La sincerità di Vasseur e i tempi biblici di questa F1 agonizzante

Il TP della Ferrari ammette che per vedere dei progressi servono anni. In questa F1 non si può fare nulla per migliorare

La sincerità di Vasseur e i tempi biblici di questa F1 agonizzante

Oh che bello c’è Spa, il leggendario circuito che si snoda tra le Ardenne, il meraviglioso GP del Belgio! Peccato che l’entusiasmo finisca qua, perché se restiamo ancorati alle ultime dichiarazioni di personaggi autorevoli della F1 ci cadono letteralmente le braccia. Vasseur? Marko? Da chi partiamo? Dal dott. Helmut, il quale, con spocchiosa sincerità ha dichiarato che Verstappen in Ungheria ha passeggiato, e che quindi i “rivali” (le virgolette sono d’obbligo visto che non ci sono rivali) una vittoria ad oggi possono solo sognarla.

Insomma Spa, Sprint Race, GP, tutto bellissimo: si lotta per il secondo posto. Deprimente, come al solito. Ma passiamo a lidi a noi più vicini, all’argomento che più interessa noi italiani, la Nazionale dei motori, la rutilante, fiammante, mitica, Ferrari. Non possono, non devono, passare sottotraccia le parole di Frederic Vasseur, gran comandante da sei mesi del transatlantico emiliano, nella lunga intervista al Corriere dello Sport, parole che suonano come una pietra tombale sulle aspettative a breve termine dei tifosi in rosso.

E’ lui stesso infatti a paragonare una squadra di F1 ad una grande nave, “i cui cambiamenti di rotta avvengono lentamente“. E l’avevamo capito, anche perché la Rossa fa pena come l’anno scorso, anzi forse un po’ di più, visto che la F1-75 quattro GP se l’era portati casa (fantascienza, ad oggi). Ma non è tanto questo che fa riflettere, anche perché sono cose dette e ridette, quanto la sincerità con cui Vasseur si spoglia della versione politically correct del potenziale da estrarre dalla SF23 (barzelletta che non faceva più ridere) per annunciare ciò che tutti sapevamo: per tornare in alto servono anni nella Formula 1 di oggi.

E’ lo stesso TP a spiegare che se prendi nuovi tecnici (parla di addirittura ottanta innesti complessivi) serviranno anni, non mesi, per beneficiare del loro lavoro. Perché c’è il gardening, il giardinaggio, il divieto per un ingegnere di lavorare da subito per un altro team.

Ma questo problema qui, per la F1, è solo la punta dell’iceberg. La categoria tirata su dalla diarchia FIA -Liberty Media è un campionato morente, agonizzante, sopportato dagli appassionati per affetto, ma non perché interessante. Il fatto che vinca sempre lo stesso e che alla vigilia di ogni gara non ci sia curiosità per la lotta al vertice, del tutto assente, è quasi secondario rispetto al fatto che questo sport impedisce a chi lo pratica di competere.

Pnsateci. Progetti un’auto, più o meno buona, e non puoi fare test. E va be’ i costi, ci sono i simulatori che costano il triplo, che sarà mai. Pensi a degli sviluppi, con i tuoi ingegneri che si scervellano per guadagnare centesimi di secondo con astrusi calcoli matematici tradotti poi in pezzi aerodinamici o meccanici, ma non puoi produrli! C’è il budget cap! Il tetto alle spese, non puoi spendere per migliorare l’auto, per lavorare, non sia mai si buttino soldi per creare competitività, meglio buttarli nei social, negli spettacoli finti e patinati a uso e consumo dei milionari che bazzicano le piste. Il contorno colorato e festante fa a cazzotti con la noia dei giri di gara.

Non si può fare niente. Ah no, si può decidere di concentrarsi dopo pochi mesi sulla vettura dell’anno successivo. Nessun bisogno di test, nessuno sviluppo esoso, pieno rispetto del budget cap. Ma per fare una monoposto migliore è giusto ingaggiare geniacci per potenziare l’organico. Ma loro non possono lavorare subito! E no! C’è il gardening. Risultato: in F1 per migliorare non si può fare letteralmente un ca…volo.

Verstappen meritatamente vince e continuerà a farlo, perché per avvicinarlo servono anni. Così hanno deciso con le loro leggi opprimenti i padroni del vapore. E Vasseur alla guida del piroscafo rosso, lentamente si muove nella giusta direzione, così ha detto al Corriere dello Sport. Lo pensava anche il comandante del Titanic, poco prima di affondare. Lentamente si muove, lentamente muore.

Antonino Rendina

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