Sul circuito intitolato a Gilles la F1 tradisce Digione ’79, per fortuna ci pensa Vettel

L'infelice decisione dei giudici di gara rovina un GP che poteva entrare negli annali per un duello tra campioni

Sul circuito intitolato a Gilles la F1 tradisce Digione ’79, per fortuna ci pensa Vettel

Immaginatevi se tra Ettore e Achille si fosse intromesso una specie di dio VAR a dare la vittoria ai punti a uno dei due. Immaginatevi l’Iliade senza Cavallo di Troia, immaginatevi una storia interrotta sul più bello e avrete il GP del Canada.

Un duello tra due fuoriclasse, una sfida di piede e di mezzi, un crescendo di pathos e tensione, di sferzanti colpi di gas che si traducevano via via in giri veloci, in un elastico minimo tra due contendenti in forma smagliante. Seb Vettel ha gettato per settanta infinite tornate il cuore oltre l’ostacolo per tenersi dietro un Lewis Hamilton sbizzarrito e indiavolato, che sembrava poter fare un sol boccone del tedesco, grazie anche al feeling della sua W10 con le gomme hard.

La sensazione è che qualcosa (di bello) stava lì lì per accadere. L’inglese della Mercedes avrebbe affondato il colpo, ma Sebastian era in giornata di grazia e si sarebbe inventato certamente qualcosa. Come fossero da soli su un ring, i due grandi protagonisti avrebbero messo sul piatto i loro nove mondiali. Sfida impressionante tra campioni; bella, vera, emozionante.

C’erano i presupposti per vivere il vero motorsport, quello duro nel quale le sportellate e il contatto sono il rischio da correre per anelarsi sul gradino più alto del podio. Quei rari momenti della F1 moderna nei quali puoi sentire l’odore della benzina, dell’olio e delle gomme della monoposto del rivale dritto nelle tue narici. Che grave errore sottovalutare però il perbenismo e l’iper regolamentazione dell’attuale F1.  Sport diventato asettico e freddo, figlio di un politically correct che lo ha di fatto svilito e rovinato.

L’impercettibile chiusura di sterzo verso destra di Vettel, figlia solo e soltanto di un magistrale controllo in sbandata con gomme sporche di erba e nessuna voglia di mollare, da vero pilota affamato, è stata giudicata dai commissari come impedimento nei confronti di Hamilton, perché nelle gare ormai è d’uopo fare da uscieri al pilota che segue, guai a difendersi con il coltello tra i denti.

Vettel ha commesso l’umana sbavatura di uscire di traiettoria, comprensibile quando sovraguidi come un mostro una monoposto inferiore a quella che ti segue e vuoi la vittoria a tutti i costi, meno comprensibile è colpevolizzarlo per averla tenuta in modo cazzuto e cattivo, per aver difeso la sua traiettoria, in un duello esaltante ma regolare.

La F1 dovrebbe imparare ad essere più sporca e sincera, meno artefatta e pulitina. La decisione dei giudici di gara di Montreal, tra le più inspiegabili e inopportune degli ultimi anni, ha fatto indignare glorie del calibro di Andretti e Mansell, gente abituata a baciare le gomme dei rivali un giro si e l’altro pure.

Sul circuito intitolato a Gilles Villeneuve la F1 ha tradito l’ideale romantico di Digione ’79, voltando le spalle a se stessa e al proprio Dna. Una tenzone serrata e imprevedibile come una finale di Champions è stata trasformata in calcio d’agosto, a causa del totale abbandono alle forme, alle norme interpretate più che letteralmente, all’assenza di buonsenso ed elasticità.

E allora viva Vettel, a fanculo il cerimoniale, i riti, viva la spontaneità e la genuinità di questo ragazzo tanto semplice quanto davvero di altri tempi. Si è andato a prendere il cartello con il numero uno, non si è lasciato andare alla più ossequiosa diplomazia, urlando al mondo il proprio dissenso. In una F1 che in un sol botto ha abdicato al suo lato più romantico, idealista e corsaiolo, a recuperare il lato passionale e scorretto della competizione c’ha pensato Seb, che in Canada ha vinto due volte: in pista e nel dopo gara. Ed è un cuore così forte quello che serve alla Ferrari, il condottiero di cui Maranello ha disperato bisogno.

Antonino Rendina


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