F1 | GP di Gran Bretagna: l’analisi della gara

Analizziamo i temi più importanti del quarto weekend della stagione

F1 | GP di Gran Bretagna: l’analisi della gara

Nuovo appuntamento, nuovo trionfo. Continua la marcia della Mercedes in questo mondiale 2020 grazie alla quarta vittoria consecutiva, arrivata tuttavia in modo più rocambolesco di quanto ci si potesse aspettare a causa delle diverse forature che avevano rallentato i piloti nelle ultime tornate di gara. Ciò nonostante, Lewis Hamilton è riuscito a centrare il suo terzo successo stagionale, il quale gli ha inoltre permesso di aumentare in maniera importante il proprio vantaggio nella classifica piloti, complice l’undicesima posizione del compagno di squadra e rivale più diretto al titolo, Valtteri Bottas, vittima dei problemi agli pneumatici sul finale.

Sul secondo gradino del podio troviamo un ottimo Max Verstappen, ancora una volta autore di una prestazione di alto livello, che gli ha permesso di ottenere il suo terzo arrivo consecutivo alla bandiera a scacchi nei primi tre. Sul podio anche Charles Leclerc, forse la sorpresa del weekend date le aspettative e le preoccupazioni con cui la Ferrari si era approcciata a questo fine settimana a Silverstone: il buon lavoro di set-up svolto in fabbrica e le capacità di gestione del monegasco, tuttavia, hanno fatto la differenza, permettendo al numero 16 di conquistare un risultato che, per quanto non deve ingannare, dà morale al team dopo un appuntamento complicato come quello dell’Ungheria. Ad approfittare degli episodi di gara è stato anche un convincente Daniel Ricciardo, quarto sul traguardo e solamente a meno di due secondi da un podio che sembrava un miraggio: questa quarta posizione, unita alla sesta del compagno di squadra, Esteban Ocon, rappresentano una bella soddisfazione per il team e anche per i meccanici, i quali nella notte di venerdì avevano lavorato fino a notte fonda per sostituire il telaio sulla monoposto dell’australiano, oltre ad un punto di partenza su cui continuare a lavorare dopo l’introduzione degli ultimi aggiornamenti. A dividere le due monoposto transalpine ci ha pensato Lando Norris, autore di una corsa sempre lì nel gruppone della midfield, anche se le posizioni perse nel corso del primo giro di gara hanno sicuramente influenzato le possibilità di piazzarsi meglio in classifica.

Ad aggiudicarsi la settima posizione è stato Pierre Gasly, il francese dell’AlphaTauri che anche in questa occasione è riuscito a centrare un risultato di assoluto valore, sia dal punto di vista personale che della squadra, proprio sul circuito dove nella passata stagione completò il suo miglior weekend nel breve periodo al volante della Red Bull RB15. Un capitolo, quello Red Bull, che anche questa settimana ha mostrato luci e ombre a causa della prestazione fatta di alti e bassi di Alex Albon, ancora distante dal proprio compagno di squadra: nonostante la pessima qualifica del sabato e l’incidente nel corso del primo giro di gara, il pilota anglo-tailandese è riuscito a rimontare fino all’ottava posizione finale, grazie anche ad una buona strategia e diversi sorpassi. Un po’ deludente anche la Racing Point, affidate alle sole mani di Lance Stroll in quanto Nico Hulkenberg non era nemmeno riuscito a prendere il via alla corsa a causa di un problema alla Power Unit: al di là delle complicazioni derivanti dal perdere, seppur solo momentaneamente, un pilota di valore come Sergio Perez, la RP20 ha lasciato qualche dubbio nel corso del weekend inglese in merito alle sue performance, il che potrebbe essere una situazione figlia di una scelta troppo azzardata in termini di set-up o della necessità da parte degli ingegneri di capire fino in fondo il progetto, sfruttandone i pregi e cercando di mettere riparo ai difetti. Indubbiamente, inoltre, i problemi di de-rating accusati nel corso della gara sulla vettura del canadese non hanno aiutato a mostrare le vere potenzialità della monoposto. A concludere la top ten troviamo Sebastian Vettel, autore di un fine settimana sottotono in cui non è mai riuscito ad essere incisivo e a trovare la fiducia necessaria nella sua SF1000, complice anche e soprattutto il tempo perso durante le tre sessioni di prove libere che non gli avevano permesso di lavorare sul set-up e sulle simulazioni.

Fuori dai punti, oltre al già citato Valtteri Bottas, anche le due Williams, le due Alfa Romeo, Carlos Sainz e Romain Grosjean. Gli episodi di gara hanno influito in maniera considerevole sui risultati della corsa, inclusa la tredicesima posizione di Carlos Sainz Jr., autore di una gara nei punti fino a pochissimi giri dalla fine, prima che la gomma anteriore sinistra lo abbandonasse e lo privasse dell’opportunità di portare a casa preziosi punti per il mondiale costruttori. Lontane, ancora una volta, le squadre clienti motorizzate Ferrari, ovvero Alfa Romeo e Haas: la prima sul finale si era vista costretta anche ad effettuare un pit stop aggiuntivo per la rottura dell’ala di Kimi Raikkonen, mentre per quanto riguarda il team statunitense, se è pur vero che la strategia scelta per Romain Grosjean avesse funzionato come ci si aspettava, le mancanze della vettura non hanno permesso al francese di centrare un arrivo a punti. Ciò nonostante, la prestazioni dei due team hanno comunque dato qualche indicazione interessante, come vedremo nell’analisi. Giornata sfortunata anche per Daniil Kvyat, costretto al ritiro dopo una quindicina di tornate in seguito alla foratura dello pneumatico posteriore destro in una zona molto veloce della pista.

Mercedes: con il cuore in gola

Arrivando a Silverstone, i pronostici non potevano non essere ancora una volta a favore della Mercedes, non solo per lo stato di forma e la superiorità messa in mostra nei primi tre appuntamenti della stagione, ma anche perché la pista inglese avrebbe dovuto evidenziare quelli che erano i punti di forza della W11. Ottima efficienza aerodinamica, stabilità e un anteriore preciso, fondamentale nelle sequenze di curve veloci o in quelle a medio-alta velocità, come ad esempio l’ingresso della sei, che mette alla prova le monoposto e la loro capacità di gestire il sottosterzo.

Il dominio in qualifica non aveva fatto altro che confermare queste sensazioni e la bontà del progetto 2020 del team tedesco, annichilendo la concorrenza con oltre un secondo di vantaggio sul rivale più diretto, Max Verstappen. Su tre piste completamente diverse che premiamo caratteristiche differenti delle vetture, ovvero il Red Bull Ring, l’Hungaroring e Silverstone, la W11 si era sempre dimostrata il punto di riferimento, un gradino sopra agli avversari, in particolar modo di Red Bull, che prima dell’avvio del campionato era stata accreditata come la rivale più temibile per la Mercedes. Anche in gara, il copione ha seguito quello degli scorsi appuntamenti, con le ex “Frecce d’Argento” davanti a comandare la corsa e un Max Verstappen sempre in agguato, pronto a sfruttare qualsiasi occasione per riuscire a rimanere in zona o, addirittura, porsi tra di loro. Tuttavia, il primo appuntamento di Silverstone ci ha regolato un finale inaspettato, che ha cambiato le carte in tavola anche per la squadra di Stoccarda, mettendo a rischio una vittoria che sembrava oramai in cassaforte.

Grazie alla grande prestazione del sabato, Lewis Hamilton e Valtteri Bottas erano riusciti a completare interamente la prima fila, il che li poneva indubbiamente in una posizione di vantaggio rispetto ai rivali più diretti, non solo dal punto di vista della track position, ma anche perché banalmente il viaggiare con meno vetture di fronte a sé avrebbe dato una mano nella gestione degli pneumatici, un aspetto fondamentale su questa pista che li mette a dura prova. L’obiettivo dell’inglese era quello di dare immediatamente uno strappo, riuscire a prendersi quel secondo e mezzo necessario per mettersi al riparo da un possibile attacco del compagno di squadra nelle prime tornate, quando le gomme erano ancora al massimo della loro vita, e da lì in poi riuscire a gestire fino al traguardo. Insomma, una gara lineare, ben diversa da quello dello scorso anno. Al contrario, la chance più concreta del finlandese di porre il suo nome sul trofeo più ambito era proprio alla partenza, sfruttando magari un buono scatto per sferrare un attacco e riuscire a portare a termine il lavoro della passata stagione, dove una strategia non particolarmente felice lo aveva tagliato fuori dalla lotta per il successo di tappa. Era quindi lecito aspettarsi un Bottas piuttosto aggressivo nei primi metri, tra l’altro con una procedura rivista dopo i problemi riscontrati a Budapest, dove era stato tratto in inganno da una schermata colorata sul suo dash. Così è stato e, infatti, il finlandese era stato autore di un’ottima partenza riuscendo a recuperare immediatamente diversi metri al compagno di casacca che, al contrario, non era stato protagonista di uno stacco frizione particolarmente entusiasmante, facendo pattinare eccessivamente le gomme posteriori prima del passaggio in seconda. Ciò aveva permesso al numero 77 di riuscire ad affiancarsi ad Hamilton nell’avvicinamento a curva 1, una curva molto particolare in termini di impostazione nelle prime fasi della corsa, in quanto si può percorrere su due linee, una più interna, passando vicino al cordolo, e una più esterna, che permette al contrario di aprire la traiettoria e portare più velocità in curva 2.

Proprio da questo punto di vista, è interessante notare come i due piloti si stessero approcciando in curva 1 e perché Lewis Hamilton, sotto diversi punti di vista, sia riuscito a gestire la situazione con estrema intelligenza nonostante una partenza poco felice. Sin dai primi metri, infatti, era possibile notare come un miglior scatto avesse dato la possibilità a Bottas di avvicinarsi e quasi allinearsi al proprio compagno di squadra, il quale, al contrario, si era subito reso conto della minaccia, spostandosi quindi sulla propria destra in modo da chiudere la traiettoria. Ciò si è rivelato un aspetto fondamentale perché, come si può apprezzare dalla camera alta, proprio in quel momento il finlandese stava provando ad allargarsi verso la parte più esterna, in modo da avere una posizione migliore nell’approccio all’impostazione della curva e una velocità in ingresso più alta: un piano non andato a buon fine proprio per la mossa di Hamilton che, così, era quantomeno riuscito momentaneamente a limitare i danni. Una difesa perfetta, che assume ancora più valore in quello che succede pochissimi metri prima di curva 1, quando Hamilton decide di riaprire il volante, allargandosi leggermente verso la propria sinistra, rimanendo tuttavia quasi verso il centro della pista. Un movimento minimo, ma indispensabile per più motivi: da una parte, naturalmente, lo aveva messo maggiormente al riparo da un possibile contatto, ma, soprattutto, ciò gli aveva permesso di ottenere un miglior ingresso nella curva successiva, portando così maggior velocità senza dover alzare più di tanto il piede. Chi aveva sofferto di più questa situazione era proprio Bottas, che si era così trovato costretto a percorrere una linea molto stretta e interna, la più chiusa di tutti i piloti alla partenza e non è un caso che, in quella situazione, Valtteri avesse deciso di non osare rischiando un attacco che avrebbe potuto potenzialmente trasformarsi in un disastro. Avendo oltretutto ancora gomme anteriori fuori temperatura, che avrebbero potuto portare a pesanti fenomeni di sottosterzo, azzardare una mossa particolarmente aggressiva con una linea così stretta e un margine minimo di riuscita sul proprio compagno di squadra non sarebbe stata una scelta particolarmente intelligente, in quanto avrebbe messo a rischio il risultato dell’intera squadra, magari con un doppio ritiro. Al fine di evitare un possibile contatto, quindi, Bottas era stato costretto ad alzare il piede e applicare maggior forza frenata, che era così risultato in una differenza di velocità di percorrenza in di curva 2 nei confronti del proprio compagno di squadra tra i 20 e i 30 km/h. Un divario non indifferente, che aveva messo così al riparo il sei volte campione del mondo anche per la frenata di curva 3, dato che il numero 77 per tentare un attacco avrebbe dovuto forzare eccessivamente la staccata, uno scenario poco realistico dato che anche in quel caso Lewis era stato molto furbo in termini di posizionamento.

In questo modo Hamilton era riuscito a mettere il primo paletto per costruire un altro trionfo, il terzo consecutivo della stagione, con una gara che da quel momento in poi si proiettava in discesa, in cui il suo obiettivo era quello di mantenere la testa della corsa e gestire gli pneumatici, per una strategia che, tra l’altro, sulla carta si presentava anche come quella più versatile, essendo partito sulla mescola soft. Al contrario, per il pilota di Nastola la gara si era incredibilmente complicata, perché riuscire a superare un pilota del calibro del sei volte campione del mondo a parità di strategia senza avere un vantaggio in termini di passo consistente non è mai impresa facile. L’entrata in pista della Safety Car nel corso del secondo passaggio, tuttavia, aveva dato un’altra possibilità al finlandese, che avrebbe potuto così sfruttare la ripartenza per tentare nuovamente un attacco e portarsi in testa alla corsa. Un’occasione non sfruttata, perché anche in questa situazione Hamilton era stato molto scaltro nel dettare il proprio passo, decidendo il momento perfetto per ripartire per cogliere di sorpresa i propri avversari e guadagnare così ancor prima del traguardo un vantaggio minimo ma essenziale, che lo avrebbe messo al riparo da eventuali tentativi alle proprie spalle. La chiave di queste prime tornate di gara era stata proprio l’intelligenza tattica dell’inglese, bravo a compiere tutte le mosse giuste per garantirsi la leadership della gara.

Dopo la prima ripartenza, i due erano rimasti vicini, mantenendo un distacco più o meno costante, intorno al secondo e mezzo, mentre continuavano a guadagnare sui piloti alle loro spalle: se il vantaggio sul giro nei confronti di Max Verstappen non era poi così elevato, intorno ai quattro decimi al giro, lo stesso non si poteva dire per Charles Leclerc al quarto posto, che nel giro di pochi passaggi aveva accumulato uno svantaggio di quasi 10 secondi dal duo Mercedes. A cambiare le carte in tavola, tuttavia, ci aveva pensato l’ingresso della Safety Car, in quanto aveva messo gli strateghi del team tedesco di fronte ad un dubbio: sfruttare la presenza della vettura di sicurezza ed effettuare la sosta, anche con un discreto anticipo sulla tabella di marcia, oppure rimanere in pista seguendo con il piano prestabilito? Nonostante entrambi i piloti dalla loro avessero comunicato via radio ai box che gli pneumatici fossero ancora in ottime condizioni, segno che vi era la possibilità di proseguire, gli ingegneri della “Stella” non avevano esitato, richiamando il prima possibile entrambi i proprio alfieri ai box per montare un nuovo set di gomme a mescola dura. Una scelta che, con quasi ancora 40 giri da completare, avrebbe potuto mettere le coperture in difficoltà, soprattutto considerando le caratteristiche del circuito che tendono a mettere sotto sforzo in particolare l’anteriore sinistra. Da questo punto di vista, la permanenza prolungata della vettura di sicurezza in pista a seguito dell’incidente di Daniil Kvyat aveva dato l’opportunità a tutti i piloti che si erano fermati di guadagnare qualche giro di vita sugli pneumatici, sperando di giungere al traguardo senza troppi problemi, complici anche le temperature più basse rispetto a quelle che si erano registrate al venerdì.

Anche dopo la seconda ripartenza, le due monoposto tedesche erano riuscite immediatamente a prendere un buon vantaggio sui rivali, portando il proprio vantaggio su Verstappen nello spazio di un solo passaggio intorno ai tre secondi. Una differenza prestazionale spiegabile attraverso diversi fattori: in primis, perché le due Frecce d’Argento avevano mantenuto una mappatura motore molto competitiva nel corso di tutto il giro, al contrario dell’olandese della Red Bull che, avendo perso terreno nelle primissime curve, aveva deciso di spegnere il “boost” già a metà tornata. In secondo luogo, la miglior gestione delle coperture anteriori da parte delle due W11, capace di scaldare con una maggior efficacia rispetto alla RB16 grazie anche all’impiego prolungato del DAS in una fase in cui anche qualche grado in più potrebbe fare la differenza, aveva permesso ai due piloti del team tedesco di attaccare con maggior aggressività, guadagnando così tempo prezioso. Avendo così messo un piccolo ma importante divario dai rivali alle loro spalle, la sfida si era nuovamente spostata sul duo di testa, su quella battaglia interna ad elastico, con il vantaggio di Hamilton su Bottas che continuava a variare, rimanendo tuttavia generalmente quasi sempre sotto i due secondi.

Lewis continuava a guadagnare nel secondo e nel terzo settore, soprattutto nella percorrenza di curva 6 e nella chicane 16-17 mentre, al contrario, Valtteri recuperava terreno nel primo settore, dove riusciva a farla da padrone nell’inserimento di curva 1-2-3-4, una zona in cui l’inglese tendeva a fare un po’ di tyre saving in più rispetto al compagno di squadra al fine di non stressare troppo gli pneumatici. Sarà proprio questo il tema su cui si sarebbero concentrate le ultime quindici tornate del Gran Premio e che avrebbero potuto far crollare in pochi istanti l’interno lavoro dell’intero fine settimana. Facendo un passo indietro, tuttavia, è fondamentale constatare che, nel momento in cui i due alfieri della Mercedes erano riusciti a prendere un gap sufficiente su Verstappen, dai box era stato deciso di scendere in termini di potenza di motore, optando per mappature molto più conservative, e di proseguire con un tyre saving più pronunciato, in particolar modo in quelle curve che mettevano davvero sotto stress lo pneumatici anteriore sinistro, ovvero la 1, la 9 (Copse) e la 15. Tutto ciò avrebbe dovuto portare ad uno sforzo sulla gomma meno pronunciato, per quanto, in realtà, diversi problemi avessero iniziato a farsi vivi a partire da circa il trentesimo giro. Se lo pneumatico anteriore sinistro era quello che destava le maggior preoccupazioni in vista della corsa, a dire il vero è stato quello anteriore destra a dare i primi segnali di sofferenza, con vistosi segni di blistering su entrambe le vetture nella parte più interna della gomma, nonostante la situazione fosse gestibile. Più importanti, invece, i problemi che si erano iniziati a presentare intorno al trentaseiesimo passaggio, quando dai box avevano informato Bottas di aver rilevato attraverso i dati dei vari sensori delle vibrazioni anomale sullo pneumatici anteriore sinistro, il più sollecitato. Se inizialmente queste vibrazioni risultavano gestibili, con il passare dei giri queste erano iniziate a diventare sempre più invadenti, tanto che nel corso del quarantunesimo passaggio il finlandese aveva aperto la radio per comunicare che le vibrazioni iniziavano a peggiorare, rendendo così più complicato gestire il bilanciamento della vettura e fare affidamento sull’anteriore. Un problema che, qualche tornata più tardi, si era presentato anche sulla vettura gemella, quella di Lewis Hamilton, che precedentemente era stato avvisato via radio delle difficoltà del compagno di squadra. Il fatto che queste complicazioni si fossero presentate prima sulla vettura del finlandese che su quelle dell’inglese non può essere del tutto una sorpresa, in quanto forzando nelle curve veloci e rimanendo per un periodo così prolungato così vicino nella scia del capoclassifica, le gomme avrebbero subito un maggior degrado, al contrario di quelle del sei volte campione del mondo che, viaggiando in aria libera, aveva avuto anche l’opportunità di gestire liberamente il passo.

I tempi di Bottas erano iniziati a salire e le difficoltà si facevano sempre più evidenti, sia dal punto di vista della guidabilità, come aveva riferito lo stesso pilota di Nastola via radio, che nella gestione degli pneumatici stessi, soprattutto nelle curve in appoggio, dove generalmente a Silverstone si possono guadagnare o perdere molti decimi di secondo. Nonostante le precauzioni e un passo nettamente più lento per arrivare fino al traguardo, tuttavia, ciò non era bastato per riuscire a salvaguardare l’integrità dello pneumatici, che a sole due tornate dal termine aveva ceduto completamente in prossimità della linea del traguardo. Una versa sfortuna, perché se fosse accaduto solamente qualche metro prima, il numero 77 avrebbe avuto la possibilità di fermarsi ai box e sostituire il set, mentre in realtà era stato costretto a compiere un intero giro prima di avere la possibilità di rientrare, con tutto ciò che significava in termini di tempo perso e difficoltà nella guida. Una situazione che, nel momento in cui era riuscito finalmente a tornare nella pit lane, lo aveva rispedito fuori dalla top ten, con l’attaccare Sebastian Vettel davanti a sé come unica possibilità di riuscire a racimolare un punticino mondiale: nonostante i tentativi sul finale, l’abilità del tedesco nel difendersi aveva lasciato Bottas a mani vuote, dovendo così concludere la corsa con un’amara delusione dopo un Gran Premio in cui aveva comunque ben figurato, tenendo a lungo il passo del compagno di casacca.

Analizzando gli instanti precedenti alla foratura, è possibile notare dalle immagini come effettivamente due tornate prima dell’effettivo cedimento dello pneumatico, Bottas fosse passato sopra ai detriti lasciati da Kimi Raikkonen in curva 13 in seguito alla rottura della sua ala anteriore, nonostante il finlandese della Mercedes avesse fatto particolare attenzione, riducendo di molto la sua velocità. È anche vero che il problema si era poi presentato solamente un giro e mezzo più tardi il passaggio sopra quei detriti, ed è quindi lecito chiedersi che ruolo abbiano giocato nella vicenda, soprattutto considerando che il manifestarsi del guasto tecnico era avvenuta in una curva dove l’anteriore sinistra non era messa poi così sotto sforzo. Indubbiamente, tuttavia, ciò non spiegherebbe nemmeno le vibrazioni che i due alfieri della casa tedesca stavano avvertendo sulle loro monoposto, segnali piuttosto evidenti che qualcosa in quel momento non stesse funzionando a dovere.

Un finale al cardiopalma, che però non aveva colpito solamente Bottas, ma anche il sei volte campione del mondo. A pochi passaggi dalla conclusione della corsa era ormai evidente che i problemi che stavano affliggendo la monoposto numero 77, ancor prima della foratura, fossero concreti e da non sottovalutare, per questo via radio avevano chiesto a Hamilton di non spingere per ottenere il giro veloce, salvaguardando così la vita dello pneumatico. Una gestione che effettivamente Hamilton aveva preso alla lettera, alzando vistosamente il piede in quelle curve dove l’anteriore sinistra potesse essere messa sotto particolare stress: per fare qualche esempio, in curva 1 aveva diminuito l’input sull’acceleratore di oltre il 50%, mentre in curva 9 e nella sequenza veloce gestiva il gas più delicatamente, in modo da diminuire la velocità di percorrenza e le forze in gioco che agivano sulle coperture. Ciò, tuttavia, non era bastato, perché all’altezza di curva 6 nel corso dell’ultimo passaggio, anche sulla vettura dell’inglese l’anteriore sinistra aveva completamente ceduto, pure in questo caso in una zona della pista dove quel particolare pneumatico non avrebbe dovuto subire particolari sollecitazioni. Un ultimo giro complicatissimo, gli ultimi chilometri sofferti di una gara che sembrava destinato a vincere senza troppe difficoltà e che invece si sarebbe potuta completamente capovolgere nel giro di pochissimi metri. Ma è proprio in questi ultimi chilometri di gara che Lewis aveva dimostrato il perché si trattava di un pilota sei volte campione del mondo e il perché l’esperienza faccia effettivamente la differenza per un pilota.

Curva 6, ultimo giro. La gomma anteriore sinistra, così come Bottas pochi passaggi prima, cede senza afflosciarsi subito, ma privando comunque il pilota dell’appoggio e della guidabilità necessaria per riuscire a completare i tratti di pista come nei giri precedenti. Resosi conto della gravità del problema, Lewis non sforza lo pneumatico, anzi, cerca di gestirlo, conscio che mancavano ancora diversi chilometri alla bandiera a scacchi e che uno sforzo eccessivo avrebbe potuto mettere la parola fine anticipatamente alla sua gara. Per questo nelle curve, soprattutto quelle più veloci, aveva modulato in maniera molto più efficace sia la velocità che la gestione dell’acceleratore, sfruttando le potenzialità della monoposto solo sui tratti rettilinei, dove la maggior parte dello sforzo sarebbe ricaduta sugli pneumatici posteriori. L’intelligenza di un campione, tuttavia, sta anche in questo, capire come e quando spingere, come e quando contenersi, come e quando gestire situazioni critiche. Ciò si è potuto apprezzare ancor di più nel corso dell’ultimo settore della pista, composto dall’Hangar Straight, una lunga curva veloce a destra e l’ultima chicane che porta sul traguardo. Analizzando i dati della telemetria è possibile notare come sull’Hangar Straight Hamilton avesse fatto qualcosa di molto furbo, ovvero non spingere completamente l’acceleratore per riuscire a raggiungere una velocità di punta più alta, bensì modularlo in modo da mantenere una velocità pressappoco costante al fine che la gomma restasse sempre nelle medesime condizioni, senza subire ulteriori peggioramenti. Raffrontandolo al caso di Bottas e Sainz, infatti, si può notare come quest’ultimi avessero fatto sì segnare velocità di punta relativamente più alte rispetto al sei volte campione del mondo, ma anche come nessuno fosse riuscito a mantenere la sua costanza. Da questo punto di vista lo spagnolo era quello che ci aveva perso di più, perché non solo aveva distrutto completamente la gomma, ma perché anche quel poco che aveva guadagnato sul rettilineo con una velocità di punta più alta lo aveva perso completamente nella percorrenza di curva 15, dove era fino molto largo. Insomma, nonostante il numero 55 fosse quello che tra i tre si era presentato all’inizio dell’Hangar Straight con le gomme nelle migliori condizioni, una gestione poco felice lo aveva penalizzato oltremodo.

Ultimo aspetto da rimarcare riguarda l’impostazione e la gestione dell’ultima chicane, a pochissimi metri dall’arrivo, con un Verstappen alle proprie spalle che si stava rendendo sempre più minaccioso nel suo tentativo di rimonta. L’ultimo tratto del circuito di Silverstone è particolare, in quanto presenta una chicane con una frenata particolarmente aggressiva in ingresso e una successiva curva a destra in cui buona direzionalità, saper modulare l’acceleratore ed evitare di far pattinare le gomme posteriori. Sapendo che si trattavano degli ultimi metri, nell’approccio all’ultima chicane Hamilton aveva scelto uno stile più aggressivo, forzando la staccata ed arrivando al bloccaggio, conscio che la gran parte del lavoro l’avrebbe così volta l’anteriore destra, in quel momento ancora in buone condizioni. In quel punto e in quel momento, forzare la staccata era una scelta pratica e che, nonostante sulla carta non abbia fatto guadagnare una quantità di tempo particolarmente elevata, ha tuttavia indubbiamente contribuito a portare quella monoposto sul traguardo in prima posizione, per la felicità di tutti i tifosi del numero 44. Tirando le somme, nonostante la differenza di passo con il compagno di squadra non fosse stata particolarmente ampia, la gestione dell’intera corsa da parte dell’inglese, dalla partenza all’ultima curva, è l’ennesima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, del perché Hamilton sia considerato uno dei migliori piloti in griglia e pluricampione del mondo.

La versione di Pirelli

A seguito dei problemi riscontrati durante il Gran Premio di Gran Bretagna, indubbiamente Pirelli non poteva non finire sotto accusa per delle forature e delle vibrazioni piuttosto difficili da comprendere, dato che anche i tempi dei piloti coinvolti in tale problematiche non avevano evidenziato particolari segni di cedimento degli pneumatici dal punto di vista cronometrico. Essendo inoltre avvenute nello spazio di pochissimi giri, era anche possibile immaginarsi che tale problematiche fossero figlie dei detriti lasciati in pista dalla rottura dell’ala della vettura di Kimi Raikkonen, su cui diversi piloti erano passati sopra, come ad esempio Valtteri Bottas. Dopo aver svolto delle precise analisi post-gara, il costruttore italiano aveva individuato nella lunghezza eccessiva del secondo stint, nel passo più veloce rispetto al 2019 e nelle forze in gioco sulla pista di Silverstone, i fattori che avevano portato a rendere le gomme meno protette, con conseguenti possibili forature, come si è poi effettivamente verificato. Le coperture di questa stagione, infatti, sono le medesime che erano state progettate per lo scorso campionato, in quanto le squadre, dopo aver provato dei nuovi prototipi, avevano deciso di mantenere le medesime coperture, aumentando semplicemente i valori di pressione minima. Da questo punto di vista è interessante notare come Pirelli non abbia indicato con i detriti lasciati da Kimi Raikkonen come una possibile causa di queste forature, anche se è da escludere che quest’ultimi non abbiano potuto incidere ancora di più sui problemi, andando a segnare delle gomme già poco protette. Per queste ragioni, il gommista ha poi deciso di mantenere l’allocazione per il prossimo weekend, in cui è previsto l’utilizzo di mescole uno stop più morbide ma con valori di pressione minima più elevati: considerando quanto accaduto la scorsa settimana, non è difficile ipotizzare la possibilità di vedere domenica prossima una corsa a due soste.

Red Bull: Verstappen ancora l’unico ad impensierire la Mercedes

Dopo gli alti e bassi dei primi tre appuntamenti stagionali, in casa Red Bull finalmente qualcosa sembra essersi iniziato a muoversi. Sia in Austria che in Ungheria, gli sviluppi portati in pista avevano deluso, tanto da spingere il team a decidere di ritornare su un pacchetto molto simile a quello dei test invernali, a causa delle sollecitazioni dei nuovi pezzi che rendevano la monoposto ancora più instabile e imprevedibile. Sin dai test di Barcellona, infatti, la RB16 si era dimostrata come una vettura piuttosto difficile da gestire, con un posteriore alle volte troppo nervoso, e non è un caso che in questa prima parte di stagione entrambi i piloti siano stati protagonisti più volte di numerosi di testacoda. La squadra diretta dal punto di vista tecnico da Adrian Newey aveva lavorato anche in questa direzione, introducendo un nuovo muso con piloni rivisti, un nuovo fondo, una nuova ala posteriore e altre modifiche minori, le quali tuttavia non avevano convinto. Nel corso delle prime sessioni libere del venerdì a Silverstone, Red Bull aveva lavorato intensamente, svolgendo dei test di comparazione per capire come risolvere questi problemi. La scelta di proseguire il fine settimana con un pacchetto aerodinamico che ricordava molto quello dei primi appuntamenti, al di là ovviamente delle diverse configurazioni per le ali, non deve sorprendere, ma comunque rappresenta il primo passo per riuscire a far fare il salto di qualità a questa RB11 e, anche se sarà impossibile lottare per il titolo, nel caso ci fossero dei progressi evidenti, pensare di riuscire a centrare qualche successo in una stagione così speciale non sarebbe poi un’idea così remota.

Così come al Red Bull Ring e all’Hungaroring, ancora una volta la Red Bull, soprattutto nelle mani di Verstappen, si era presentata come l’unica rivale in grado di mettere in difficoltà il duo Mercedes, sfruttando i vari episodi di gara che gli avevano permesso di ottenere un secondo e un terzo posto. Una storia che si è ripetuta anche a Silverstone, dove seppur è vero che l’olandese non sia mai stato in lotta per il successo di tappa, l’essere lì, pronto a sfruttare qualsiasi situazione ha pagato, tanto che in classifica piloti Max si trova solamente a pochi punti da Valtteri Bottas.

Troppo lento per chi gli stava davanti, troppo veloce per chi gli stava dietro. Non è un caso che Verstappen abbia corso la maggior parte di questo quarto appuntamento del mondiale in solitaria, senza nessuno che potesse attaccare o che rappresentasse una minaccia alla posizione sul podio. Gli episodi più rilevanti della sua gara, infatti, sono quelli ad inizio e fine corsa, in cui aveva l’opportunità di gareggiare per attaccare il duo di testa. Nonostante lo scatto al via non fosse stato particolarmente felice, infatti, l’ottima impostazione di curva 1 gli aveva permesso di portare molta velocità in curva, tanto da poter tentare concretamente di attaccare Bottas, con quest’ultimo bravo a difendersi chiudendo quello che poi in curva 2 sarebbe diventato l’interno. Ad approfittarne era stato Charles Leclerc, il quale al contrario aveva scelto una linea più interna, che gli avrebbe dato un vantaggio nell’impostazione di curva 3, essendo Verstappen rallentato dalla mossa del finlandese della Mercedes. Paradossalmente, tuttavia, la presenza del numero 77 era anche quella che aveva consentito a Verstappen di mantenere la sua terza posizione, in quanto se è pur vero che Leclerc si trovasse sulla linea più interna, quest’ultimo non avrebbe potuto forzare la staccata, sia per la presenza di Bottas come ostacolo, sia per il fatto che la combinazione tra gomme fredde e fastidio aerodinamico provato dalla vettura del finlandese avrebbe potuto potenzialmente portare ad un bloccaggio degli pneumatici sulla parte più sporca della pista, rischiando lo spiattellamento ed un possibile incidente, eventualità da evitare assolutamente. Al contrario, nonostante all’approcciarsi della frenata si trovasse fisicamente più staccato dal Ferrarista della Ferrari, una diversa scelta di linea sulla parte più gommata e il non avere nessuno davanti a sé in traiettoria avevano dato l’opportunità al numero 33 di forzare la staccata e difendersi, mantenendo così il terzo posto.

Troppo lento per chi gli stava davanti, troppo veloce per chi gli stava dietro. Una storia ripetuta e rivista anche dopo la ripartenza a seguito della prima entrata della Safety Car, in cui le due W11, complici temperature d’esercizio migliori delle gomme interiori e mappature più potenti, nello spazio di poche curve erano riusciti ad accumulare immediatamente un vantaggio tale da mettersi al riparo da eventuali tentativi con il DRS. Con il proseguire dei giri, i tempi dell’olandese avevano iniziato a stabilizzarsi, ma nulla poteva contro una Mercedes che riusciva sempre a dominare la scena. Al contempo, il vantaggio sul pilota alle proprie spalle, Charles Leclerc, continuava ad aumentare e farsi sempre più importante, senza che quest’ultimo diventasse mai lontanamente un problema per Max.

L’entrata della vettura di sicurezza a seguito dell’incidente di Kvyat aveva spinto i team ad un bivio, in cui la decisione era tra il rientrare per montare un nuovo set di gomme dure oppure rimanere in pista guadagnando così la track position. Così come gli avversari, anche gli strateghi della squadra di Milton Keynes avevano deciso di seguire la scelta degli avversari, richiamando il pilota di Hasselt per quella che avrebbe dovuto essere la sua prima e unica sosta. Esattamente come nella prima ripartenza, anche nella seconda ripartenza il copione sembrava il medesimo, con un Verstappen troppo lento per seguire il passo di quelli davanti a sé e troppo veloce per avere una reale concorrenza alle sue spalle. Addirittura, conscio che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di attaccare concretamente i battistrada, Max aveva spento i boost elettrici dopo pochissime curve, quando le due W11 sembravano aver già preso un minimo vantaggio, abbastanza per mettere fine ai sogni di tentare un attacco nelle primissime fasi dopo il rientro della Safety Car.

Seppur contenuto rispetto agli altri avversari, che segnavano tempi quantomeno un secondo più lento al giro, il distacco continuava a farsi sempre più ampio passaggio dopo passaggio, tanto da rendere l’unico compito di Verstappen da lì fino alla bandiera a scacchi quello di portare a casa la vettura con un buon bottino di punti sia per la classifica personale che quella legata ai costruttori. Tutto si concentrava, essenzialmente, sulla gestione gomme, tema che in questo quarto appuntamento della stagione l’aveva fatta da padrone. Così come le due Mercedes, dopo circa una trentina di giri anche l’olandese aveva iniziato ad evidenziare i primi segnali di degrado della gomma anteriore sinistra, per quanto i danni risultassero molto contenuti, tanto da non considerarla un particolare problema. Al contrario, a destrare maggiori preoccupazioni era l’anteriore destra, che mostrava dei fenomeni di vibrazioni che potevano far fastidio alla guida, come comunicato da Verstappen stesso dai box, per quanto gli ingegneri gli avessero suggerito che quel fenomeno potesse essere dovuto semplicemente alla presenza di blister nella parte più interna della copertura. Una gestione degli pneumatici, tuttavia, soddisfacente, perché essendo praticamente da solo e in aria libera, il numero 33 della Red Bull poteva gestire il passo nella maniera a lui più idonea e consona, in modo da non mettere sotto stress eccessivo lo gomme e rischiare di gettare al vento un risultato meritato. Da questo punto di vista, nel corso del quarantaseiesimo passaggio, a precisa domanda da parte di Max in merito allo stato delle gomme anteriori, il box lo aveva rassicurato, dicendogli che fossero costantemente sotto monitoraggio e che, fino a quel momento, erano contenti di ciò che stavano vedendo, sia per le temperature d’esercizio che per la superfice degli pneumatici, che presentavano un degrado contenuto.

La rottura dell’ala anteriore di Kimi Raikkonen e la foratura sulla macchina di Valtteri Bottas, tuttavia, aveva spinto gli strateghi della Red Bull a soli due passaggi dalla fine: giocare di sicurezza fermando Verstappen e mettendolo così anche nelle condizioni di provare a conquistare il giro veloce, oppure sperare che le gomme avessero retto e che, al contrario, anche quelle di Hamilton avessero riportato qualche sorta di danno? Per quanto la seconda opzione potesse far gola, la scelta di rientrare è stata senza dubbio quella più consona alla situazione, perché come ha poi raccontato il Team Principal della Red Bull, Chris Horner, dopo aver svolto le analisi di rito erano stati trovati circa una cinquantina di tagli nella gomma, che avrebbero potuto compromettere la sua integrità strutturale e portare ad una possibile foratura. Red Bull aveva deciso di giocare la carta della prudenza, accontentandosi di un secondo posto sicuramente meritato. Gli ultimi sforzi sul finale per riuscire a ricongiungersi e a superare Hamilton, per quanto abbiano poi portato alla creazione di un nuovo tempo record, non erano stati sufficienti per ricongiungersi con l’inglese, che così per una manciata di secondi era riuscito ad ottenere una delle sue vittorie più pazze in carriera. Inutile dire che anche in questo quarto appuntamento della stagione, Verstappen ha guidato ad un livello eccezionale, senza errori o sbavature, nonostante una Red Bull che al venerdì non sembrava essere nelle migliori condizioni, a causa di un bilanciamento che sembrava troppo sottosterzante, dovuto essenzialmente alle correzioni apportate dal team per ridurre il cronico problema al posteriore che sembra affliggere la RB16. Nella notte tra il venerdì e il sabato, tuttavia, un buon lavoro di messa a punto aveva aiutato l’olandese a trovare un miglior compromesso, permettendogli così ancora una volta di centrare un podio meritato.

Più complicata la corsa del compagno di squadra, Alex Albon, ancora una volta protagonista di un fine settimana sottotono. Complici le difficoltà incontrate in questa prima parte di campionato, il team aveva deciso di assegnare al pilota anglo-tailandese un nuovo ingegnere di pista, richiamando Simon Rennie al posto di Mike Lugg, che nel suo primo anno e mezzo in quel ruolo non aveva del tutto convinto la squadra. Una scelta sensata, dato che l’esperienza di Rennie, che precedentemente aveva lavorato con Alonso, Raikkonen, Kubica, Webber e Ricciardo potrebbe essere fondamentale per riuscire a trovare qualcosa in più in termini di lavoro sul set-up e di confidenza in pista, in quanto il rapporto tra l’ingegnere di pista e il pilota è un aspetto in cui serve grande sintonia, che con Lugg non si poteva dire fosse ad alti livelli. Tuttavia, ci vorrà tempo prima che questo cambiamento possa dare concretamente i suoi frutti. A complicare un weekend iniziato male, dopo l’incidente nelle prove libere, erano stati una pessima qualifica, in cui Alex aveva trovato ancora una volta l’eliminazione in Q2 che lo avrebbe costretto ad una gara in rimonta, e uno scatto poco felice alla partenza, dove aveva perso la posizione su Kevin Magnussen. Proprio nel corso del primo passaggio, i due erano stati protagonisti di un duello, che sul finire del giro li aveva portati al contatto. In uscita dall’ultima chicane, il danese aveva commesso un piccolo errore, andando a toccare con la ruota posteriore destra il cordolo più interno, il quale aveva fatto letteralmente da trampolino lanciando in aria il retro della monoposto e facendogli perdere il tempo e lo spunto necessario per rimanere sulla traiettoria ideale. Albon non voleva lasciarsi sfuggire l’occasione e, esattamente come lo si è visto fare più volte in questa stagione, si era posizionato con una linea molto interna, pronto a sfruttare quell’errore ed infilarsi nell’ultima curva, dove generalmente è difficile vedere due monoposto appaiate. Incrociando le linee, i due erano arrivati al contatto in un episodio molto difficile da valutare, perché ognuno aveva i propri punti a favore: da una parte l’anglo-tailandese si era effettivamente allineato al rivale della Haas, motivo per il quale Magnussen avrebbe dovuto lasciargli spazio in entrata di curva. È pur vero che, tuttavia, la mossa di Albon fosse estremamente aggressiva e che, con la velocità portata in curva in quella situazione e una linea così interna, molto probabilmente non sarebbe riuscito a chiudere la curva, spingendo verso l’esterno oltre i limiti della pista il danese. Nel giudicare l’episodio, i commissari avevano effettivamente valutato questi fattori, asserendo che i sorpassi in quel determinato della pista erano generalmente e difficili da eseguire e che, nonostante il numero 23 della Red Bull apparisse effettivamente più veloce, il ritardo con cui era stata eseguita la manovra e il poco spazio a disposizione per portarla a termine, il tentativo di Albon fosse oltre i limiti, motivo per il quale avevano deciso di assegnarli una penalità di cinque secondi.

Come se non bastasse, in prossimità della ripartenza, un altro problema si era fatto vivo sulla vettura del pilota anglo-tailandese, ovvero delle vibrazioni allo pneumatico anteriore sinistro, tanto da spingerlo a rientrare ai box per sostituire quelle gomme medie che gli avrebbero permesso di allungare lo stint e puntare ad una corsa ad una sola sosta, per un nuovo set di gomme dure. Al contrario degli episodi a fine gara, tuttavia, in questo caso la gomma era essenzialmente nuova, quindi è difficile immaginare che fosse stata vittima di uno stress eccessivo, avendo oltretutto completato solamente il primo giro a velocità di gara, dato il periodo passato dietro la vettura di sicurezza. L’idea più sensata sarebbe quella che, nel contatto con Magnussen, qualcosa abbia danneggiato la gomma e che il problema si sia poi presentato solamente nel momento in cui il pilota anglo-tailandese avesse iniziato ad abbassare il proprio ritmo. Indubbiamente rimane un episodio strano, che tuttavia ha costretto il numero 23 ad una gara tutta in rimonta, ancor di più di quanto non ci si aspettasse alla partenza. Mettendo in pista un buon passo, una strategia inusuale, sorpassi e un pizzico di fortuna, dati i problemi incontrati dagli avversari sul finale, Albon era poi stato capace di risalire fino alla zona punti, concludendo con un buon ottavo posto che, per quanto possa essere insoddisfacente visto il potenziale complessivo della RB16, si può anche considerare come un risultato positivo, dato come si era complicata la corsa poche tornate dopo la partenza. Sicuramente, tuttavia, ci sarà molto lavoro da fare per questa seconda opportunità a Silverstone, in cui il pilota della Red Bull dovrà dimostrare di saper fare passi in avanti e chiudere il gap dal proprio compagno di squadra.

Ferrari: un podio che non abbaglia, ma che rappresenta un punto di partenza

Dopo il disastro dell’Ungheria, in cui entrambe le Rosse di Maranello erano state doppiate durante la corsa, le aspettative della Ferrari per il doppio appuntamento di Silverstone non potevano essere così elevate, in quanto sulla carta la pista inglese avrebbe dovuto mettere a nudo alcuni dei punti deboli di questa monoposto, soprattutto in termini di velocità di punta sui rettilinei e in percorrenza nelle curve più rapide, dove serve stabilità e un anteriore preciso.

Per questo gli ingegneri a Maranello avevano lavorato duramente sul set-up, in modo da trovare una configurazione e il giusto compromesso che da una parte garantisse abbastanza carico per non perdere troppo tempo in curva, ma che non compromettesse troppo la velocità sui rettilinei, uno dei maggiori punti deboli che si erano visti, ad esempio, in Austria. Un lavoro non semplice, perché le mancanze della SF1000 su entrambi i fronti rendevano complicato riuscire a trovare una configurazione che riuscisse a coniugare questi due aspetti. Come raccontato da Mattia Binotto nel post-gara, da questo punto di vista il team si era preso dei rischi, puntando su un assetto particolarmente scarico, il che sicuramente avrebbe aiutato a mantenere velocità di punta piuttosto elevate, come si è poi effettivamente verificato durante l’intero fine settimana. Se questa configurazione avrebbe potuto dare parecchi benefici in qualifica, in Ferrari erano consapevoli che durante la corsa ci sarebbe stato maggiormente da soffrire, soprattutto nella gestione degli pneumatici.

Da questo punto di vista, il weekend di Charles Leclerc è davvero ottimo: dopo essersi riuscito a qualificare a sorpresa nel Q2 con gomme medie con un ottimo quarto posto, il monegasco era riuscito a replicare il medesimo risultato anche nell’ultima manche della qualifica, conquistando così una meritata seconda fila e la possibilità di partire con una mescola uno step più dura rispetto ai rivali alle proprie spalle, ovvero coloro da cui avrebbe dovuto difendere il quarto posto, garantendosi così maggior flessibilità in termini di strategia. Un buon stacco frizione alla partenza e le diverse linee scelte per curva 1, avevano permesso al Ferrarista di insidiare il terzo posto di Verstappen, il quale proprio nei metri iniziali aveva dovuto alzare il piede dall’acceleratore in quanto chiuso da Bottas, perdendo così diverso tempo in una fase che generalmente si percorre a gas spalancato. A guadagnarci da questa situazione era stato proprio Leclerc, che così era risalito virtualmente in terza posizione, sfruttando una linea più interna che gli aveva permesso di rimanere lontano da guai ma che, curiosamente, aveva poi rappresentato anche la sua condanna nell’impostazione di curva 3. Avvicinandoci alla prima vera frenata del giro, infatti, Leclerc si trovava proprio in scia di Bottas, per giunta sulla parte più sporca della pista, fattori che non gli avrebbero permesso di forzare la staccata e difendere quel terzo posto conquistato pochi metri prima, nonostante in realtà avesse anche lo spazio per cambiare traiettoria, riportarsi sulla traiettoria più pulita e difendersi da un eventuale attacco di Verstappen. Forse in quella situazione era mancato un pizzico di aggressività, perché vedendo le immagini è facile intuire quando frenare sulla parte più pulita della pista potesse dare un grosso vantaggio, che l’olandese della Red Bull non si era fatto sfuggire forzando la staccata, nonostante avesse un distacco non indifferente prima dell’attacco, e recuperando così la terza posizione.

L’entrata della vettura di sicurezza aveva garantito un ulteriore possibilità, ma alla ripartenza, la differenza di passo tra Leclerc e Verstappen non aveva dato alcuna chance al giovane monegasco di tentare un attacco concreto, tanto da rimediare quasi due secondi in meno di un passaggio. Anzi, al contrario, la vera minaccia veniva da dietro, perché un piccolo errore commesso verso la fine del giro, dopo essere passato sul cordolo più interno dell’ultima chicane con la gomma posteriore destra e aver sbilanciato la vettura, aveva permesso a Carlos Sainz Jr. di riavvicinarsi pericolosamente. Anche in questo caso, tuttavia, la differenza di passo tra le due monoposto aveva permesso al numero 16 di riguadagnare rapidamente un vantaggio di sicurezza, mantenuto fino all’ingresso della seconda Safety Car.

Il lungo periodo passato dietro alla vettura di sicurezza ad un’andatura anche piuttosto lenta, aveva influito in modo importante sulla gestione della monoposto, sia per quanto riguardava le temperature di esercizio delle Power Unit che delle gomme, entrambe troppo fredde. Difficoltà che, nonostante Ferrari avesse provato a mitigare spostando il bilanciamento dei freni verso l’anteriore sotto Safety Car, in modo che il calore prodotto potesse in qualche modo aiutare gli pneumatici, alla ripartenza si erano fatte evidenti, tanto da non poter forzare il ritmo i piloti avrebbero voluto nei confronti delle monoposto più veloci. Il distacco accumulato nel primo giro dai piloti di testa poteva essere attribuito a tre fattori diversi: come detto, il non essere riusciti a far raggiungere una buona temperatura d’esercizio delle gomme (sia anteriori che posteriori) indubbiamente non aveva aiutato ad imporre un ritmo alla pari dei primi tre classificati in quel momento, tanto che ancor prima del traguardo Leclerc aveva accusato un gap non indifferente, in una differenza di velocità e grip all’uscita della chicane evidente e preoccupante. A ciò è importante aggiungere che, in realtà, il monegasco giustamente era impegnato più a guardarsi negli specchietti e a guadagnare sui piloti alle loro spalle che su Verstappen, sfruttando oltretutto il fatto che in quel momento Romain Grosjean stesse facendo da tappo sul gruppo alle sue spalle. Raggiunto un vantaggio sufficiente, all’incirca sopra i tre secondi, da quel momento in poi la sua corsa si era trasformata in una gara di gestione, con l’obiettivo di salvaguardare la monoposto e, in particolare, le gomme, tenendo naturalmente sempre un occhio su ciò che accadeva nelle posizioni retrostanti. Dal punto di vista motoristico, anche durante l’appuntamento inglese si era potuto notare un comportamento che si era già visto nelle prime gare della stagione, ovvero l’utilizzo di mappature meno spinte, come ad esempio Engine 3, per un periodo prolungato di tempo. Un utilizzo molto differente rispetto a quello della passata stagione, dove tendenzialmente Ferrari tendeva a sfruttare maggiormente la parte endotermica della Power Unit, che invece ricorda quello che si era visto nel 2018, segno che qualcosa nelle modalità di utilizzo sia stato modificato per questo 2020.

I suggerimenti provenienti dei box e l’ottimo lavoro svolto da monegasco erano stati fondamentali per arrivare nei giri finali nelle migliori condizioni possibili, garantendosi anche un gap di sicurezza che si è rivelato vitale per riuscire a gestire gli pneumatici nelle ultime e concitate fasi del Gran Premio, dove le numerose forature avevano costretto i piloti ad alzare in modo considerevole il proprio ritmo e a non sforzare eccessivamente le coperture nei tratti di pista più a rischio. Il terzo posto finale, per quanto non debba illudere sul fatto che in questo momento la SF1000 sia una vettura da podio, può essere visto come un punto di partenza. Se la seconda posizione in Austria era arrivata più per episodi di gara che per reale meriti della monoposto, che si era dimostrata inferiore anche rispetto a McLaren e Racing Point nel corso dei primi due stint di gara, a Silverstone la SF1000, nelle mani di Charles Leclerc, ha dimostrato di avere un buon potenziale, gestendo anche con una certa tranquillità i piloti rivali della midfield. Prima di arrivare sul circuito inglese, Ferrari si era presa un rischio nella messa a punto della monoposto, puntando su una strada diversa da quelli degli appuntamenti precedenti: probabilmente ci vorrà tempo prima di riuscire a vedere la Rossa stabilmente davanti agli avversari della sua fascia, ma le prestazioni messe in mostra a Silverstone, sia in qualifica che in gara, mostrano qualche segnale di speranza che, tuttavia, dovranno essere replicate con entrambi i piloti.

Infatti, se Charles Leclerc è stato autore di un fine settimana forse addirittura sopra le aspettative, lo stesso non si può dire per Sebastian Vettel. Se è pur vero che Silverstone non sia mai stato un tracciato “amico” nei confronti del tedesco, che mal si sposta con i punti di forza del suo stile di guida, di certo non si può dire che negli anni passati il tedesco non avesse corso gare comunque di livello, tanto che, nonostante il gap accumulato in qualifica dal compagno di squadra, in gara era riuscito a mettere in mostra un’ottima gestione gomme, guadagnando così diverse posizioni. Avendo scelto una configurazione così aggressiva e scarica come quella con cui la Ferrari si era presentata sul circuito inglese, il lavoro da svolgere durante le prove libere sarebbe stato molto importante al fine di trovare il giusto bilanciamento e riuscire a sistemare la messa a punto della monoposto. Tuttavia, il tempo perso durante le sessioni del venerdì e del sabato, prima per un problema all’intercooler e poi per alcuni inconvenienti sulla pedaliera, avevano privato il tedesco di questa opportunità, lasciandolo brancolare nel buio anche dal punto di vista delle simulazioni, in particolar modo quella del giro secco, dove è importante trovare il limite. Unendo tutti questi fattori precedentemente descritti, non è un caso che il tedesco abbia faticato molto durante il fine settimana, faticando a trovare il giusto bilanciamento tra sottosterzo e sovrasterzo, soprattutto nelle zone più veloci della pista, dove tendenzialmente il tedesco aveva qualche difficoltà in più nel riuscire a portare maggior velocità in curva senza che la monoposto diventasse più nervosa. L’essere rimasto a lungo nel traffico, inoltre, non ha aiutato nella gestione degli pneumatici, che sul finale hanno subito un degrado non indifferente, accentuando ancor di più i problemi del quattro volte campione del mondo, tanto che anche dai box gli avevano chiesto più volte di tenere sotto controllo le coperture anteriori. Non è un caso che sul finale lo stesso pilota tedesco, tramite il manettino presente sulla propria monoposto, avesse comunicato al team che le sue gomme fossero al limite. Trovare il limite quando la confidenza nella vettura è molto bassa è incredibilmente complicato e con una midfield così compatta come quella di domenica scorsa, riuscire a tirare fuori quei decimi in più può davvero fare la differenza. Si sarebbe potuto fare qualcosa di diverso? Probabilmente sì, magari cambiando strategia in corsa e seguendo l’esempio di Albon, montando l’ultimo set di gomme medie rimanente, seppur usato, per mischiare le carte in tavola. Se è pur vero che i piloti davanti a sé non avessero accusato un calo particolarmente rimarcato sul finale e che probabilmente il pilota anglo-tailandese potesse avere qualcosa in più nel taschino, in fondo cosa avevano da perdere dato che si trovavano già fuori dai punti? Da questo punto di vista, il dubbio che può sorgere in mente è che quello stesso set magari fosse danneggiato, così come per i piloti Mercedes. Al di là di queste scelte strategiche, comunque, il lavoro da fare è ancora tanto e sicuramente questo non è il livello a cui ci ha abituato e può competere un campione del calibro di Sebastian. Correre nuovamente a Silverstone sarà una buona opportunità per il tedesco per lavorare nuovamente sulla vettura, cercando di adattarla maggiormente alle proprie caratteristiche e prendendo così maggior confidenza con un set-up abbastanza aggressivo.

Renault, McLaren, Racing Point e Alpha Tauri: una sfida per i punti

Arrivando in pista a Silverstone, sia McLaren che Renault avevano promesso un buon pacchetto di aggiornamenti per le loro vetture e, infatti, sia la vettura inglese che quella francese sin dalle prove libere si erano presentate con alcune novità, riguardanti la zona dei bargeboard e del fondo. L’appuntamento inglese nel corso degli ultimi anni non era mai stato particolarmente favorevole al team transalpino, che aveva sempre faticato nel trovare il giusto ritmo e a portarsi a livello dei rivali più diretti, ma la gara del 2020 ha finalmente mostrato qualche segnale incoraggiante per il team, con un quarto e un sesto posto finale che ripagano anche il duro lavoro della squadra durante la nottata di venerdì. Dopo aver riscontrato una frattura sul telaio della vettura di Daniel Ricciardo durante le prove libere, infatti, i meccanici avevano lavorato duramente per sostituire la scossa sulla monoposto dell’Australiano, violando così per la prima volta in stagione il coprifuoco.

Al sabato, Lando Norris era stato autore di un’ottima qualifica, riuscendo a qualificarsi al quinto posto e mostrando nuovamente le sua abilità sul giro secco. Anche lo scatto al via alla partenza era stato positivo, tanto da permettergli di allinearsi e insidiare Charles Leclerc alla prima curva, prima che il traffico e le diverse linee di percorrenza lo sfavorissero e permettessero al monegasco di prendere il largo. Tutto quanto era stato fatto di buono fino a quel momento, tuttavia, si sarebbe dissolto da lì a pochi chilometri più avanti, quando una pessima interpretazione di curva 6 e curva 7 gli aveva fatto perdere due posizione, prima nei confronti del compagno di squadra Carlos Sainz Jr., e poi su Daniel Ricciardo. Ad approfittarne maggiormente era stato proprio lo spagnolo della McLaren, il quale così aveva non solo recuperato due posizioni, ma si era anche portato in testa al gruppetto di piloti della midfield, un dettaglio da non sottovalutare per la gestione degli pneumatici. Un gruppo piuttosto ampio, perché oltre alle due MCL35 e alle due RS20, vi si erano aggiunti anche Lance Stroll, Sebastian Vettel e, leggermente più staccati, Pierre Gasly e Antonio Giovinazzi. Dopo il rientro della prima Safety Car, nonostante diversi duelli, le posizioni erano rimaste invariate, così come i distacchi, davvero contenuti in una midfield davvero compatta. A scombussolare i piani dei team, tuttavia, ci aveva pensato l’entrata per la seconda volta durante la corsa della vettura di sicurezza, che aveva così costretto le squadre ad anticipare di qualche tornata la sosta per i piloti che montavo la gomma soft e a montare un nuovo set di gomme hard. Durante la girandola dei pit stop, chi ne aveva guadagnato erano stati Sebastian Vettel e Antonio Giovinazzi, che avevano così avuto modo di superare Esteban Ocon e Pierre Gasly. Il primo, infatti, era stato svantaggiato dal fatto che il team dovesse effettuare una doppia sosta molto ravvicinata, allungando così i tempi del pit stop, mentre l’italiano aveva avuto l’opportunità di sopravanzare il francese anche grazie all’ottimo lavoro da parte dei suoi meccanici.

Alla ripartenza, Lando Norris era stato molto scaltro nell’approfittare del duello tra il proprio compagno di squadra e Daniel Ricciardo, riuscendo così a superare l’australiano all’esterno di curva sette e riguadagnando una di quelle due posizioni perse in partenza.

Lo stesso si poteva dire per Esteban Ocon, bravo a sfruttare le fasi concitate dopo il restart per sorpassare un Sebastian Vettel in grande difficoltà in curva 4 e recuperare quella posizione persa non per colpa sua durante i pit stop. Ciò che aveva cambiato completamente le carte in tavola, tuttavia, era la presenza di Romain Grosjean, che durante il periodo di Safety Car aveva deciso di continuare sulla media, rimanendo fuori e ponendosi proprio in testa a questo gruppo, tra l’altro mostrando anche un passo nei giri successivi alla ripartenza all’altezza della posizione in cui si trovava in quel momento, nonostante una monoposto che nel corso del weekend aveva dimostrato di non essere al livello di chi la precedeva. Considerando che, oltretutto, che il francese si trovava su pneumatici uno step più morbidi rispetto ai rivali e quindi più semplici da portare in temperatura, non è difficile capire il perché il francese nei primissimi passaggi in seguito al restart fosse riuscito a tenere a bada i piloti alle loro spalle, prima di venire infilato nel corso del ventunesimo passaggio da Carlos Sainz Jr. Un sorpasso fondamentale, perché nello spazio di quei pochi giri in cui Grosjean stava rallentando il gruppo alle sue spalle anche con mosse fin troppo al limite, lo spagnolo era riuscito a piazzare due tempi molto interessanti, guadagnando così un minimo vantaggio che gli avrebbe permesso ancora una volta di gestire diversamente la sua corsa. Se è pur vero che il ritmo di Grosjean non fosse poi così negativo rispetto a chi gli stesse intorno, indubbiamente la presenza del francese era stata deleteria per i piloti ambivano a recuperare posizioni, come Daniel Ricciardo, il quale era rimasto bloccato dietro al pilota della Haas fino al momento in cui quest’ultimo non aveva deciso di rientrare per la ultima e unica sosta. Se fino a quel punto Charles Leclerc e i due piloti della McLaren avevano potuto gestire diversamente la loro strategia, tenendo il passo leggermente più alto in modo da salvaguardare il motore e le coperture, proprio nel momento in cui il francese era rientrato ai box, i tempi si erano immediatamente abbassati, con l’australiano della Renault che spingeva per richiudere quel piccolo gap tra i due e i quattro secondi che si era formato con i due piloti del team di Woking. Nel frattempo, tuttavia, anche altri duelli avevano animato la zona di centro gruppo, soprattutto quello tra Esteban Ocon e Lance Stroll, oltre alla rimonta di Pierre Gasly, il quale aveva prima sopravanzato Antonio Giovinazzi con una splendida manovra all’esterno di curva 15 e poi anche Sebastian Vettel, riportandosi così in zona punti.

In un Gran Premio così imprevedibile come questo di Silverstone, tuttavia, a cambiare completamente la situazione erano state le ultime tornate e i numerosi episodi di gara. A partire da un paio di giri a quella parte, anche Carlos Sainz Jr., come altri piloti, aveva iniziato a sperimentare delle fastidiose vibrazioni alle gomme anteriori che, tuttavia, non sembravano dare troppo fastidio in termini di guidabilità, tanto che i tempi dello spagnolo erano ancora costanti. Anzi, sulla gomma anteriore destra fino a quel momento non erano presenti nemmeno particolari segni di blistering, che invece si potevano notare su altre monoposto, mentre le preoccupazioni principali in casa McLaren riguardavano principalmente le coperture posteriori. Solamente alcuni piccoli errori di guida, dovuti essenzialmente all’essere finito largo dopo aver tentato di prendere curva 9 in pieno con una mappatura motore leggermente meno potente, avevano permesso al gruppo dietro di sé, formato da Lando Norris e Daniel Ricciardo, di riavvicinarsi. Tuttavia, a sole due tornate dalla fine, la situazione si era totalmente ribaltata: da una parte l’australiano della Renault era finalmente riuscito a chiudere il gap che lo separava dal giovane inglese, mentre dall’altra il cedimento della gomma anteriore sinistra sulla vettura di Sainz aveva mandato completamente in fumo ciò per cui il team e il pilota di Madrid avevano lavorato duramente nel corso della gara, costringendolo a rientrare e rispedendolo così fuori dai punti. Un risultato immeritato, maturato a pochissimi chilometri dal traguardo che non rende giustizia al lavoro svolto dal team di Woking, che ben aveva preparato questo appuntamento di casa. A trarne maggior beneficio è stata senza dubbio la Renault, che con gli episodi delle ultime tornate era così riuscita a guadagnare diverse posizioni e a portare a casa il quarto e il sesto posto finale, oltre ad un buon bottino di punti nella classifica costruttori. Un appuntamento che dà fiducia anche e soprattutto ad Esteban Ocon, il quale, dopo aver alternato prestazioni convincenti ad alcune più in ombra in questo avvio di stagione, a Silverstone si è dimostrato estremamente competitivo in tutte le sessioni, anche nei confronti del compagno di squadra. Indubbiamente, senza il tempo perso dietro a Lance Stroll, anche il francese avrebbe avuto un’opportunità per chiudere il gap e giocarsi le proprie chance di concludere il Gran Premio quantomeno al quinto posto. Esteban avrà l’opportunità di rifarsi in questo fine settimana, quando la Renault dovrebbe oltretutto portare nuovi aggiornamenti a livello meccanico per migliorare le prestazioni della sua RS20.

Parlando della Racing Point, indubbiamente si è trattato di un weekend molto movimentato per il team anglo-canadese. La positività al COVID-19 di Sergio Perez dopo un test condotto prima di scendere in pista, aveva mandato in agitazione la squadra, che in poco tempo avrebbe dovuto così trovare un sostituito all’altezza in grado non solo di guidare una monoposto così impegnativa come quelle di Formula 1, che richiedono un allenamento fisico non indifferente, ma che allo stesso tempo sapesse estrarne il potenziale e garantire al team di tornare a casa con dei punti. Dopo aver valutato diverse alternative, la scelta era ricaduta su Nico Hulkenberg, che nel giro di poche ore aveva così dovuto abbandonare tutti i suoi piani, andare a Silverstone, completare il seat fitting fino alle due del mattino e completare una sessione di circa un’ora al simulatore venerdì mattina. Dopo le prove libere, nonostante qualche dolorino al collo, comprensibile considerato il lungo periodo di stop in cui tuttavia si era continuato ad allenare, il tedesco aveva confermato di sentirsi bene fisicamente e che la vettura gli desse buone sensazioni alla guida. Nonostante al sabato non fosse riuscito a centrare il passaggio in Q3, al contrario del compagno di squadra, le previsioni in vista della gara erano positive e non c’è dubbio che Nico avrebbe potuto essere nella lotta per un posto in top ten. A mettere fine anticipatamente alla sua corsa ancor prima di iniziarla, tuttavia, era stato un bullone spezzato, che non aveva nemmeno permesso al team di mettere in moto la monoposto, costringendo Hulkenberg ad un amaro ritiro.

Ben diversa la gara del compagno canadese, Lance Stroll, per cui vale la pena fare un approfondimento. Dopo alcuni test durante le prove libere, confrontando diverse specifiche di ala posteriore, tra cui anche una a cucchiaio, gli ingegneri del team avevano deciso di scegliere una configurazione piuttosto carica, molto simile a quella dell’Ungheria, senza dubbio la carica dell’intera griglia: un approccio completamente diverso rispetto a quello della Ferrari che, invece, si era presentata con l’ala più scarica. Una scelta forse fin troppo conservativa, magari dovuta alle preoccupazioni in tema di consumo gomme, dato che al venerdì le temperature erano piuttosto elevate, ma che sicuramente li aveva penalizzati in qualifica. Una scelta che ha avuto anche ripercussioni in gara, perché come era possibile vedere dai raffronti telemetrici, tendenzialmente Stroll era sempre qualche km/h orario più lento dei suoi rivali sui rettilinei, ovvero proprio quei tratti in cui un’ala posteriore più carica può dare delle difficoltà. In una midfield così ravvicinata, anche un singolo decimo di prestazione perso avrebbe fatto la differenza, come si è effettivamente verificato: ciò che riusciva a guadagnare nei tratti guidati, lo riperdeva nella parte conclusiva dei rettilinei. Un altro aspetto importante da sottolineare è che da circa metà gara in poi, il canadese aveva iniziato a sperimentare fastidiosi problemi con il sistema ERS, non tanto nello sfruttamento dell’energia, quanto piuttosto di de-rating, ovvero il fatto che l’energia non fosse sufficiente nella parte conclusiva dei rettilinei, peggiorando così significativamente il suo passo gara e accentuando le difficoltà che un’ala posteriore così carica poteva provocare. Sarà interessante capire come reagirà il team in questa seconda manche a Silverstone e se cambierà qualcosa a livello aerodinamico e di set-up.

Agrodolce anche la giornata dell’AlphaTauri, ancora una volta a punti con Pierre Gasly in un ottimo stato di forma, ma costretta al ritiro con Daniil Kvyat in seguito ad un problema sulla gomma posteriore destra: dopo accurate analisi, Pirelli ha spiegato che l’incidente del pilota russo era stato dovuto ad un guasto tecnico separato, che aveva portato al surriscaldamento del cerchio. A sua volta il cerchio aveva bruciato parte della gomma che, così, non aveva più modo di rimanere attaccata al cerchio, provocando una perdita di pressione che ha poi portato al testacoda e all’incidente. Un episodio davvero sfortunato per Kvyat, il quale aveva recuperato diverse posizioni nei primi giri di gara.

Haas, Alfa Romeo e Williams: ancora lavoro da fare, ma c’è qualche segnale positivo

Avendo sofferto in Austria e in Ungheria, di certo le aspettative per il Gran Premio di Gran Bretagna in casa Haas e Alfa Romeo non erano proprio idilliache. Ancora una volta, il risultato in qualifica aveva penalizzato oltremodo soprattutto i clienti motorizzati Ferrari, che così avevano messo a nudo tutti i punti più deboli delle rispettive monoposto. Al contrario, la Williams FW43, soprattutto nelle mani di George Russell, aveva ottenuto un risultato davvero positivo, centrando la terza Q2 consecutiva in questa stagione, migliorando sensibilmente nel confronto con lo scorso campionato. In gara, tuttavia, la storia si era ribaltata: la C39 e la VF-20 si erano avvicinate al gruppo, mentre la FW43, come negli appuntamenti precedenti, non era riuscita a mantenersi sugli stessi livelli di performance. L’aspetto positivo in casa Alfa Romeo è stato indubbiamente il fatto che Antonio Giovinazzi riuscisse, soprattutto nella prima parte di gara, a mantenere un passo non dissimile dal gruppo di centroclassifica che gli stava davanti, contenendo così il gap anche da Vettel. Con il progredire dei giri, tuttavia, si erano presentati i problemi di gestione gomma che avevano afflitto il team anche nei primi appuntamenti della stagione, con un leggero ma costante peggioramento del passo, soprattutto nel momento in cui, dopo essersi liberati di Grosjean, gli altri piloti avevano iniziato ad abbassare i propri tempi, lasciando al palo le due Alfa Romeo. Discorso diverso per la Haas, la scuderia americana che proprio dopo pochissime curve aveva visto uno dei suoi due alfieri, Kevin Magnussen, costretto al ritiro per un contatto con Alex Albon. Indubbiamente aver perso un pilota che in questo avvio di stagione stava dimostrando di avere qualcosa in più nel confronto del compagno di squadra non ha aiutato, ma le possibilità del team di andare a punti erano comunque ridotte. In ogni caso, ancora una volta la squadra aveva lavorato molto bene di strategia decidendo di rimanere in pista durante la seconda Safety Car, proseguendo quindi sulla mescola media: una scelta che aveva pagato, ponendo Grosjean in mezzo alla lotta di centro gruppo e riuscendo a girare anche con tempi di riguardo. Indubbiamente alcune sue mosse difensive sono andate oltre il limite, con cambi di direzione improvvisi sui rettilinei, che lo avevano portato a farsi attribuire una bandiera bianco e nera, che si sarebbe trasformata in penalità in caso avesse nuovamente commesso un’infrazione simile. Dopo aver effettuato la sua prima e unica sosta della corsa, Romain era scivolato come prevedibile in fondo al gruppo, ma realisticamente sperare di vederlo tornare il lotta per la zona punti, anche accodandosi agli altri in termini di strategia, sarebbe stato molto difficile. Al di là di alcuni episodi in pista, comunque, la corsa del francese si può considerare positiva, nella speranza di rivedere il team americano in posizioni di classifica più meritevoli con in Ungheria.

Il prossimo appuntamento

Durante questo fine settimana, la Formula 1 rimarrà in Inghilterra, per disputare il secondo appuntamento sulla pista di Silverstone. Sarà una buona opportunità per i team per provare qualcosa di diverso, soprattutto a livello di set-up. Alcuni team, inoltre, porteranno anche diverse novità tecniche, per cui sarà interessante vedere come e se si modificheranno i valori in campo.

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