioni di povertà estrema. Milioni di donne, uomini e bambini che tutti tendevano a dimenticare. Facendo finta che dietro i grattacieli di Rio de Janeiro o San Paolo le favelas non esistessero.

Senna invece voleva vincere, oltre che per la sua smodata fame di vittorie, per loro. Per tutti i brasiliani, non solo per le classi più abbienti alle quali lui apparteneva. Voleva regalare loro una speranza per un futuro migliore, andando oltre la gioia che regalava loro con i suoi successi garantendo la scolarizzazione di migliaia di bambini tramite la sua fondazione.

 

C’è un breve filmato, verso la fine del bellissimo film-documentario “Senna” di Asaf Kapadia, di un giovanissimo Ayrton, alle prime esperienze europee nel karting, intento a consumare un modesto pasto servito in una vaschetta di plastica. E’ l’immagine commovente di un ragazzo che sta costruendo un destino che lo porterà ad una morte prematura ma anche a diventare uno dei più grandi piloti di ogni tempo. A conquistare vittorie, pole position e tre titoli mondiali.

Il suo più grande risultato, e la sua più grande eredità, fu però la capacità di ispirare una generazione intera di giovani brasiliani e tantissimi altri sparsi in tutto il mondo. E che non si è interrotta ancora oggi, trasudando dai ricordi e dalle immagini delle sue gesta da pilota e, soprattutto, dalle sue parole di uomo.

Per uno sportivo essere fonte d’ispirazione positiva per milioni di persone, andando ben oltre i confini degli appassionati della sua disciplina, è qualcosa di oggettivamente fuori dal comune.

Un tratto umano straordinario, che solo poche personalità di rilievo possiedono o hanno posseduto nel passato.

Senna possedeva un carisma naturale, aspetto che rappresentò la base di tutta la presa che seppe avere sul pubblico. Ma non sarebbe stato mai sufficiente se ad esso non avesse aggiunto altri elementi che lo resero un leader, che lo fecero essere credibile.

Prima di tutto, per essere tali è necessario essere terribilmente bravi in quello che si fa. Senna non fu solo un grande campione, veloce oltre ogni limite, maniacale nel curare la sua preparazione e gli assetti delle sue auto. Era incredibilmente concentrato sulla sua passione per le corse e sul suo unico obiettivo: vincere. E ci riuscì, alzando al tempo stesso il livello necessario per competere in Formula 1, entrando nell’olimpo dell’automobilismo sportivo.

Tuttavia, non sarebbe ancora bastato. Un pilota, forte, fortissimo, non potrà mai divenire ciò che fu Senna se non avrà il suo coraggio di esprimere le proprie idee. Indipendentemente dai voleri di altri, degli uffici stampa e degli sponsor. Un driver odierno che parlasse di Dio nei termini in cui era consueto per Sennna sarebbe probabilmente considerato quasi alla stregua di un pazzo. Invece non fu mai così, le sue parole avevano un peso, non erano mai considerate delle boutade. Componente e risultato del rispetto di cui godeva prima di tutto come uomo.

Fu anche la sua coerenza, nel modo di agire – nel bene e nel male – nella sua linea di pensiero, nell’approcciarsi al mondo in cui viveva ad incrementare il suo essere modello di riferimento. Lui voleva la perfezione. La pretendeva da sé stesso e da chi lavorava con lui. Non cambiò mai. Una coerenza, un totalitarismo, che alla fine fu causa indiretta del suo fatale incidente, provocato dalla rottura del piantone dello sterzo che lui stesso aveva chiesto di modificare per migliorare il feeling con quella riottosa Williams.

C’è un’ultima, fondamentale tessera del mosaico della vita di Senna. Quella che ha fatto fondere ispirazione e mito. Prost. La sua nemesi. Il “nemico” che trasforma una vittoria in un trionfo e una sconfitta in qualcosa di cui non vergognarsi. Una battaglia sportiva diventa un duello epico. Lo scontro di idee si innalza a livelli per i quali è richiesto tanto coraggio quanto ne serve per un sorpasso al limite.

Prost e Senna determinarono l’uno la cifra sportiva, e per certi versi umana, dell’altro. Le sconfitte che il francese inflisse all’odiato (o amato?) collega in pista e nelle sale della politica innalzarono le vittorie e la personalità di quest’ultimo ad un rango altrimenti irraggiungibile.

Così il nemico di un tempo, con la maturità di un età più adulta, diventa il migliore amico, l’unico che comprende l’essenza dell’altro. Quello che porterà a spalla la bara dell’avversario morto e ne continuerà l’opera della sua fondazione.

 

Il primo maggio di vent’anni fa terminò definitivamente un’epoca del motorsport. Se ne aprì una nuova, più sicura ma più triste. Lontana parente della pura passione per le gare e figlia prediletta degli interessi economici.

Fu lo spartiacque tra l’era dei piloti che prima di essere tali erano uomini e quella dei piloti che non si capisce quando finiscono di fare i piloti e cominciano a fare davvero gli uomini. Ci sono delle eccezioni, Zanardi ad esempio, ma un tempo l’eccezione era la regola.

 

P.S. Il 30 aprile 1994 a Imola, durante le qualifiche del GP, morì Roland Ratzemberger. Per le persone a lui vicine era sicuramente una persona straordinaria ed era senz’altro amato alla follia. Ogni vita, vista da vicino, meriterebbe di essere raccontata. Per questo, e in nome di un’esistenza sacrificata alla rincorsa di un sogno, Roland meriterebbe più spazio nei ricordi di tutti noi.

Davide Perdon.

 

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