F1 | Ferrari nell’ora più buia, ma ci sarà l’alba?
La Ferrari deve compattarsi a tutti i livelli, ma servono passione e impegno dei vertici dirigenziali
La notte è sempre più buia subito prima dell’alba. Prima o poi però, con resilienza, come una fenice, con un colpo di reni e d’orgoglio, questo Cavallino imbolsito e allo sbando dovrà pur ritrovare la propria strada, il proprio retaggio, un mito sfumato che si perde sempre più lontano negli anni.
La debacle in Stiria è un dramma sportivo che si legge nel linguaggio del corpo dei protagonisti. Il fatalismo di un Vettel quasi indifferente all’incidente in partenza, più concentrato a chiacchierare nel paddock con gli amici energetici che interessato alle sorti di una Ferrari che l’ha scaricato in quel modo. Sciarl dal canto suo quasi si prende a male parole davanti alle tv. Si scusa, con Seb e urbe et orbi, è sinceramente contrito per la puttanata del primo giro; è lo scotto da pagare quando la Predestinazione diventa una condanna, quella di essere la figura messianica in grado di salvare da solo capra e cavoli. Povero Leclerc, talento immenso con l’ingrato compito di dover fare risultato anche in condizioni tecniche difficili.
E poi c’è Mattia Binotto, team principal, ex direttore tecnico, ferrarista vero, un po’ capo un po’ parafulmine della squadra che lui e soltanto lui doveva riportare al trionfo e che invece s’è persa, tra una cattiva correlazione tra galleria del vento e pista e un’analisi di troppo dei dati. La testa bassa, la voce remissiva, la calma apparente di chi sembra dover scalare una montagna: “Dobbiamo capire, potrebbe essere sbagliata una parte della monoposto o tutta, forse lo stesso concetto di monoposto”. Come a dire: è un disastro e siamo in alto mare, lasciateci in avaria alla deriva, perché anche le domande e le pressioni sono martellanti, forse urticanti, contribuiscono all’ammuina di una scuderia nella quale ciclicamente tutto cambia affinché tutto rimanga uguale, stantio, fermo.
Tutti fermo come è ferma la SF1000, piantata sul dritto e in curva, priva di spunto velocistico e di carico aerodinamico, bella solo per il colore e per quello stemma glorioso che però non riesce proprio ad onorare e difendere. E così la Ferrari si è trincerata in un silenzio stampa che risulta però assordante, un grido di annichilente impotenza che trasmette però una certa difficoltà a rialzarsi, una stanchezza cronica. Non va niente bene e nessuno ha più nemmeno la forza di nasconderlo.
Fanno male, ancora di più, i silenzi del Presidente Elkann e dell’ad Camilleri, perché la loro è una assenza magari motivata dai migliori intenti, come potrebbe essere quello di non sovraccaricare di pressione un ambiente già elettrico, ma sortisce l’effetto opposto: l’assenza della dirigenza fa aumentare i dubbi sulla passione ai vertici del team e sulla volontà di dare il necessario cambio di passo. E Binotto è sempre più un plenipotenziario lasciato solo, con il delicato compito di cancellare lo scempio di questo inizio 2020 e con il rischio di passare alla storia come il team principal che ha preso una squadra in lotta per il titolo e l’ha portata in due anni ad essere la quinta sesta forza. Non lo merita lui che era stato il direttore tecnico di una Ferrari competitiva, non lo merita l’ambiente ferrarista. L’ora più buia è quella subito prima dell’alba; la Ferrari la sta attraversando in pieno, ma l’alba rossa ci sarà stavolta?
Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare. Con impegno, passione e risorse si può uscire dalle sabbie mobili. La Ferrari faccia quadrato a partire da chi comanda, si compatti e reagisca. Si lasci indietro le ombre dell’accordo con la FIA sul motore e ripensi alla propria organizzazione, intervenga se e dove è necessario. E faccia la voce grossa nelle stanze dei bottoni in uno sport machiavellicamente e superbamente indirizzato dall’astuto e capace Toto Wolff. Ma reagisca quanto prima, altrimenti non ci sarà l’auspicata rinascita della fenice dalle ceneri come capitato altre volte in passato.
Antonino Rendina
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