F1 | GP del Bahrain: Hamilton contro Verstappen, una gara di strategia

Dai pit stop anticipati agli episodi di curva 4: come il pilota della Mercedes ha vinto la prima gara stagionale

F1 | GP del Bahrain: Hamilton contro Verstappen, una gara di strategia

Dopo oltre tre mesi di pausa, il campionato 2021 di Formula 1 ha finalmente preso il via in Bahrain, dove si è svolto il primo appuntamento stagionale sulla pista di Sakhir. Un Gran Premio che non ha deluso, regalando suspence e spettacolo fino alla bandiera a scacchi, anche grazie al duello che ha visto coinvolti Lewis Hamilton e Max Verstappen, separati sulla linea del traguardo da soli 745 millesimi.

Non vi poteva essere modo migliore di inaugurare questo mondiale, con una sfida preannunciata sin dai test invernali, i quali avevano visto il pilota olandese e la Red Bull in grande spolvero. Il primo Gran Premio dell’anno, tuttavia, rappresentava una sorta di prova di nove in cui confermare che i progressi fatti negli ultimi mesi non fossero solo i classici titoli invernali, come spesso avvenuto in passato, ma la dimostrazione che la squadra anglo-austriaca potesse davvero lottare per la conquista del titolo iridato sin dalle battute iniziali del campionato. Nonostante una rondine non faccia primavera, durante il weekend bahreinita la RB16B si è dimostrata una monoposto estremamente competitiva, sia in qualifica che in gara, costringendo così Mercedes a dover lavorare di strategia per riuscire ad ottenere il successo finale. Un compito che negli ultimi anni generalmente era toccato alla squadra di Milton Keynes, sempre alla rincorsa dei campioni in carica, mentre in Bahrain i ruoli si sono capovolti, con il cacciatore che era diventata la lepre e viceversa. Se l’anno scorso Hamilton cercava una sfida all’altezza del suo talento, quest’anno le premesse lasciano ben sperare che si possa assistere ad una sfida sempre più emozionante. Ma andiamo ad analizzare nel dettaglio quali sono stati gli elementi che hanno fatto la differenza nella Sakhir.

La gara dal punto di vista di Hamilton

Il secondo posto conquistato in qualifica certamente non poneva Hamilton come il favorito assoluto, ma rappresentava comunque una buona opportunità per provare ad infastidire Verstappen nelle fasi iniziali di gara e recuperare quella prima posizione che gli era sfuggita al sabato. Nonostante un buon scatto al via, tuttavia, Lewis non era riuscito ad impensierire il pilota olandese, il quale era stato molto scaltro nell’andare a chiudere immediatamente la porta al portacolori della Mercedes, in modo che non avesse l’opportunità di sfruttare al meglio la linea più interna e tentare un attacco in curva 1.

L’entrata della Safety in seguito all’incidente di Mazepin nel corso del primo giro aveva dato a Hamilton la chance di riprovare un attacco alla ripartenza, ma in anche in quel caso l’alfiere della Red Bull era riuscito a difendersi egregiamente. Persa questa opportunità, l’unica alternativa in casa Mercedes era quella di provare a mantenersi il più vicino possibile al rivale in testa e pensare di potersela giocare sul piano strategico, magari provando qualcosa di diverso con il set extra di gomma hard che la squadra tedesca era riuscita a conservare in vista della corsa. “La decisione su quali gomme portare è molto bilanciata, non ce n’è una giusta o una sbagliata, è una questione di equilibrio, ognuno ha un vantaggio sugli altri in determinate condizioni” – ha spiegato James Allison in merito alla decisione del team di salvare per la corsa un treno di pnumatici duri in più rispetto ai rivali -. “La gomma media sarebbe stata leggermente più veloce per un certo numero di giri, ma sarebbe arrivata prima a fine fita, accusando un degrado maggiore e un cliff più evidente della hard. La mescola dura sarebbe stata leggermente più lenta, ma avrebbe consentito una durata maggiore. Con queste cartteristiche avevamo giudicato che la differenza di passo sarebbe stata abbastanza sottile per ritenere che la durata potesse essere più importante rispetto a quell’extra pace che la media poteva garantire.” Dati che avevano trovato una conferma anche al venerdì dopo le prove libere, dimostrando che la mescola più dura avesse sì un piccolo gap prestazionale, ma che allo stesso tempo potesse garantire qualcosa in più sulla lunga distanza.

Per questo riuscire a restare vicini alla testa della corsa era vitale. Un compito che il sette volte campione del mondo era riuscito a portare a termine alla perfezione, mantenendo il distacco da Verstappen sempre intorno ai due secondi, un gap utile per pensare di poter tentare un undercut con una sosta anticipata, come sì è poi effettivamente verificato. Perché questo piano funzionasse, tuttavia, erano necessari due elementi: da una parte quello di rimanere il più vicino possibile al rivale della Red Bull, dall’altra osservare gli avversari alle proprie spalle in modo da poter aver pista libera al momento dell’uscita dopo la sosta e sfruttare a pieno il vantaggio della gomma nuova. Una finestra che si era aperta solamente nel tredicesimo passaggio quando, in seguito al pit stop di Fernando Alonso, il gruppo formato da Lando Norris, Charles Leclerc, Daniel Ricciardo e Lance Stroll era stato costretto a fermarsi ai box per non subire l’undercut da parte dello spagnolo dell’Alpine, dando così all’inglese della Mercedes la chance di avere quei ventitré secondi per tornare in pista davanti a Sergio Perez, un avversario che avrebbe sicuramente potuto creare qualche problema in fase di sorpasso. Idealmente, per riuscire a coprire la mossa dei rivali tedeschi, la Red Bull avrebbe dovuto reagire immediatamente, richiamando Verstappen per montare un set nuovo, anche se questo avrebbe significato portare al limite la strategia.

Al contrario il muretto della squadra anglo-austriaca aveva deciso di rimanere in pista, dando così strada libera a Hamilton, il quale non si era fatto sfuggire l’occasione iniziando a costruire un piccolo ma prezioso vantaggio che si sarebbe poi rivelato fondamentale nella seconda parte di gara. Chiaramente in Mercedes erano ben consapevoli che anticipare la sosta sarebbe stato un rischio, soprattutto dal punto di vista della durata degli pneumatici sulla lunga distanza, ma allo stesso tempi erano consci che sarebbe stata anche l’unica opportunità per mettersi in una posizione di relativo vantaggio e provare qualcosa di differente. Vi era inoltre da tenere a mente che la casa di Stoccarda potesse contare anche su Valtteri Bottas, grazie al quale avrebbe potuto diversificare la strategia rispetto ad Hamilton in modo da seguire due strade diverse oppure forzare la tattica dei rivali. In seguito al pit stop del finlandese, avvenuto nel diciassettesimo passaggio, la Red Bull aveva deciso di reagire, richiamando Verstappen, il che aveva consentito ad Hamilton di trovarsi in testa alla corsa con un vantaggio di quasi sette secondi.

Un tesoretto importante che da una parte avrebbe permesso in quale modo di attuare un minimo di gestione degli pneumatici, cercando così di recuperare quell’offset che si era creato anticipando la prima sosta, mentre dall’altra, quantomeno nelle speranze della Mercedes, avrebbe costretto il pilota di Hasselt a forzare la parte iniziale dello stint per chiudere il gap portando a un consumo eccessivo della gomma media. Non era un caso che, proprio in contemporanea al pit stop della RB16B numero 33, l’ingegnere di pista di Hamilton gli avesse chiesto di iniziare ad effettuare del tyre saving, indicando come obiettivo quello di riuscire a mantenere il vantaggio sul rivale alle proprie spalle quantomeno intorno ai quattro secondi, in modo da potersela giocare sulla lunga distanza. Dopo una prima fase iniziale in cui Verstappen era riuscito a sfruttare la mescola più morbida per fare la differenza e recuperare quasi tre secondi nello spazio di circa quattro passaggi, il distacco tra i due si era stabilizzato intorno ai tre secondi e mezzo, complice anche la scelta dell’inglese di passare ad una mappatura leggermente più potente come “strat 7”. Seppur consci che quello fosse comunque un buon margine di sicurezza, al fine di mettersi completamente al riparo da un eventuale mossa dei rivali il muretto Mercedes aveva deciso di passare al contrattacco, chiedendo al sette volte campione del mondo di aumentare leggermente il ritmo per mettere ancora qualche decimo tra sé e colui che aveva alle proprie spalle. Al contrario, tuttavia, l’unica cosa che si era verificata era un aumento repentino dei tempi registrati da Lewis, nettamente più lenti rispetto a quelli che era riuscito a far segnare in precedenza. Un cambio di passo in realtà piuttosto strano, perché da parte dell’inglese in quella frazione non vi erano stati errori di grande rilievo tali da giustificare quei decimi persi e lo stesso pilota via radio aveva sottolineato come gli pneumatici fossero ancora in buone condizioni.

Ciò aveva permesso a Verstappen di avvicinarsi pericolosamente, dandogli l’opportunità di portarsi nella finestra utile per tentare un undercut e riprendere la testa della corsa. Dal punto di vista del vista della squadra tedesca, si trattava della fase decisiva, quella che probabilmente avrebbe deciso le sorti della corsa. Senza quell’innalzamento improvviso, indubbiamente vi sarebbe stata la chance di allungare il secondo stint di qualche passaggio, il che avrebbe rappresentato un bel vantaggio in termini di gestione degli pneumatici considerando che in quel momento vi era ancora ben metà gara da disputare. Allo stesso modo, ciò non avrebbe dato l’opportunità a Verstappen di creare un offset considerevole sulla mescola più dura, mettendolo così su una strategia molto simile a quella di Lewis. A quel punto, l’unica alternativa per il muretto Red Bull sarebbe stata quella di estendere il secondo stint e montare la soft sul finale, anche se le speranze di vittoria sarebbe state compromesse, considerato che il gap accumulato prima della sosta finale avrebbe costretto l’olandese a forzare la mano per riportarsi a ridosso del battistrada.

Quel calo del ritmo aveva tuttavia cambiato completamente le carte in tavola, costringendo il muretto Mercedes a reagire velocemente. Se non lo avesse fatto, entrambi gli scenari che si sarebbero venuti a creare avrebbero reso complicato riuscire a portare a casa la vittoria. Verstappen avrebbe potuto completare con successo un undercut, riportandosi in testa e ponendosi su una strategia simile a quella degli avversari, il che non avrebbe reso estremamente arduo per Hamilton ribaltare ancora una volta le sorti della gara. Ancora peggio sarebbe andata se Lewis si fosse fatto superare in pista, perché a quel punto le speranze si sarebbero davvero ridotte ad un lumicino. L’unica opzione percorribile per il campione di Stevenage era quella di anticipare ancora una volta il pit stop, mantenendo virtualmente il comando della classifica nella speranza di avere ancora qualcosa da parte sul finale di gara per potersi difendere e conquistare vittoria di tappa. Una mossa rischiosa, soprattutto considerando che nei primi giri Lewis non avrebbe potuto spingere come avrebbe voluto, perché forzare eccessivamente il passo nella fase iniziale dello stint per ampliare il proprio vantaggio non gli avrebbe poi permesso di preservare le coperture per le tornate conclusive. Proprio per questo motivo, la possibilità di giocare con due punte rappresentava un elemento fondamentale nei piani Mercedes, un fattore che avrebbe potuto spostare nuovamente gli equilibri a favore del team di Stoccarda. Anticipando anche la sosta di Bottas, sarebbe stato possibile mettere sotto scacco la Red Bull, costringendola a reagire richiamando a sua volta Verstappen, in modo da non ritrovarsi alle spalle del finlandese una volta completata l’ultima sosta, fattore che avrebbe reso estremamente complicato poi rimontare su Hamilton in prima posizione. Per quanto si trattasse di un piano ben congeniato, un problema nella sostituzione dello pneumatico anteriore destro durante il pit stop aveva rallentato il cambio gomme, rendendo vani tutti gli sforzi per mettere in difficoltà il muretto Red Bull, che a quel punto avrebbe potuto orchestrare la propria tattica per la seconda parte di gara nel migliore dei modi.

Persa quella opportunità, le chance della squadra iridata di riuscire a portare a casa la vittoria si facevano sempre più sottili e di questo ne era consapevole lo stesso Hamilton, tanto che nei giri immediatamente successivi alla sosta aveva voluto sottolineare come, dal suo punto di vista, l’ultimo pit stop fosse giunto con troppo anticipo. Ma ormai i giochi erano fatti e l’unica opzione concreta era quella di continuare a spingere fino alla fine e sperare che la sua gestione gomme gli consentisse di portare a casa una vittoria tanto difficile quanto bella. Da una parte era fondamentale riuscire a incrementare il proprio vantaggio virtuale, dall’altra allo stesso tempo salvaguardare gli pneumatici e, infatti, nei primi passaggi successivi al pit stop Hamilton non era riuscito a fare davvero la differenza, anche perché i tempi di Verstappen in testa continuavano a mantenersi competitivi. Una situazione che non lasciava del tutto tranquilli gli ingegneri Mercedes, tanto che nel corso del trentaseiesimo giro avevano chiesto al proprio pilota di abbassare il ritmo portandosi intorno al 34 basso, il che avrebbe significato migliorare il proprio passo di oltre mezzo secondo. La richiesta aveva lasciato spiazzato lo stesso Hamilton, il quale via radio non aveva esitato nell’esprimere le proprie perplessità in merito, asserendo che mantenendo quel ritmo non sarebbe riuscito a mantenere in vita gli pneumatici per l’ultima fase di gara. Fortunatamente per il campione del mondo, un lento ma importante peggioramento del passo da parte del suo rivale della Red Bull, alle prese con problemi di degrado al retrotreno, aveva dato nuovamente linfa vitale alle speranze in casa Mercedes, pronta a dare battaglia nel duello che sarebbe giunto sul finale.

Il calo degli pneumatici aveva spinto il muretto della squadra anglo-austriaca a prendere la decisione di fermarsi per montare un nuovo set di gomme a mescola hard, rinunciando così anche all’opportunità di tentare la soft per gli ultimi passaggi. Una scelta obbligata, in quanto prolungare lo stint avrebbe solo significato aumentare un gap che sarebbe poi stato impossibile ricucire. La caccia era aperta e, secondo i calcoli effettuati dalla Mercedes, a Verstappen sarebbero stati necessari circa dieci tornate per riportarsi immediatamente alle spalle del battistrada e tentare l’attacco che avrebbe potuto consegnargli il trofeo del vincitore. In effetti, la squadra di Stoccarda non si era sbaglaita e verso il cinquantesimo passaggio Max era riuscito a chiudere completamente il distacco, riportandosi quasi a tiro di DRS. Nonostante le accortezze adottate da parte di Hamilton, che nelle curve più impegnative generalmente aveva adottato l’approccio di utilizzare una marcia più alta in fase di trazione per salvaguardare le coperture a discapito delle performance, i venti giri ormai completati su quel treno di gomme si facevano sentire, tanto da influenzare le capacità del posteriore di rispondere come Lewis avrebbe voluto. Non era un caso che l’inglese stesso se ne fosse lamentato anche via radio e che difendersi fosse diventato sempre più difficile, tanto da portarlo a commettere un piccolo errore in curva 10, dove era arrivato lungo in uno dei tratti più complicati della pista, in cui generalmente si cerca di far affidamento sul posteriore (spostando anche la ripartizione di frenata) proprio per evitare di giungere al bloccaggio con l’avantreno impegnato in fase di sterzata.

Per tentare di proteggersi dagli attacchi dell’olandese, una delle prime mosse era stata quella di effettuare un cambio di mappatura, dando maggior importanza al recupero d’energia in staccata, in modo che ciò, seppur gravasse negativamente sulla guidabilità della monoposto su un posteriore già in difficoltà, garantisse l’opportunità di avere abbastanza energia sui rettilinei per tentare di difendersi dagli attacchi con il DRS. Una tattica che non poteva comunque sopperire del tutto alla differenza in termini di vita degli pneumatici, un fattore che aveva permesso a Verstappen di tentare l’attacco all’esterno di curva quattro, completando tuttavia il sorpasso fuori dai limiti della pista, cosa che aveva spinto i direttori di gara ad imporre la restituzione della posizione appena guadagnata. Riottenuta la testa della corsa, nonostante un posteriore sempre più nervoso e scomposto, Hamilton era riuscito ad estrarre il massimo del potenziale della sua vettura, difendendosi anche dagli ultimi vani tentativi del rivale della Red Bull e passando sulla linea del traguardo con un vantaggio di soli 745 millesimi. Una vittoria tanto bella quanto sofferta, costruita sfruttando ogni singola opportunità che gli era posta davanti.

La gara dal punto di vista di Verstappen

Dopo la bella prestazione del sabato in qualifica, dove erano riusciti ad ottenere la pole position, l’obiettivo per Max Verstappen e la Red Bull non poteva non essere quello di confermarsi in gara, dimostrando di essere competitivi in ogni condizione. La sfida con Hamilton, tuttavia, non sarebbe stata semplice, soprattutto considerando che le simulazioni del venerdì li vedevano estremamente vicini in termini di passo, motivo per in quale non vi sarebbe stato margine d’errore.

Prendere il via con il piede giusto sarebbe stato fondamentale e di questo Max ne era consapevole: la partenza avrebbe rappresentato la prima grande opportunità per Hamilton di ribaltare il destino della corsa a proprio favore e proprio per questo sarebbe stato indispensabile riuscire a mantenerlo alle spalle. Un compito portato a termine egregiamente, grazie ad un ottimo rilascio della frizione e una linea difensiva che non aveva lasciato spazio all’inglese per provare un attacco. Il tutto si andava tuttavia a scontrare con le strane sensazioni che Verstappen aveva percepito con l’acceleratore in uscita dalle curve lente come la 1 e la 10, dove avvertiva una bizzarra risposta del pedale. Inizialmente lo stesso pilota di Hasselt pensava potesse trattarsi di un problema al differenziale, motivo per il quale i giri passati dietro alla Safety Car per l’incidente di Mazepin avrebbero potuto dare alla Red Bull di analizzare i dati e comprendere come muoversi. Così come ad inizio gara, anche alla ripartenza il numero 33 era riuscito ad amministrare molto bene una fase estremamente delicata, ritardando il più possibile la fase di accelerazione e chiudendo immediatamente la linea interna, in modo che Hamilton non potesse trovare uno spazio utile per tentare il sorpasso.

Con il passare dei giri, il portacolori della Red Bull era riuscito a guadagnare un piccolo vantaggio, attestabile tra il secondo e mezzo e i due secondi, il quale tuttavia non lo avrebbe messo del tutto al riparo in caso di undercut, una tattica molto efficace sulla pista di Sakhir. A seconda della lunghezza del pit stop, tendenzialmente la pit window poteva variare tra i ventidue e i ventitré secondi, gap che la Red Bull doveva tenere d’occhio nel momento in cui Hamilton si sarebbe sicuramente fermato per primo nel tentativo di sovvertire le fasi della corsa. È semplice pensare, infatti, che avendo a disposizione solamente un nuovo set di coperture a mescola hard il muretto della squadra anglo-austriaca potesse decidere di anticipare la sosta e ritrovarsi poi a gestire una situazione di potenziale svantaggio di gomme, per cui sarebbe stato più lecito aspettare le mosse dell’avversario e reagire di conseguenza. A preoccupare, però, più che il vantaggio in sé era il problema al posteriore, il quale continuava ad essere presente nonostante le diverse modifiche suggerite dai suoi ingegneri: a ciò si aggiungeva il fatto che, oltretutto, sul dash erano scomparse le informazioni proprio in merito al differenziale, tanto che Verstappen era stato costretto a chiedere informazioni ai box per capire su quale livello si trovasse.

Il pit stop di Hamilton alla fine del tredicesimo giro aveva messo la Red Bull di fronte ad un dilemma: andare immediatamente a coprire cercando di mantenere la testa della corsa oppure allungare il primo stint e giocarsela sulla lunga distanza? Le due alternative avevano punti a favore e punti a sfavore, ma il centro della questione era che in entrambi i casi il tutto sarebbe stato più nelle mani della Mercedes. Se Verstappen si fosse fermato immediatamente per andare a coprire il rivale inglese mantenendo così la testa della corsa, si sarebbero creati a loro volta due scenari. Il primo prevedeva che Max montasse ancora una volta la gomma media, cercando di creare un gap nelle prime fasi dello stint che lo avrebbe potuto mettere al riparo da un possibile tentativo di undercut, nella speranza che poi gli pneumatici durassero il più a lungo possibile, elemento non del tutto irrealistico considerando che tutti coloro che si sarebbero trovati su una strategia simili si sarebbero poi fermati oltre il trentesimo giro. A quel punto, indubbiamente Hamilton avrebbe dovuto cercare di forzare la mano, tentare di rimanere il più vicino possibile sperando di poter o riportarsi in zona undercut oppure di diversificare a sua volta la tattica di gara, magari ritardando la sosta finale per sfruttare il vantaggio della mescola media o di una dura più fresca nelle ultime fasi della corsa. Il secondo scenario vedeva Verstappen montare l’unico set di gomme hard a disposizione ed andare il più lungo possibile, in modo da poter poi differenziare la strategia nella parte conclusiva di gara. Dove sorgeva il problema? Nel caso Hamilton avesse forzato la mano anticipando anche la seconda sosta, Verstappen non avrebbe potuto fare lo stesso, avendo a disposizione solamente o un treno di pneumatici a banda gialla o uno a banda rossa, mescole che avrebbero fatto fatica a portarlo fino alla bandiera a scacchi senza un degrado importante, limitando le sue possibilità di difendere il primo posto. Non era infatti da dimenticare il fattore Bottas, che Mercedes avrebbe potuto tranquillamente utilizzare per forzare i rivali ad anticipare a loro volta la propria sosta in modo da non finire alle spalle del finlandese, anche se a quel punto le chance di portare a casa il trofeo più importante si sarebbero ridotte ad un lumicino.

Terzo fattore, seppur più marginale, è che in quel momento il muretto Red Bull doveva anche tenere conto di come si sarebbe evoluta la corsa: cosa sarebbe successo se fosse entrata una Safety Car verso metà gara? A quel punto Mercedes avrebbe sicuramente potuto, almeno con uno dei due piloti, diversificare la strategia passando sull’ultimo set di gomme dure per arrivare fino alla bandiera a scacchi senza la necessità di fermarsi nuovamente, cosa che Verstappen non avrebbe potuto fare avendo a disposizione solamente un treno di medie. O meglio, avrebbe anche potuto farlo, ma anche in quel caso si sarebbe creato uno scompenso in termini di pneumatici che sarebbe stato difficile da gestire. L’alternativa sarebbe stata quella di rimanere in pista e continuare a spingere, sperare di rimane primo e contare sul fatto che Mercedes non avrebbe potuto forzare eccessivamente nelle prime fasi per poi non ritrovarsi in difficoltà sul finale. Vi era anche tuttavia da tenere a mente che a quel punto la gara del portacolori della Red Bull non sarebbe stata rivolta solamente a ciò che facevano i suoi rivali più temibili, ma anche a ciò che sarebbe successo alle loro spalle, perché Max avrebbe dovuto costruire un vantaggio sufficiente per uscire davanti al gruppo della midfield, il quale durante il periodo di neutralizzazione dovuto all’entrata della vettura di sicurezza si sarebbe indubbiamente fermato per montare il set di coperture hard che avevano a disposizione per arrivare fino alla fine, dato che lo stint precedente era stato percorso sulla media e non avrebbe avuto senso proseguire su una gomma che in pochi passaggi sarebbe arrivata a fine vita.

Quali erano, invece, le opzioni nel caso la Red Bull non avesse deciso di marcare Hamilton nel momento del primo pit-stop, diversificando la strategia e proseguendo secondo le propria strada? Persa la testa corsa, l’unica strada percorribile sarebbe stata quella di creare un offset nei confronti del sette volte campione del mondo tale da poter aver un vantaggio considerevole sul finale con cui riprendersi la posizione persa. Tra le alternative citate, questa era la strada scelta dal muretto della squadra anglo-austriaca, che aveva così deciso di lasciare in pista Verstappen ancora per qualche giro nella speranza che quei pochi – ma importanti – passaggi in più si sarebbero rivelati decisivi sul finale. Intrapresa quella via, tuttavia, la strategia era obbligata, non si poteva tornare indietro e scegliere una strada diversa: l’unica opzione nel momento in cui si sarebbero fermati per la prima volta era quella di montare un treno fresco di pneumatici a banda gialla, perché nelle fasi successive al pit-stop sarebbe stato vitale riuscire a fare la differenza, mettere sotto pressione Hamilton per tentare di richiudere parzialmente quel distacco di oltre sei secondi che si era venuto a creare. Per quale motivo montare la hard sarebbe stata una scelta controproducente? Con una gomma più lenta in termini di prestazione pura, ricucire quel gap sarebbe stato molto più complicato e per la Red Bull riuscire a portare a termine quella rimonta era essenziale. Se non si fosse riportata rapidamente in zona undercut, Lewis avrebbe avuto modo di gestire con più tranquillità gli pneumatici e allungare lo stint, il che gli avrebbe dato la chance di coprire qualsiasi scelta poi intrapresa dal muretto del team di Milton Keynes, avendo a disposizione la doppia chance di montare o un set di gomme hard o uno di medie. Oltretutto, neanche Max stesso avrebbe potuto forzare più di tanto la mano mettendo sotto stress il treno a banda bianca appena montato, in quanto facendo altrimenti non sarebbe mai riuscito a percorrere quel numero necessario di giri per riuscire poi a creare l’offeset utile per avere qualche speranza a fine gara, senza contare la questione Safety Car.

Non si trattava di una scelta semplice, ma la decisione era ormai stata presa e non si poteva tornare più indietro. Ad inizio stint, Verstappen era riuscito a fare la differenza sfruttando la mescola più morbida, con cui era riuscito a recuperare quasi tre secondi nello spazio di circa quattro passaggi prima che il distacco tra i due si stabilizzasse intorno ai tre secondi e mezzo. Anche in questa seconda parte di gara, tuttavia, si erano ripresentati i problemi al retrotreno di cui l’olandese aveva già parlato in precedenza, sottolineando come non avesse assolutamente grip in uscita dalle curve più lente con la 1. Un aumento repentino dei tempi registrati dall’inglese aveva permesso a Max di ricucire quasi completamente lo strappo, tanto che, dopo un breve periodo un cui era riuscito anche a ricaricare parzialmente le batterie, sembrava pronto a mettere pressione e provare un attacco. L’essere riusciti a riavvicinarsi così rapidamente, insieme alle apparenti difficoltà di Lewis, aveva in certo senso rimesso il destino della corsa nella mani della Red Bull, che a quel punto avrebbe potuto giocare su due piani: tentare un undercut oppure rimanere in pista cercando il sorpasso. Considerando il vantaggio prestazionale in termini di pneumatici, la scelta più ragionevole sarebbe stata senza dubbio quella di tentare l’attacco, mettendo Mercedes sotto scacco. Oltretutto, fermarsi con così grande anticipo avrebbe lasciato la porta aperta a Bottas di diversificare la strategia, ritrovandosi in una situazione di relativo vantaggio per l’ultima fase della corsa. Tuttavia, ancor prima di portarsi in zona DRS, era stata la stessa scuderia di Brackley a districare la situazione, richiamando Hamilton ai box per montargli un set di gomme dure con il quale sarebbe arrivato fino alla bandiera a scacchi.

Avendo nuovamente pista libera, Max avrebbe avuto l’opportunità di trovare il giusto bilanciamento tra prestazioni e gestione, il che gli avrebbe consentito di riuscire a creare quell’offset indispensabile per pensare di potersela giocare fino alla fine. Anche in questo caso vi era però da tenere a mente la variabile Bottas, il quale era stato richiamato in anticipo con l’obiettivo di costringere Verstappen a rientrare ancora una volta in anticipo, così come si era verificato durante il primo stint, in modo da non finirgli alle spalle. Questo avrebbe fatto sì che l’offset nei confronti di Hamilton sarebbe stato molto più contenuto, rendendo così il lavoro dell’alfiere della Red Bull estremamente difficile. Nonostante si trattasse di un piano ben congeniato, un problema al pit stop aveva fatto cadere l’intero castello di carte, lasciando campo libero al numero 33 di proseguire la propria rincorsa senza ostacoli. Un lavoro che Max aveva portato a termine egregiamente, fino a quando intorno al trentaquattresimo/trentacinquesimo passaggio le difficoltà nel gestire un posteriore al limite si erano fatte sempre più evidenti, non dimenticando che quel treno di pneumatici ormai aveva già percorso venti giri con un buon quantitativo di carburante a bordo. A seguito di un messaggio radio proprio da parte del pilota di Hasselt nel quale segnalava queste problematicità di controllo del retrotreno, il muretto Red Bull aveva cercato di reagito prontamente, richiamandolo ai box per quello che sarebbe stato lo stint che avrebbe deciso le sorti della gara. Si trattava di trovare una sorta di equilibrio, un’operazione molto complicata da trovare, ma è anche vero che forse effettuando il pit stop una o due tornate in anticipo sarebbe stato possibile arginare quell’evidente cliff della gomma, recuperando così quantomeno un secondo sul tempo complessivo che si sarebbe potuto rivelare essenziale in una sfida così al limite.

La caccia era aperta e giro dopo giro Max era riuscito a rosicchiare qualcosa al suo avversario, fino a riportarsi sotto i due secondi all’inizio del cinquantunesimo giro, quando un errore del campione del mondo aveva permesso a Verstappen di avvicinarsi in zona DRS. L’attacco che non era tardato ad arrivare, solamente due passaggi più tardi, quando il pilota della Red Bull era riuscito a completare il sorpasso all’esterno di curva quattro, prendendosi così nuovamente la testa della corsa. Una mossa che tuttavia non aveva incontrato il favore dei commissari, i quali gli avevano imposto di restituire la posizione avendo completato la manovra oltre i limiti della pista, ottenendo così un “vantaggio duraturo”. Da questo punto di vista, l’olandese era stato estremamente corretto, forse fin troppo, restituendo immediatamente la posizione in uscita di curva dieci. Il problema principale risiedeva nel fatto che lasciando passare l’inglese in quel tratto della pista, Max si era dovuto spostare sullo sporco, il che avrebbe ridotto, seppur minimamente, il grip degli pneumatici.

In secondo luogo, farlo in quel tratto di pista avrebbe significato ritrovarsi alle spalle di Hamilton in curva tredici, una delle più complicate dell’intero tracciato, con tutte le turbolenze aerodinamiche che si potevano generare seguendo in modo così ravvicinato. Unendo questi due fattori, non doveva sorprendere il fatto che Verstappen proprio in curva tredici non fosse riuscito ad interpretare la traiettoria nel migliore dei modi, perdendo il posteriore e finendo leggermente lungo, abbastanza comunque per perdere il ritmo e riallontanarsi dal battistrada. Si poteva attuare una strategia diversa e restituire la posizione in maniera più scaltra? Probabilmente sì, ma con dei limiti, che lo stesso Max nelle interviste post-gara aveva tenuto a precisare: “Se avessi lasciato passare Hamilton più tardi sarebbe stato un modo scorretto di restituire la posizione, perché poi sarei stato talmente vicino da poterlo sorpassare facilmente con il DRS. Quindi dovevo farlo dopo curva 10.” Lasciando passare Hamilton prima del detection point, il rischio sarebbe stato quello di subire una penalità. Una possibile soluzione sarebbe stata quella di alzare il piede sul rettilineo opposto rimanendo in traiettoria senza sporcare gli pneumatici, anche se ciò ovviamente non avrebbe comunque eliminato del tutto il problema di ritrovarsi alle spalle dell’inglese alla fine del secondo settore. L’altra sarebbe stata quella di restituire la posizione prima del detection point, in curva 10 e 14, ripassare e vedere quale sarebbe stata la decisione della direzione gara. Ma con ancora qualche giro a disposizione prima della bandiera scacchi, probabilmente Max pensava di poter avere ancora qualche chance di completare il sorpasso in maniera “pulita”.

Per riuscire a ricucire quel distacco che si era creato in curva 13, complice anche la necessità di ricaricare le batterie, erano stati necessari due giri e solamente nell’ultimo passaggio Max si era portato sufficientemente vicino per pensare di poter portare nuovamente un attacco. Una chance che in realtà non era mai arrivata, da una parte perché Mercedes aveva optato per mappature più aggressive, dall’altra perché lo stesso Lewis era riuscito a gestire in maniera molto intelligente le traiettorie, rendendo difficile trovare un pertugio in cui tentare il sorpasso. Nonostante la bella rimonta ed un passo invidiabile, per il giovane olandese non vi era più nulla da fare, se non accontentarsi di un secondo posto dal sapore estremamente amaro.

Il dibattito su curva 4

Dopo la corsa, uno dei temi che aveva catturato maggiormente l’attenzione degli addetti ai lavori e degli appassionati riguardava gli episodi che si erano verificati in curva quattro. Durante il debriefing con i piloti, il direttore di gara Michael Masi aveva reso estremamente chiaro il suo punto di vista in merito a come sarebbero stati gestiti i track limits durante il weekend. In occasione delle prove libere e delle qualifiche, ogni infrazione avrebbe portato alla cancellazione del tempo, mentre in gara questi non sarebbero stati monitorati, liberalizzando così la possibilità di andare oltre il limite della pista senza il rischio di vedersi assegnata una penalità.

Un’indicazione che era stata ben recepita dai piloti, che nel corso della gara non si erano fatti problemi a sfruttare la parte più esterna in asfalto, trovando così un piccolo vantaggio ad ogni passaggio. Andando ad effettuare un confronto tra tutti i piloti in pista, tuttavia, uno più di tutti aveva interpretato questa concessione all’estremo, spingendosi al limite di quello che sarebbe stata una violazione dell’articolo 27.3 del regolamento tecnico, il quale vieta di ottenere “a lasting advantage”, ovvero un vantaggio duraturo. In merito, Michael Masi aveva così spiegato la sua posizione: “Per quanto riguarda la tolleranza data ai piloti di andare oltre i limiti della pista durante la gara, era stato menzionato chiaramente durante i meeting e sulle Event Notes che questi non sarebbero stati monitorati per quanto riguardava il tempo sul giro, ma sarebbero stati comunque monitorati in riferimento al regolamento sportivo, che sottolinea come non vi debba essere un vantaggio duraturo”, ha dichiarato il direttore di gara dopo la corsa.

Dove risiedeva il problema? Nella sottile – ma importante – differenza che vi poteva essere tra il non rispettare i track limit ed ottenere un vantaggio duraturo. L’articolo 21 della seconda versione delle Even Notes, infatti, riportava: “I track limit in uscita di curva 4 non saranno monitorati per quanto riguarda l’ottenimento del tempo, in quanto i limiti della pista sono l’erba artificiale e la ghia posta in quella zona. In ogni caso, durante la gara ai piloti si ricorda quanto previsto dall’articolo 27.3 del Regolamento Sportivo”. Insomma, non vi era specificato da nessuna parte quanto effettivamente si potesse andare larghi in quel tratto della pista e quanto lo si potesse fare prima che venisse considerato un vantaggio duraturo. Ma impostare curva quattro per essere sulla linea bianca in uscita, indubbiamente era differente dal pensare la traiettoria in modo tale da sfruttare al massimo la parte esterna in asfalto per portare più velocità in curva ed ottenere un piccolo vantaggio, che era ciò che in alcune occasioni aveva fatto Hamilton, facendo così traballare quel sottile limite tra ciò che si aspettava la FIA e ciò che non voleva che accadesse. Nulla di illegale a dire il vero, perché nulla lo vietava espressamente, ma probabilmente non era nemmeno ciò a cui aveva pensato la Federazione nel momento in cui aveva concesso quel privilegio ai piloti in modo da non dover verificare giro per giro un’eventuale infrazione.

Ragionandoci, era di per sé chiaro che il direttore di gara si aspettasse un “fair use” di quella regola, ovvero che si potesse andare effettivamente oltre il cordolo, cosa vietata in qualifica, ma senza esagerare. Qualcosa che in realtà lo stesso Masi aveva poi voluto precisare dopo la corsa: “Nulla è cambiato durante la corsa. Avevamo due persone che continuavano a monitorare ogni vettura durante ogni giro e ogni macchina, tranne una, stava facendo le cose nel modo corretto e nel modo in cui ce lo aspettavamo. Occasionalmente vi era una vettura che andava oltre, ma non era una cosa costante”, ha spiegato l’australiano. Andando ad analizzare passaggio per passaggio i quasi trenta passaggi effettuati oltre il cordolo da parte del pilota della Mercedes, infatti, possiamo notare come quelle occasioni in cui si spingeva davvero al limite dell’interpretazione di questa regola fossero davvero ridotte a livello numerico e che alcune di queste erano giunte semplicemente dopo un controllo di sovrasterzo a metà curva, quindi non del tutto volute. Per quanto si potrebbe contestare che senza quella concessione Lewis magari avrebbe potuto essere più conservativo in quel tratto della pista evitando di forzare la mano, è importante tuttavia tenere a mente che gli episodi più evidenti erano giunti quando vi era ancora un buon quantitativo di carburante a bordo, il che rendeva più difficile controllare il retrotreno in fase di inserimento e percorrenza. Gli episodi davvero contestabili sarebbero stati al massimo otto o nove e, appunto, alcuni di questi si sarebbero potuti giustificare tenendo a mente che fossero più figli di una correzione, come avvenuto anche per altri piloti, che di una reale impostazione di traiettoria. Anche per questo quantificare concretamente il vantaggio ottenuto dall’inglese nel corso della gara sarebbe stato molto complesso, non solo per la varietà e la tipologia delle “infrazioni”, ma anche perché comunque più che un vantaggio si sarebbe trattato dell’opposto.

Per tentare di comprendere quanto quella traiettoria potesse davvero fare la differenza, abbiamo provato a prendere in esame alcuni casi diversi tra loro, cercando di equiparare condizioni simili sia a livello di vita di penumatici che di carburante. Il riferimento iniziale è il cartellone segnaletico Pirelli dei 50m posto sul lato della pista, mentre nella seconda fila di immagine abbiamo voluto equiparare tutte le infrazioni per comprendere quanto la traiettoria di Hamilton fosse stata larga in quei in quei determinati giri. Infine, la terza fila di immagini rappresenta il punto finale in cui si conclude il confronto, poco prima della frenata per impostare la sequenza di curve 6-7. Ovviamente non si tratta di un confronto perfetto, anche perché una piccola interpretazione nell’inserimento di curva quattro poteva fare la differenza, ma ci può comunque fornire un’idea complessiva. Osservando le immagini, possiamo notare come le linee più remunerative a livello cronometrico fossero la prima e la seconda, quelle che prevedevano il posizionarsi proprio in prossimità del cordolo esterno: secondo i dati offerti dalla Formula 1, quella particolare traiettoria sarebbe valsa meno di un decimo di secondo di miglioramento rispetto ad una linea più tradizionale.

Ma man mano che si spingeva sempre più lontano dal cordolo, al contrario, la situazione si più controproducente dal punto di vista dei tempi: nella terza colonna abbiamo un esempio di traiettoria scelta, nel senso che Hamilton aveva impostato la propria linea proprio per allargare in uscita, mentre nella quarta possiamo notare quanto fosse il tempo perso in seguito ad un sovrasterzo in inserimento. Per farla breve, vi era un limite dove ad un certo punto una linea molto larga non diventava remunerativa sotto l’aspetto cronometrico, perché quei pochi km/h di velocità in più non permettevano di andare a coprire il tempo perso per percorrere quei metri aggiuntivi. L’unico vantaggio concreto lo si avrebbe avuto a livello di gestione gomme, soprattutto del posteriore, in quanto una linea più dolce avrebbe messo sotto minor stress gli pneumatici. Il problema di fondo è che “accusare” l’inglese per quanto accadeva nella prima e nella seconda sequenza sarebbe stato complicato, prima di tutto perché altri piloti, seppur forse in maniera leggermente vistosa, avevano optato lo stesso approccio, in secondo luogo perché quell’interpretazione non violava nessuna regola e probabilmente neanche quell’idea di “fair use” che aveva pensato la FIA.

La vera differenza risiedeva in quelle occasioni in cui Lewis si era allargato in maniera fin troppo evidente, che avevano spinto la Federazione, sotto espressa richiesta da parte della Red Bull che si era accorta di questo comportamento al limite dell’inglese, ad approfondire la questione per dare un proprio giudizio su queste escursioni di pista. In attesa del responso da parte degli Steward, poco dopo metà gara anche la stessa squadra anglo-austriaca aveva dato istruzioni a Verstappen di sfruttare l’uscita di curva quattro fino ad ordine contrario, anche se, a dire il vero, le linee dell’olandese non avevano subito grosse variazioni. Un ordine poi giunto tra l’altro solamente due giri dopo, spinto soprattutto da quanto era stato detto ad Hamilton via radio, a cui era stato suggerito di percorrere le stesse traiettorie adoperate in qualifica, quindi come se vi fossero effettivamente delle limitazioni per i track limit in modo da non subire ulteriori avvertimenti ed eventuali penalità. Probabilmente il problema non era tanto di per sé che qualcuno guadagnasse a livello cronometrico o di gestione gomme, quanto che liberalizzando quella tipologia di movimento avremmo visto ogni pilota spingersi sempre più in là, creando una situazione insostenibile e che non si sarebbe coniugata con quelle che erano le intenzioni iniziali della Federazione. Di per sé non è che quindi vi fosse stata una completa inversione di marcia, quanto una sorta di precisazione, quella che era mancata all’inizio, anche perché in realtà alla maggior parte dei piloti durante la gara non era stato riferito nulla in merito, il che li aveva portati a continuare ad utilizzare le medesime linee. Colpa della Federazione? Sì e no. È chiaro che la FIA si aspettasse un “fair use” di quella regola e, come detto da Masi stesso, diciannove vetture su venti avevano interpretato quella concessione nelle modalità pensate inizialmente: solamente Hamilton in alcune occasioni aveva “forzato” il regolamento spingendosi al limite. Nulla di illegale ovviamente, perché da nessuna parte vi era menzionato che ciò non fosse permesso, anzi, l’inglese era stato molto scaltro nell’interpretare quelle parole a suo favore, traendone il massimo vantaggio. Probabilmente la FIA avrebbe dovuto chiarire meglio fin dall’inizio quale fosse il limite consentito, in modo da non ritrovarsi in una situazione del genere.

Diverso è discorso per quanto riguarda il sorpasso di Verstappen su Hamilton a poche tornate dalla fine, il quale ha generato diverse polemiche. Ciò che aveva creato confusione era il fatto che le “infrazioni” dell’inglese potessero essere in qualche modo paragonate a quella commessa dall’olandese, soprattutto per il fatto che allargando così tanto la traiettoria, in effetti il campione del mondo potesse ottenere un vantaggio. Chiaramente questo si è dimostrato essere un punto piuttosto equivoco di tutta la vicenda, ma di per sé ha poco a che vedere il sorpasso effettuato dal pilota della Red Bull (soprattutto considerando in quanto sia quantificabile il vantaggio ottenuto), effettuato violando l’articolo 27.3 del regolamento sportivo, il quale recita: “Nel caso una macchina lasci la pista, il pilota può ritornare sul tracciato, ma solo facendolo in maniera sicura e senza ottenere un vantaggio duraturo. A discrezione della Direzione Gara, ad un pilota può essere data l’opportunità di restituire tutto quanto è stato guadagnato lasciando la pista.”

In questo caso il “lasting advantage” era netto, ovvero aver completato il sorpasso di una monoposto oltre i limiti della pista, come ha poi spiegato lo stesso Masi: ”Se un sorpasso viene completato con la vettura fuori dalla pista e ottiene un vantaggio, un vantaggio duraturo, sarà mio compito aprire la radio e suggerire di restituire la posizione e questo è stato reso chiaro. Alla Red Bull ho dato l’istruzione, suggerendo di restituire la posizione come previsto dal regolamento sportivo, cosa che hanno fatto. Non era per essere andati oltre i track limit, ma per aver ottenuto un vantaggio duraturo superando una vettura al di fuori del tracciato”, ha poi aggiunto il Direttore di gara. Senza il controsterzo nella percorrenza di curva 4, molto probabilmente Max sarebbe riuscito a completare il sorpasso in maniera pulita, ma proprio quella correzione aveva fatto sì che non si potesse ignorare come la nanovra fosse poi stata conclusa oltre i limiti della pista. Di casi simili in passato ve ne sono stati pochi a dire il vero, ma in quelle occasioni la FIA era stata sempre scrupolosa, come in quella che aveva visto Daniel Ricciardo venire penalizzato durante il Gran Premio di Francia 2019 per aver ottenuto un vantaggio lasciando la pista nel tentativo di sorpassare Kimi Raikkonen.

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