F1 | Hamilton contro Verstappen: un duello fuori e dentro la pista

L'inglese completa la rimonta, vince e batte l'olandese, ma il GP del Brasile ha tanto da raccontare

F1 | Hamilton contro Verstappen: un duello fuori e dentro la pista

Quello del Gran Premio del Brasile sarà un fine settimana che Lewis Hamilton ricorderà a lungo. Dalla prima posizione conquistata durante le qualifiche del venerdì al trionfo della domenica dalla decima casella, passando per la doccia gelata che lo aveva costretto a prendere il via dalla sprint qualifying dal fondo della griglia in seguito ad un’irregolarità riscontrata sull’ala posteriore della sua monoposto.

Nei consueti controlli post-qualifica, infatti, era emerso come sulla vettura dell’inglese l’apertura del DRS tra il flap mobile e il mainplane fosse risultata di due millimetri più ampia di quanto consentito dal regolamento. Una violazione chiaramente non voluta, dovuta probabilmente ad un gioco nel sistema oppure ai pivot laterali non fissati a dovere, ma che ne aveva comportato la squalifica dopo un’inchiesta durata quasi venti ore, tra rinvii e lunghe analisi. Una decisione che aveva dato molto fastidio alla Mercedes, non solo per il verdetto, ma anche perché la squadra tedesca contava sul fatto che la FIA potesse concedere una minima tolleranza come avviene in caso di guasti o incidenti per riparare eventuali danni ma, al contrario, in questa occasione la Federazione non si era mossa di un millimetro dalle proprie posizioni mantenendo una linea molto fiscale, soprattutto perché il danno era stato riscontrato durante i controlli. Se il problema fosse stato riscontrato durante le qualifiche, infatti, il team avrebbe ricevuto l’approvazione per una eventuale riparazione dell’ala anche in condizione di Parc Fermé e proprio su questo aspetto la squadra di Toto Wolff aveva voluto rimarcare il proprio disappunto, sottolineando come non vi fosse stato alcun tentativo di illecito sportivo quanto semplicemente un possibile danneggiamento del sistema legato allo sfruttamento del flap mobile. Dopo aver conquistato meritatamente una prima posizione al venerdì con un vantaggio cronometrico considerevole, complice una vettura generalmente ben bilanciata e il nuovo motore tarato per gli ultimi quattro appuntamenti del mondiale, l’inglese si era così visto costretto a dover ricominciare da capo, prendendo il via della sprint qualifying dal fondo della griglia, mentre Max Verstappen, il suo rivale nella corsa al titolo, sarebbe scattato dalla prima casella. Durante la corsa sprint del sabato, complice i vari episodi e una superiorità schiacciante, Hamilton era stato in grado di recuperare quindici posizioni, mentre l’olandese aveva perso la testa della corsa a favore dell’altro portacolori della squadra anglo-tedesca, pagando uno scatto a rilento dalla griglia e quella che forse era stata una scelta troppo conservativa in tema gomme.

In vista della gara della domenica, tuttavia, gli scenari erano cambiati. Dovendo scontare un’altra penalità per la sostituzione del motore endotermico, Hamilton sarebbe stato in grado di recuperare altre nove posizioni e mostrare lo stesso livello di competitiva visto il giorno prima? Sarebbe stato in grado di passare così agevolmente le Ferrari e le McLaren oppure, dovendo gestire delle temperature ambientali e d’asfalto di circa venti gradi superiori rispetto alle giornate precedenti, avrebbe incontrato maggiori difficoltà dovendo ragionare sulla lunga distanza? Domande che avrebbero trovato le proprie risposte allo spegnimento dei semafori, con una gara che aveva ancora tutto da raccontare.

Il primo stint: Lewis attacca, Max gestisce

Dopo aver osservato la rimonta completata da Hamilton al sabato, in Red Bull erano ben consapevoli che la chance migliore per riuscire a portare a casa il successo di tappa e conquistare punti fondamentali in chiave mondiale sarebbe stata quella di ribaltare il risultato della sprint qualifying, dove il proprio pilota di punta aveva perso la prima posizione a favore di Valtteri Bottas. Un compito completato alla perfezione quando, sfruttando le difficoltà del finlandese allo spegnimento dei semafori, Verstappen era stato in grado di riprendersi la testa della corsa e porre le basi per quella che, nelle sue speranze, avrebbe dovuto essere una piccola fuga, abbastanza per contenere quanto più a lungo possibile il ritorno del sette volte campione del mondo, scattato da metà griglia in seguito alla penalità rimediata per la sostituzione del motore a inizio weekend. Un piano che sembrava aver trovato un alleato in più in Sergio Perez, bravo nel sopravanzare il numero settantasette della Mercedes alla staccata di curva quattro mettendosi alle spalle del compagno di squadra. Avere entrambe le vetture nelle posizioni di testa avrebbe permesso alla squadra di Milton Keynes di gestire con maggior serenità la corsa dal punto di vista strategico, magari anche sacrificando il messicano per riuscire a trarre il massimo con l’attuale leader della classifica iridata. In tal senso, sarebbe risultato fondamentale seguire con attenzione l’evolversi della gara e, più precisamente, l’andamento della gara del pilota di Stevenage, immaginando che con una vettura più carica e con una gestione gomme pensata alla lunga distanza, Hamilton avrebbe avuto maggiori difficoltà nel sopravanzare i propri avversari rispetto a quanto accaduto al sabato, soprattutto nel caso di Ferrari e McLaren. Una speranza vana perché, nello spazio di soli cinque giri, il britannico era riuscito a riportarsi sino alla terza posizione, sopravanzando anche le due vetture di Maranello che nulla avevano potuto per contrastare in rettilineo il vantaggio fornito dall’utilizzo dell’ala mobile. In tal senso, lo scambio orchestrato dalla Mercedes tra i propri due alfieri all’inizio del quinto passaggio aveva senza dubbio agevolato il lavoro del sette volte campione del mondo, lasciandogli ben oltre sessanta tornate per andare all’attacco di entrambe le RB16B e portarsi a casa un altro trionfo da aggiungere alle pagine della sua lunga e vittoriosa carriera. Sotto questo punto di vista, l’essere riuscito a mitigare così rapidamente lo svantaggio di aver preso il via da metà schieramento aveva dato una prospettiva diversa alla sua corsa, perché i cinque secondi rimediati dal battistrada nelle prime tornate di gara erano sì un tesoretto da dover recuperare, ma allo stesso tempo non si trattava nemmeno un gap così ampio da stravolgere completamente quella che poteva essere una superiorità tecnica a favore del team della Stella.

Al fine di avere una chance concreta di strappare il successo all’olandese, tuttavia, era prima di tutto necessario azzerare il distacco dal suo compagno di casacca e tentare di sbarazzarsene quanto il più rapidamente possibile, in modo da non lasciare al numero trentatré della Red Bull campo libero a lungo. A dare una mano era stato l’ingresso della Safety Car nel corso del sesto giro quando, in seguito al contatto che aveva visto protagonisti loro malgrado Lance Stroll e Yuki Tsunoda, i commissari si erano visti costretti a neutralizzare la corsa per ripulire la pista dai detriti presenti in curva uno. Ciò aveva rappresentato un brutto colpo per gli strateghi del team anglo-austriaco, che avevano visto volare via non solo quei cinque secondi di vantaggio sul rivale nella lotta al titolo che Verstappen era stato in grado di costruire nelle prime tornate nonostante fosse già in gestione, ma anche quel piccolo tesoretto da oltre tre secondi che Perez aveva guadagnato sugli avversari alle sue spalle. Anche con un delta di mezzo secondo al giro, per chiudere il gap dal messicano sarebbero stati comunque necessari almeno cinque o sei giri, meno della durata del periodo dietro la vettura di sicurezza, senza contare che in quelle prime fasi di corsa Hamilton avrebbe dovuto o forzare la mano sulle gomme, mettendole leggermente sotto stress ancora prima di approcciarsi al duello con il pilota di Guadalajara, oppure salire in termini di mappature. Osservando le telemetrie, infatti, emerge con in quei due passaggi in aria libera prima della comparsa della Safety Car il vantaggio dell’inglese sui rettilinei fosse sì presente, ma non in maniera così marcata come ci si potesse aspettare, in particolare in termine di picco al termine degli allunghi, a dimostrazione che in quella fase la squadra diretta da Toto Wolff non volesse ancora attingere a tutto il proprio potenziale della propria Power Unit.

L’eccellente gestione della ripartenza da parte di Verstappen aveva dato la possibilità al compagno di squadra di posizionarsi nel migliore dei modi per respingere un possibile attacco del britannico nel primo settore, mantenendo quei pochi decimi di vantaggio che si sarebbero poi rivelati fondamentali per contenere il sette volte campione del mondo sul rettilineo successivo, quando avrebbe potuto inizialmente sì contare sulla scia ma non sull’utilizzo dell’ala mobile. Un vantaggio che, unito a quanto la Red Bull era in grado di guadagnare nel tratto più guidato del secondo settore, dove Hamilton era spesso costretto a linee alternative per non subire eccessivamente l’effetto negativo dell’aria sporca ed arrivare ad un degrado precoce della mescola media, aveva permesso a Perez di contenere i tentativi di avvicinamento della W12 numero quarantaquattro, ma per quanto avrebbe potuto reggere? La risposta era giunta solamente qualche passaggio più tardi, all’inizio della diciottesima tornata, quando l’alfiere della Mercedes, dopo essere riuscito a contenere eventuali perdite nel settore centrale sfruttando un approccio leggermente più aggressivo, aveva provato il sorpasso all’esterno della prima staccata, trovando però le resistenze del portacolori della Red Bull, bravo nell’anticipare la frenata per poter contare su una miglior uscita dalla chicane e sfruttare a sua volta il DRS per tornare nuovamente davanti. Un giochino che, tuttavia, non avrebbe funzionato il giro successivo, quando con una bella manovra sempre in prossimità della prima staccata, Hamilton aveva guadagnato definitivamente la seconda posizione potendo così prendere le vesti di cacciatore e mettersi all’inseguimento di Verstappen.

Proprio quel duello aveva rappresentato un punto cruciale nella strategia del battistrada che, nei passaggi successivi al periodo passato alle spalle della vettura di sicurezza, non aveva forzato la mano, patendo dal punto di vista cronometrico un approccio piuttosto conservativo dal punto di vista della gestione motore e delle coperture. Se prima del duello tra il suo compagno di squadra e il sette volte campione del mondo, Max poteva contare su un vantaggio che si aggirava intorno al secondo e mezzo, al termine di quella sfida il distacco era aumentato fino a quattro secondi. Due secondi e mezzo guadagnati in una fase di amministrazione del passo, ben evidente dal confronto delle telemetrie tra il diciassettesimo giro e il ventesimo giro, ovvero prima e dopo la battaglia per il secondo posto: ciò che emerge in maniera chiara è come inizialmente Verstappen stesse effettivamente sfruttando mappature piuttosto conservative, unite ad un’abile utilizzo della tecnica del lift and coast e ad un’oculata gestione degli pneumatici in alcuni dei tratti più impegnativi della pista, come curva nove e il curvone della undici, sacrificando così diverse decimi al giro di ritmo potenziale. Ciò indubbiamente forniva una parziale spiegazione in merito al perché l’olandese non fosse riuscito ad incrementare il gap sul compagno di squadra in maniera così decisa, ma una volta che quest’ultimo aveva perso la posizione a favore di Hamilton, era giunto il momento di tornare a spingere sull’acceleratore e sfruttare tutto quanto si era messo da parte fino a quel momento. Le velocità sul rettilineo, seppur non pari a quelle del rivale della Mercedes da cui pagava un distacco costante di circa 5km/h, erano aumentate, mentre era diminuita leggermente la gestione nel settore centrale, quello in cui la W12 pativa maggiormente, forse anche complice lo sforzo eccessivo sulle coperture per tentare di sopravanzare Perez in una fase cruciale della corsa.

Anche se non ci sono conferme ufficiali, probabilmente la speranza della Red Bull era quella di avere maggior tempo a disposizione per allungare quanto più possibile il primo stint, in modo da poter poi lasciare aperta la porta a diverse soluzioni nel resto della gara. Spingere eccessivamente nell’intertempo centrale avrebbe rappresentato indubbiamente una sfida per gli pneumatici, complici anche i cinquanta gradi registrati domenica, ma allo stesso essere in grado di presentarsi all’inizio del lungo rettilineo con quel secondo o più di vantaggio avrebbe rappresentato la vera unica chance di riuscire a portare passare trionfati sotto la bandiera a scacchi. Un tema su cui bisognava trovare il giusto equilibrio tra guadagno e durata della gomma, ben tenendo a mente che una volta che ci sarebbe avvicinato, anche Hamilton ne avrebbe patito le conseguenze, vedendosi costretto ad usare linee meno remunerative che gli consentissero di contenere l’overheating. Più lo stint si allungava in una fase in cui i tempi dei due piloti di testa si differenziavano per soli pochi decimi, più Red Bull ne avrebbe tratto vantaggio e, proprio per questo, non era stata una sorpresa vedere Mercedes agire per prima e richiamare il proprio portacolori di punta ai box, pronta per montare un set di hard con cui tentare di mettere la squadra di Milton Keynes sotto pressione. Sfruttando il nuovo treno di pneumatici, Hamilton era stato subito in grado di segnare i parziali più rapidi della corsa, riducendo il distacco da Verstappen intorno ai due secondi, a dimostrazione che l’undercut, complice l’alto degrado riscontrato sino a quel momento, potesse rappresentare un’opzione concreta nel caso il sorpasso non fosse avvenuto in pista.

Il secondo stint: Hamilton tenta di cambiare le sorti della corsa

Chiuso ormai il distacco dalla testa della corsa, la sfida si era ufficialmente aperta, con i due spesso divisi da un gap che si aggirava tra il secondo e il secondo e mezzo. Come in precedenza, Red Bull continuava a guadagnare nel tratto più guidato della pista, in particolare in corrispondenza della sette-otto, così come alla dieci, mentre la W12 riaffermava il proprio dominio sugli allunghi, dove le maggiori prestazioni motoristiche, unite all’effetto positivo della scia, consentivano di riavvicinarsi. La paura di poter subire un undercut in quella che poteva essere una finestra papabile per la seconda sosta, aveva però spinto gli strateghi della squadra anglo-austriaca a rientrare dopo solo undici passaggi e montare l’ultimo treno di pneumatici a mescola dura a disposizione: una manovra necessaria perché mantenere il vantaggio virtuale della track position rappresentava un elemento cruciale nelle loro speranze di successo, anche a costo di affrontare il rischio di un’eventuale Virtual Safety Car che avrebbe potuto cambiare completamente gli scenari della corsa. Tenendo a mente che Verstappen non avrebbe potuto spingere sin dall’inizio al fine di non mettere sotto stress un treno che avrebbe dovuto percorrere circa trenta giri, Mercedes aveva aspettato qualche tornata in più per effettuare il suo secondo pit stop, dando modo a Hamilton di creare quel piccolo offset per avere un set più fresco per l’attacco decisivo.

L’episodio del giro 48

Dopo la sosta, il sette volte campione del mondo non aveva impiagato molto tempo per ricongiungersi al leader della classifica, sapendo che quella avrebbe potuto rappresentare il momento critico della corsa, quello in cui fare la propria mossa. Un’opportunità che il pilota di Stevenage non voleva farsi sfuggire e già all’inizio della quarantasettesima tornata era riuscito a farsi vedere negli specchietti dell’olandese, seppur non fosse ancora sufficientemente vicino per poter concludere il sorpasso. Uno scenario che sarebbe presto cambiato, perché già nel passaggio successivo l’alfiere della Mercedes era stato in grado di sfruttare appieno il vantaggio della gomma nuova per tentare un approccio più aggressivo nel secondo settore, mantenendosi abbastanza prossimo all’avversario in uscita dell’ultima curva per tentare rendersi minaccioso alla fine del lungo rettilineo. Vedendolo arrivare negli specchietti, Verstappen aveva istintivamente cercato di proteggere l’interno, anche se ciò avrebbe dato modo all’inglese di preparare al meglio l’uscita della prima chicane che, infatti, era passato in corrispondenza della linea di attivazione del DRS con un vantaggio di circa 7 km/h. Un delta importante, superiore a quello registrato nel giro precedente, che aveva permesso ad Hamilton di avere finalmente un’opportunità concreta di portare quell’attacco che avrebbe potuto decidere il destino della corsa. Un aspetto interessante è che in questo caso, nonostante una velocità d’uscita da curva tre peggiore anche rispetto al proprio giro precedente, nel corso del 48° passaggio il pilota della Red Bull avesse toccato vette leggermente più alte, senza incontrare un minimo di derating, a dimostrazione che molto probabilmente stesse dando fondo anche al minimo d’energia rimanente tramite l’overboost elettrico. Una tesi che trova conferma osservando come nella tornata successiva a quella dell’episodio, il portacolori di Hasselt avesse registrato velocità inferiori a quelle riscontrare prima del duello, privo di scia, a dimostrazione che la parte elettrica avesse tagliato per mantenere un buon livello di energia.

Facendo un passo indietro, tuttavia, l’episodio del quarantottesimo passaggio aveva causato numerose polemiche già durante la corsa, complice una dinamica secondo cui Verstappen avrebbe accompagnato il rivale all’esterno della pista, ovvero ciò che in gergo viene chiamato “forcing another driver off track”. Le uniche telecamere a disposizione, ovvero l’onboard frontale di Hamilton, quella posteriore della vettura numero trentatré e quelle esterne, non chiarivano del tutto la vicenda, soprattutto se Max avesse aperto il volante a metà curva per spingere completamente oltre i limiti del tracciato la W12 del britannico, oppure se avesse mantenuto un angolo costante facendo fatica a chiudere la curva. Sostanzialmente, per comprendere a fondo come si fossero svolte effettivamente le cose, mancava il filmato più importante, ovvero il camera car frontale della RB16B, che in quel momento non era disponibile sul feed principale per una questione di banda (generalmente viene trasmessa live una sola telecamera per vettura), ma che sarebbero stato possibile recuperare dopo la bandiera a scacchi. Dal canto loro, osservando il materiale a propria disposizione durante la gara, gli steward avevano ritenuto che non fosse necessaria un’investigazione, il che non significava che l’episodio non fosse stato giudicato in assoluto ma che, molto semplicemente, il caso era talmente chiaro ai loro occhi da non richiedere ulteriori analisi per giungere al verdetto. Una decisione che aveva scatenato numerose polemiche da entrambe le parti, riaccesa dall’uscita del filmato mancante, che ha effettivamente fornito qualche dettaglio in più.

Prima di tutto, è importante partire sottolineando il fatto che, al contrario di quanto si potesse suppore inizialmente, entrambi i protagonisti erano andati sul freno quasi nello stesso momento, con uno scarto minimo. Ciò che variava, molto probabilmente, era la pressione applicata sul freno, con Verstappen che aveva sì mantenuto il piede sul pedale, ma non così a fondo quanto il rivale, il modo da lasciar scorrere la vettura e recuperare quanto aveva perso prima della staccata a causa della differenza di velocità tra la sua monoposto e quella del britannico. Una tecnica vista e rivista, con cui si cerca di portare il rivale verso l’esterno sperando di poter comunque chiudere la curva, su cui la FIA non si è mai espressa con una linea standard, variando piuttosto il proprio verdetto a seconda dell’episodio, motivo per il quale si potrebbe ripercorrere una lunga lista di dinamiche simili ma dal verdetto discordante. Un elemento importante nella disamina riguarda il fatto che, quantomeno inizialmente, Verstappen non avesse mai aperto ulterioremente il volante, mantenendo piuttosto una traiettoria costante, in modo che comunque anche Lewis sarebbe stato costretto a continuare ad applicare pressione sul freno, ridurre la velocità di percorrenza e seguire una linea più sfavorevole, diminuendo così le possibilità che il sorpasso andasse a buon fine. Che fosse andato in sottosterzo o fosse qualcosa di deliberato, in una manovra allora eseguita da maestro, all’atto pratico non fa molta differenza, in quanto nel corso degli anni la Federazione ha dimostrato più volte ciò non si riveli un fattore decisivo nella decisione finale. Vi è però elemento su cui vale la pena porre attenzione, ovvero cosa fosse successo da metà curva in poi, qualcosa che inizialmente non era stato possibile comprendere a fondo data la mancanza del camera car di Verstappen.

Dopo aver mancato l’apice mantenendo un angolo di sterzata piuttosto ridotto, Max aveva iniziato progressivamente a tentare di chiudere la curva, imprimendo maggior rotazione sul volante. Fino a questo punto non vi sarebbe stato nulla di anormale, se non fosse che nel momento in cui aveva mollato i freni l’olandese era tornato sull’acceleratore, precludendosi così ogni chance di riuscire a completare “normalmente” la curva se fosse rimasto off-throttle, forse nella convinzione che uscire dalla pista avrebbe comportato una perdita di tempo minore rispetto a quanto ne avrebbe richiesto cercare di seguire la traiettoria corretta in uscita, dentro i limiti del tracciato. Ciò è ancora più evidente quando, ormai giunto in prossimità della linea bianca, l’alfiere della Red Bull aveva nuovamente aperto leggermente il volante, allargando la traiettoria al fine di mantenere una velocità maggiore, che lo avrebbe ulteriormente messo al riparo da Hamilton nel caso quest’ultimo fosse riuscito a tornare in pista più rapidamente, traendone di fatto un vantaggio. Se Verstappen fosse rimasto dentro la linea bianca, in generale la si potrebbe definire una difesa dura ma passabile, oppure in quel caso andrebbe vista diversamente? In tal senso, gli episodi che supportano l’una o l’altra posizione sono molteplice, ognuna con un verdetto differente, a dimostrazione della complessità della materia.

Per quanto ciò non rappresenti un elemento decisivo, sarà interessante comprendere se e come i commissari ne terranno conto durante la richiesta di revisione sugferita da Mercedes a seguito della comparsa del filmato, con cui la squadra tedesca potrebbe riuscire ad ottenere una eventuale penalizzazione del pilota della Red Bull nel caso le nuove prove fornite ne dimostrino la colpevolezza. Altrettanto fondamentale sarà comprendere su quali elementi si baserà l’accusa che il team diretto da Toto Wolff vorrà portare giovedì all’udienza di revisione: che Max avesse mancato l’apice, così come che avesse portato lungo il rivale, era evidente anche da quanto ripreso dalle altre telecamere. L’unico nuovo aspetto rimarrebbe il comportamento sul volante e cosa avviene da circa metà curva in poi, quando Hamilton sarebbe stato comunque destinato ad andare largo, seppur probabilmente non in maniera così importante.

L’ultima parte di gara

L’episodio del quarantottesimo giro aveva giocato chiaramente a favore dell’olandese, non solo perché era riuscito a mantenere la prima posizione, ma anche perché andando così largo su una zona particolarmente sporca, le gomme dell’inglese ne avevano risentito per tutto il resto del giro, dando modo al leader di guadagnare quel secondo e mezzo utile per mettersi al riparo da un eventuale ulteriore attacco nel passaggio successivo, quando avrebbe avuto meno energia a disposizione per difendersi. Una volta ripulite le coperture, tuttavia, Hamilton era stato in grado di riavvicinarsi rapidamente, ricominciando quella caccia al topo che aveva caratterizzato gran parte della gara. Così come si era potuto osservare in precedenza, Max si difendeva guadagnando nel secondo settore quei pochi decimi utili per mantenere a distanza il pilota di Stevenage sui rettilinei, mentre quest’ultimo recuperava terreno prezioso proprio sugli allunghi, sfruttando un motore superiore e l’effetto positivo della scia. Era una sorta di tira e molla, dove Lewis spesso era costretto a sfruttare linee meno redditizie per ridurre al minimo gli effetti dell’aria sporca e del surriscaldamento, per gomme che comunque avrebbero dovuto percorrere diversi passaggi a pochi metri di distanza da un’altra vettura, mentre Verstappen doveva cercare di combinare in un solo intertempo un guadagno dal punto di vista cronomentrico unito al recupero di quanta più energia possibile per mantenere un buon livello di competitività anche in fondo ai rettilinei. Entrambi, seppur per motivi diversi, erano al limite, e ciò lo si poteva osservare ad esempio dal modo in cui l’alfiere della Red Bull andava a sfruttare ogni millimetro a disposizione del cordolo in uscita da curva dodici, cercando di allargare quanto più possibile in uscita in modo da non dover chiudere la traiettoria e mantenere qualche km/h di velocità in più in percorrenza.

Un duello che si era protratto fino al cinquantanovesimo passaggio, quando dopo essere riuscito a mantenersi a circa otto decimi di distanza all’uscita dell’ultima curva, Hamilton aveva piazzato la sua mossa decisiva, provando una finta nella parte conclusiva del rettilineo di partenza come accaduto nel primo tentativo d’attacco. Rispetto al tentativo precedente, tuttavia, una distanza minore tra i due e un delta di velocità più rilevante (circa 11km/h) nel momento dell’attivazione del DRS, avevano permesso all’inglese di completare finalmente quel sorpasso tanto cercato, prendendo così la testa della gara. Da quel momento in poi, la corsa aveva assunto una faccia diversa, con un Hamilton che si era involato verso la sua centunesima vittoria, mentre Verstappen aveva sostanzialmente cercato solamente di portare a casa la vettura e il secondo posto, sfruttando mappature più conservative e linee meno esigenti sulle gomme, che avevano permesso a Bottas, seppur sotto controllo, di riavvicinarsi.

Da una parte, all’inglese non possono che essere fatti i complimenti per un weekend praticamente perfetto, al di là della squalifica per una infrazione minima che, per quanto chiaramente in violazione del regolamento, non aveva influito sul risultato il finale in termini di valori in campo, dato l’ampio vantaggio riscontrato al venerdì sul giro secco. Una “banalità” che, però, avrebbe potuto compromettere la rincorsa al titolo del sette volte iridato. Chiaramente il fatto che potesse contare su un motore nuovo di zecca, tarato su parametri di potenza ed affidabilità relativi ad un chilometraggio minore, e su un costante utilizzo del DRS avevano semplificato non poco il compito di portare a termine la rimonta del fondo tra il sabato e la domenica, ma ciò non toglie un’esecuzione perfetta dall’inizio alla fine, che è a conti fatti il ruolo del pilota. Dall’altra, vi è un Verstappen a cui poco si può rimproverare in un weekend in difesa, dove chiaramente il pacchetto non poteva reggere il confronto rispetto alla coppia Hamilton-Mercedes, così come la settimana precedente era stato per lo stesso Lewis in Messico, al netto dell’exploit in qualifica. Una corsa dove l’olandese ha tirato fuori il meglio di sé, più di quanto la corsa racconti da un punto di vista numerico, cercando di gestire ogni fase e momento chiave per massimizzare il risultato.

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