F1 | Preoccupazione Ferrari: le indiscrezioni, le parole di Binotto, il paradosso di Achille e la tartaruga…
A raccogliere gli indizi in questo periodo tutto fa pensare ad una Rossa non ancora pronta per il mondiale
Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova. Per fortuna possiamo fermarci a due elementi indiziari, già sufficienti ad agitare il sonno dei tifosi del Cavallino. Il terzo indizio potrebbe essere rappresentato dalla stabilità regolamentare, che gioca per forza di cose a favore di chi è davanti. Ma andiamo con ordine.
A gettare nel panico l’ambiente ferrarista c’ha pensato Leo Turrini, decano dei giornalisti di F1 e da sempre vicinissimo alla Rossa di Maranello. Il noto giornalista, parlando della nuova monoposto del Cavallino, ha così scritto sul suo personale blog: “Le indicazioni del simulatore e della galleria del vento non hanno impressionato gli ingegneri, almeno per adesso”.
E va be’ che sarà mai, c’è ancora tempo per affinare i dettagli e recuperare; quante volte progetti all’apparenza sbagliati si sono rivelati ottimi, mentre altri vincenti sulla carta hanno disatteso tutte le aspettative? Tutto può essere, se non fosse che a far aumentare in modo, a questo punto legittimo, la preoccupazione sulla nuova nata di Maranello ha contribuito direttamente Mattia Binotto il quale – in modo profondamente onesto – ha disegnato un quadro della situazione non proprio idilliaco: “La Ferrari non può partire battuta e abbiamo l’obbligo di provarci – avrebbe dichiarato il team principal a Motorsport – nel 2020 non partiamo per arrivare secondi, ma per aprire un ciclo vincente come quello della Mercedes e superarla servirà ancora qualche anno. Non si arriva a quel livello di efficienza di squadra, di maturità e di know-how in due giorni”.
Servono anni per superare la Mercedes. Bene. O meglio, bene ma non benissimo. La domanda sorge spontanea: ma la Ferrari negli ultimi anni cosa ha fatto se si ritrova sempre punto e a capo? Insomma, è dal 2015 che il Cavallino “insegue” tra alti e bassi la Mercedes, riuscendo tra l’altro a far vedere sprazzi di competitività quasi ogni stagione, 2016 a parte. Finanche l’anno scorso, con una monoposto concettualmente sbagliata, la Ferrari è riuscita a segnare nove pole e a vincere tre GP (ai quali va aggiunto il primo posto mutilato di Montreal). Eppure per raggiungere la Mercedes servono sempre anni, come se fossimo sempre fermi al 2014.
Le parole di Binotto ricordano da vicino il paradosso di Achille e la tartaruga, uno degli argomenti contro il movimento del filosofo Zenone di Elea. Achille, sebbene più veloce, non riuscì mai a raggiungere la tartaruga, perché doveva coprire sempre la metà della metà dello spazio percorso. Il sofismo del filosofo greco tendeva a sostenere l’Essere come immaginato dal maestro Parmenide, ovvero finito, immobile, perfetto. E non vorremmo che anche questa Ferrari fosse immobile, in attesa di ispirazione divina (o dell’agognato cambio regolamentare del 2021) e già rassegnata ad un 2020 fotocopia del 2019, un ennesimo anno di transizione, di vorrei ma non posso e di cocenti delusioni.
Le parole piuttosto realistiche di Binotto, unite alle indiscrezioni di un insider come Turrini, non invitano certo al più sfrenato entusiasmo. In attesa ovviamente dei test di febbraio a Barcellona e soprattutto delle prime sessioni ufficiali in Australia (ricordate il 2017?) c’è da chiedersi però se la Ferrari in questi anni abbia lavorato in una unica direzione o se tutto quanto costruito tra il 2015 e il 2018 sotto la gestione Arrivabene non sia andato perduto con il passaggio alla leadership di Binotto. Per raggiungere la Mercedes ci vorranno anche anni, ma in questi anni la Ferrari cosa ha fatto?
Antonino Rendina
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