F1 | GP Ungheria: (s)profondo Rosso contro il capolavoro Red Bull
Tra sorpassi e strategie, Verstappen conquista un'altra vittoria davanti alle Mercedes, mentre Ferrari è vittima di sé stessa
Dopo una lunga prima parte di stagione, la Formula 1 si congeda per la pausa estiva con stile, regalando una delle gare più emozionanti e intense di questo campionato. Le basse temperature, la pioggia e le strategie hanno avuto un ruolo centrale in un Gran Premio d’Ungheria che ha riservato sorprese, esattamente come le qualifiche ventiquattro ore prima. Ci si aspettava una Ferrari pronta a giocarsi la doppietta contro un Russell desideroso di cogliere la sua prima vittoria, ma a imporsi sotto il cielo plumbeo di Budapest è stata la coppia che più di tutti ha saputo districarsi tra le insidie dell’appuntamento magiaro, quella formata da Max Verstappen e la Red Bull.
Un successo inaspettato, perché il decimo posto in griglia in seguito a un problema alla Power Unit durante le prove ufficiali non poteva far altro che spingere verso un basso profilo. Ambizioso, ma pur sempre consapevole che non sarebbe stata una scalata semplice. Come in un puzzle, tutti i pezzi si sarebbero dovuti incastrare al posto giusto nel momento giusto, creando quelle situazioni per cui pilota e team potessero assemblare il loro capolavoro. Verstappen ha guidato da Campione, tra sorpassi e problemi alla frizione, mentre Red Bull ha letto in maniera perfetta la corsa, costruendo così le basi per l’ottavo trionfo stagionale. Per quanto il cammino fino alla bandiera a scacchi sia ancora lungo, ottanta punti di vantaggio in classifica rappresentano un bel bottino e il miglior modo possibile per approcciarsi alla sosta estiva, con l’obiettivo di ritornare ancora più forti e conquistare il secondo alloro iridiato.
Titolo che invece si allontana per una Ferrari che non riesce a concretizzare, perché così come in Francia, anche in terra ungherese è mancato l’appuntamento con il podio nonostante l’ottimo piazzamento in qualifica. Un weekend difficile da decifrare e da digerire, che in realtà si era aperto proprio con una Rossa sugli scudi, con il ruolo di grande favorita dopo quanto mostrato nelle prime sessioni di libere. Sia sul giro secco che sulla lunga distanza, la Scuderia del Cavallino sembrava avere qualcosa in più rispetto ai rivali, ma l’abbassamento delle temperature tra venerdì e sabato aveva rimescolato le carte in tavola. A giovarne erano state soprattutto Red Bull e Mercedes, molto più vicine alla vetta, per quanto sulla carta Ferrari rimanesse comunque l’avversario da battere: veloce, ma con un vantaggio sensibilmente ridotto rispetto alla giornata precedente.
La pole a sorpresa di George Russell aveva in qualche modo modificato i piani della Rossa, ma non le aspirazioni, tanto che dopo le qualifiche lo stesso Team Principal Mattia Binotto aveva apertamente confermato di puntare a una doppietta. Una speranza che, tuttavia, non si è concretizzata, in parte per una monoposto che nelle mani di Carlos Sainz non ha saputo esprimersi al meglio, in parte per l’ennesimo errore del muretto in una fase chiave della gara. Fretta, troppa, come quella nel voler disperatamente reagire per mantenere la track position su Max Verstappen: una mossa che ha ottenuto l’effetto contrario, spianando la strada non solo all’olandese, ma anche alle due Mercedes.
Un doppio podio che fa morale per la squadra di Brackley, che all’Hungaroring ha riassaporato quel senso di essere “Freccia d’Argento”. Dopo la pole conquistata al sabato nello stupore generale, le aspettative erano alte, per quanto rimasse l’incognita in merito a come si sarebbe comportata la vettura sulla lunga distanza dopo le modifiche di set-up. Il team ha diversificando la strategia a seconda degli obiettivi, concludendo con un secondo e un terzo posto che, al netto degli errori Ferrari, sa di risultato massimizzato, ricompensando il duro lavoro svolto dopo il venerdì più complicato della stagione.
Il pre-gara
A circa un’ora dallo spegnimento dei semafori, tutti gli occhi erano rivolti all’insù, a quei nuvoloni scuri che si stavano avvicinando al tracciato. C’era una certa pioggerellina nell’aria e la temperatura dell’asfalto era calata in maniera tangibile rispetto al venerdì, di oltre una ventina di gradi. Fattori che nel pre-gara avevano portato i team a ragionare con cautela in merito a quali pneumatici montare nella prima parte di gara. Già durante i giri di ricognizione per schierarsi in griglia diversi piloti avevano incontrato qualche difficoltà, giungendo più volte all’errore nonostante l’utilizzo della mescola più soffice a disposizione.
Proprio le condizioni meteo avevano spinto Max Verstappen e la Red Bull a un cambio di strategia, passando dalla hard alla soft. Con un asfalto così freddo e una pioggerellina costante che avrebbe dovuto persistere anche nei primi minuti di gara, prendere il via con il compound più duro avrebbe significato esporsi al resto della griglia, rimanendo imbottigliati nel traffico: “Avevamo programmato di partire con le gomme dure, ma poi sono andato in griglia con le morbide e già faticavo a trovare aderenza, quindi mi sono detto ‘Non esiste che partiamo con le dure’. Quindi, il merito è anche del team, perché ovviamente avevamo pianificato la strategia intorno all’utilizzo della gomma hard. Sono molto contento di essere passato alla soft, perché la gomma hard era davvero molto dura. E si vedeva che Charles e Carlos scivolavano molto”, ha spiegato il pilota di Hasselt.
Differenti erano, invece, le considerazioni che avevano spinto la Mercedes a diversificare la tattica di gara per i suoi due alfieri. Quella prima posizione conquistata al sabato era un privilegio che gli ingegneri della Stella non volevano perdere, ben coscienti che mantenere la testa della corsa gli avrebbe aperto diverse possibilità sul piano strategico. Proprio per questo, con Russell la scelta era ricaduta sulla soft, che al via avrebbe potuto garantire uno spunto più efficace, così come maggior grip nei primissimi giri. Al contrario, con Hamilton si era optato per una soluzione più flessibile, che garantisse un buon livello di aderenza dando comunque l’opportunità di andare lunghi, in modo da poter sfruttare la mescola più tenera sul finale. Una riflessione nata anche da fatto che attorno al sette volte campione del mondo, si erano schierati ben cinque piloti non potevano contare su un secondo set di medie in vista della corsa, il che probabilmente avrebbe spinto in buona parte ad allinearsi alla medesima scelta dell’inglese, così come avvenuto per le due Alpine e Valtteri Bottas.
Anche in casa Ferrari la decisione era stata quella di prendere il via con la media, probabilmente spinti dalla paura che su una pista green la soft potesse presentare fenomeni di graining. Nessuna diversificazione, nessuna mescola morbida per andare all’attacco della prima posizione; si trattava di una preferenza che gli ingegneri di Maranello avevano ponderano sulla base di diversi fattori. In primo luogo, il fatto che in altri appuntamenti con basse temperature la F1-75 avesse evidenziato qualche segnale di difficoltà nel gestire le coperture, tali probabilmente da non volersi assumere il rischio di un primo stint troppo aggressivo. Altro elemento era quello della conformazione della pista, avara di frenate al limite e ricca di curve a bassa e media velocità, che avrebbero reso complicato portare rapidamente in temperatura gli pneumatici con un asfalto così freddo. L’Hungaroring è un tracciato particolare, che può cambiare completamente natura al variare della condizione termica, esattamente come è avvenuto durante lo scorso weekend, passando da un carattere “rear-limited” a uno “front-limited”. Con circa cento chili di carburante a bordo spostati verso il retrotreno, il comportamento della vettura ne avrebbe risentito e proprio per questo molti piloti avevano tentato di controbilanciare aumentando l’incidenza dell’ala anteriore prima del via. Dubbi tali da spingere la Rossa a un piano di gara inizialmente più conservativo, nella speranza che il giocare due contro uno potesse tornare a proprio vantaggio in una fase successiva del Gran Premio.
Il primo stint
Al via Russell era riuscito a mantenere la prima posizione, proprio come sperato dai suoi ingegneri, mentre le due Ferrari erano rimaste in seconda e terza posizione. Ottimo lo scatto di Hamilton, in grado di risalire rapidamente in quinta posizione, mentre Verstappen aveva optato per un approccio più cauto, conscio di quanto fosse fondamentale evitare contatti che avrebbero potuto compromettere ulteriormente la corsa. L’entrata della VSC per rimuovere dei detriti aveva fornito un altro elemento a favore del giovane britannico della Mercedes, che alla ripartenza avrebbe potuto sfruttare la sua mescola più tenera per scavare un solco con cui mettersi al riparo dall’uso del DRS.
Un vantaggio sugli inseguitori che nello spazio di poche tornate era già salito a due secondi e mezzo, per quanto questo aspetto non preoccupasse davvero i piloti Ferrari, consci che quel delta prestazionale a livello sarebbe andato via via scemando. L’importante per il muretto della Rossa era quello di non strapazzare le gomme, perché verso la fine del primo stint sarebbe giunto il momento di attaccare, se non in pista allora ai box. Alle loro spalle, tra il quinto e il settimo passaggio il campione in carica della Red Bull era riuscito a sopravanzare in sequenza le due Alpine, per poi completare la medesima manovra anche su Lando Norris qualche giro più tardi, complice il fatto che il pilota della McLaren fosse andato in crisi con le coperture proprio per il graining. Una rimonta portata a termine quasi a braccetto con Hamilton, che portandosi dietro sia Verstappen che Perez, guidava la rimonta verso i piani alti della classifica.
Sembra banale a dirsi, ma è stato proprio il primo stint a rimescolare nuovamente tutti gli scenari, perché nel momento in cui Russell avrebbe dovuto allungare in maniera significativa sui rivali rimasti immischiati nelle lotte a centro il gruppo, il ritmo mantenuto dal pilota di King’s Lynn non era sembrato così efficace. In una fase in cui il gruppo si sarebbe dovuto aprire, in realtà i distacchi erano rimasti piuttosto contenuti, perché dal decimo giro in poi l’inglese aveva iniziato a patire il progressivo calo della soft, emerso in maniera evidente nelle fasi conclusive dello stint.
Osservando l’andamento dei tempi, si può apprezzare come quello di Verstappen fosse rimasto pressoche costante una volta superato Norris, mentre il vantaggio di Russel si faceva sempre più risicato. Ciò aveva agito come una sorta di tappo per i piloti del Cavallino che, una volta ricongiuntosi alla testa della corsa, avevano lasciato aperta la porta a diverse opzioni. Un elemento su cui si è posata l’attenzione è quel team radio giunto nel corso del sedicesimo giro, con cui il muretto della Rossa aveva deciso di richiamare Sainz per un undercut nel caso Russell non si fosse fermato. Nulla di strano, se non fosse per il fatto che quella comunicazione era giunta presto, fin troppo, come se il muretto della Rossa volesse spingere il rivale inglese alla sosta in modo da farlo rientrare tra le due Alpine. Il pericolo di perdere il comando virtuale era fin troppo elevato, e ciò aveva portato il muretto Mercedes a reagire prontamente, coprendosi da un possibile undercut.
La palla era passata nuovamente agli ingegneri Ferrari: far rientrare Sainz nel traffico lasciando campo libero a Leclerc, che in quel momento sembrava poter avere qualcosa in più in termini di ritmo, oppure estendere con entrambi i piloti? Un quesito a cui si sarebbe trovato subito risposta, perché gli strateghi del Cavallino avevano deciso di richiamare lo spagnolo, dando l’opportunità al monegasco di rimanere in pista a sufficienza per completare l’overcut e scambiare le posizioni senza dare un ordine di scuderia. Nel frattempo, anche Verstappen aveva effettuato la sosta nel medesimo giro di Russell, non tanto per una pura questione di degrado, quanto per il contesto. Probabilmente Max avrebbe potuto completare qualche altro giro, ma la necessità di uscire dalla scia di Hamilton, così come quella di voler imporre il proprio ritmo, avevano spinto il muretto della Red Bull ad anticipare leggermente il pit stop per ritrovarsi in aria pulita e sopravanzare virtualmente il britannico.
Il secondo stint
Sfruttando il nuovo treno di pneumatici, così come il traffico trovato nel giro d’uscita, Russell era stato in grado di mantenere costante intorno ai tre secondi il vantaggio su Sainz, potendo così gestire nella fase iniziale dello stint. Una situazione che sarebbe cambiata rapidamente, perché l’overcut ai danni del compagno di casacca aveva permesso a Leclerc di andare subito all’attacco, chiudendo quel gap dall’inglese nello spazio di neanche cinque giri. Una differenza velocistica che nel post-gara Mattia Binotto avrebbe identificato nel delta di vita tra i due set di pneumatici, che secondo i calcoli del Cavallino si attestava attorno ai quattro decimi. La sensazione è che, al di là dell’offset creato allungando il primo stint, il monegasco fosse comunque di per sé più rapido. Dopo aver tentato più volte il sorpasso, nel corso del trentunesimo passaggio era arrivato l’affondo decisivo che lo aveva portato in testa.
Una mossa preannunciata, ma che non si era rivelata così semplice come si poteva inizialmente pensare, anche per l’eccellente difesa da parte del rivale: a ogni tentativo, Russell anticipava di qualche metro la staccata, quel tanto da garantirsi una fase di percorrenza e trazione in uscita di curva più efficace per poi proteggersi in curva due. Lo scambio di posizioni sembrava imminente, ma va dato merito anche al Ferrarista, bravo nello sfruttare la parte gommata della pista per allungare la fase di frenata e portare a termine la manovra direttamente all’esterno di curva uno. Trovare il sorpasso rapidamente era vitale, perché in aria pulita avrebbe avuto modo di estendere il proprio su Hamilton e Verstappen, i quali in silenzio si affacciavano come una minaccia sempre più concreta.
Per andare avanti, bisogna fare un passo indietro, sia a livello temporale che di spazio. Mentre davanti la lotta per leadership della corsa si faceva sempre più intensa, alle loro spalle proprio il pilota di Hasselt aveva rosicchiato decimi su decimi, fino a portarsi intorno ai due secondi e mezzo da Sainz, che in quel momento si trovava al terzo posto. È questa la fase in cui viene fuori l’intelligenza tattica della Red Bull, che invece di tentare di richiudere totalmente il gap dalla vetta, aveva deciso di ragionare sulla lunga distanza, chiedendo all’olandese di mantenere costante il distacco dallo spagnolo. Invece di rimanere fisso in scia con il rischio di rovinare le gomme, l’obiettivo era quello di preservare le coperture per la parte conclusiva dello stint, attendendo che fossero gli avversari a cambiare il volto della gara. Il duello tra Russell e Leclerc avrebbe indubbiamente alzato il ritmo, per cui non vi era una reale necessità di spingere, neanche per riprendere Sainz, che prima o poi si sarebbe comunque ricongiunto all’inglese della Mercedes perdendo tempo. Si trattava di una fase di attesa, concepita da chi aveva saputo leggere in maniera perfetta l’andamento della corsa.
Il fatto che il sorpasso in testa alla corsa fosse giunto solamente nel trentunesimo giro aveva giocato a favore di Verstappen, che per sei/sette passaggi aveva potuto tenere costante il passo senza allontanarsi, tanto che il distacco dalla vetta era rimasto stabile sui cinque secondi. Con la seconda sosta sempre più vicina, era arrivato finalmente il momento di spingere e il campione in carica non si era fatto sfuggire l’opportunità, richiudendo quella forbice che lo separava dal madrileno della Ferrari nello spazio di tre tornate.
Giunto ormai nell’area utile per tentare un undercut, Red Bull lo aveva richiamato ai box, montando quel secondo e ultimo treno di pneumatici a banda gialla con cui sarebbe dovuto passare sotto la bandiera a scacchi. Il team gli aveva fornito gli strumenti per tentare il colpo e Verstappen, anche in questa occasione, non aveva deluso concludendo un out-lap da record grazie a cui sarebbe riuscito a sopravanzare non solo il pilota del Cavallino, ma anche Russell.
La reazione inaspettata della Ferrari
Ciò che probabilmente in Red Bull non si aspettavano era la reazione del muretto Ferrari, non con Sainz, bensì con Leclerc. O meglio, probabilmente ci speravano perché avevano lanciato l’esca perfetta, ma stava all’avversario abboccare. A sorpresa, gli strateghi della Rossa avevano deciso di far rientrare il monegasco, nonostante quest’ultimo solo pochi minuti prima avesse chiesto di restare in pista estendendo lo stint sulle medie. L’obiettivo era quello di mantenere la track position nei confronti dell’olandese, seppur ciò significasse esporsi al rischio di montare la hard, un compound difficile da far entrare in temperatura. Problemi che si erano palesati nell’out-lap, quando in meno di un passaggio il Ferrarista aveva perso anche quei quattro secondi di vantaggio con cui era rientrato in pista dopo aver completato la sosta, subendo il sorpasso nel giro successivo.
La speranza della Ferrari era quella che, dopo un inizio in sofferenza, la mescola più dura potesse dimostrarsi più efficace sulla lunga distanza, permettendo a Leclerc di contro-attaccare sul finale di gara. Un’aspettativa vana, deragliata dopo nemmeno quindici giri, quando anche il team aveva compreso che rimanere su quella gomma non avrebbe portato concretamente a nulla. A quel punto, nonostante il tentativo di rimonta su Perez, la situazione era già ormai pesantemente compromessa, abbastanza da doversi accontentare di un sesto posto. Al di là di come si siano svolti i fatti, appare evidente come la decisione di montare la hard non fosse stata programmata, come dimostra la strategia scelta per Sainz, ma fosse piuttosto solo una reazione frettolosa a un problema che richiedeva calma e sangue freddo. In breve, Ferrari era rimasta vittima di sé stessa.
Chi aveva ne aveva tratto maggior profitto da questa situazione era stato Lewis Hamilton che, massimizzando la propria strategia, era riuscito a posticipare la seconda sosta fino al cinquantunesimo passaggio, montando poi la soft per un ultimo stint tutto all’attacco. Un secondo posto prezioso, che gli ha consegnato il quinto podio consecutivo, a dimostrazione che anche in un anno difficile il talento dell’inglese non vada mai dato per scontato. Da un fuoriclasse all’altro, perché sul gradino più alto è salito colui che più di tutti ha saputo sfruttare al meglio le situazioni di una corsa difficile da decifrare: Max Verstappen ha guidato da Campione, aggiungendo la prestazione ungherese tra le vittorie più belle della sua carriera.
Leclerc avrebbe potuto allungare il secondo stint?
“È molto deludente. Il passo sulla media era ottimo, nel secondo stint era tutto sotto controllo. Poi ci siamo fermati per montare la hard, non ho idea del perché. Avevo fatto capire al team che mi trovavo bene sulla media, quindi non so cosa sia successo”, ha spiegato Leclerc, evidenziando le sue difficoltà nel comprendere una strategia che ha il sapore dell’ennesimo errore. Una decisione affrettata, spinta quasi dalla paura, che emerge quando non si sa quale sia l’obiettivo e contro chi si sta lottando. Consapevole del fatto che fosse impossibile arginare Verstappen con Sainz, Ferrari aveva optato per una mossa a sorpresa, richiamando il monegasco per mantenere la track position, nonostante ciò significasse montare una mescola che fino a quel momento aveva dato risultati contrastanti.
È importante partire con l’idea che affermare la hard non abbia funzionato in assoluto è un errore. In un contesto di strategia a una sosta, la mescola più dura ha effettivamente dato i suoi frutti, permettendo alle Alpine di arrivare a punti, così come a Valtteri Bottas di lottare per un piazzamento in top ten fino a pochi giri dal termine. Non bisogna dimenticare che, pur avendo monopolizzato la terza fila, il team transalpino aveva in griglia alle proprie spalle tre piloti potenzialmente più veloci, come Hamilton, Verstappen e Perez, tali da spingerli in ottava e nona posizione, esattamente come nell’ordine di arrivo finale. Indubbiamente si trattava di una mescola lenta, ma per chi non aveva alternative avendo portato in gara un solo set di medie, si trattava comunque di una buona soluzione che consentiva di risparmiare il tempo di una sosta.
Il problema nasce quando quel compound viene inserito in un contesto di una tattica con due pit stop, come lo è stato per Ferrari, dove si trasforma in una gomma troppo lenta per poter fare la differenza su un singolo stint da trenta giri. Dati che si potevano ricavare tranquillamente proprio da chi l’aveva montata nella prima parte di gara, dove si evidenziava come fosse uno pneumatico sì longevo, ma anche terribilmente lento. La speranza che potesse essere più efficace negli ultimi venti giri, tra l’altro a serbatoi più scarichi, era piuttosto vana una volta analizzata la situazione in real time.
La domanda allora sorge spontanea: come si sarebbe evoluta la corsa di Leclerc se avesse allungato il secondo stint? In primo luogo, è rilevante evidenziare come un confronto con Sainz non abbia propriamente senso, in parte perché il monegasco poteva contare su una “marcia in più” rispetto al compagno di casacca, sia dal punto di vista del feeling che del passo, in parte perché gli stint dello spagnolo sono stati condizionati dal traffico. Per poter avanzare un’ipotesi, la scelta più sensata è quella di fare un confronto con Lewis Hamilton, il cui passo era leggermente inferiore rispetto a quello registrato da numero 16. Supponendo che il Ferrarista fosse stato in grado di mantenere un ritmo simile a quello del sette volte campione del mondo, al momento del secondo stop “virtuale” il gap tra i due sarebbe rimasto intorno ai dodici secondi. Anche ipotizzando un leggero degrado dovuto alla lotta con Russell per la testa della corsa, probabilmente quel vantaggio non sarebbe comunque sceso sotto i dieci secondi. Inoltre, bisogna tenere a mente che Leclerc non avrebbe incontrato traffico durante il resto dello stint, potendo così girare in aria pulita senza doversi preoccupare dei doppiati.
Il problema principale sarebbe stato quello di individuare il momento migliore per effettuare la sosta, perché occorreva trovare quell’equilibrio che consentisse di spingere per una ventina di tornate senza dover pensare eccessivamente al consumo. Oltretutto, si sarebbe dovuto prestare attenzione anche al centro dello schieramento, perché anche le Aston Martin si sarebbero dovute fermare una seconda volta, rientrando in pista proprio in quella finestra in cui si sarebbero ritrovati Verstappen e Leclerc.
Formulare un’ipotesi non è impresa semplice, per cui sorge importante chiarire alcuni aspetti: in questa simulazione è stato rimosso il testacoda di Verstappen, costato circa 4s, così come si è tenuto conto che senza il Ferrarista davanti, anche Russell avrebbe potuto mantenersi più vicino all’olandese. Difficile ipotizzare quanto l’alfiere della Red Bull avrebbe spinto in caso di un “testa a testa” a distanza, ma è possibile ipotizzare che con ancora trenta giri da portare a termine e la prospettiva di un duello, il team avrebbe cercato di gestire il passo per arrivare alla fine nelle migliori condizioni possibili. Il tempo perso nella realtà in quei due giri dietro a Leclerc non così facile da calcolare, perché è in parte compensato dalla scia e dall’utilizzo del DRS. Inoltre, togliendo dall’equazione il testacoda, Verstappen avrebbe raggiunto Hamilton prima della seconda sosta di quest’ultimo, dovendo così o andare subito all’attacco oppure rimanere a debita distanza per evitare di compromettere gli pneumatici.
Tenendo a mente i fattori precedentemente menzionati, ipotizzando un pit stop alla fine del quarantottesimo giro, momento in cui Lewis avrebbe trovato del traffico, nello scenario migliore Leclerc sarebbe rientrato in lotta o davanti a Russell, con un distacco compreso tra i cinque e i sei secondi da Verstappen. In questo modo si sarebbe evitato anche il traffico di quei piloti, come le due Aston Martin e Pierre Gasly, che si erano appena fermati: allungare lo stint di qualche altro passaggio, supponendo che Verstappen avrebbe perso del tempo con i doppiati, era una opzione di per sé fattibile, ma il rischio sarebbe stato quello di rientrare proprio in mezzo al gruppo e stressare eccessivamente la gomma in una fase molto delicata. A quel punto, con ancora venti tornare ancora da completare, realisticamente il finale sarebbe rimasto aperto, con una lotta tutta da vivere.
I problemi di strategia della Rossa
“Ci aspettavamo un risultato diverso. La vettura non ha funzionato come speravamo. Di base la macchina non andava per quel che doveva andare. Sainz ha stessa strategia di Hamilton e ha finito dietro, la Ferrari oggi non girava. Se la macchina ci fosse stata non avremmo parlato della scelta di gomme. Non ha funzionato niente, in primis la macchina. Cercheremo di analizzare il perché, questa è la nostra priorità. La Ferrari non ha funzionato per la prima volta in stagione, non aveva il passo per tenere Red Bull e Mercedes. Non ho la risposta del motivo, ma qualcosa non ha funzionato. Penseremo anche alla strategia, non sto dicendo che sia giusta, ma prima devo analizzare la prestazione e quella non c’è stata”, sono state le parole di Mattia Binotto nel post-gara.
Dichiarazioni che fanno riflettere, non tanto perché siano errate, ma perché raccontano solamente una mezza verità. Che la F1-75 non abbia rispettato le attesa rispetto a quanto mostrato al venerdì è un dato di fatto, su cui vi è poco da obiettare, seppur si potrebbe dire che, come Ferrari si è esaltata in condizioni più calde, i rivali lo hanno fatto con temperature più fresche. Due facce della stessa medaglia. Ma dire in assoluto che la monoposto non ha funzionato è, appunto, una mezza verità basata sui risultati e sulle indicazioni di Sainz, che per buona parte del Gran Premio di era lamentato di una mancanza di fiducia nel suo mezzo. Da una parte c’è una realtà che racconta di una Ferrari magari non rapida come due giorni prima, ma sufficientemente veloce per giocarsi il podio con Leclerc, in una gara pesantemente influenzata dalle strategie e dal traffico.
Comprendere cosa non abbia funzionato in Ungheria è un compito che deve avere la priorità, ma non può essere un pretesto per girare la testa dall’altra parte e non affrontare apertamente il problema del reparto strategie. Come nella vita, anche in Formula 1 ci sono elementi che si possono controllare e altri su cui non si ha il controllo. Per quanto ci sia una componente umana, i problemi di affidabilità possono capitare, fanno parte del gioco, soprattutto per un progetto ambizioso che prima del congelamento dei motori ha deciso di spingere sull’acceleratore per recuperare quei cavalli mancanti a discapito di eventuali rotture. Certo, tre zeri nel corso del campionato sono pesanti, non lo si può negare, ma l’affidabilità con il tempo arriverà.
Il problema è ciò su cui si ha il controllo, perché non si può nascondere il fatto che, per errori di strategia, nel corso di questo campionato il monegasco abbia già perso quasi una quarantina di punti. Un bottino importante, che a questo punto del campionato avrebbe potuto dare un sapore di verso alla seconda metà della stagione. L’errore dell’Ungheria ricorda molto quello di Monaco, con una risposta frettolosa a un dubbio, un tarlo, quello di aver perso il treno giusto. A Monte Carlo il timore era quello di dover coprire Perez, a Budapest era quello di dover marcare Verstappen, andando anche contro il parere dei piloti, che in entrambi i casi avevano suggerito la tattica corretta. Invece di massimizzare la propria strategia, hanno preferito concentrarsi sugli altri e ciò capita esattamente quando non sai quale sia il tuo obiettivo. Ciò vuol dire che sia tutto da buttare? Assolutamente no, perché in Austria il team aveva individuato con precisione i delta tra gomma nuova e usata, così come in Francia quella del Cavallino era stata la squadra che meglio di altre aveva compreso quale sarebbe stato il compound più efficace in gara portandone due set. Tutti commettono errori, si tratta di farne il meno possibile. Ma si tratta anche di errori spesso ripetuti, che fanno comprendere come alla base ci sia un serio problema che nel corso degli anni ha influenzato pesantemente i campionati della Rossa, compromettendo anche facili vittorie. Ciò che è certo è che quest’anno Ferrari tra le mani ha un piccolo gioiello, una vettura fragile, ma veloce, molto veloce. E vederne sprecare il potenziale è forse il crimine peggiore.
Giustamente i panni sporchi si lavano in famiglia, come è sempre stato, ed è difficile aspettarsi qualcosa di diverso davanti alle telecamere. Difendere la propria squadra, il proprio gruppo, rimane imprescindibile. Ma allo stesso tempo è importante comunicare con una certa sincerità, consci dei propri limiti. Presentarsi ai microfoni un mese dopo il Gran Premio di Gran Bretagna ribadendo che a Silverstone era stata presa la giusta perché “Hamilton sarebbe potuto rimanere in pista con la hard”, è una forzatura che non crea credibilità e fiducia, ma l’esatto opposto, perché gli elementi per confutare quell’ipotesi erano visibili anche durante la gara. Ci vuole onestà nell’ammettere i propri errori, anche perché a lungo andare le giustificazioni iniziano a venir meno e a perdere valore. Un passo alla volta, per uscire da questo (s)profondo Rosso, perché il potenziale c’è. Il problema è che gli avversari non aspettano, vincono e convincono.
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