F1 | Finzione e realtà: Bottas è l’eroe incompreso descritto in Drive To Survive?
Una serie ben fatta, che romanza un po' troppo uno sport duro e cinico
Premetto che la serie sulla F1 prodotta da Netflix non mi fa impazzire, perché tesa a enfatizzare e spettacolarizzare aspetti della F1 che ne sfiorano soltanto l’essenza, senza toccarla davvero.
La Formula 1, ricordiamolo, è prima di tutto la massima categoria del motorsport: velocità, stili di guida, monoposto, gomme, assetti, tempi sul giro, sorpassi, strategie, meccanica, pit stop. Del “dietro le quinte”, può importare come non importare, la seguiamo prima di tutto perché la amiamo come sport, come competizione, e come corsa di automobili, il sogno che ci accompagna fin da bambini.
Drive To Survive dà alla F1 il suo personale taglio, uno show di intrattenimento che estrapola momenti, anche diversi, racconta storie che possono interessare e appassionare chiunque (riuscendoci anche), perché romanzate, preconfezionate ad uso e consumo dei facili sentimentalismi, bollate secondo un determinato canovaccio. Una serie che pone l’accento su aspetti talvolta secondari, drammatizzando situazioni normalissime e magari sottovalutandone altre che invece ai fini dello sport sarebbero più importanti.
Con il risultato che lo spettatore appassionato di F1 può restare anche disorientato, perché assiste ad una narrazione romanzata di vicende sportive del tutto fattuali. Perché la F1 è uno sport durissimo, fatto di piloti, atleti, sportivi, che si giocano la vittoria al centesimo di secondo. Uno sport già epico di suo, dove la malinconia del pilota è tutta nella solitudine con cui affronta le curve lanciato a folle velocità, solo con se stesso, sfidando avversari ed esorcizzando la possibilità di incidente.
Non servono quindi i ruoli del cattivone, del buono, dell’incompreso. Il rischio è avere una visione totalmente distorta delle cose. Ho visto la puntata dedicata (terza stagione, numero tre) a Valtteri Bottas, e il ritratto che emerge l’ho trovato molto distante dalla realtà.
Bottas è dipinto come un eroe incompreso, tormentato, sensibile, abbandonato a se stesso, addirittura intento (credo la cosa più grave) a lottare contro la sua stessa squadra per emergere. Un pilota professionista che corre da cinque anni nella migliore squadra del Circus, che ha conquistato nove vittorie in carriera, viene dipinto in DtS come un pilota fragile e bistrattato, ignorato dal suo team – emblematica la scena dopo la vittoria con il remote garage vuoto e la frase “se ne sono andati via tutti” che vuole sortire l’effetto di far pensare allo spettatore “oh povero ragazzo lasciato solo dalla Mercedes” – messo in ombra dai capricci e dalla statura della star Lewis Hamilton.
C’è del vero sicuramente, ovvero che Bottas è la seconda guida del team, visto che la prima è una specie di dio della guida sceso in terra. E non potrebbe essere quindi altrimenti. Ma Valtteri Bottas è un pilota appoggiato dalla sua squadra, è uno dei migliori piloti al mondo, è un atleta eccellente e soprattutto è un grande professionista, non uno che fa dispetti in qualifica alla propria squadra.
Bottas non è un calimero tenero e maltrattato, ma è uno capace anche di strappare le pole a Hamilton, benvoluto proprio da quel Toto Wolff che nella succitata puntata dello show pare che a stento conosca il suo pilota; ma soprattutto Bottas è un pilota che spesso ha deluso le aspettative, correndo gare pessime (Imola, Turchia per citarne due del 2020, e tante altre in questi anni) nonostante avesse sotto il sedere un’astronave.
Non quindi gregario per scelta divina o destino avverso – nemmeno la F1 fosse una tragedia greca scritta da Eschilo – non certo l’eroe incompreso e indomito che romanticamente si prende la sua rivincita sul mondo e sulla Mercedes vincendo machiavellicamente in Russia, ma semplicemente un buon pilota che non è all’altezza del suo compagno di squadra.
Come spesso capita in F1. Sport, appunto, fatto di squadre composte di due piloti, con uno dei due spesso e volentieri più veloce e talentuoso dell’altro. E’ la legge naturale della F1 e della velocità, delle corse d’auto, e non serve una serie tv per capirlo, perché lo vediamo tutte le domeniche, quando la finzione cede il posto alla realtà. Per fortuna.
Antonino Rendina
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