Pagelle del Gran Premio della Cina
Lewis Hamilton spezza l’egenomia Vettel conquistando la vittoria a Shanghai davanti proprio al tedesco. Ma a dar spettacolo è Mark Webber, che parte 18mo e chiude sul podio. Quarto Button, male ancora le Ferrari, con Massa di nuovo davanti ad Alonso. Gara spettacolare e combattuta, che ha visto ben 56 pit stop e un’infinità di sorpassi. Buona lettura!
Sebastian Vettel: 8 – Al mondo tutto è estremamente relativo, figuriamoci in Formula 1. Seb porta a casa un secondo posto che può essere letto in tanti modi diversi. Un risultato ottimo in termini assoluti, deludente se consideriamo la qualifica, buono se pensiamo allo stato delle sue gomme a fine gara. Due i peccati originali della sua corsa. Il primo al via, quando uno scatto al rallentatore -pur col Kers- gli fa perdere l’occasione di recitare il ruolo della lepre. Il secondo a tavolino, con la scelta -azzardata- di una strategia finalizzata a due sole soste. In mezzo a tutto questo una gara gagliarda, tanti sorpassi, difficoltà di comunicazione con il muretto, un tentato furto di postazione box, una strenua resistenza finale. Questa gara poteva vincerla. Ma se contiamo i giri percorsi con le dure nell’ultimo stint, poteva anche perderla malamente. Per cui va bene così. Scippato.
Mark Webber: 9,5 -Ok, lo sappiamo, guida una vettura che nelle mani di Vettel è praticamente un’astronave. Ok, se con quella stessa macchina ti qualifichi 18mo, al di là dei casini combinati dal tuo muretto qualche colpa ce l’hai anche tu. Ma, vi prego non vogliatecene, l’eroe di Shanghai è proprio il lungagnone australiano. Eroe perché si trova a combattere in pista e fuori. Contro una squadra che, usando un eufemismo, non lo appoggia in pieno. O quantomeno come il compagno. Contro una vettura che continua ad andare senza Kers e non si capisce bene perché. Contro avversari che, a inizio gara, si trovano in condizioni di gomme migliori di lui. Contrariamente a quello che ti aspetteresti, Mark tira fuori il cervello, oltre al cuore. Sgomita e soffre nelle prime fasi ma senza esagerare, massimizza ogni secondo passato a pista libera, in lotta sia contro altri piloti che contro il cronometro. E poi, nell’ultimo stint, tira fuori cuore e attributi. Si beve Alonso, Massa, Rosberg -con una manovra da urlo- e Button, fino ad arrivare a podio. Dimostrando che gli Australiani sono duri a morire. Non per niente discendono da galeotti europei: scorza dura e testardaggine sono genetici. Il suo Mondiale inizia da qui. Memorabile.
Lewis Hamilton: 9 – Un capolavoro tattico e di guida. Alzi la mano chi l’avrebbe dato vincente a metà gara. Cattivo al via, quando sopravanza Vettel, soffre poi il degrado delle gomme e deve cedere al tdesco della Rd Bull e a Massa. Inizia una lunga teoria di sorpassi in scia prima al brasiliano della Ferrari poi a Button, favorito dal diverso stato dei pneumatici. Quindi capisce che è il momento di rompere gli indugi, passa Button di cattiveria, si libera di Rosberg e va all’inseguimento di Vettel, conscio che può passarlo solo in pista. La lotta è dura, il tedesco resiste con ogni mezzo e l’inglese lo supera nel punto in cui forse meno se lo aspetta, sfruttando l’unica porta lasciata non dico aperta ma socchiusa. Torna a vincere alla sua maniera, da cane idrofobo. Nel senso che quando si trova qualcuno davanti gli salta il neurone e prova a passarlo sempre, con le buone o con le cattive. Anche a costo di arrivare corto col consumo delle gomme. Ribalta quanto da noi sostenuto in sede di valutazione dell’ultimo GP, ovvero che quest’anno per lui sarebbe stata dura. Non vinceva dal Belgio dello scorso anno, torna a farlo in una delle gare più combattute degli ultimi anni. Il suo marchio di fabbrica. Fighter.
Jenson Button: 7 – Ci regala il momento più bello della stagione quando imbocca la piazzola Red Bull ai box e il meccanico con le aaaali gli fa cenno di circolare più avanti, nemmeno fosse un Vigile Urbano. Meriterebbe dieci e lode solo per questo. La sua è una gara strana. Azzecca il via portandosi in testa e pare controllare la situazione, poi -detto del capolavoro ai box- inizia a perdere terreno, subendo un’usura eccessiva delle gomme posteriori. Il degrado che non t’aspetti. Si esibisce in un paio di bei sorpassi, certo, e ci regala un duello vero con il compagno di squadra Hamilton, corretto ma al limite. Al momento di tirare le somme però si ritrova in braghe -ops, pneumatici- di tela e gli è impossibile resistere al ritorno di Webber. Se ci è permesso un pizzico di autoironia, è bello esprimere giudizi perché si sa che prima o poi si verrà sempre smentiti dai fatti. Il gentleman delle gomme, l’omino Michelin, stavolta non riesce a venire a capo del rebus e al traguardo becca dieci secondi da Hamilton il Terribile – sempre parlando di coperture, ovviamente. La sua gara è positiva, ma ci saremmo aspettati di meglio. Mezzo voto in più per il capolavoro ai box. Una speranza per qualsiasi pilota: ai box Red Bull c’è spazio per tutti. O quasi. Malandrino.
Fernando Alonso: 5 – Non ci siamo proprio. Atteniamoci ai fatti. Si qualifica in terza fila ma al via le prende per la terza volta di fila da Massa. Un indizio è un indizio, diceva Sherlock holmes, due sono un sospetto, ma tre sono una prova. Dopo la prima sosta resta bloccato dietro Michael Schumacher e ci mette un’eternità e mezzo a passarlo, rimettendoci una marea di tempo e finendo le gomme. In questa fase viene sverniciato da Rosberg e dalle McLaren, che però avevano gomme fresche. Quindi prova a risalire, realizza anche un paio di belle manovre su Perez e Petrov ma la strategia a due soste ha un prezzo: quello di fare gli ultimi giri praticamente sulle tele. Risultato: chiude settimo, a quindici secondi da Massa, trattenendo a fatica il ritorno di Michael Schumacher. Non proprio il nuovo che avanza, con tutto il rispetto per il kaiser e -soprattutto- per la sua Mercedes. Al di là del risultato non ci è piaciuto l’atteggiamento, tutto sommato poco incisivo. Specchio ne è la lotta infinita con Michael Schumacher, che gli ha fatto perdere la possibilità di restare agganciato al treno dei migliori. Forse un po’ di cattiveria in più sarebbe stata possibile. E ci preoccupa l’atteggiamento dimesso a fine gara, le dichiarazioni di circostanza, la faccia tutto sommato tranquilla a differenza di quella imbufalita di Massa. Che in Cina si siano scambiati i ruoli? Depresso.
Felipe Massa: 7 -Ebbravo Felipe. Il brasileiro batte ancora una volta un colpo, e regala un’altra bella prova di carattere, cuore, sostanza. E soprattutto di attributi. Infila ancora Alonso al via, tiene il passo dei primi con autorità e si toglie anche lo sfizio di passare Hamilton in pista. Mostra poi una determinazione nel liberarsi di macchine più lente che non gli vedevamo da tanto tempo. Nelle ultime fasi -per questioni strategiche- è costretto a cedere ad Hamilton, Rosber e Webber, ma non senza lottare. Ne è testimonianza il sorpasso subito dal finnotedesco della Mercedes, quando per resistere Felipe finisce addirittura larghissimo all’ultima curva. Ci è piaciuto, insomma, al di là del sesto posto finale. E ci è piaciuta il suo volto incazzato a fine gara, visibilmente scocciato per la strategia osé -parola di Franco Bortuzzo!!!- scelta dal muretto. Una cattiveria che non gli vedevamo dal 2008, e che non può che rallegrarci. Magari non servirà a ridisegnare le gerarchie in casa Ferrari. Ma qualche grattacapo a Domenicali&co potrebbe procurarlo. Come se non ne avessero abbastanza, ahiloro… Incattivito.
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Michael Schumacher: 7 – Il Crucco c’è, e si vede. Pur complessivamente meno efficace di Rosberg, è decisamente più inquadrato dalle telecamere. E a ragione. Azzecca una grande partenza, passa in pista Perez -uno tosto-, Heidfeld -2 volte-, Petrov -all’esterno-, resiste eroicamente ad Alonso prima e a Webber poi -salvo perdere la posizione dopo qualche giro- e per poco non riesce a vendicarsi dell’asturiano nelle ultime fasi di gara. Una corsa in trincea, da ragazzino voglioso di emergere. Senza commettere errori o sbavature evidenti in pista. Certo, rimedia comunque 18 secondi dal compagno di team, ma tutto sommato è anche questione di circostanze. Che non scalfiscono l’indole battagliera che sta contraddistinguendo questo suo 2011. Che dire, il voto forse è un po’ troppo alto, ma ci è piaciuto tremendamente. Ce ne fossero di 42enni come lui, e non solo in F1. L’accoppiata con Ross Brawn funziona sempre, come un vecchio disco già sentito milioni di volte ma che continua a farti battere a tempo il piede. Cocoon.
Nico Rosberg: 8 – La classe non è acqua. E stiamo parlando del suo Ross Brawn, che una volta di più prova a piazzare la zampata azzeccando il momento giusto per effettuare la prima sosta e spedendolo davanti a tutti. Lui fa il suo guidando pulito, attaccando quando serve -Heidfeld, Alonso e Massa- e difendendosi quando necessario. Ma visto che la classe non è acqua, per correttezza bisogna specificare che non è nemmeno benzina. Che viene a mancare a 3/4 gara. Con una freccia d’argento in modalità economy run -e con gomme un po’ troppo al limite- diventa difficile resistere ad Hamilton e Webber. Lui ci prova lo stesso, soprattutto nei confronti dell’australiano, che per passarlo deve tirar fuori il classico coniglio dal cilindro con una manovra da urlo. L’unico errore lo compie quando, nel tentativo di passare Massa, finisce largo e si fa fregare da Button. Ma il quinto posto finale tutto sommato gli sta un po’ strettino. Arriverà anche il suo momento? Chissà. Certo è che un passo avanti è stato fatto, in casa Mercedes. E non è poco. A secco (quasi).
Nick Heidfeld: 5,5 – Resta intruppato -a suo dire- nel traffico in qualifica e si trova a dover partire parecchio indietro. Prova a recuperare al via, ma accusa problemi di Kers che -parole sue- gli rendono difficili attacchi e difese. Magari è anche vero. Ma se non andiamo errati nel corso della gara è stato passato da Buemi, Rosberg, Massa, Hamilton, Michael Schumacher, Alonso e ancora Michael Schumacher. Speriamo di non aver dimenticato nessuno. Pur con tutti i problemi, e con gli annessi e connessi di una discutibile strategia su due sole soste, ci paiono un po’ troppi. La Renault in Cina è parsa la fiera del “vorrei ma non posso”, o forse “potrei ma non voglio”, o meglio ancora “potrei ma non posso”. Nel senso che le possibilità per far bene c’erano tutte, ma son state gettate all’aria da una gestione sciagurata del weekend. E anche da un po’ di sfiga, forse. Fatto sta comunque che per Nick la sufficienza è vicina. Ma solo sfiorata. Sorpassato.
Vitaly Petrov: 6,5 – Anche lui si trova a dover giocare in difesa, ma tutto sommato per colpe non sue. Conquista infatti brillantemente l’accesso alla Q3 ma un problema al retrotreno della vettura lo costringe a scattare solo dalla decima posizione. Da lì le dà -poco- e le prende -tanto-, prendendosi il lusso di passare a inizio gara la Toro Rosso di Algersuari ma trovandosi più volte a far da chicane mobile davanti a piloti di prima fascia in piena rimonta. Comunque non commette errori -e di per sé questo è già un fatto positivo, vista la tendenza a strafare del pur bravo Vitaly- e riesce, di riffa e di raffa, a portare a casa due punticini che muovono la classifica e fanno morale. Magari con una strategia diversa -le Renault hanno corso sulle due soste- poteva finire diversamente, ma magari anche no. Dispiace un po’ perché poteva raccogliere di più. Ma, vi prego, per una volta evitate di dire che con Kubica le cose sarebbero andate diversamente. Probabilmente è così, ma i piloti in nero si meritano un po’ di rispetto, che diamine! Orgoglioso.
Rubens Barrichello: 6 – Fa una fatica boia a cercare di portare la sua Williams fuori dalle sabbie mobili, ma è impresa titanica e, a tutti gli effetti, impossibile. Stacca di mezzo secondo il compagno di squadra in qualifica e azzecca pure la partenza, ma è solo un bluff, e in F1 non pagano mai. Lo passano in tanti, Perez addirittura lo svernicia, quasi guidasse una F2. Con molta onestà ammette a fine gara che una strategia a due o tre soste non avrebbe fatto differenza, tanto lento era il passo della sua Williams. La vediamo dura per la squadra inglese uscire da questa situazione. Lui ce la sta mettendo tutta: ne è testimonianza che al traguardo rifila quasi quaranta secondi al suo più giovane compagno di squadra, che non sarà esperto ma di sicuro non è un fermo. A parità di macchina -lenta- il piede fa ancora un po’ di differenza. Abbiamo un debole per lui e la sufficienza, stiracchiata, non gliela neghiamo. Motivato.
Pastor Maldonado: 5 – Finalmente taglia il traguardo. Ma da qui a tagliare la torta per festeggiare l’evento ce ne corre, ahi se ce ne corre. Prende paga da Barrichello in qualifica, oltretutto parte addirittura male e si ritrova infognato dietro le due Lotus. Se ne libera in tempi tutto sommato brevi, ma più tardi Kovalainen rinviene e riesce a saltargli davanti di nuovo, in pista. A fine gara sarà l’ultimo classificato dei piloti dei team storici, dietro addirittura alla Lotus del finlandese. Lento, lento, lento. Anche troppo, a nostro modestissimo -non ci siamo mai arrogati la conoscenza della verità universale, e non lo faremo certo oggi- parere. Non ci siamo. Per sua stessa ammissione non sconta particolari inconvenienti tecnici, ma con logica lapalissiana rivela «abbiamo bisogno di trovare più velocità e migliorare le nostre prestazioni». Sarà pure un esordiente, ma non gli si può davvero nascondere nulla. Faina.
Adrian Sutil: 5 – C’è qualcosa che non ci quadra. O di Resta è un fenomeno vero -cosa da non escludere, beninteso- o Sutil sta proseguendo il cammino nella fase involutiva che contraddistingue il suo inizio di 2011. Perché il tedesco -che pure in passato ha dimostrato di saper fare delle belle cose- le prende in qualifica, le prende in gara e -seppur a causa di una sciagurata entrata di Perez- chiude addirittura al quindicesimo posto. Francamente fatichiamo a spiegarci il perché. Da notare che si trovava dietro di Resta anche prima del contatto sopracitato. Dice di aver sofferto per tutti i 56 giri, e non stentiamo a credergli. Fatto sta che non ci saremmo aspettati tutte queste difficoltà da uno che con una Force India nemmeno lontana parente di quella di oggi sfiorò uno storico quarto posto a Montecarlo. Sveglia!!!
Paul di Resta: 6,5 – Tomo tomo cacchio cacchio a tre giri dalla fine è in zona punti anche stavolta. Poi arriva Kobayashi, con gomme leggermente più fresche, che lo passa e si prende l’ultimo punto disponibile. Ma la prestazione è positiva, e gli vale la sufficienza. Soprattutto perché, da deb, sta oscurando a suon di prestazioni il ben più quotato ed esperto compagno di casacca. A partire dalle qualifiche, dove si issa all’ottavo posto, fino alla gara, quando è costantemente più efficace di Sutil. Regala una perla quando al sesto giro comunica ai suoi box di avere un generico «problema al posteriore (trouble with the rear)», senza specificare se si tratti di differenziale, di cambio, di gomme o semplicemente del proprio intestino. Ma è giovane, avrà tempo per rifarsi. Ne siamo certi. Bravo.
Kamui Kobayashi: 6,5 – Dopo una qualifica poco esaltante azzecca una bella partenza e nelle primissime fasi riesce ad avere la meglio anche su Buemi, installandosi al decimo posto. Da lì imposta una gara molto regolare -insolito per lui ma di rigore considerata la strategia sulle due soste- condita da un paio di duelli all’arma bianca ma senza le consuete scintille. In realtà non è del tutto vero: a un certo punto, in bagarre con Sutil, si tocca con un’altra vettura e rimedia un buco sulla carrozzeria, che gli riempie la macchina di sporco e -parole sue- gli lorda tutta la sua bella tuta bianca. Lo stile innanzitutto. Non sia mai che si debba arrivare sul podio con i vestiti in disordine. Bleah! A tre giri dalla fine riesce ad attaccare di Resta, distrugge quel che resta -scusate il gioco di parole- delle sue gomme ma conquista l’ultima posizione disponibile in zona punti. Niente per cui strapparsi i capelli, ma in fondo un punto è pur sempre meglio di niente. Parola di Monsieur de la Palice. Fashion.
Sergio Perez: 5,5 – Un indemoniato se mai ne è esistito uno. Proviamo a fare ordine. Parte bene ma sbaglia pertugio e alla prima curva perde cinque posizioni cinque. In più ci si mette pure quel cattivone di Webber, che lo passa immediatamente. Un’onta da lavare col sangue. Il battagliero messicano si rimbocca le maniche e parte all’attacco. Passa Barrichello, si riprende addirittura la posizione da Webber (!!!), supera di forza Buemi e sopravanza anche Petrov, in piena trance agonistica. Memorabile. E vissero felici e contenti? Nemmeno per sogno. Il cattivo di turno -peraltro involontario- ha le fattezze di Adrian Sutil a cavallo della Force India. Pressato dal ritorno di Petrov, il buon Sergio tenta una manovra suicida ai danni del tedesco, col rislutato di spedirlo fuori e di guadagnarsi una multa -ops, un drive through per guida pericolosa. Okay, ha solo ventun anni. Okay, ci ha fatto divertire. Okay, da uno che come riferimento in squadra ha Kobayashi non puoi aspettarti niente di diverso. Però imparare a non esagerare è una delle cose più importanti, in F1. Anche se hai un nome battagliero come Sergio Pérez Mendoza. Rimandato, ma con una pacca sulla spalla. Indomabile.
Sebastien Buemi: 5 – Ancora un’occasione buttata in casa Toro Rosso. E dire che le cose si erano messe bene, dopo le qualifiche. Ma se il buongiorno si vede dal mattino la partenza della gara avrebbe già dovuto far capire allo svizzero che sarebbe stato meglio fare fagotto e tornarsene a dormire. Allo spegnimento dei semafori perde infatti quattro posizioni, così, tanto per dire. Poi passa Heidfeld e si incolla al posteriore di Algersuari come una cozza allo scoglio, nemmeno fosse questione di vita e di morte. Quando si dice la famiglia… Quindi inizia a perdere terreno, subisce il ritorno di Heidfeld e Perez accusando sottosterzo e decide di provare a cambiare l’ala anteriore, probabilmente danneggiata in un contatto, effettuando una sosta in più. Precipitato in fondo alla classifica, non può che trascinarsi stancamente al traguardo, conquistando un tutt’altro che leggendario 14mo posto in scia a nonno Barrichello. Che dire, se ritenta la prossima volta magari sarà più fortunato. Mastice.
Jaime Alguersuari: sv – Le comiche #2. Accede alla Q3, lotta come un leone al via, passa Kobayashi e Petrov che poi lo risuperano e quindi ingaggia una lotta furiosa. Indovinate con chi? Ma con Buemi, l’amato compagno di casacca. Dai box capiscono che c’è puzza di danni e al pit stop -precauzionalmente- gli serrano solo tre gomme, per fermare la sua gara ed evitare guai peggiori. Strategia sottile come una cinta muraria medievale. La cosa divertente è che durante le qualifiche Mazzoni&co non hanno fatto altro che esaltare l’esperienza strategica di Ascanelli che -testuale- «sta già pensando alla domenica e sta risparmiando pneumatici». Una tecnica millenaria sapientemente estremizzata in gara, non c’è dubbio. Oppure una gufata pazzesca. Che dire… a questo punto attendiamo ulteriori sviluppi. Ci sarà da divertirsi. Azzoppato..
Jarno Trulli: 5,5 – Anche le Lotus decidono di puntare su una strategia su due soste. Scelta che a posteriori si rivela corretta. Jarno -per una volta libero da magagne tecniche, alleluja!- parte bene ma viene sopravanzato da Maldonado dopo pochi giri. Quindi inizia una gara solitaria, senza riuscire a tenere il ritmo del compagno di squadra, decisamente più in palla. E a fine gara, quando si fanno i conti, mancano all’appello più di venti secondi, che valgono tre posizioni. Pur girando in gara sei decimi più rapido di Kovalainen. Non un gran bel segnale per Jarno, che soffre -e non è la prima volta- il confronto diretto ma stavolta non ha nemmeno niente su cui recriminare sul fronte affidabilità. Impossibile difenderlo, stavolta. Urge sveglia: la Lotus pare sulla buona strada, sarebbe un peccato se -dopo aver stretto tanto i denti- indietro ci restasse lui. Addormentato.
Heikki Kovalainen: 7,5 – La valutazione è forse vagamente esagerata, ma il suo 16mo posto è la gara più bella da quando corre per la Lotus. Riesce infatti a tener dietro ben due vetture dei cosiddetti team classici, la Williams di Maldonado e la Sauber di Perez. In pista, senza che si siano verificati accadimenti particolari o circostanze ai confini della realtà. Una prestazione d’altri tempi, quasi -scusateci per la bestemmia- da Lotus. Magari non quella degli anni ’70, ma quella a cavallo tra ’80 e ’90 quasi sì. Addirittura la Williams del Venezuelano Heikki la passa in pista. Clamoroso al Cibali. Bene, bravo, bis. Le due soste sulla vettura malese funzionano che è una meraviglia, e il ritmo da martello del finlandese fa il resto. May it be a new beginning, un nuovo inizio? Chissà. Fatto sta che ci sono tutti i presupposti per far festa. E l’abbraccio ad Hamilton a fine gara, suo ex compagno di squadra in McLaren, è una delle cartoline più belle del Gran Premio della Cina 2011. Commovente.
Narain Karthikeyan: 5 – Una nota di cronaca: l’indiano è l’ultimo pilota ad effettuare la prima sosta, dopo 23 giri. Perché, direte voi, il pedante pagellista ci tedia con questo dato? Perché la HRT dell’indiano è l’unica vettura ad aver coperto la distanza di gara con una sola sosta, quella sopra descritta. Dire che si tratti di una strategia vincente è quantomeno azzardato. Il buon Narain chiude ultimo, dietro anche al compagno di squadra, che peraltro si becca un drive through in avvio per partenza anticipata. E da lui rimedia qualcosa come 2 secondi e sette sul giro più veloce. Della serie: va bene tutto, ma correre è un’altra cosa. Certo la strategia c’entra, in questa lentezza, ma sentirlo dire a fine gara: «Non credo che le Virgin siano molto più avanti di noi» è semplicemente apocalittico. C’è un limite a tutto. Lento.
Vitantonio Liuzzi: 5 – Già guidare una HRT non è salutare per il fegato di qualsiasi pilota degno di questo nome. Ed è un’attenuante coi controfiocchi. Ma partire in anticipo -e quindi conquistarsi eroicamente una penalità- è da masochisti patentati. Chissà, magari il buon Tonio avrà pensato che non c’era altro modo per mettersi in evidenza, ma la scelta ci pare discutibile anzichenò. Dopo lo stop forzato si ritrova in ultimissima posizione, con una strategia pianificata su una sola sosta. Quanto di più deprimente, insomma. Tanto deprimente che -stufo di guidare da solo sulle tele- chiede e ottiene un pit stop supplementare, migliorando così i propri tempi e riagguantando -e superando- Karthikeyan proprio alle soglie della bandiera a scacchi. Anche queste son soddisfazioni, certo. Presenzialista.
Timo Glock: 5,5 – Fatica, sofferenza, lacrime e sudore. Anche troppo. La gara del tedesco è una specie di calvario. Parte bene, poi inizia ad accusare un degrado eccessivo delle gomme posteriori, chiede ed ottiene lo switch ad una strategia su tre soste ma -col senno di poi- ammette che si tratta di una scelta sbagliata. Quindi nell’ultimo stop una delle ruote non vuole saperne di staccarsi -affezionata alla pista, forse… anche i pneumatici hanno un cuore, ricordatevelo- e la sosta diventa un tagliando. Taglia -scusate per l’orrida ripetizione- così il traguardo dietro al compagno di squadra, staccato da lui di circa 30 secondi. Troppi anche se tutto quanto lamentato corrispondesse a verità. Realizza il suo miglior giro proprio all’ultima tornata, ma non è che il canto del cigno di una prestazione disordinata ed incolore. Lamentoso.
Jérôme d’Ambrosio: 6 – Con tutta la cattiva volontà del mondo non riusciamo a bocciarlo. Batte Glock in qualifica, il tedesco lo sopravanza al via, lui gli salta di nuovo avanti prima che Timo si riprenda ancora la posizione. A metà gara fa di nuovo scintille col compagno di casacca, poi riesce ad allungare e si garantisce un comodo ventesimo posto. Certo, rimedia due giri dal primo e un minuto e mezzo da Trulli, che lo precede all’arrivo. Ma è un esordiente, va più forte dell’esperto compagno di squadra, taglia per la seconda volta in tre gare il tragurdo, è simpatico e non fa danni. E -soprattutto- guida una Virgin, lontana parente di una monoposto vera. Come bocciarlo? Onesto.
Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it
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