La Ferrari 156 F1 Shark Nose
Il Drake non ne voleva sentire.
“I buoi vanno davanti al carro!”
Ma i tempi erano cambiati. Non si poteva più andare avanti con le vetture potenti ma pesanti, bisognava progettare delle vetture un po’ meno potenti ma più leggere. Bisognava passare alla filosofia costruttiva dei Team Inglesi. Bisognava dimostrare che la Ferrari fosse veloce e vincente anche dopo modifiche così radicali.
Così già nel 1960 a Maranello cominciarono gli studi su innovativi prototipi, quali la 246 P e la 156 F2, i primissimi ad avere in motore posteriore. La leggenda narra che il Drake, attraverso alcune sue conoscenze, riuscì a fare arrivare sotto segreto a Maranello un telaio di una modernissima Cooper, la quale già montava il motore posteriormente, per poterne studiare meglio i dettagli. Questi prototipi montavano un potente motore Dino V6 a 65° di ben 185 CV a 9200 giri/minuto. La scelta dei 65° era abbastanza insolita, ma gli ingegneri della Ferrari sfruttavano quello spazio in più per migliorare l’alimentazione.
Con questi due prototipi, il pilota del cavallino Wolfgang Von Trips disputò e in qualche caso vinse alcuni Gran Premi già nel 1960.
Ma la sfilata sul tappeto rosso era prevista per il 1961 e lo sviluppo continuò di giorno in giorno. Carlo Chiti, il progettista, insieme a Mauro Forghieri, volle elaborare e provare un nuovo motore, il Dino V6 a 120° di ben 190 CV a 9500 giri/minuto, più leggero, più potente e con più spazio per i carburatori. Inoltre, questa angolazione garantiva un notevole abbassamento del baricentro della vettura. Il telaio aveva una struttura tubolare a traliccio, e il cambio era leggermente più avanti delle ruote posteriori; i serbatoi del carburante vennero posizionati ai lati, le sospensioni erano a quattro ruote indipendenti e il radiatore, come era tradizione di quel tempo, venne posizionato nella parte anteriore della macchina. Quest’ultimo era ventilato da due vistose prese d’aria ovali scavate nel muso a forma di freccia: questo particolare valse alla vettura il celeberrimo appellativo di Shark Nose per il deisgn aggressivo con cui si presentava in pista.
Così la ricorda Giancarlo Baghetti, che la portò al successo nel suo primo Gp in Formula 1:
Mi ritrovai seduto, anzi semisdraiato, sulla pista stessa. Si guidava a braccia tese e il volante era piccolo e leggero a paragone con quello delle 3 litri a motore anteriore. La vettura era molto più nervosa di tutto quanto avessi guidato fino a quel momento e il compatto 6 cilindri a V di 1500 centimetri cubi lo era anche di più: sparava fuori tutti i suoi 185 CV quasi di colpo nelle vicinanze del regime massimo di 9.200 giri. Mi accorsi subito che l’assetto secco e nervoso della vettura richiedeva molta attenzione nei cambi di marcia, ad ognuno dei quali la macchina tendeva ad ondeggiare sulla pista. La leva del cambio aveva scatti secchi e duri,e ci procurava comunque vesciche e callosità alle mani. Il volante non richiedeva sforzi particolari, però aveva reazioni violente e occorreva controllarlo stringendolo forte: era difficile perché aveva la corona sottile, così Phil Hill ed io rimediammo ingrossando l’ìmpugnatura con un tubo di gomma da giardinaggio opportunamente tagliato. Nell’abitacolo faceva naturalmente un caldo infernale perché i radiatori erano davanti e i tubi dell’acqua e dell’olio correvano lungo il telaio. La testa e le spalle prendevano però il vento della corsa piuttosto liberamente: se poi si raddrizzava un attimo il busto per sgranchirsi, si rischiava lo strangolamento perché il casco veniva letteralmente strappato in alto. Inoltre il roll-bar di protezione era finto, si sarebbe piegato al primo urto e d’altronde non si usavano le cinture di sicurezza: l’unica speranza in caso di ribaltamento era di essere sbalzati fuori prima. La 156 a 120° era modificata in molti particolari. Era una vettura più equilibrata, con il centro di gravità più basso. Su una pista così veloce come Monza balzavano in evidenza i problemi aerodinamici. In rettilineo si sentiva lo sterzo alleggerirsi o improvvisamente indurirsi secondo l’assetto longitudinale della vettura nei sobbalzi.
La Shark Nose vinse gloriosamente il Mondiale Costruttori, e quello Piloti nel 1961 con Phil Hill, sebbene nella gara di Monza la scuderia del Cavallino perse uno dei suoi piloti di punta: Wolfgang Von Trips, che morì in un tragico incidente con Jim Clark, in cui morirono anche 13 persone, alla curva parabolica.
Nel 1962 lo sviluppo della vettura rimase fermo, e la Ferrari non raccolse nessun successo e dovette affrontare vetture ben più performanti della “ormai vecchia” 156 F1.
Insomma questo progetto segna una data importante nella storia della scuderia del Cavallino. Gli ingegneri di Maranello si rivelarono davvero efficaci (cosa che non farebbe male nemmeno al giorno d’oggi) e progettarono una vettura che rese vincente il nome della Ferrari in ogni situazione e contro ogni avversario.
Matteo Bramati.
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