GP Stati Uniti: Hamilton è il vero uragano, Vettel e Verstappen show
Fine settimana pazzesco in Texas, Hamilton infila il tris iridato, Vettel lo sfida per il 2016
Non ho detto noia, ma gioia gioia gioia. Ma si, stravolgiamo Califano e godiamo come matti, per una F1 che ad Austin ci ha regalato uno spettacolo fantastico, una gara vivace, tirata dall’inizio alla fine, dove nessuno dei protagonisti, nemmeno l’ultima delle Manor, si è risparmiata. Il cuore oltre l’ostacolo, e complimenti a tutti, anche un po’ all’uragano Patricia, che accarezzando l’arido Texas l’ha trasformato nel ring perfetto.
HAMILTON METTE TUTTI D’ACCORDO E va bene che stavolta Nico Rosberg ha fatto di tutto per perderla, dalla remissività in partenza all’errore nelle ultime fase con cui ha servito su un piatto d’argento la vittoria ad Hamilton. Peccato perché il tedesco ad Austin è stato sempre veloce, ma oggi Lewis è di un altro pianeta, per piede e sopratutto per testa. Sarà rapper, sarà dedito alle feste del jet-set o al pianoforte suonato con vista panoramica, ma Hamilton è un talento che alla nona stagione nella categoria mette tutti d’accordo. Dell’antipatico ragazzino viziato coccolato da McLaren e FIA (la gru del Nurburgring nel 2007, l’affaire Glock a San Paolo 2008) è rimasto ben poco. Hamilton è un campione carismatico, emotivo, dal carattere sfaccettato e perciò vero, genuino. Un talento immenso quando guida, che merita appieno il tris iridato e i successi che è stato capace di costruire con questa Mercedes. Chi, se non uno così, è meritevole di laurearsi tre volte campione del mondo?
NELLA FACCIA DI VETTEL IL FUTURO DELLA FERRARI Tra i fanghi e le paludi di un tracciato che è stato per tre giorni jungla di emozioni, ha spiccato sul gruppo la classe cristallina e infinita di Sebastian Vettel, il migliore del lotto in Texas. Il tedesco con la sua SF15-T ha messo insieme una gara eroica, rimontando non senza difficoltà dalla tredicesima piazza in griglia al terzo posto finale, portando a casa un altro prezioso podio del suo meraviglioso anno. Vettel in Ferrari ha dimostrato di saper vincere e convincere; ha sposato una causa e le ha dedicato anima e corpo. E’ nella velocità innata e nello spessore umano di questo ragazzo che la Rossa può già ipotecare il titolo iridato. Già, vogliamo sbilanciarci; la faccia scura, rabbuiata, di Sebastian dopo il traguardo è un’assicurazione sul futuro. Vettel potrebbe vantarsi delle tre vittorie, dei dodici podi, della pole di Singapore. Invece era lì a rimuginare sul fatto di aver “perso” il titolo, pronto a sussurrare a Lewis: “L’anno prossimo tocca a me“. Vettel sa solo vincere, vuole vincere, ed è un cannibale che presto tornerà in cima al mondo.
VERSTAPPEN, NON SEI NORMALE! A questo punto possiamo scientemente affermare che il diciottenne olandese – figlio d’arte e per questo certamente “agevolato” in carriera – ha qualcosa di speciale. La sorpresa è gara dopo gara, si cela sempre dietro l’angolo, è un insieme di incoscienza e talento, di velocità ma anche raziocinio. E’ una crescita esponenziale che fa urlare al fenomeno, anche quelli che inizialmente erano scettici. Chi o cosa sei Max lo scopriremo solo vivendo, per ora lo spettacolo è servito, con un quarto posto da piccolo campione in erba.
KI MI GIUSTIFICA RAIKKONEN? Ci ha provato un Maurizio Arrivabene, soltanto lontano parente dal castigatore del Canada, quello che per poco non prendeva a parolacce Kimi per il testacoda che regalò il podio a Bottas. IronMauri ha applaudito (!)Raikkonen per la rabbia e la voglia con cui ha provato a rientrare in pista, prendendosela poi con un cartello pubblicitario. Ma l’errore a gomme fredde – tra l’altro non il primo in carriera di questo tipo – è un magone che non va giù, è la riprova che l’altro, il teammate, riesce a “stare più sul pezzo”, mentre il nostro ultimo campione del mondo è ancora dedito a cali di concentrazione e sviste clamorose. Difetti che dovrebbero andare smussati con l’esperienza e l’età. Peccato Iceman, ad Austin poteva e doveva andare diversamente, anche perché come di consueto la velocità non difettava.
PEREZ, BUTTON, SAINZ; FESTA PER TUTTI, TRANNE PER NANDO Due spagnoli sono stati tra i migliori protagonisti in Texas. Epica la gara di Fernando Alonso, quasi doppiato dopo un giro e capace – complici le neutralizzazioni – di risalire fino al quinto posto. Ancora una volta, sebbene in sordina, sebbene dimenticato dai più, Fernando Alonso ha dimostrato di che pasta è fatto e come si guidi una Formula 1 in gara. Con gli attributi, con la classe, con un agonismo da principe assoluto. Peccato che la sua McLaren-Honda perda potenza, relegandolo ad un undicesimo posto che non fa onore alla grande gara disputata. Bene, benissimo, invece, la remuntada dell’allievo Carlos Sainz. Il ventenne spagnolo ha chiuso settimo a suon di sorpassi dopo essere scattato dall’ultima fila a causa dell’inopportuno botto in qualifica. Ottime le gare anche di un Sergio Perez in stato di grazia e di un Jenson Button sempre pronto ad esaltarsi quando la pista oscilla tra il bagnato ed il viscido (sensibilità di guida al potere).
RED BULL, IL GRANDE BLUFF Tra le curve di Austin nella prima metà di gara la Red Bull ha dato spettacolo, sfruttando l’ottima presa su pista ancora bagnata. Con entrambi i piloti scatenati, sembrava poter assistere ad un prepotente ritorno dei dominatore degli anni duemila e dieci. Invece la RBR si è sgonfiata non appena ha montato le gomme d’asciutto, finendo lontana dal podio ed in crisi. Discorso a parte merita Daniil Kvyat, un ragazzo simpatico ed un grande pilota, che però denota gravi cali di concentrazione. Come a Suzuka, anche in Texas, Daniil è stato autore di un brutto botto causato da un suo – inspiegabile e superficiale – errore di traiettoria. Strano, stranissimo, in un’epoca in cui i piloti sbagliano sempre di meno.
Antonino Rendina
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