F1 | GP Arabia Saudita, Red Bull contro Ferrari: una sfida su tutti i fronti

A Jeddah si ripropone il duello tra i due team, dal confronto in pista alle scelte strategiche

F1 | GP Arabia Saudita, Red Bull contro Ferrari: una sfida su tutti i fronti

Uno a uno. Dopo il doppio ritiro dal sapore amaro negli ultimi giri nel Gran Premio del Bahrain, la Red Bull è tornata alla vittoria, conquistando il primo trionfo stagionale in Arabia Saudita. Un weekend che si era aperto con la pole a sorpresa di Sergio Perez, autore di un ottimo giro in cui era stato in grado di massimizzare i punti di forza della RB18 in terra araba. A centrare il primo successo del 2022, tuttavia, non è stato il messicano, beffato dall’ingresso della vettura di sicurezza nel momento meno propizio, ma il suo compagno di casacca, capace di portare a termine il sorpasso decisivo nelle fasi conclusive della corsa dopo aver preso il via dalla seconda fila.

Vittoria giunta al termine di un bel duello con Charles Leclerc, riproponendo quella sfida che già a Sakhir aveva regalato emozioni. Il secondo posto lascia un po’ l’amaro in bocca per un fine settimana che forse si sarebbe potuto concludere diversamente, sia per questioni d’assetto che per episodi di gara, ma l’aspetto positivo è la conferma della competitività del pacchetto anche su un circuito dalle caratteristiche profondamente differenti. A concludere il podio l’altro scudiero del Cavallino, Carlos Sainz, ancora alla ricerca di quel feeling che gli consenta di fare un salto in avanti a livello di prestazioni. Una sfida che si ripropone tra Ferrari e Red Bull, non solo in pista, ma anche sulla preparazione del weekend e sulla strategia.

Assetti differenti

Ferrari e Red Bull erano giunte in Arabia Saudita con idee piuttosto differenti su quelle che avrebbero potuto essere le scelte aerodinamiche per il weekend. Rispetto alla vettura che aveva vinto in Bahrain, a Jeddah la F1-75 non presentava particolari modifiche, se non un’ala posteriore leggermente rivista per adattarsi alle sfide del secondo appuntamento stagionale. Un’ala che comunque non stravolgeva i concetti base rispetto a quella usata la settimana precedente, il che poteva lasciar suppore che la strategia degli ingegneri di Maranello fosse quella di puntare su una buona stabilità in curva e un degrado contenuto. Scelta che sotto certi aspetti ha dato i suoi frutti, ma che forse a posteriori è stata anche fin troppo conservativa, perché per tutto il weekend la F1-75 sì è effettivamente dimostrata molto competitiva sia in trazione che in curva, patendo però un ampio distacco sui rettilinei, tale da soffrire anche a DRS aperto. Ferrari che, comunque, fin dai primi test ha sempre girato piuttosto carica, in parte per le caratteristiche dei tracciati, in parte forse per un equilibrio complessivo che al momento funziona e non si vuole intaccare, quantomeno fino a quando non arriveranno ulteriori aggiornamenti mirati.

Un approccio opposto a quello della squadra di Milton Keynes, che alla vigilia si era presentata con due ali posteriori da testare durante le prove libere, in modo da avere maggior flessibilità e scegliere l’opzione migliore. Dopo i dovuti confronti, il team aveva optato per la soluzione più scarica, una scelta che avrebbe contribuito a quel dominio sui rettilinei riscontrato durante l’intero fine settimana, con velocità superiori ai rivali più diretti di oltre 10 km/h. Vi era qualche dubbio che ciò potesse mettere in crisi gli pneumatici sulla lunga distanza, ma tranne qualche difficoltà sulla media a pieno carico, con la dura la RB18 si è comportata molto bene evidenziando un degrado minimo. Una conferma a quanto si era visto nella passata stagione, quando sulla mescola più dura il deterioramento si era dimostrato davvero contento.

Primo stint

Data l’ampia differenza velocistica sui rettilinei rispetto alla Red Bull riscontrata al venerdì e al sabato, la partenza avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo per le speranze della Ferrari di vincere il Gran Premio. Se uno dei due piloti fosse stato in grado di prendere il comando nel corso del primo giro, ciò avrebbe consentito non solo di imporre il ritmo desiderato, ma anche di poter girare in aria pulita in quello che si era dimostrato il punto forte della F1-75 per tutto il fine settimana, ovvero il primo settore.

Allo spegnimento dei semafori, tuttavia, Perez era stato in grado di difendere la sua prima posizione, andando a proteggere la traiettoria interna dopo un ottimo scatto dalla pole. Una strategia che aveva spinto Leclerc a spostarsi sulla destra incrociando la linea di Sainz, il quale sarebbe stato quindi costretto ad alzare il piede prima della staccata e nella percorrenza della chicane, venendo così sopravanzato da Verstappen. In pochi metri, le dinamiche della corsa si erano già alterate, lasciando a Red Bull l’opportunità di ragionare in merito a quale fosse la condotta di gara più proficua da seguire. Proprio come in una partita di scacchi, infatti, si trattava di un sottile gioco di equilibri, ognuno con le proprie strategie in mente. Da una parte, per la squadra di Milton Keynes era fondamentale conquistare rapidamente un piccolo vantaggio, tale da limitare l’effetto benevolo della scia ai due portacolori della Rossa, ma senza imporre un ritmo troppo elevato per non danneggiare gli pneumatici. Dall’altra, in casa Ferrari l’idea era quella di puntare ad una corsa giocata sulla lunga distanza, quindi senza rimanere eccessivamente vicini da stressare le coperture, ma abbastanza da poter comunque sentire l’effetto scia sui rettilinei e lasciar aperta la porta a un eventuale undercut. Qualcosa confermato anche da Verstappen durante le interviste: “Non mi sentivo molto a mio agio sulle gomme medie. Per tutto il tempo, quando ci si avvicinava alla macchina davanti, le gomme morivano. Quindi non c’era molto da fare. Quindi è stato un po’ frustrante, sedersi lì e aspettare il giro giusto per rientrare ai box in modo da poter passare alle altre coperture, perché non appena siamo passati alla gomma dura ho avuto un feeling molto migliore.”

Un equilibrio difficile da individuare per entrambe le parti. Perfino senza scia, Perez poteva contare su un delta prestazionale sugli allunghi che spesso si aggirava poco sotto i 10 km/h a proprio favore, consentendogli di incrementare il proprio vantaggio nel terzo settore, quello composto da una chicane, la curva finale e lunghi rettilinei. Il problema di fondo per la Red Bull era quello di dover comunque mantenere un buon livello ugualmente in curva, non solo perché in quei tratti Leclerc si stava dimostrando molto competitivo, ma anche perché per tutto il weekend di gara sotto quest’aspetto la RB18 si era dimostrata inferiore rispetto alla controparte italiana. Nonostante durante il resto del fine settimana il degrado si fosse dimostrato piuttosto contenuto, esattamente come l’anno precedente, imporre un certo ritmo a vettura completamente carica di benzina avrebbe avuto i suoi effetti sulle coperture che, infatti, dopo una decina di passaggi erano andate in leggera difficoltà. Nello specifico, ad essere posti maggiormente sotto stress erano gli pneumatici del lato destro, quello su cui si faceva affidamento nei curvoni più impegnativi, come curva 7/8/10, curva 13, curva 22 e curva 27. Non a caso, intorno all’undicesimo giro sia Perez che Verstappen avevano informato il team del fatto che le condizioni dell’anteriore destra stessero peggiorando, generando del fastidioso sottosterzo con cui i due piloti della scuderia anglo-austriaca avevano dovuto convivere per quasi tutto il fine settimana.

In casa Ferrari, la situazione era invece leggermente diversa, non solo perché Leclerc e Sainz erano su due strategie differenti, ma anche perché chiaramente la Rossa aveva impostato la sua corsa proprio per diminuire quanto più possibile il degrado gomma. Si giunge così alla quindicesima tornata, quella che avrebbe visto il di Perez. A dire il vero, a chiamare per prima la sosta era stata la squadra del Cavallino e lo aveva fatto con grande astuzia, tenendo in considerazione diversi fattori, quali la posizione in pista del messicano e l’improvviso innalzamento dei tempi. Negli ultimi due giri prima del rientro in pit lane, infatti, Sergio aveva aumentato il proprio ritmo di qualche decimo, dando a Leclerc l’opportunità di avvicinarsi. A quel punto in casa Ferrari si erano aperti due scenari, entrambi con i propri pro e contro: da una parte rientrare, dall’altra chiamare comunque la sosta e reagire a seconda di ciò che avrebbe fatto Red Bull. Se il monegasco fosse rientrato, al momento del ritorno in pista avrebbe potuto spingere per tentare l’undercut, anche perché Russell non sarebbe stato di disturbo nella parte iniziale del giro. Diverso era l’altro scenario, quello che avrebbe visto gli strateghi di Maranello chiamare comunque la sosta per capire la reazione della controparte. Se Perez fosse rientrato, per quanto fosse vero in quel caso si sarebbe sventata la minaccia di un undercut da parte di Leclerc, allo stesso tempo il pilota di Guadalajara non solo avrebbe perso la track position su un tracciato dall’alto rischio di VSC o bandiere rosse, ma sarebbe anche rientrato nel traffico dell’inglese della Mercedes, perdendo decimi preziosi nel giro d’uscita. In entrambi i casi, Ferrari sapeva di dover agire in fretta, perché attendendo qualche altro passaggio sarebbe stato Leclerc quello a ritrovarsi nel traffico, consentendo così alla Red Bull di proseguire sul ritmo desiderato e giocare con maggior libertà strategica.

“Eravamo pronti a fermarci. Voglio dire, fondamentalmente abbiamo fatto l’opposto di Perez davanti, e lui si è fermato in quel giro, quindi sì, penso che abbiamo fatto la scelta giusta”, ha spiegato il numero 16 dopo la corsa. Non si trattava quindi propriamente di una trappola, ma piuttosto un modo scaltro di ragionare. Qualunque scelta ne fosse uscita, c’era un piano di riserva. Prendere la testa della corsa e sperare di poter girare in aria libera, oppure giocarsela sulla lunga distanza creando un offset che potesse consentire di attaccare sul finale con un minor degrado gomma. Cliff che, ad ogni modo, osservando i tempi di coloro che avevano preso il via della corsa sulla hard e dopo trenta giri erano in grado di segnare i propri migliori parziali, probabilmente non si sarebbe verificato in maniera così marcata.

L’entrata della SC cambia gli scenari

Su un circuito come quello di Jeddah, perdere la track position comporta sempre dei rischi. Un azzardo che Perez suo malgrado avrebbe pagato caro, perché proprio nel giro successivo a quello in cui era rientrato, un incidente aveva spinto il direttore di gara a far entrare la Safety Car, dando l’opportunità ai piloti di testa di fermarsi rientrando davanti. In pochi minuti, gli scenari si erano ribaltati. Ferrari era passata al comando e Red Bull non aveva più due punte su cui ragionare con la strategia, ma era costretta a inseguire. Il primo passo per il Cavallino era quello di prendere distacco e far sì che Verstappen non potesse rimanere in zona DRS, un compito che Leclerc aveva portato a termine agevolmente dopo la fine del periodo di neutralizzazione dietro alla vettura di sicurezza. Da quel momento in poi sarebbe stati venti giri di attesa, di studio l’uno dell’altro, in cui così come in Bahrain erano evidenti due stili di guida differenti. Molto più aggressivo in entrata quello di Verstappen, cercando di massimizzare l’ingresso sapendo di poter contare poi su un’ottima velocità in rettilineo, più dolce e dalle linee più morbide quello del Ferrarista, soprattutto nei curvoni, in modo prediligere la fase di trazione limitando lo stress sull’anteriore. “Dopo la ripartenza, stavo solo cercando di mantenere il divario più o meno costante da Charles” – ha spiegato il numero 1 della Red Bull, tanto che ad un certo punto della gara gli era stato suggerito via radio di risparmiare gli pneumatici per l’attacco sul finale -. “Ed è stato fondamentalmente, cercare di eguagliare i tempi sul giro, cercavo di riavvicinarmi e poi lui si allontanava di nuovo. Ma poi io mi riavvicinavo ancora.”

Il dilemma VSC

Dopo un periodo di circa venti giri in cui il distacco tra i due piloti di testa si era mantenuto stabile sotto i due secondi, a cambiare le carte in tavola era stato l’ingresso della VSC, dovuta ad alcuni piloti fermi in pista per noie meccaniche sulle loro vetture. Fase di neutralizzazione che si sarebbe dimostrata decisiva per tre aspetti. Il primo era puramente legato alla durata delle gomme, perché qualche passaggio a velocità ridotta avrebbe permesso di allungarne la vita, in modo da poter spingere quando la battaglia per la vittoria sarebbe entrata nel vivo. Il secondo riguardava ancora una volta le coperture, ma da un punto di vista differente: sin dal venerdì si era evidenziato come il degrado non fosse così alto come ci si poteva aspettare alla vigilia, in particolare con il compound duro. Come spiegato dal responsabile Pirelli Mario Isola, le gomme 2022 hanno il pregio di recuperare aderenza dopo un giro ad andatura ridotta e pur se è vero che la VSC impone un ritmo piuttosto lento, ciò permette di far rifiatare la mescola. Un elemento importante soprattutto per Verstappen, non tanto per una questione di degrado, ma perché dopo una ventina di tornare passate nella scia di un rivale, avere a disposizione un breve periodo in cui far recuperare gli pneumatici poteva tornare utile. Infine, la fase di neutralizzazione aveva limato i distacchi, consentendo di passare da circa un secondo e mezzo a soli otto decimi.

Una differenza talmente ampia da generare qualche dubbio al termine della corsa, dato che il compito della Virtual Safety Car dovrebbe proprio essere quello di mantenere quanto più costanti i distacchi. Una controversia da spegnere sul nascere, perché nella gestione della neutralizzazione non vi è stata alcuna anomalia, ma si tratta solo di una questione di posizione in pista e bravura dei piloti nel preparare la fase di VSC Ending. Per capire cosa sia successo, bisogna fare un passo indietro al quarantesimo giro, quello precedente all’esposizione della bandiera verde. Prima di curva ventidue, sia Leclerc che Verstappen erano stati informati che la corsa probabilmente sarebbe ripresa a breve, per cui sarebbe stato utile agire sui freni e sulle gomme per mantenerli in temperatura. Mentre il Ferrarista aveva optato per una tecnica a strappi, accelerando e frenando a intervalli regolari nel tentativo di rimanere sempre vicino allo zero sul delta, l’olandese aveva seguito una strada differente. Dopo curva ventiquattro, infatti, l’alfiere della Red Bull aveva rallentato per prendere spazio e far salire il delta, portando momentaneamente il distacco dal leader intorno ai quattro secondi. Una scelta ben precisa, in modo da potersi lanciare, raggiungere una velocità di punta maggiore e poi rallentare in maniera più aggressiva all’ultima curva per scaldare l’impianto frenante e gli pneumatici.

L’aspetto più interessante è che anche dopo curva ventisette, Verstappen si trovasse ad oltre due secondi da Leclerc, a dimostrazione probabilmente avesse ancora da parte qualche decimo sul tempo da rispettare da poter amministrare sul rettilineo successivo, quello del traguardo. Mantenendo una velocità media nel complesso più alta sull’allungo principale, il pilota di Hasselt era stato in grado di riavvicinarsi, fino al momento in cui il race director aveva comunicato l’inizio della fase di VSC Ending. Pochi secondi che, però, avrebbero cambiato il destino della corsa. Invece di accelerare fino alla fine del rettilineo, Max aveva anticipato la staccata in curva 1 con una decelerazione molto dolce, soprattutto se messa a confronto con una situazione di gara standard. Più è bassa la velocità in fondo al rettilineo, più il delta tende a rialzarsi, in modo da avere pure in questo caso un piccolo margine per le fasi successive. Qualcosa che in parte aveva tentato di riproporre anche Leclerc, la cui velocità in curva uno era effettivamente piuttosto bassa.

A pochi secondi dall’esposizione della bandiera verde, a stravolgere le carte in tavola sarebbe stato quanto successo dopo la chicane. In uscita da curva due, Leclerc era tornato rapidamente sull’acceleratore, tanto da giungere in poco tempo sino al 100% del pedale. Non a caso, nel primo microsettore successivo al cambio di direzione, il vantaggio del monegasco era aumentato nuovamente. Nulla di strano, se non fosse che quella fase era durata pochissimo, tanto da spingerlo prima al 50% dell’acceleratore e poi addirittura a zero, compreso un breve passaggio sul freno. Tutto questo mentre Charles si trovava ancora in fase di Virtual Safety Car Ending, perdendo così l’opportunità di lanciarsi sull’allungo che porta a curva quattro. Purtroppo il delta sul volante della F1-75 numero 16 non era visibile in quel momento, ma le ipotesi sono due: o vi era il serio rischio di arrivare troppo rapidamente allo zero, oppure il Ferrarista non aveva sfruttato del tutto il tempo a disposizione. Un approccio differente da quello di Verstappen, che si era preparato in modo tale da potersi lanciare nel momento perfetto e rimanere più a lungo con l’acceleratore completamente spalancato. In questo modo, il portacolori della Red Bull avrebbe potuto percorrere una sezione maggiore del rettilineo con una velocità più alta, diminuendo il distacco dal leader. Sensazioni confermate dai raffronti telemetrici, secondo cui nel momento in cui era stata esposta la bandiera verde, tra i due vi fosse una differenza di oltre 30 km/h.

Una discrepanza di velocità che Max avrebbe anche potuto sfruttare più a lungo, considerando che al termine del periodo di neutralizzazione vi sarebbe stata altra strada da percorrere prima di arrivare alla frenata di curva quattro, al contrario del monegasco, il quale era già giunto all’incirca al cartello dei 100 metri. Ciò spiega come Verstappen fosse stato in grado di recuperare sei decimi nello spazio di uno solo microsettore, riportandosi sotto al secondo di distacco dal leader della corsa. Pochi secondi che avevano iniziato a far crollare quel castello di carte su cui Leclerc sembrava aver costruito le basi per il suo secondo successo stagionale, perché il problema non era solo aver perso sei decimi, ma averlo fatto nel tratto che per tutta la gara aveva rappresentato il suo punto di forza, quello in cui Ferrari poteva allungare per poi compensare ciò che Red Bull guadagnava sui rettilinei.

Il sorpasso decisivo

A nove giri dalla bandiera a scacchi, la corsa aveva completamente cambiato faccia, dando a Verstappen l’opportunità di rendersi minaccioso e puntare alla vittoria. Quei pochi decimi guadagnati nel tratto che per lui si era rivelato il più ostico fino a quel momento, lo avevano messo nella posizione di poter trarre il massimo dalla scia, anche se non sufficientemente vicino per portarsi al comando. Un attacco che sarebbe arrivato nel giro seguente, quando giungendo a metà tornata con soli sei decimi di distacco dopo aver fatto di tutto per rimanere incollato nel primo settore, Max aveva aperto il DRS passando in testa alla frenata di curva ventisette. Come si era visto l’anno passato, tuttavia, il detection point posto proprio pochi metri prima della staccata del tornate finale aveva dato a Leclerc l’opportunità di sfruttare a sua volta l’ala mobile sull’allungo successivo, ritornando in testa passata la linea del traguardo.

Una situazione che all’apparenza poteva sembrare simile a quella vista in Bahrain la settimana precedente, ma che in realtà presentava uno scenario profondamente diverso. Se nel duello di Sakhir Verstappen era costretto a dover osare alla staccata della prima curva per tentare di porre rimedio all’ampio svantaggio con cui si ritrovava all’inizio del rettilineo principale, il tracciato di Jeddah richiedeva un approccio differente. L’unica soluzione era quella di avvicinarsi sull’allungo prima di curva ventisette, ma senza tentare il sorpasso, in modo da poter guadagnare il DRS e concludere l’attacco nel rettilineo successivo. Un giochino ormai ben conosciuto, ma che sulla pista dell’Arabia Saudita in meno di sei mesi ha visto la sua espressione peggiore, tanto da spingere entrambi i rivali addirittura al bloccaggio al quarantatreesimo giro pur di non rimanere davanti. Spettacolo che difficilmente si poteva definire tale, ma che aveva evidenziato l’intelligenza del monegasco in una fase così delicata, perché nel momento in cui si era reso conto che anche l’alfiere della Red Bull aveva cercato di frenare per non giungere per primo al detection point, Charles non aveva rallentato ulteriormente, ma piuttosto era tornato sull’acceleratore, lanciandosi sul traguardo. Una scelta che in un momento così critico gli era valsa qualche decimo di respiro, mettendolo momentaneamente al riparo da un altro attacco che, prima o poi, sarebbe inevitabilmente arrivato.

Dopo aver ricaricato le batterie ed essersi riportato nuovamente negli scarichi del leader, la battaglia era pronta a riaccendersi nel corso del quarantaseiesimo giro, questa volta per l’attacco decisivo. Un affondo che il pilota di Hasselt si era preparato con un approccio molto aggressivo a partire da curva tredici, dove aveva mantenuto una traiettoria molto più stretta rispetto a quanto fatto in precedenza per percorrere quanta meno strada possibile, annullando un altro dei punti di forza della Ferrari fino a quel momento. Essendo riuscito ad annullare il vantaggio di Leclerc alla staccata di curva ventisette ed essendosi garantito il DRS anche per il rettilineo successivo, finalmente tutti tasselli sembravano essersi incastrati al posto giusto: sfruttando la scia e il DRS, Verstappen era passato in testa ancor prima del traguardo, lanciandosi verso la conquista della sua prima vittoria dell’anno.

Nonostante i tentativi del Ferrarista di rimanere incollato per provare a sua volta a riproporre la stessa dinamica, ciò non si sarebbe dimostrato sufficiente, principalmente per quel tema ricorrente che si era proposto per tutto il fine settimana, ovvero la velocità di punta. Se nel momento in cui l’olandese si trovava in seconda posizione, sfruttando scia e il DRS, quel delta velocistico si aggirava anche oltre i 30 km/h, a ruoli invertiti quella differenza non raggiungeva nemmeno la metà di quel valore, fermandosi stabilmente sotto i 15 km/h. Ciò aiuta a comprendere il perché nei due allunghi del secondo e terzo settore, Leclerc facesse così fatica a riavvicinarsi, trovandosi poi staccato di oltre mezzo secondo all’ultima curva. Un gap difficile da colmare, per di più se la fortuna sembrasse giocare contro la Rossa, perché quella breve bandiera gialla all’inizio del quarantanovesimo giro era giunta proprio nel momento sbagliato. Non tanto perché avrebbe reso impossibile tentare un attacco in curva uno, ma perché quei pochi secondi di bandiera gialla avevano spinto la direzione gara a disabilitare momentaneamente l’ala mobile sul rettilineo principale, proprio nel momento in cui sarebbe dovuto passare Leclerc, riducendo così le chance di potersi riavvicinare al leader della corsa. Caso diverso era quelle delle doppie bandiere gialle esposte nell’ultimo giro, che si pensava potessero aver privato la Rossa anche di quell’ultima possibilità, ma la realtà dei fatti presentava una situazione leggermente differente rispetto a quanto era avvenuto in precedenza: osservando i dati telemetrici, infatti, emerge come Verstappen avesse rallentato più di Leclerc nel tratto incriminato, consentendo al portacolori di Monaco addirittura di riavvicinarsi. Ma ormai il tempo era giunto alla fine, quei cinque decimi di distacco all’uscita di curva ventitré sarebbero stati impossibili da colmare, soprattutto perché essendo l’ultimo giro Max aveva aperto tutti i rubinetti dell’ibrido, limitando le possibilità della Rossa di recuperare pur sfruttando scia e ala mobile. Pochi minuti in cui l’olandese aveva saputo aspettare e colpire nel momento giusto, ottenendo il suo primo trionfo della stagione.

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