F1 | L’analisi dei test invernali 2020

In attesa dell'inizio del mondiale, vediamo come hanno lavorato i team durante le prove pre-campionato

F1 | L’analisi dei test invernali 2020

Riuscire a decifrare i dati dei test invernali è sempre qualcosa di estremamente complicato, in particolar modo quest’anno, dove i giorni a diposizione dei team si sono ridotti a solamente a sei rispetto agli otto delle passate stagioni. Due giornate in più che indubbiamente garantivano maggior flessibilità in termini di programmi di lavoro, conoscenza della monoposto e raffronto fra i dati provenienti dalla pista con quelli della galleria del vento e degli strumenti di simulazione in fabbrica. Non è un mistero che, infatti, queste due sessioni di prove siano una sorta di banco di prova per le squadre, che così possono non solo verificare l’effettiva affidabilità delle nuove vetture, ma anche comprendere il consumo gomme e iniziare il lavoro di set-up, in modo da avere una base da cui partire per poi progredire durante il campionato.

Questa nuova struttura dei test pre-stagionali ha portato ad una rivisitazione di quelli che erano i piani delle squadre, che hanno così concentrato molte più attività e confronti durante la singola giornata al fine di completare i programmi previsti. È quindi semplice immaginare quale possa essere l’impatto di una mattinata o un pomeriggio di lavoro perso, nonostante i team ormai si siano attrezzati per sopperire agli imprevisti lavorando direttamente in fabbrica ai simulatori.

Dal punto di vista delle caratteristiche della pista, quello di Barcellona è un tracciato che predilige compound più duri, in parte a causa dei lunghi curvoni in appoggio che mettono sotto stress le mescole più morbide, ma anche a causa delle caratteristiche dell’asfalto, ora circa il 10% più rugoso rispetto alla passata stagione, il che ha portato sì ad un aumento del consumo delle gomme ma, contemporaneamente, anche un incremento di grip. Indubbiamente, però, le basse temperature registrate, soprattutto durante la seconda settimana, non hanno favorito il lavoro dei team, che hanno dovuto così adattarsi con in condizioni lontane dall’ideale e da quelle che vedremo nell’appuntamento di maggio. Per la seconda sessione di prove, inoltre, Pirelli ha portato due set sperimentali per ciascun team della gomma C2 che verrà usata per il Gran Premio d’Olanda, di diversa costruzione e che dovrebbe meglio adattarsi alle sfide del tracciato di Zandvoort.

Indubbiamente è difficile immaginare che le squadre abbiano mostrato tutto il loro potenziale durante questi sei giorni di prove, sia per i programmi di lavoro differenti, sia per come sono stati introdotti gli aggiornamenti sulle monoposto, che hanno inficiato sulle possibilità di ottenere raffronti diretti. Tenendo a mente, questi sei giorni di prove ci hanno comunque dato la chance di trarre un bilancio sull’attività svolta dalle squadre (nominate secondo l’ordine del campionato 2019), non tanto in termini di prestazioni assoluta sul giro, che vedremo solamente a Melbourne in poi, quanto di programmi di lavoro. Tutto ciò in attesa, naturalmente, di capire come si evolverà il calendario della stagione, a causa della ben nota emergenza sanitaria su cui è importante procedere con cautela, nel rispetto della salute di tutte le persone coinvolte.

Mercedes

Indubbiamente la squadra che ha destato le migliori impressioni durante i test invernali è stata, ancora una volta, la Mercedes. Inutile dire che dopo una stagione di altissimo livello come quella del 2019, i favori del pronostico non potevano non essere a favore del team tedesco, soprattutto considerando la stabilità in termini regolamentari e il grande lasso di tempo avuto per concentrarsi sulla nuova monoposto.

Per il 2020, i vertici avevano indicato chiaramente quali fossero gli obiettivi in termini di sviluppo, ovvero mantenere lo stesso livello di carico, lavorando però al contempo sul ridurre la resistenza aerodinamica in modo da poter guadagnare qualche km/h in particolar modo sui rettilinei. La W11, infatti, è un’evoluzione della monoposto che l’anno scorso aveva permesso al team tedesco di conquistare entrambi i mondiali, sia costruttori che piloti, anche se gli ingegneri della Stella hanno deciso di rivisitare in modo importante alcune zone della vettura, soprattutto intorno alle pance. Dopo averla già vista in lungo e in largo sulle macchine di altri team, anche la Mercedes ha deciso di adottare una soluzione simil-Ferrari, alzando le bocche dei radiatori ed abbassando i sistemi di protezione laterali, con tutti i vantaggi che ciò può comportare. Si sono inoltre estremizzati ulteriori concetti che erano già presenti sulla monoposto della passata stagione, in modo da migliorare la gestione dei flussi verso il posteriore ed incrementare l’efficienza aerodinamica. Tutti questi interventi, però, hanno anche comportato una rivisitazione del sistema di raffreddamento e dei componenti della Power Unit, il che ha rappresentato una sfida non da poco, soprattutto pensando alle numerose difficoltà che si erano già incontrate nel 2019 sotto questo punto di vista. Un tema, quello dell’affidabilità, che è sembrato il vero tallone d’Achille per la Mercedes in questi invernali 2020, non solo sulla monoposto del team ufficiale, ma anche su quelle delle squadre clienti, il che ha destato qualche preoccupazione anche a Brixworth.

Per analizzare l’inverno del team diretto da Toto Wolff, è importante partire costatando che l’approccio scelto per il 2020 si è rivelato essere completamente differente rispetto a quello di un anno fa. Se nel 2019 la Mercedes si era presentata al via della seconda settimana con una vettura in gran parte rivista rispetto a quella che era scesa in pista nella prima sessione, quest’anno ciò non si è verificato nuovamente: la W11 è rimasta pressoché simile per l’intera durata dei test, tranne per qualche aggiornamento di minor rilievo, come ad esempio il ritorno al monopilone di sostegno dell’ala posteriore. Ciò ha permesso di concentrarsi al massimo sull’apprendere i segreti dell’ultima nata e, considerando quale è stato l’andamento delle prove, non è stata nemmeno del tutto una sorpresa vedere i piloti della Stella lavorare sulle simulazioni gara già durante la prima settimana, segno che le rilevazioni base e i primi lavori in termini di set-up avevano dato esito positivo.

Uno degli aspetti che ha tenuto banco è stato senza ombra di dubbio il DAS, il nuovo sistema introdotto sulla W11 che permette di modificare la convergenza degli pneumatici tramite un movimento del volante. Una soluzione particolarmente innovativa, la quale ha attirato subito le attenzioni non solo del pubblico, ma anche delle altre squadre. Ci sono ancora dei dubbi in merito al suo funzionamento, ad esempio in quali situazioni potrebbe tornare più utile, o sulle modalità di attivazione, tanto che sono emerse anche delle preoccupazioni in tema sicurezza. Ciò che è chiaro è che la squadra tedesca ha usato tale sistema sin dal primo giorno di test, ma le poche riprese a disposizione non hanno fornito un’idea completa per capire in quali fasi esso fosse stato impiegato. Nei sei giorni di prove, tuttavia, la costante è stata la sua attivazione non solo in uscita box, evidentemente per vedere l’effetto sugli pneumatici, ma anche nel giro di preparazione per un run veloce. Inoltre, è stato possibile notare come l’utilizzo di questo sistema non sia limitato solamente ai rettilinei, bensì esso sia disponibile lungo tutto il circuito, come dimostrato da alcune immagini che suggerivano come Valtteri Bottas lo stesse testando anche nelle curve veloci. In Mercedes continuano a garantire che questa nuova soluzione sia legale e che rispetti completamente il regolamento con l’approvazione della Federazione, nonostante qualche dubbio emerso dai rivali: sarà interessante vedere se, soprattutto dopo l’Australia, ci sarà qualche richiesta di chiarimenti da parte delle squadre in merito alla possibilità che il sistema possa essere un rischio in materia di sicurezza o che vada ad infrangere qualche regola relativa al Parc Fermé.

Per quanto riguarda la simulazione di qualifica, è importante sottolineare che i tempi in questa fase siano da prendere relativamente con le pinze, in quanto probabilmente nessuno si è davvero scoperto. Ciò vale anche per la squadra di Toto Wolff, la quale ha sì ottenuto il miglior tempo delle due settimane di prove, ma ciò non racconta tutta la storia. Andando a ripescare i giri più veloci completati da Bottas durante i test, sia nella prima che nella seconda sessione, è infatti possibile notare un fattore comune: in nessuno di questi giri il finlandese ha usato le mappature più spinte a livello di Power Unit. Né strat 2, che è la vera e propria modalità da qualifica, né strat 5, che generalmente è quella mappatura che garantisce un boost in gara nei momenti di bisogno. Come è possibile constatare dall’immagine sottostante, molti delle simulazioni di giro secco completate dal finnico sono state portate a termine in strat 11, segno che il team tedesco, in ogni caso, non ha ancora messo in gioco tutte le proprie carte migliori.

Spostandoci sulle simulazioni gara, senza particolari sorprese quelle del team tedesco sono risultate le migliori delle due settimane di prove, anche se rimane da sottolineare il fatto come esse siano state portate a termine nella prima sessione, dove le condizioni della pista risultavano essere migliori e più indicative. Entrambe le simulazioni della prima settimana erano state portate a termine utilizzando esclusivamente la gomma C2, una delle mescole che effettivamente verrà portata da Pirelli per il Gran Premio che si terrà nel mese di maggio, il che in ogni caso non rappresenterebbe una situazione aderente al regolamento, essendo le squadre costrette ad utilizzare due compound diversi in gara. Curiosamente, nella simulazione portata a termine da Lewis Hamilton nella mattinata del secondo giorno, si può notare come verso la fine dello stint ci sia stato un rialzo dei tempi: dopo aver ricontrollato tutti i run portati a termine dall’inglese e dal suo compagno di squadra nel corso dei test, tuttavia, è stato possibile riscontrare come tale circostanza non si sia verificata nuovamente. È importante considerando, come dicevamo, che queste simulazioni non solo sono state completate nella prima settimana, ma anche in momenti della giornata diversi tra loro: quella dell’inglese è stata infatti portata a termine nella mattinata, con la pista leggermente più fresca, il che permette di mascherare quei piccoli problemi di surriscaldamento che una pista come il Montmelò, riasfaltato da poco, potrebbe dare. Al contrario, la simulazione di Bottas è stata disputata al pomeriggio, con condizioni indubbiamente più simili a quelle che ritroveremo nel prosieguo dell’anno. Anche in questo caso, però, è importante rimarcare come rimanga l’incognita affidabilità, ovvero quanto il problema accusato all’MGU-H in quella giornata possa aver influito sui run portati a termine dal finlandese, soprattutto osservando che dopo aver portato a termine la simulazione, il numero 77 non è più tornato in pista, concludendo anticipatamente il programma di lavoro.

Ma perché i due piloti della Stella non hanno completato ulteriori simulazioni gara nella seconda settimana? Come detto, sia Hamilton che Bottas nella prima sessione si erano concentrati esclusivamente sui compound più duri a disposizione, quindi era necessario anche un riscontro in particolar modo sulla C3, un compound estremamente flessibile che vedremo impiegato nella maggior parte degli appuntamenti del mondiale. Effettivamente, quantomeno sulla carta, questo era il piano del team tedesco per le simulazioni della seconda settimana, tanto che nel pomeriggio del quinto giorno il pilota inglese era partito in un tentativo di long run su questo compound, prima che la sua W11 lo abbandonasse a bordo pista. Uno stop dovuto ad una mancanza di pressione dell’olio, che ha mandato la vettura in protezione spegnendo preventivamente il motore, in modo che non si verificassero ulteriori danni che avrebbero potuto compromettere l’integrità dell’unità. Un problema molto simile a quello che si era verificato in Brasile nella stagione passata, dove una mancanza di pressione dell’olio aveva costretto al ritiro Bottas, anche in quel caso spegnendo automaticamente la monoposto: dopo i controlli di rito, tuttavia, gli ingegneri della Stella decretarono che a causa dei danni rilevati fosse necessario montare una nuova Power Unit per l’appuntamento conclusivo del mondiale.

Perché ciò è rilevante? Il guasto accusato da Hamilton assume una valenza considerevole nel momento in cui lo si va ad inserire nell’insieme dei problemi visti sulle Power Unit tedesche nel corso delle due settimane di prove. Il team ufficiale, infatti, non è stato l’unico costretto a fermarsi in pista, ma così anche la Williams, che in ben due occasioni ha dovuto modificare i propri piani di lavoro per sopperire agli inconvenienti riscontrati sui sistemi delle unità di Stoccarda. In totale, ben quattro guasti tecnici hanno fermato sia la Mercedes che la squadra di Grove, alcuni relativi all’MGU-H, come quello occorso a Bottas nella prima settimana, altri all’ICE. Indubbiamente, il lavoro portato a termine dagli ingegneri durante l’inverno è stato di alto profilo, considerando tutti i cambiamenti apportati sulla W11. L’obiettivo era quello di incrementare la potenza mantenendo bassi i consumi, ma allo stesso tempo risolvere quelli che erano stati i problemi di raffreddamento, con una soluzione ancora più estrema rispetto agli anni passati, che ha portato anche ad una re-disposizione di alcuni elementi. Per quanto, quindi, tutti questi problemi possano destare preoccupazione, tanto da spingere inizialmente gli ingegneri a poter decidere di sacrificare le prestazioni al fine di preservare l’affidabilità, d’altro canto è anche vero che sono figli di cambiamenti importanti, che potranno essere risolti e/o attenuati man mano che verranno introdotti nuovi aggiornamenti.

Tornando al tema delle simulazioni, uno stop non previsto non ha quindi permesso a Lewis Hamilton di completare ciò che era stato pianificato nel pomeriggio del quinto giorno, costringendo così Mercedes a rivedere i propri programmi. In via cautelativa, infatti, il team tedesco ha poi così deciso di evitare le simulazioni gara nell’ultima giornata di test: un provvedimento relativo quantomeno solo alla propria squadra ufficiale, in quanto gli altri motorizzati della Stella hanno portato avanti i loro programmi come previsto. Tuttavia, ciò non ha completamente rallentato i pani del team di Toto Wolff, dato che in particolar modo nella mattinata dell’ultima giornata Hamilton ha poi portato a termine un lungo lavoro di approfondimento in merito alla gomma C3, completando numerosi long run con un quantitativo di benzina pressoché costante.

Nel totale dei giri completati, la Mercedes si è rivelata essere la squadra che ne ha portati a termine il numero più alto nel corso delle due settimane di prove, compiendo oltre 900 tornate, più di chiunque altro. Tuttavia, vale la pena menzionare che se nella prima settimana, nonostante il piccolo inconveniente tecnico del secondo giorno, la squadra tedesca era riuscita ad essere la più attiva in pista, lo stesso non si può dire per la seconda sessione, dove i problemi di affidabilità e un programma di lavoro differente hanno ridotto l’ammontare complesso dei giri percorsi.

Da ciò che si è potuto notare nel complessivo, la W11 sembra essersi portata con sé le qualità che avevano contraddistinto la monoposto precedente, ovvero una competitività generale di alto livello, una vettura che riesce ad essere al top quasi in tutte le aree e le tipologie di curve. Tuttavia, è importante sottolineare come al momento, uno dei maggiori punti di forza rimanga la facilità con cui la W11 riesce ad affrontare le curve a bassa velocità, con un anteriore preciso che sembra garantire ai piloti una facilità di guida difficile da raggiugere per i rivali. Ciò lo si può riscontrare non solo nella velocità media di percorrenza in sé, ma anche nella rapidità e la stabilità con cui il duo Mercedes è riuscito ad affrontare le zone più lente e i cambi di direzione. Anche in questo caso si sono prese le buone caratteristiche della W10, che nei tratti più lenti spesso riusciva a fare la differenza portando maggior velocità in inserimento, ma anche usando linee più strette che permettevano di percorrere meno strada senza sacrificare la rapidità con le quali esse venivano affrontate.

Ferrari

Dopo un 2019 fatto di alti e bassi, in Ferrari avevano chiare le idee sul come procedere per il 2020. L’obiettivo era quello di mantenere la stessa filosofia con ala “outwash” che aveva caratterizzato la monoposto dell’anno passato, riuscendo però a mettere mano sulle zone della vettura che non avevano dato i risultati sperati, aumentando al contempo anche il carico aerodinamico. Un primo step in questo senso si era visto a Singapore nella scorsa stagione, quando il team di Maranello introdusse un pacchetto di aggiornamenti volto ad aumentare il carico complessivo della vettura ed aumentare la stabilità della stessa, trovando un miglior bilanciamento. Gli ingegneri della Rossa hanno proseguito su quella strada, lavorando per aumentare il carico complessivo, senza però stravolgere la monoposto: la zona su cui si è intervenuti in maniera più evidente è stata quella centrale, dove sono stati rivisti i bargeboard, i deflettori laterali e le pance, con un nuovo design.

Due dei più grandi punti deboli della SF90 erano la velocità nelle curve lente e lo sfruttamento degli pneumatici, in cui spesso si riscontravano grandi difficoltà nel farli lavorare nel giusto range di temperatura. In particolare, ciò che mancava era la reattività nei cambi di direzione, soprattutto ad inizio stagione, dove se la Mercedes poteva permettersi linee più strette e vantaggiose senza sacrificare velocità, la Rossa si vedeva costretta a scegliere traiettorie più tondeggianti e lente. A ciò si univa una difficoltà cronica nel riuscire a portare le gomme nel giusto working range, il che si ripercuoteva in modo importante sia sulle prestazioni complessive che sull’usura delle stesse. Le mescole più morbide riuscivano in qualche modo a mascherare queste difficoltà, ma era chiaro che servissero degli interventi per migliorare lo sfruttamento degli pneumatici, seguendo la strada che era stata intrapresa sul finire dello scorso campionato. Con la SF1000 si è cercato proprio di lavorare anche su questi due aspetti, e i primi riscontri dalla pista sembravano aver dato esito positivo. Come confermato anche dai piloti, la reattività della monoposto nel terzo settore, quello più lento dove serve un anteriore preciso, è migliorata, anche se molto probabilmente non si è ancora arrivati al livello dei rivali più quotati, come dimostrano anche i tempi delle simulazioni. Nel corso delle due settimane di prove, vi è stato un costante progresso in termini di sviluppo e messa a punto, anche se i risultati parziali dopo la prima sessione non erano proprio ciò che ci si aspettava: la situazione è migliorata successivamente, con la seconda tre giorni di prove, grazie a dei riscontri più soddisfacenti, soprattutto dopo i long run. Dal punto di vista degli aggiornamenti, la squadra italiana non ha portato in pista grosse novità, come ormai da anni a questa parte, quindi non dovrebbe essere una sorpresa, se non per un fondo leggermente rivisto, una nuova ala posteriore a cucchiaio, un’ala anteriore modificata (proprio nella fase iniziale dei test) e un cofano motore di dimensioni maggiorate, al fine di raccogliere informazioni per quegli appuntamenti più caldi dell’anno in cui sarà necessario smaltire meglio il calore. Indubbiamente, però, come confermato anche dai piloti e dal team principal Mattia Binotto, al momento i due difetti più importanti di questa SF1000 sembrano essere il classico sottosterzo e un drag aumentato rispetto alla passata stagione, complice anche il lavoro svolto per ottenere maggior carico. Nella seconda settimana di prove, si è visto a lungo un’ala posteriore a cucchiaio, che generalmente non sarebbe la soluzione più indicata per questa tipologia di pista: nonostante ciò, questa tipologia di ala è stata usata a lungo, anche durante le simulazioni gara, il che potrebbe indicare che i tecnici stessero o cercando ancora il giusto bilanciamento, o che ci fosse necessità di usare un’ala leggermente più scarica al fine di andare, quantomeno momentaneamente, a sopperire ai problemi di drag in attesa di eventuali aggiornamenti. Ciò che è chiaro, però, è che la Rossa ha anche provato un’alternanza tra le due soluzioni con una certa costanza, tornando ad un’ala più tradizionale nelle fasi conclusive di ogni giornata.

Durante le due settimane in pista, la Rossa ha a lungo provato le mescole C2 e C3, quelle più indicative su una pista come quella di Barcellona e che, generalmente, saranno anche quello che si vedranno con più frequenza nel corso del mondiale. Andando ad analizzare il lavoro svolto nelle tre giornate della seconda settimana, è possibile notare come al mercoledì la squadra si sia concentrata prettamente sul lavoro di set-up: nella mattinata Vettel, oltre ad aver provato la C2 prototipo che verrà adoperata per il Gran Premio d’Olanda, ha anche compiuto diversi stint su C3 da circa una decina di tornate con un quantitativo di carburante medio-basso, il che ci può dare indicazioni sul fatto che in quella fase l’obiettivo degli ingegneri fosse quello di verificare come la monoposto reagisse ai cambiamenti d’assetto. Un simile programma è stato fatto anche al pomeriggio con il compagno di squadra, ma con più benzina a bordo. È interessante notare che lo schema fosse rimasto il medesimo per entrambe le sessioni della giornata: ad un inizio turno un lungo stint sulla C2, poi un altro sulla C2 Prototipo ed infine un intenso programma di lavoro sulla C3.

Per quanto concerne le simulazioni gara, così come la Mercedes, anche la Ferrari ha usato solamente la mescola C2. Bisogna sottolineare come i risultati siano però da prendere con le pinze, soprattutto relativamente alla simulazione di Sebastian Vettel: in parte perché è stata completata nel pomeriggio del quinto giorno, probabilmente il peggiore dei test, dove le forti folate di vento hanno dato molto fastidio ai piloti, in parte perché è stata interrotta da una bandiera rossa. Da questo punto di vista, la simulazione completata dal compagno di squadra è sicuramente più indicativa, lanciando anche qualche segnale positivo, in particolare nel terzo stint con la vettura più scarica. Risulta tuttavia complicato fare un raffronto con i rivali più diretti, nella fattispecie Mercedes e Red Bull, non avendo un paragone diretto nelle medesime condizioni e con lo stesso livello di conoscenza della vettura.

Passando alla simulazione di qualifica, anche in questo caso i valori ottenuti non sono di facile interpretazione. Dando un’occhiata agli onboard, è chiaro che entrambi i piloti della Ferrari in quelle fasi stessero girando in engine 1 e SOC 1 che, di base, rappresenterebbero le mappature che vengono utilizzate in qualifica. Tuttavia, ciò non racconta il quadro completo, in quanto ci sono degli aspetti di cui tenere conto. Prima di tutto, ogni team può agire via software sull’output e sulla modalità di gestione della potenza, quindi non è detto che in quel momento, nonostante le mappature nominalmente fossero quelle indicate per quel tipo di simulazione, la potenza fosse la medesima che si vedrebbe in qualifica. Inoltre, andando a dare un’occhiata a come si sono evolute le prove sia su gomma C4 che C5, quelle più prestazionali della gamma, è facile notare come in realtà sia al giovedì che al venerdì entrambi i piloti non siano andati per un vero singolo tentativo, quanto abbiano percorso più run consecutivi, intervallati da una breva sosta ai box. La sensazione è che in quella specifica fase, la Ferrari non stesse cercando strettamente il tempo, quanto piuttosto un buon set-up di base su cui lavorare con questa tipologia di mescole, molto sensibili, soprattutto su una pista come quella di Barcellona con lunghi curvoni in appoggio che mettono molto sotto stress gli pneumatici più morbidi.

Si potrebbe quindi pensare che, data anche la breve quantità di tempo passato ai box tra uno stint e l’altro, la SF1000 potesse avere a bordo un buon quantitativo di benzina a bordo. Ciò sarebbe inoltre avvalorato dal fatto che nell’ultimo run, quello dove Leclerc ha ottenuto il tempo più veloce dei test per la Rossa, il monegasco era riuscito a completare un doppio tentativo, intervallato da un giro di cooldown per raffreddare le gomme, a cui si è poi aggiunta un’altra tornata dedicata alle prove di partenza: indubbiamente, se la Ferrari in quel momento stesse effettivamente cercando la massima prestazione, quelle appena descritte non sarebbero le circostanze più indicate per farlo. Vedasi, in tema, anche il lavoro svolto dalla Renault sul finire della sesta giornata, non molto dissimile da quello del team di Maranello. In tema, è interessante inoltre notare come la squadra italiana sia stata anche uno dei pochi team che ha provato più a lungo la mescola C4, non tanto in termini di numero di stint, quanto in numero di tornate completato in ogni run, andando oltre i dieci giri per ben due occasioni sul finire dei test.

La squadra diretta da Mattia Binotto ha scelto un approccio di basso profilo per questo inizio di stagione, senza considerare la spinosa vicenda che l’ha vista protagonista negli ultimi giorni per quanto concerne l’accordo con la FIA sulla Power Unit, che non tutti i team hanno preso di buon gusto. Il team è stato piuttosto chiaro sul fatto che, al momento, non credono di avere una vettura che possa aggiudicarsi delle vittorie nei primi appuntamenti stagionali. I numeri non smentiscono questa versione, ma non dipingono nemmeno una situazione così tragica come qualcuno cercava di dipingere alla fine della prima settimana. Vedremo in pista, perché se c’è qualcosa che l’anno passato ci ha insegnato, è proprio come sia difficile leggere i risultati dei test.

Red Bull

Dopo un primo anno di apprendistato con Honda, Red Bull vuole fare il salto di qualità per riuscire a vincere il campionato con Max Verstappen, come più volte dichiarato dai vertici del team. Nella passata stagione, senza dubbio l’incognita era la Power Unit, che nonostante un positivo 2018 rimaneva comunque un punto interrogativo per le ambizioni del team anglo-austriaco. Nonostante ciò, i buoni risultati ottenuti dall’unità nipponica hanno dato fiducia al duo, che ora sei sente pronto a fare uno step in più e lottare per il titolo, seguendo quel finale di stagione 2019 che li ha visti spesso lottare per le posizioni di vertice.

Da questo punto di vista, si è fatto molto sulla RB16 per cercare di raggiungere questo obiettivo, con alcune soluzioni particolarmente spinte, soprattutto nella zona delle pance. Se già alla presentazione aveva stupito, durante i test la squadra anglo-austriaca è stata tra le più attive lato aggiornamenti, portando un corposo pacchetto per testare le novità che vedremo in Australia la settimana prossima. Nella mattinata del quinto giorno, infatti, Max Verstappen ha portato al debutto una monoposto rivista in molti dei suoi aspetti: ad attirare l’attenzione sono state la nuova anteriore, la zona inferiore del muso completamente rivista (sia in dimensioni che per quanto riguarda l’aggiunta di un deviatore di flusso verticale), i bargeboard, i deflettori laterali di chiara ispirazione Mercedes e il diffusore, leggermente rivisto rispetto alla specifica precedente. Un pacchetto di aggiornamenti piuttosto sostanzioso, per cui risulta particolarmente difficile riuscire a leggere nel migliore dei modi i test invernali della squadra anglo-austriaca, soprattutto per quanto concerne le simulazioni gara.

La prima settimana è stata indubbiamente positiva per la Red Bull. Tanti chilometri, tanto lavoro, pochi problemi di affidabilità, tanto da potersi inserire nelle zone alte dei team che avevano completato il maggior numero di giri. La seconda settimana, al contrario, non è stata altrettanto consistente, soprattutto a causa di alcuni problemi ed errori da parte dei piloti, i quali hanno fatto perdere diverso tempo ai box. In particolare, la mattinata del quarto giorno ha visto il team passare la maggior parte del tempo nel garage, ufficialmente per completare dei cambiamenti a livello di set-up, anche se chiaramente rimanere fermi così a lungo lascia dei sospetti, soprattutto considerando che curiosamente l’altra motorizzata Honda, l’Alpha Tauri, era rimasta ferma pressoché per lo stesso periodo a causa di un problema relativo alla Power Unit.

In entrambe le sessioni, il team ha lavorato molto sui run di media/lunga durata, arrivando anche a completare una simulazione gara con Max Verstappen sul finire della mattinata del terzo giorno, anche in questo caso sempre solamente su mescola C2. Seppur la simulazione, da un punto di vista cronometrico, risulti particolarmente interessante, ci sono delle premesse da tenere in considerazione: così come per la Mercedes, essa è stata completata durante la prima settimana, quando la pista si trovava in condizioni migliori, il che non rende il confronto con gli altri team particolarmente equo. Al contempo è importante sottolineare come essa sia stata interrotta da una bandiera rossa e, soprattutto, come sia stata effettuata quando il corposo pacchetto di aggiornamenti non era stato ancora montato sulla vettura, il che sicuramente non ci può quindi garantire una visione completa.

Sul programma di lavoro, salta subito all’occhio come il team anglo austriaco nella seconda settimana si sia concentrato in particolar modo sulle coperture più dure, ovvero la C1 e la C2, lasciando poco tempo anche alla C3 e le mescole più morbide, se non per dei brevi run sul finire dei test. Anche in questo caso si è trattato sempre di stint di media/lunga durata. La nota interessante è che la Red Bull è risultata essere tra le squadre più attive nel testare la C1, soprattutto nel lavoro di messa a punto, seppur tuttavia non l’abbia provata sulla lunga distanza, come ad esempio ha fatto la McLaren che l’ha adoperata nella simulazione gara. A rallentare il lavoro del team sono stati anche i numerosi testacoda di cui è stato protagonista Max Verstappen, di cui alcuni piuttosto strani, soprattutto considerando le situazioni in cui essi sono avvenuti.

Per quanto concerne le simulazioni di qualifica, anche in questo caso è difficile dare un quadro concreto di cosa abbia voluto mostrare la squadra. Solo sul finire del sesto giorno, Verstappen è sceso in pista più volte su gomme tenere per cercare la prestazione, ma al contempo non ha voluto del tutto scoprire le proprie carte: guardando i dati, è stato possibile riscontare come le velocità fossero effettivamente più alte, segno che in Red Bull avevano deciso di salire in termini di potenza, ma allo stesso tempo è stato anche evidente come il team non abbia voluto piazzare un tempo particolarmente rilevante, quanto più vedere il comportamento degli pneumatici in un giro spinto e ricavare dati senza lasciare segni concreti ai rivali. Non a caso, infatti, nel giro che gli avrebbe potuto permettere di staccare il miglior tempo della sessione, Verstappen ha frenato e scalato di marcia un centinaio di metri prima del traguardo, in modo da non fornire particolari indicazioni.

McLaren

Nella passata stagione, la sfida a centro gruppo si è dimostrata più intensa e viva che mai, e anche quest’anno ci sono tutti gli elementi per far sì che ciò si ripeta. Dopo un 2019 che l’ha spesso vista come punto di riferimento nella midfield, la McLaren per questa stagione ha alzato il tiro, intervenendo in modo importante in alcune zone della vettura, anche in questo caso soprattutto sulle pance, completamente riviste rispetto alla MCL34. Tra le novità più rilevanti indubbiamente c’è anche il muso, snellito, con un cape particolarmente pronunciato. Da questo punto di vista, si è intervenuti in maniera sensibile anche durante i test, in cui ha fatto il proprio debutto anche una nuova specifica del diffusore, rivista in particolar modo nella sua parte esterna, e una nuova ala anteriore.

Per quanto concerne il programma di lavoro, la McLaren è risultata essere tra le squadre che ha completato più giri in assoluto durante i test invernali, soprattutto con Carlos Sainz, il quale ha concluso la medesima classifica ma riservata ai piloti solamente dietro Lewis Hamilton. Lo spagnolo ha completato un programma particolarmente intenso sin dal primo giorno, dove aveva disputato quella che poteva sembrare una sorta di simulazione gara, poi ripetuta durante la seconda settimana di prove su differenti compound. Anche Norris è risultato essere tra i piloti più attivi in pista nella prima sessione, macinando molti chilometri in particolar modo durante il pomeriggio della seconda giornata, completando diversi long run. Nella seconda settimana di prove, il duo McLaren ha svolto un lavoro principalmente rivolto ad approfondire la conoscenza degli pneumatici più duri, come la C1 e la C2, e quelli più morbide, quindi C4 e C5, dedicando minor tempo alla C3, usata più che altro nelle due simulazioni gara del quinto e sesto giorno. Lasciando da parte, appunto, le simulazioni, i piani della squadra inglese non hanno visto particolari long run nella seconda sessione, dedicandosi piuttosto a brevi stint con prove di modifica del set-up. Solamente nella mattinata dell’ultimo giorno si è visto qualcosa di diverso, con due run più lunghi da oltre una decina di giri, rispettivamente su C1 e C2, con tanto carburante a bordo, in modo da simulare la prima parte di corsa. Particolarmente interessante è stato anche il programma portato a termine il giovedì pomeriggio da Lando Norris, con ripetuti in-out sulla C5. Tutti questi brevi stint erano accomunati da diversi fattori: in primo luogo la lunghezza, di soli due giri, successivamente nel fatto che nella seconda tornata, quella di preparazione, l’inglese continuasse ad agire in modo repentino sul volante, compiendo movimenti particolarmente bruschi per scaldare le gomme anteriori. In questo caso, più che ricerca del set-up di base per la gestione degli pneumatici durante il giro veloce, è probabile che la squadra inglese stesse lavorando su cambiamenti a livello sospensivo per comprendere al meglio come riuscire a scaldare le gomme nel giro di preparazione e comprendere come tali modifiche potessero influire sul comportamento di un elemento così sensibile.

Spostandoci sulle varie simulazioni, il tempo più veloce è stato ottenuto da Sainz nella mattinata dell’ultimo giorno di test. Come per la Ferrari, è possibile notare che in quel determinato frangente, lo spagnolo abbia ripetuto diversi brevi run consecutivi in questo caso però su gomma C4, quindi non la più prestazionale della gamma, intervallati da soste ai box. Successivamente Carlos è sceso in pista anche con la C5, compiendo però un doppio tentativo, segno che comunque non fosse completamente scarico di benzina. La simulazione gara, invece, è stata particolarmente interessante, perché se è pur vero che sia stata con una combinazione di pneumatici che raramente si vede poi effettivamente in gara, ovvero C3-C2-C1, con la mescola più dura usata per lo stint finale, i tempi ottenuti hanno lasciato la sensazione che la midfield possa essere ancora una volta estremamente compatta. Nel complessivo, lo spagnolo ha completato una delle simulazioni più veloci da questo punto di vista rispetto ai suoi rivali diretti, anche se, come vedremo, ci sono alcuni elementi da tenere in considerazione più riguardo ai concorrenti che alla McLaren. Più complicata la giornata per Lando Norris, il quale si è visto interrompere i suoi long run a causa di una bandiera rossa, mentre era impegnato nel secondo stint di gara: così come il compagno di squadra, la strategia prevedeva di partire con la C3, per poi passare alla C2.

Uno degli aspetti su cui lavorare, tuttavia, rimane la sensibilità della monoposto alle folate di vento, un problema di cui Carlos Sainz si è lamentato molto nel quinto giorno, quello più complicato da questo punto di vista. Un problema ben noto anche sulla MCL34.

Renault

Dopo un 2019 che si può definire tutt’altro che soddisfacente, data la cocente sconfitta subita contro la McLaren, la squadra francese ha lavorato intensamente per fare passi in avanti nel 2020, prima di concentrarsi al 100% sul cambio regolamentare che entrerà in vigore nella prossima stagione. È chiaro, però, che in questo momento ci sia comunque da lavorare sul 2020 perché se è pur vero che l’impegno a medio-lungo termine del team transalpino in Formula 1 è stata confermato, da questa stagione potranno dipendere alcuni dei pilastri base del futuro. Prima di tutto, sarà importante tornare ad essere competitivi per riuscire a convincere Daniel Ricciardo a rimanere nel team anche in futuro, dato che attualmente si trova in scadenza di contratto; in secondo luogo, si tratta anche di una questione meramente economica, perché riuscire a concludere quarti nel campionato, così come nel 2018, significherebbe anche un ritorno in termini di premi finanziari maggiore, senza contare le possibili conseguenze a livello di marketing.

Per far ciò, dopo un 2019 fatto di tanti alti e bassi, la squadra francese non ha nascosto di aver lavorato soprattutto per aumentare il carico aerodinamico della vettura, riducendo così i problemi di sottosterzo che aveva caratterizzato la scorsa stagione, nonostante ciò possa significare dover rinunciare ad un po’ di efficienza nel complessivo. Ciò dovrebbe andare ad aiutare anche Daniel Ricciardo, il quale soprattutto nella prima parte del campionato, aveva fatto fatica a adeguarsi alla monoposto francese in fase di frenata, uno dei suoi punti di forza alla Red Bull. Questo cambio di filosofia si è potuto notare in particolar modo all’anteriore, dove i tecnici sono intervenuti modificando completamente il concetto che si era visto sulla RS19, passando così ad una soluzione molto simile a quella che si era vista sulle Mercedes negli ultimi anni: muso stretto, cape pronunciato e ala anteriore che strizza l’occhio a quella della W10. Dai primi riscontri, sembra che questi cambiamenti abbiano portato gli effetti sperati, soprattutto nelle curve più lente, dove c’è stato un balzo in avanti rispetto alla passata stagione, ma sarà importante capire se la vettura ha reagito bene ai cambiamenti oppure se ci sia da lavorare per ritrovare il bilanciamento. I bargeboard sono una mera evoluzione di quelli del 2019, mentre sulle pance si è lavorato seguendo l’esempio di altre squadre. Nonostante ciò, tuttavia, sono rimasti dei dubbi in merito allo sviluppo della nuova nata della Renault, soprattutto per quanto concerne l’utilizzo del telaio, che alcuni sostengono essere quello impiegato nel 2019: uno dei vertici del team, Marcin Budkowski, non ha né confermato né smentito tale supposizione, ma ha voluto rimarcare il concetto che, dal loro punto di vista, ci fosse più da lavorare e guadagnare portando avanti alcuni concetti precedenti ma attuando importanti modifiche a livello aerodinamico che stravolgendo il progetto, soprattutto considerando i futuri cambi regolamentari. Dubbi che verrebbero supportati non solo dalle parole piuttosto strane di Budkowski, ma anche a livello visivo tra la zona di congiungimento del muso di dimensioni ridotte e il telaio, con un evidente scalino: seppur ciò non confermi queste supposizioni, considerando anche le ridotte dimensioni del nuovo nosecone, questo fattore potrebbe aver comportato un risparmio economico non indifferente, soprattutto considerando che a partire dalla prossima stagione i regolamenti saranno molto diversi.

Secondo il team principal, al momento la Renault ha in programma un inteso piano di sviluppo che si vedrà durante la stagione: “La RS20 si è comportata come ci aspettavamo, e questo è stato anche grazie ai progressi fatti ad Enstone e Viry durante l’inverno per far sì che tutti i componenti fossero consegnati in pista secondo alti standard di qualità. Siamo riusciti a completare la maggior parte del lavoro con solo piccoli problemi nel corso delle due settimane. Inizialmente ci siamo concentrati sui livelli di affidabilità e sulle caratteristiche base del pacchetto, prima di iniziare il lavoro sul set-up, in cui abbiamo provato anche diverse soluzioni interessanti. Siamo contenti, il livello di performance è in linea con le nostre aspettative invernali, un segnale positivo in termini di correlazione tra i risultati in fabbrica e in pista, il che sarà importante per il piano di sviluppo molto aggressivo che abbiamo in mente”, ha commentato Cyril Abiteboul alla fine dei test. Nonostante ciò, lo stesso team principal, alla presentazione della vettura aveva anche cercato di mettere le mani avanti, sottolineando come questa nuova monoposto fosse figlia di un gruppo di tecnici che non fa più parte del team: negli ultimi mesi, infatti, la squadra si è mossa molto bene, ingaggiando tecnici di rilievo, che naturalmente però non hanno avuto la possibilità di intervenire in maniera così incisiva sul progetto nei pochi mesi ad Enstone.

Il programma di lavoro nelle due settimane di test è stato piuttosto altalenante, sia in termini di tempo speso in pista che di lunghezza degli stint. Nella prima settimana, la squadra si è concentrata molto su run di maggiore lunghezza, tanto da arrivare a concludere anche una simulazione gara sul finire del terzo giorno, interrotta però a causa di un problema sulla vettura di Ricciardo. Nella seconda sessione, invece, i piani della squadra francese hanno visto tanti stint particolarmente brevi, sempre sotto le 10 tornate e con un quantitativo di benzina abbastanza esiguo a giudicare dai tempi, come se si stessero cercando di replicare in parte le condizioni dell’ultimo stint di gara, dall’altro quelle che si sarebbe potute incontrare in qualifica. Questo comportamento si è riscontrato con diverse mescole: la C3 è stata adoperata intensamente il giovedì pomeriggio, mentre la C2 e i compound più morbide sono stati utilizzati in modo più approfondito l’ultimo giorno. Ciò nonostante, la squadra francese ha anche trovato il tempo di completare una simulazione gara con Ocon proprio sul finire del quarto giorno.

In tema di simulazioni qualifica, indubbiamente non sono stati giri in cui si è dato fondo a tutte le risorse, ma probabilmente il duo del team francese non si è neanche risparmiato completamente, tanto che lo stesso Ricciardo si è detto complessivamente soddisfatto di quanto fatto con il compound più morbido, nonostante avesse ancora un paio di decimi in tasca. Spostandoci invece sulle simulazioni gara, in termini assoluti soprattutto quella dell’australiano non è stata assolutamente negativa, guardando i tempi ci sarebbero dei segnali confortanti, sia in termini di passo che di consumo gomme, anche se, come per altri casi, questa è stata completata nella prima settimana, quando le condizioni della pista erano migliori. Non è stata altrettanto positiva in termini assoluti quella completata dal compagno di squadra, Esteban Ocon, sul finire del quarto giorno, ma è importante rimarcare come pure per il francese il consumo degli pneumatici non sia stato particolarmente marcato come per altre squadre.

Alpha Tauri

Nuovo nome, stesso team. La scuderia italiana, che a partire da questa stagione ha assunto la denominazione di “Alpha Tauri” a fini commerciali, pone le sue radici in quello che era il team dell’anno scorso, sia per quanto riguarda i piloti, che lo staff tecnico e la filosofia di costruzione scelta. Con la vettura del 2019, infatti, l’Alpha Tauri è tornata ad avere una collaborazione particolarmente stretta con la casa madre, la Red Bull, acquisendo più componenti possibili dalla relativa monoposto della stagione precedente, così come ad esempio fa la Haas dalla Ferrari, tanto che anche il volante è il medesimo. Le basi della nuova monoposto di Faenza, quindi, sono quelle che caratterizzavano la RB15, incluso essenzialmente tutto il retrotreno, le sospensioni e la componente idraulica.

L’obiettivo del team per questa stagione è riuscire a centrare il quinto posto, magari ripetendo dei podi in gare particolarmente movimentate, così come successo nel 2019. Un obiettivo non semplicissimo, perché se è pur vero che alcuni componenti arrivino da una vettura che si è dimostrata capace di vincere gare, anche i rivali più diretti della midfield sembrano aver fatto un salto di qualità, con la Racing Point che è arrivato a sfruttare al massimo questa filosofia. Dal punto di vista tecnico, al momento la macchina sembra soffrire, come confermato dal direttore tecnico, di qualche problema di sottosterzo, per cui durante i test si è lavorato molto in tema di set-up. Questo è importante, perché ci dà una mano a capire come e in che direzione ha lavorato la squadra. Nella mattinata della prima settimana, il team si è concentrato soprattutto su short run, anche con l’utilizzo di aero rake per effettuare rilevamenti aerodinamici, mentre al pomeriggio sia Gasly che Kvyat hanno macinato parecchi chilometri, completando anche degli stint abbastanza lunghi, utili a verificare il consumo gomme e il comportamento della vettura a seguito dei cambiamenti di set-up. La seconda sessione, tuttavia, non è stata altrettanto serena per quanto riguarda i piani, soprattutto a causa della mattinata persa nel quarto giorno, dovuta ad un problema un condotto la cui riparazione è costata un paio d’ore. Ciò ha rallentato tutto il programma, costringendo i tecnici a completare le rilevazioni aerodinamiche previste al pomeriggio, dovendo di conseguenza accorciare i run previsti su C3 e C4. A complicare ulteriormente la situazione è stata la pioggia della mattinata del quinto giorno, la quale ha anche in questo caso rallentato il lavoro degli ingegneri che dovevano completare ulteriori rilevazioni aerodinamiche.

Per quanto concerne le simulazioni gara, la squadra italiana è stata tra le più attive sotto questo aspetto. Sia nel quinto che sesto giorno, l’Alpha Tauri è stata infatti la prima a scendere in pista per portare avanti il lavoro con i long run: ciò è stato dovuto probabilmente anche al fatto che con il tempo perso nelle mattinate, il programma del team è stato poi compresso, dovendo così sfruttare ogni secondo disponibile per riuscire a mettersi in pari. Ciò ha dato una doppia opportunità: da una parte riuscire a portare quasi completamente a termine la simulazione con Gasly prima della bandiera rossa, utile per avere un quadro più chiaro relativamente ai dati ottenuti senza interruzioni, dall’altra riuscire a concentrarsi sul lavoro di set-up con poco carburante a bordo sul finire di giornata. Ciò lo è si è visto soprattutto nel quinto giorno, dove ha compiuto diversi stint particolarmente brevi in modo consecutivo per riuscire ad ottenere un buon set-up di base su cui lavorare, così come fatto dalla Ferrari. Inoltre, si è portato avanti anche un lavoro di comparazione in questo senso non concentrandosi solamente sui compound più morbidi in assoluto, ma anche la C3. Questo nuovo programma, tuttavia, non ha dato l’opportunità di testare a fondo la C2 prototipo per il Gran Premio d’Olanda, come fatto da altri team.

Sempre in tema simulazioni gara, se come detto nel quinto giorno le folate di vento e le condizioni della pista hanno reso complicato ricavare dei dati del tutto attendibili, quella del sesto giorno ha lasciato sensazioni miste: oltre a non essere particolarmente rapida, ha mostrato anche un consumo gomme anomalo, fin troppo marcato, che negli stint del mattino del secondo giorno, seppur limitati a meno di dieci tornate, non si era visto. Siamo quindi andati a controllare per capire se ci fossero stati eventuali problemi di traffico, ma dalle rilevazioni, non è stato riscontrato nulla di particolare in merito: sarà quindi interessante capire nei prossimi Gran Premi, quanto questo consumo gomme così anomalo possa essere stato figlio di un set-up che non ha dato i propri frutti, di una circostanza particolare o di un problema della monoposto che si porterà con sé nei primi appuntamenti.

Racing Point

Se c’è un team che in questi test invernali ha fatto parlare di sé, questo è senza dubbio la Racing Point. Per questa stagione, il team inglese ha stravolto la propria filosofia, sfruttando al massimo la collaborazione con Mercedes, tanto da prendere grande ispirazione, se così possiamo dire, dalla W10. Insomma, oltre ad acquistare numerosi componenti dalla squadra tedesca, come ad esempio il cambio e la Power Unit, quest’anno il team con base a Silverstone ha fatto uno step in più, letteralmente copiando la vettura che nella scorsa stagione aveva vinto il mondiale. Lo stesso direttore tecnico non ha avuto problemi nell’ammettere tale fatto, tanto che è quasi più difficile trovare delle differenze che non riuscire a scorgere delle somiglianze tra i due modelli, tanto che ciò ha scatenato numerose polemiche all’interno del paddock.

Una scelta radicale, che secondi i vertici del team è stata possibile solamente ora, quando lo stesso ha trovato una stabilità interna e finanziaria che negli anni passati era venuta a mancare, soprattutto con gli avvenimento del 2018 dove la squadra passò sotto amministrazione controllata. Un periodo particolarmente complicato, tanto da incidere negativamente sulle prestazioni della monoposto 2019, la quale verso metà campionato sembrava essersi ripresa positivamente, centrando qualche risultato di livello, prima di fare un passo indietro verso il finale di stagione. Copiare interamente una vettura, tuttavia, per quanto essa sia quella campione del mondo, è solo metà del lavoro: l’altra, infatti, è riuscire a comprenderne il funzionamento, la gestione dei flussi, trovare il miglior set-up possibile che riesca a far esprimere al meglio la RP20. E su questo aspetto non è da dimenticare che la forza economica della Mercedes permette ben altro tipo di prove, di sperimentazioni, per cui la Racing Point sarà messa alla prova nel prosieguo del campionato, quando dovrà sviluppare la monoposto con un concetto totalmente nuovo. Nelle interviste, il direttore tecnico Andry Green ha spiegato in parte quali sono le aree su cui si è voluto lavorare: “La RP20 è una vettura completamente nuovo, il che significa che ha poco a che fare con la nostra monoposto del 2019. Per il 2020, siamo partiti da zero, il che è eccitante. Nelle passate stagioni abbiamo avuto due grosse problematiche: il bilanciamento della vettura e le difficoltà incontrate sui circuiti che richiedevano alto carico aerodinamico. Per il 2020, pensiamo di aver lavorato bene su questi due fattori”. Dopo le due sessioni di test, i vertici del team si sono ritenuti particolarmente soddisfatti del lavoro svolto, così come i piloti, soprattutto perché la vettura sembra aver dato i risultati che si aspettavano, garantendo un passo in avanti in termini globali.

Nella prima settimana di prove, la Racing Point è stata tra le squadre che ha portato a termine più long run, soprattutto nel pomeriggio del secondo e terzo giorno, seppur non completando una vera simulazione gara. Un programma molto simile è stato portato avanti all’inizio della seconda settimana di prove, dove il team si è concentrato sul provare differenti set-up, in modo da comprendere come la vettura reagisse alle regolazioni. Da questo punto di vista, è interessante notare che in queste prove ci sia stato un punto comune: il fatto che il run si sia diviso in due stint. Un primo stint sempre da cinque giri, composto dall’out lap, un giro veloce, un cooldown, un altro tentativo estremamente rapido e successivamente il rientro ai box, da cui poi partiva uno stint più lungo, spesso di una decina di giri ciascuno. Ciò è importante soprattutto se lo andiamo a paragonare alle simulazioni gara. Quella di Stroll del quinto giorno non è del tutto significativa, a causa dei noti problemi legati al vento ma anche all’interruzione provocata dalla bandiera rossa, anche se c’è un fatto da sottolineare: per quanto non sia stata rapidissima, il consumo gomme non è stato un punto particolarmente critico. Al contrario, nella simulazione di Perez portata a termine nell’ultimo giorno di test, è possibile notare come dopo un paio di tornate a ritmo costante, i tempi iniziassero a salire in modo vistoso.

Ciò è rilevante soprattutto nel momento in cui nella mattinata del quarto giorno, negli stinti di cui parlavamo pocanzi, si è rilevato un comportamento molto simile, il che lascia dei dubbi. Così come per l’Alpha Tauri, sarà qualcosa da verificare nelle prossime settimane. Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda la Power Unit: se è pur vero la squadra inglese non ha subito alcuna rottura, viene da chiedersi quanto il motorista tedesco abbia cercato di non spingere le unità, anche dei clienti, nelle simulazioni gara, magari tenendosi qualcosa da parte. Dal punto di vista dell’affidabilità, comunque, in casa Racing Point non si sono verificati grossi problemi, se non per un guasto elettrico nella mattinata dell’ultima giornata.

Alfa Romeo

Il 2019 della squadra italo-svizzera è stato pieno di alti e bassi. Dopo un buon inizio, fatto di numerosi arrivi a punti, la squadra aveva incontrato difficoltà nello sviluppo della vettura, perdendo il treno dei rivali che, invece, avevano fatto dei passi in avanti. Qualche buon risultato sporadico si è visto su determinati circuiti, come il doppio arrivo a punti in Brasile, ma non è nemmeno eresia dire che forse il team si aspettava qualcosa di più nel complessivo dalla passata stagione. Per il 2020 è arrivato un nuovo grosso sponsor, il che significa anche finanze da investire, soprattutto nello sviluppo della monoposto 2021: parallelamente, è entrato anche nella squadra in veste di terzo pilota di Robert Kubica, il quale ha avuto la possibilità, grazie agli accordi presi, di disputare due mezze giornate di test, utili anche a paragonare i numeri del simulatore in cui il polacco lavorerà durante i settimana di gara. Ciò, tuttavia, ha tolto tempo prezioso ai driver ufficiali e, non a caso, l’Alfa è stata l’unica squadra a schierare un terzo pilota nelle due settimane di test, mentre gli altri team hanno preferito non sacrificare le sessioni nonostante ciò avrebbe potuto significare un’ingente quantità di denaro, come si era spesso visto nelle passate stagioni.

In queste due settimane di prove, il team diretto da Frederic Vasseur si è concentrato soprattutto sui run medio-lunghi più che sulle simulazioni di giro secco, tanto che sia per Raikkonen che per Giovinazzi, i tempi migliori sono arrivati nella prima settimana. Al contrario, per Kubica il crono migliore è arrivato nella mattinata del quarto giorno, ma è anche vero che indubbiamente esso sia stato più uno di quei glory-run, utile ad accontentare gli sponsor e i tifosi polacchi accorsi sul circuito per seguire il loro beniamino. Nella prima sessione, si è lavorato intensamente, tanto che l’Alfa Romeo è risultata essere tra le più attive in pista, con ben 423 tornate completate, ovvero al terzo posto di questa speciale classifica. La seconda settimana, invece, non è stata altrettanto positiva in termini di chilometraggio, soprattutto a causa del tempo perso nella mattinata del quinto giorno per via dell’incidente di Antonio Giovinazzi durante uno stint veloce e nel pomeriggio dell’ultima giornata, dove l’Alfa ha concluso in anticipo la propria giornata.

Parlando delle simulazioni gara, quelle più rilevanti sono state disputate nel quinto e sesto giorno, anche se ci sono alcuni aspetti da precisare. Innanzitutto, come per altri casi, la simulazione portata a termine da Giovinazzi è stata effettuata in condizioni lontane dall’ideale, soprattutto in termini di folate di vento, anche se in questo caso possiamo notare una tendenza che si è poi vista anche con Raikkonen, ovvero un’usura gomme marcata. Solamente nell’ultimo stint si è vista un’inversione di tendenza, quanto l’italiano ha montato un nuovo set di C3. Una tendenza che, dicevamo, si è vista anche nei long run del compagno di squadra, in maniera però ancora più evidente, senza contare che i tempi ottenuti non sono stati particolarmente entusiasmanti. Perché ciò non è un buon segnale? Perché tale usura si è riscontrata essenzialmente in quasi tutti gli stint effettuati durante le due settimane di prove. Per avere un quadro più chiaro della situazione, siamo andati quindi a verificare anche gli stint della prima sessione e, nei long run portati a termine da Giovinazzi nella terza giornata su gomma C2, anche in quel caso è stato possibile riscontrare come qualcosa non fosse in linea da questo punto di vista.

A dimostrazione di ciò ci sono anche i run della seconda settimana, come quelli portati a termine dal compagno di squadra finlandese nella mattinata dell’ultima giornata sulla mescola C3 e, seppur in maniera minore considerando il ridotto tempo in pista, la sensazione è che tale consumo fosse sempre abbastanza marcato. Comportamento simile anche in uno stint da quasi 20 giri concluso da Giovinazzi sul finale della quarta giornata su gomma C2, dove però in quel caso le temperature erano relativamente più fresche. Curiosamente, infine, la simulazione di Raikkonen è stata bloccata sul finire del secondo stint: dopo essere sceso in pista per due giri sulla C3 per l’ultima parte, il finlandese è subito tornato ai box, senza completare il programma. Il team è tornato in pista poco dopo per un altro giro di installazione, prima di tornare nuovamente in garage e completare anticipatamente i propri test invernali.

Degli aspetti positivi da queste due sessioni invernali, tuttavia, ci sono, ovvero il fatto che la squadra italo-svizzera sia stata tra le più attive lato aggiornamenti, portando diverse novità, tra cui una nuova ala anteriore, corna riviste vicino all’uscita dell’S-duct, tre nuovi profili ai lati del telaio, un confano motore con pinna tagliata e dei piloni di sostegno dell’ala posteriore di dimensioni maggiorate rispetto alla precedente versione.

Haas

Il 2019 è stato probabilmente il peggior anno della Haas in Formula 1 da quanto è entrata a far parte del mondiale nel 2016. Una stagione fatta di alti e, soprattutto, bassi, in cui sono state evidenti le difficoltà nel saper far lavorare la vettura in simbiosi con gli pneumatici e nello svilupparla, tanto che a metà campionato la squadra aveva poi deciso di tornare alla specifica iniziale per tentare di capire quali fossero i problemi che stavano affliggendo la VF-19. L’obiettivo per il 2020 è invertire questa tendenza, tornando ad essere uno dei punti di riferimento della midfield, anche se con avversari così agguerriti come quelli di quest’anno, sicuramente non sarà un’impresa facile. Così come per la Ferrari, da cui prende buona parte del materiale, anche la VF-20 è una evoluzione della monoposto della passata stagione, in cui si è lavorato soprattutto per aumentare il carico complessivo e riuscire a far lavorare gli pneumatici nel giusto range di temperatura.

Dal punto di vista del programma completato nelle due settimane di prove invernali, la squadra americana si è concentrata soprattutto su stint abbastanza brevi, completando pochi long stint, legati più che altro alle simulazioni gara. Per quanto concerne la prima settimana, dei tentativi di long run si sono visti nel secondo giorno, quando nel pomeriggio Romain Grosjean ha completato un buon chilometraggio diviso in tre stint: supponiamo che il programma fosse il medesimo anche per la giornata successiva, ma un problema alla sospensione posteriore in quel caso aveva messo la parola fine ai test della Haas in anticipo, togliendo così la possibilità di ottenere dati preziosi sulla lunga distanza. Da sottolineare come questo non sia stato l’unico inconveniente riscontrato sulla VF-20, in quanto nell’ultima giornata, Magnussen è stato costretto a rimanere ai box a causa di un inconveniente sulla frizione.

Un discorso simile si è verificato anche nella seconda settimana, dove andando ad analizzare il programma portato a termine dalla squadra di Gunther Steiner, è facile notare come la maggior parte degli stint sia stata relativamente breve, molto probabilmente legati al verificare cambiamenti di set-up, per cui Romain Grosjean ha anche confessato di aver provato delle configurazioni piuttosto particolari. I long run sono stati davvero pochi, il che è abbastanza inusuale, tanto che alla fine dei test la Haas è risultato essere il team con meno giri in assoluto, l’unico sotto quota 700. Per queste ragioni è abbastanza difficile inquadrare in questo momento la Haas, soprattutto in configurazione gara, anche se la sensazione, andando a confrontare i tempi ottenuti dai piloti nel corso delle due sessioni, è che ci sia un consumo gomme più marcato a serbatoio pieno, anche se questo sarà da verificare nelle prima gare della stagione. Tuttavia, è importante rimarcare che le due simulazioni sono state portate a termine in momenti della giornata diversi: con Grosjean a metà mattinata, mentre con il compagno di squadra sul finire della giornata.

Williams

Negli ultimi anni, la squadra di Grove sta vivendo senza dubbio un momento particolarmente difficile. Il team ne è consapevole e sta cercando di porre i paletti per tornare ad essere competitivo, il che è incoraggiante considerando i progressi che si sono visti anche durante la scorsa stagione, i quali hanno portato la Williams a riavvicinarsi alla coda del gruppone di centro classifica, riuscendo ad evitare in talune occasioni anche l’ultima posizione per merito, grazie ad alcune prestazioni convincenti. L’obiettivo per il 2020 è riuscire a continuare quel percorso di crescita, concludendo questo ciclo tecnico con dignità, magari riuscendo ad acciuffare anche la Q2 in qualche occasione, così confermato dai vertici stessi della squadra.

Un primo passo in avanti sicuramente è stato quello di presentarsi ai test in tempo, già per lo shakedown completato poco prima di scendere in pista per le prove ufficiali, il che sicuramente è stato un punto incoraggiante considerando quanto accadde l’anno passato, dove la Williams non era riuscita a completare tutti i componenti necessari per far debuttare la FW42 con le altre monoposto. Da questo punto di vista, sono tornati utili anche gli aggiormaneti portati in pista a Barcellona, tra cui un cofano motore con una pinna tagliata e una nuova ala posteriore a cucchiaio. Un altro punto a favore è stato senza dubbio l’alto chilometraggio portato a termine durante i test, nonostante due rotture riconducibili a problemi legati alla Power Unit Mercedes, a dire il vero piuttosto preoccupanti, dato che in uno dei due casi si è dovuto ricorrere alla sostituzione dell’unità. Ciò si è ripercosso sul tempo a disposizione di Nicholas Latifi, l’unico rookie di questa stagione, che si è visto costretto a rimanere a lungo ai box in attesa delle necessarie riparazioni. Tutto ciò ha influito in modo abbastanza vistoso anche sui programmi inizialmente previsti dalla squadra di Grove, la cui intenzione era quella di portare a termine circa 4 simulazioni gara nelle due settimane di lavoro.

Un aspetto interessante riguarda la differenziazione tra il lavoro differenziato svolto tra mattina e pomeriggio: nelle prime ore della giornata, durante la seconda settimana, la Williams aveva usato esclusivamente i compound più morbide, ovvero la C4 e la C5, complice probabilmente le basse temperature dell’asfalto, mentre nel pomeriggio si è poi dedicata all’utilizzo delle mescole più dure, come la C1, la C2 e la C3, completando anche oltre due simulazioni gara, in cui i tempi, soprattutto in quella effettuata da Russell, seppur la vedano come fanalino di coda, non sono affatto male. Indubbiamente un passo in avanti rispetto alla scorsa stagione è stato fatto, ma quasi certamente, come raccontato dallo stesso Russell, non sarà sufficiente a fare un salto di qualità tale da portare il team a fronteggiare i rivali più vicini della midfield con costanza: “Dubito che la Williams sia una posizione molto differente rispetto alla passata stagione. Realisticamente penso che abbiamo ancora la monoposto più lente di tutte, anche se sicuramente il gap dai team davanti a noi si è ridotto, che è ciò che speravamo questo inverno. Sinceramente non mi aspetto di avere una macchina che possa accedere alla Q, ma siamo sicuramente migliorati. Uno dei problemi è che avevamo in programma di fare quattro simulazioni di gara, ma non ci siamo riusciti, abbiamo fatto meno giri del previsto. In queste condizioni di pista non era semplice, dato che l’asfalto era anche molto freddo”, ha commentato il pilota britannico a fine test.

Per quanto non siano totalmente esplicativi, ecco anche i tempi più veloci delle due settimane, inclusi la mescola usata e il giorno in cui è stato ottenuto:

Se siete giunti fino a questo punto, vi ringraziamo per l’attenzione e vi aspettiamo per le consuete analisi dei prossimi appuntamenti del mondiale.

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