Michael Schumacher, il mito senza fine

Quello che ha rappresentato il Kaiser per la nostra generazione. Un pensiero di cuore e un pizzico di nostalgia

Michael Schumacher, il mito senza fine

E’ stato molto difficile iniziare questo scritto, anche perché parlare di Michael Schumacher, idolo di una vita è sempre complicato, specialmente negli ultimi dieci anni. Non ci soffermeremo molto praticamente in nessun aspetto, vogliamo solo ricordare, semmai ce ne fosse bisogno, quello che è un mito, un mito senza fine. Tante, troppe speculazioni hanno preso il sopravvento in contrapposizione con il dolore in primis della famiglia, di Corinna, donna con una dignità fuori dal comune, e dei “piccoli” Mick e Gina. E’ beffardo, dopo una vita a 300 km/h, sempre con il piede sull’acceleratore, che una sciàta cambi totalmente la tua esistenza, e di tutti coloro che ti circondano, eppure caro Michael, in quelle ore strazianti, milioni di persone sparse in tutte il mondo hanno rivolto più di qualche pensiero nei tuoi confronti.

C’era la consapevolezza, forse all’inizio un po’ sopita, ma man mano che passavano i giorni sempre più tangibile, che non ti avremmo mai più rivisto, se non nei libri di storia o nelle gare del passato. Purtroppo quelle sensazioni sono state tutte confermate, e le testimonianze di chi veramente ti ha potuto vedere in questi anni ce lo hanno di fatto dimostrato. E’ quindi inutile cercare lo scoop, il virgolettato trito e ritrito, facciamo solo del male in primis a chi gli sta accanto e continua ad amarlo senza sosta, e poi anche alla dignità della nostra professione.

L’unica certezza che abbiamo è che Michael resterà nei pensieri di ogni vero appassionato di Formula 1, che lo abbiano amato oppure odiato, onestamente, poco importa. Le sue gesta resteranno per sempre, e quanta fortuna abbiamo avuto nell’averlo potuto guardare, forse ancora non ce ne rendiamo pienamente conto. Chi scrive non ha avuto il tempo di vivere quei momenti in pista, né di raccontare attraverso giornali o siti web una carriera straordinaria, di un uomo schivo, dedito pienamente al lavoro, cercando di migliorare ogni singolo aspetto, specialmente quando corri per una Scuderia che da quasi un ventennio non vince nulla, e gli occhi di stampa, tifosi e mondo intero sono concentrati sulle tue prestazioni, prontissimi a puntarti contro il dito a ogni minimo errore o presunto fallimento.

Forse è stato meglio così, è stato meglio viverlo con gli occhi e il cuore di un bambino prima, ragazzo poi, che non aspettava altro che il giovedì o venerdì per vederlo in pista sin dalla prima sessione di prove libere, attaccato alla TV, che nemmeno le ricorrenze familiari lo avrebbero mai schiodato da quella sedia, da quel divano o da quel tappeto nella sala da pranzo. Il sogno di quel giovane era quello di entrare in un paddock di Formula 1, magari come inviato per un giornale importante, e poterlo incontrare una volta finita la sua carriera, cogliendolo mentre dà consigli al figlio, in procinto di iniziare la sua avventura nelle corse, o a qualche talento ancora non sbocciato che veniva su dalla Ferrari, o dalla Mercedes, chi lo sa? Parte di quel sogno si è avverato ormai da diversi anni e viene coltivato stagione dopo stagione, ma purtroppo manca quel dettaglio che farebbe tutta la differenza di questo mondo. Un’assenza talmente grande che fa gridare al silenzio, perché parlare di Schumi nel paddock è quasi un tabù, e forse è meglio così.

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