Il mito di Enzo Ferrari rivive nel libro di Luca Dal Monte

Mastodontica biografia che racconta nei dettagli l'uomo e il professionista Ferrari

Il mito di Enzo Ferrari rivive nel libro di Luca Dal Monte

Ferrari è un cognome molto diffuso nel nostro paese ma abbinato a un determinato nome (nella fattispecie Enzo) forma uno straordinario e unico binomio. Su Enzo Ferrari, che ha costruito con la sua tenacia e la sua determinazione un autentico mito diventato il simbolo dell’Italia nel mondo, sono stati spesi fiumi d’inchiostro ma mai nessuno si è imbattuto in una così minuziosa e dettagliata cura degli aspetti biografici del Drake come ha fatto Luca Dal Monte nel suo “Ferrari Rex” (Giunti-Giorgio Nada Editore).

Cremonese classe ’63, Dal Monte – una vita nel mondo dell’automobile con Peugeot, Toyota, Pirelli, Ferrari e Maserati – nella sua ultima fatica letteraria (oltre 1000 pagine) ha tracciato in profondità tutti gli aspetti del Ferrari uomo e professionista.

Vi proponiamo in esclusiva l’intervista che la nostra redazione ha realizzato a Luca Dal Monte, il quale dopo anni di continua ricerca ha portato a compimento una mastodontica opera su una personalità forte e al tempo stesso complessa come quella di Enzo Ferrari.

D. Sig. Dal Monte, da dove nasce l’esigenza di pubblicare il libro sulla biografia di Enzo Ferrari?

R. «Io da appassionato di corse, e anche da addetto ai lavori, penso di aver letto quasi tutti i libri su Enzo Ferrari e tutti raccontano un po’ la stessa storia. Ferrari, oltre a tantissimi altri pregi, era un grande comunicatore e si è preoccupato di lasciare scritto di sé quello che la gente avrebbe voluto che tramandasse. Nel corso degli anni, dopo la sua morte, non sono usciti lavori biografici su Ferrari che andassero ad allargare la conoscenza di quanto era stato detto. Quello che mi sono promesso di fare era appunto quello di cercare di riassumere tutto quanto era uscito, andando a scavare tutto quello che nessuno si era mai preoccupato di andare a cercare. Se c’è un segreto alla base del successo che sta ottenendo la mia opera è la ricerca.  Ovvero andare a leggere le cronache dell’epoca (quotidiani, riviste, mensili, archivi, ndr) facendo così conoscere tutto quello non era stato pubblicato in precedenza, intervistando anche svariate persone che hanno avuto a che fare con Ferrari».

Quale ricordo personale la lega a Ferrari?

«Sono essenzialmente due. Io sono nato nel 1963 e me lo ricordo molto bene in vita. Il primo riguardante gli interventi in diretta sulla trasmissione in onda sull’emittente televisiva Telesprint curata dall’amico/nemico Marcello Sabbatini. Ferrari era un personaggio che prendeva il telefono e litigava in diretta, per difendere le proprie macchine e i propri piloti, con quel grande giornalista che era Sabbatini. Il secondo ricordo, invece, è più intimo. Avendo saputo che tutte le mattine andava dal barbiere, io e mio fratello nel luglio del 1985 partimmo da Cremona e andammo ad aspettarlo davanti alla bottega del barbiere, vedendo così Enzo Ferrari in carne e ossa».

Tra le varie capacità manageriali e professionali del Drake quali ha fatto proprie nella vita di tutti i giorni?

«(Ride). Non voglio allargarmi più di tanto. Probabilmente quella di avvalermi di collaboratori molto validi. Ferrari non era un genio della tecnica come Colin Chapman e probabilmente non era un grande organizzatore come Bernie Ecclestone. Però ha sempre capito, fin dall’inizio, che se si fosse circondato di personaggi bravi nel proprio campo avrebbe potuto arrivare da qualche parte. Io ho avuto la fortuna di vincere due volte il premio PR dell’anno, nel 2008 e nel 2012. La prima volta che l’ho vinto ho chiamato casa e parlando con mia madre mi ha detto: “Devono essere proprio bravi quelli che lavorano con te”. E non aveva torto. C’è una bellissima frase di Ronald Reagan che dice: Non c’è limite a quello che una persona può fare se non gli importa chi se ne prende il merito”. Una frase che va ben oltre quello che ho appena detto però fotografa benissimo la situazione che Ferrari era fatto così. Ha avuto tanti ingegneri e carrozzieri, ma quando nel 1951 ha trovato Pininfarina non ha più fatto cambiamenti in quel settore, avendo trovato l’uomo giusto. A fine ’61, quando promuove Mauro Forghieri nel ruolo di direttore tecnico, questi aveva 26 anni e rimase al vertice dell’area tecnica per oltre un ventennio. Ferrari sapeva benissimo l’importanza di trovare le persone giuste».

Quale aspetto umano di Ferrari, tra quelli conosciuti, l’ha da sempre colpita e sul quale ha focalizzato l’attenzione per la stesura del sua opera?

«Per rispondere a questa domanda bisogna andare aldilà degli stereotipi sul Ferrari burbero, scostante, che metteva i propri uomini uno contro l’altro. Se devo descrivere il mio Ferrari lo faccio con tre aggettivi: ottimista, generoso e romantico. Quando Ferrari pubblica il primo volume biografico lo chiama “Le mie gioie terribili” e poi quando nel libro che dedica ai giornalisti si autointervista scrivendo:Avrei voluto nascere impotente per non dover piangere la scomparsa di mio figlio” e ancheAvrei voluto nascere orfano per non piangere la morte dei miei genitori”.  In realtà è un grande ottimista. Lui cerca di farsi passare come un grande pessimista, ma se uno analizza la sua vita può constatare che non ha mai perso la speranza anche quando le cose non andavano nel verso giusto. Ci sono atti di generosità da parte di Ferrari nei confronti delle famiglie dei piloti e dei collaudatori morti, dei propri operai e tecnici che avevano un familiare che doveva sottoporsi a specifiche cure e Ferrari se ne assumeva l’onere finanziario. Romantico perché è stato apostrofato come un donnaiolo, ma secondo me è una cosa molto riduttiva. In realtà ha cercato per tutta la vita il suo grande amore che non ha mai trovato in un’unica persona».

A Ferrari sarebbe piaciuta una F1 sempre meno “eurocentrica” e molto “tattica” come quella contemporanea?

«Mi do sempre due risposte. La prima è quello normale, scontata, che darebbero tutti: no. Pensare che manchi il Gran Premio dell’Automobile Club di Francia, il primo nella storia dell’auto, o pensare che la gara di Monza ha corso il serio rischio di non essere più corso. Oppure la cancellazione di gare storiche e tradizionali in Svizzera e Olanda. Poi però se uno ci pensa, Ferrari è stato un grande innovatore che ha guardato sempre al futuro. Forse nessuno lo ricorda, ma il primo a portare gli sponsor in gara fu proprio Ferrari con la Bosch, la Shell e la Pirelli. Non a caso ha sempre avuto un rapporto di grande ammirazione con Ecclestone. Se Ferrari vivesse oggi, probabilmente borbotterebbe inizialmente vedendo gare in Bahrain, Abu Dhabi, Singapore, ma poi pensando alla sopravvivenza della F1 avrebbe accettato di andarci».

Tra i piloti attualmente in circolazione, quale entrerebbe nelle grazie di Ferrari?

«Quello che vince (ride). Degli ultimi anni avrebbe apprezzato Alonso e Vettel. Piloti che poi, come Raikkonen, hanno già corso altrove e non rinnegano dove sono stati  e dove hanno vinto. Ma poi quando arrivano in Ferrari si rendono conto che la Scuderia è un’altra cosa rispetto agli altri team. Enzo Ferrari amava il talento ma anche la lealtà. Basti pensare a Lorenzo Bandini, del quale Ferrari non ha mai decantato una classe eccelsa ma quello che lo colpì di Bandini era la lealtà nei confronti dell’azienda».

Ferrari come avrebbe fronteggiato un periodo di recessione economica, come quello attuale, che ha colpito anche il settore automobilistico?

«Negli anni ’70 quando le leggi fiscali italiane danneggiarono le grosse cilindrate, abbassò appunto la capienza delle cilindrate per non fare pagare agli acquirenti delle proprie vetture la supertassa. Ferrari è sempre stato attento alle logiche del mercato, non producendo mai vetture in eccesso».

Anche durante la presidenza di Enzo Ferrari, la Scuderia ha vissuto momenti difficili senza vittorie iridate. Secondo lei perché l’attuale corso del Cavallino non è riuscito a tornare ai vertici della classe regina del motorsport?

«Stanno lavorando e la riporteranno dove le compete. Nello sport, soprattutto quello dell’automobile, quando uno è in testa e gli altri cercano di recuperare e quelli davanti non stanno fermi è difficile recuperare il gap rispetto ai tempi passati. Oggi le macchine sbagliate non nascono più, perché tutto è computerizzato. Ma chi parte con un vantaggio tecnico riesce a portarlo avanti per anni. Come capita in F1 dal duemila in poi, dove i team vincono i titoli a blocchi. Sono sicuro che a Maranello continuano a lavorare tantissimo, ma ci vuole più tempo rispetto al passato per recuperare. Sono convinto che Ferrari sarebbe soddisfatto dell’impegno che gli uomini del team stanno mettendo per tornare al vertice».

La mente di uno scrittore non si ferma mai. Ha già in mente nuove iniziative editoriali di prossima pubblicazione?

«Sto scrivendo il seguito del romanzoLa Scuderia”, una spy-story ambientata nel mondo delle corse degli anni ’30».

Piero Ladisa 

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