24 ottobre 1976, il diluvio del Fuji incorona James Hunt

Esattamente 40 anni fa il britannico si laureò campione del mondo

24 ottobre 1976, il diluvio del Fuji incorona James Hunt

Per gli appassionati di Formula Uno degli anni ’70, la data odierna non può passare assolutamente in secondo pieno. Esattamente 40 anni (24 ottobre 1976), con il terzo posto conquistato nel nubifragio del Fuji e il contemporaneo ritiro di Niki Lauda, James Hunt coronava il proprio sogno di diventare campione del mondo.

Una stagione ricca di emozioni, colpi di scena, incidenti, squalifiche inflitte e poi revocate. Un vero e proprio copione da set cinematografico scritto dal destino, con la trama di quell’annata convertita in pellicola cinematografica nel 2013 dal regista Ron Howard nel film Rush.  Naturalmente l’annata 1976 viene e verrà ricordata per il testa a testa che oppose Lauda e Hunt, Ferrari e McLaren. Una rivalità, quella tra l’austriaco e l’inglese, incentrata sul sano e reciproco rispetto.

Lauda e Hunt, ovvero uno l’antitesi dell’altro. Due personalità completamente differenti. L’austriaco molto introverso, metodico, preciso. Insomma tutto casa e lavoro. Il secondo invece “allergico” ad una vita normale, autentico concentrato di donne, fumo, alcool e motori. Ma sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere la classe di Hunt: non si diventa campioni del mondo per caso.

Ai nastri di partenza della stagione la Ferrari e Lauda, con il numero 1 stampato sulla propria monoposto, partirono con i favori del pronostico. E infatti i risultati conseguiti dall’austriaco nelle prime nove gare (cinque successi, due secondi posti e un terzo posto) confermarono tali previsioni .

Ma la stagione prese una piega differente una giornata di metà estate (1 agosto), concisa con l’appuntamento del Gran Premio di Germania. Si corse sul vecchio circuito del Nürburgring (Nordschleife) lungo ben 22 chilometri e 800 metri. Il tracciato, immerso nella foresta dell’Eifel, era un insieme di sali e scendi, rettilinei, curve sopraelevate e in molti casi cieche. Una pista “vecchio stampo” che per la sua complessità e difficoltà tendeva a fare emergere la classe pura dei piloti più talentuosi.

Nel corso del terzo giro un boato sconvolse la gara. La 312 T2 numero 1 di Lauda sbandò nei pressi di Bergwerk (curva posizionata nel punto opposto ai box), urtando contro le reti di protezione. Un impatto che squarciò il serbatoio del carburante con il casco del ferrarista volato via dopo aver sbattuto contro un palo che delimitava le recinzioni.

La vettura, tornata a centro pista, iniziò a prendere fuoco venendo inoltre centrata in pieno dalla Surtees di Brett Lunger e dalla Hesketh di Harald Ertl. Grazie al coraggio e alla temerarietà di Arturo Merzario, Lauda – nel frattempo svenuto – venne estratto dall’abitacolo della propria monoposto. I soccorsi, complice anche la lunghezza del circuito, non furono immediati. Ciò che destò le maggiori preoccupazioni sullo stato di salute di Lauda non furono le ustioni, seppur gravi, ma i fumi ingeriti dal campione del mondo in carica in quegli interminabili secondi.

All’indomani di quel drammatico 1 agosto la domanda che in molti si posero, vista anche della lunga convalescenza a cui sarebbe stato posto l’austriaco, fu la seguente: Lauda tornerà ad essere quel grande pilota ammirato prima dell’appuntamento del Nürburgring?

Una domanda alla quale Enzo Ferrari rispose nel suo stile, facendo parlare i fatti. Il Drake infatti decise di ingaggiare l’argentino Carlos Reutemann al fianco di Clay Regazzoni. Ma nessuno aveva fatto i conti con la determinazione di Niki che, dopo essere stato a un passo dall’inferno, prese tutti in contropiede presentandosi a Monza (con le ferite riportate al Nurburgring ancora fresche sul suo volto) per disputare il weekend del Gran Premio d’Italia: non erano passati neanche 40 giorni dall’incidente del Nürburgring.

Nel frattempo Hunt, complice il periodo di convalescenza forzata di Lauda, ridusse la distanza in classifica portandosi a soli 14 punti (47 contro 61). Il ritorno al volante non fu semplice per l’austriaco della Ferrari (“Al primo testacoda mi spaventai”, raccontò), ottenendo però in gara un ottimo quarto posto.

Il britannico, invece, dovette ritirarsi per un’uscita di pista. Al termine di quella tiratissima stagione mancavano solamente tre gare: Canada, Stati Uniti Est e Giappone. A Mosport Hunt centrò la quinta vittoria stagionale mentre Lauda non andò oltre l’ottava piazza per via del cedimento della sospensione posteriore.

A Watkins Glen invece il ferrarista ritrovò la gioia del podio, il primo dopo l’incidente, concludendo la gara al terzo posto anche se Hunt incrementò il numero di successi stagionali salito a sei. In classifica generale la McLaren numero 11 era oramai alle calcagna della scia alla 312 T2 di Lauda, leader con soli tre punti di vantaggio sul rivale.

L’ultimo atto della stagione vide Lauda e Hunt affrontarsi sul “ring” giapponese del Fuji, con il continente asiatico che si ritrovò per la prima volta ad ospitare un appuntamento valido per il campionato di Formula Uno. In una stagione così incandescente non poteva mancare un finale degno di nota. Un violento acquazzone colpì la zona nei pressi del tracciato ai piedi del sacro monte, costringendo la direzione gara a posticipare varie volte la partenza.

Alle ore 15:09 locali (un’ora e mezza dopo l’orario previsto) venne dato l’ok per correre. Pochi chilometri dopo la partenza, nel corso del secondo giro, il colpo di scena che segnò il destino iridato di quel campionato: Lauda decise di porre fine alla sua gara per le condizioni meteo proibitive. La razionalità dell’uomo Lauda aveva avuto il sopravvento sulla “follia” e sull’istinto puro del pilota.

Non ci sono remore psicologiche o condizionamenti. Ho giudicato che fosse assurdo continuare a correre in pista, nonostante in palio ci fosse il titolo”, dichiarò l’austriaco. Hunt, giunto terzo alle spalle di Patrick Depailler e del vincitore Mario Andretti, conquistò il titolo di campione del mondo per un solo punto di vantaggio nei confronti dell’austriaco (69-68).

Restando fedele al proprio stile di vita, il trionfo iridato ottenuto al Fuji rappresentò per Hunt il punto di arrivo e non di partenza verso nuovi traguardi (“La vita è breve e voglio trarne il massimo giovamento”, amava ricordare il funambolico britannico). E così a metà della stagione 1979, a soli 31 anni, James decise di appendere il casco al chiodo. Al contrario di Lauda che, archiviata una stagione difficile, tornò ad essere protagonista nella classe regina del motorsport vincendo il titolo del 1977 da assoluto protagonista.

Piero Ladisa 

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