Paddock F1: l’Altra Realtà del Circus
Tra lusso e ostentazione, ecco la nostra visita al Motorhome della Red Bull a Monza
04/09/14
È appena terminato l’evento all’interno della Energy Station nel Paddock F1 di Monza al quale sono stato invitato, tuttavia il mio invito stampa prevede un’ultima ma assai importante visita. Usciti dall’Ospitality della Red Bull, io e pochi altri giornalisti attendiamo, infatti, che qualcuno della scuderia ci accompagni all’interno del Garage.
Era da parecchio tempo che non entravo nel vero e proprio Paddock F1. Precisamente dal lontano 2008, se quello dei tanto amati test si poteva definire Paddock. A mio avviso sì. La prima impressione è stata scioccante. Il colpo d’occhio è qualcosa di mozzafiato per uno come me che frequenta l’autodromo in tutte le stagioni dell’anno. Laddove pochi giorni prima vi era solo il misero asfalto, ora sorgono costruzioni degne di un racconto di fantascienza. Appena entrato vedo Romain Grosjean chiacchierare con degli uomini della Lotus alla mia destra, e di fronte a me, con il braccio ingessato, c’è niente di meno che Toto Wolff, che parla con dei giornalisti di alcune pay tv. Sogno o son desto? Personaggi che presi e spostati di cinquanta metri in linea d’aria sarebbero rincorsi dai fan, sono proprio qui a pochi metri da me che conversano pacificamente. Capisco di avere varcato il confine di un’altra realtà.
Nel tempo in cui sono stato immerso nei miei pensieri è arrivata Holly, una ragazza vestita completamente del merchandising della scuderia, la quale si presenta a tutti molto gentilmente, sfoderando un perfetto inglese. Anche troppo perfetto per capire tutti i dettagli della conversazione. Lei comincia con una breve spiegazione di cosa sia il Paddock, ma noi tagliamo corto, facendole capire che di queste cose ne sappiamo abbastanza, e allora lei ci accompagna verso il Garage della scuderia di Milton Keynes.
Ci fa subito entrare in quello che chiamerei un anti-box: una corridoio coperto lungo circa una quindicina di metri, accessibile attraverso delle porte automatiche, in cui sono stipati a lato tutti i set di pneumatici forniti da Pirelli per il weekend, tutti ovviamente tenuti al caldo da numerose termocoperte. La temperatura perfetta è 90° – ci dice – e una volta montate sulla vettura sono pronte ad essere usate. Detto ciò ci dirigiamo verso quello che sembra, per la perfetta simmetria del luogo, un centro di attrazione gravitazionale. Proseguendo dritti, infatti, illuminato da luci alogene, percorriamo un corridoio più stretto delimitato da pareti artificiali bianche, le quali aumentano esponenzialmente la luminosità del box, fino ad arrivare ad una prima svolta a sinistra ed una successiva a destra. Siamo arrivati. Holly apre la porta automatica che ci separa dal Garage. Siamo dentro. Ci troviamo esattamente nel balconcino riservato agli ospiti del team, tuttavia non riusciamo a parlare poiché gli ingegneri stanno effettuando un test del motore sulla macchina di Ricciardo, e per quanto i nuovi propulsori cantino più come delle aspirapolveri che come i vecchi V8, da vicino le nostre orecchie non sono proprio a loro agio, e dobbiamo tapparcele. Holly decide di portarci sulla piazzola della sosta, dove potremo fare delle foto, cosa assolutamente proibita all’interno del Garage, e parlare di come lavorano all’interno del team. Nel frattempo gli ingegneri spengono il propulsore, e l’atmosfera torna tranquilla, e si sente solamente la musica ad alto volume che aiuta i meccanici a rilassarsi.
I tecnici lavorano fino alle due di notte quando non vi è regime di parco chiuso – ci dice – e il loro turno, quindi, è solamente a metà, sebbene siano già le sette di sera passate. Gli uomini della Red Bull – ci tiene a sottolineare – sono gli unici a tenere la musica mentre lavorano. Ogni vettura ha i suoi meccanici e le persone che possono accedere a quell’area sono solamente sessanta da regolamento. Il loro team in totale porta ad ogni Gran Premio circa una novantina di persone. E non ci sono due squadre che si alternano per trasferte particolarmente lunghe o da una settimana all’altra. Tutti devono correre da un circuito ad un altro in pochissimo tempo. La parola “vacanze” per gli uomini della scuderia è qualcosa di molto breve, poiché, sebbene si possa credere che una volta finita la stagione ci possa essere riposo per tutti, bisogna considerare il fatto che proprio nei mesi invernali bisogna lavorare hard al progetto della nuova macchina. Quindi le uniche vacanze rimaste sono le due settimane di stop concordato e forzato tra tutte le scuderie di Formula 1 ad Agosto.
Usciamo ripercorrendo la stessa strada dell’andata, ma io ho come la sensazione di perdermi in questo labirinto bianco costruito in pochi giorni. Holly ci indica i numerosi caschi appesi ai propri ganci, e ad ogni gancio il nome del meccanico proprietario del casco. Nulla è lasciato al caso.
Usciamo e ci ritroviamo nel Paddock, ma la luce è un po’ fioca, e la vista è un po’ più suggestiva. Ci fermiamo a contemplare l’Ospitality della Red Bull che pian piano si sta illuminando delle luci artificiali.
La struttura in questione si sviluppa su due piani. Al piano terra una breve rampa dà accesso a quella che la sera diventa la mensa del team, di giorno una sala relax fornita di numerosi frigoriferi contenenti centinaia di lattine di Red Bull. Di fronte a me, appena entro vedo un bancone in stile bar. La sete si fa sentire e decido di bere qualcosa, ma l’unica bibita che m viene in mente è ovviamente – e un po’ banalmente – quella di casa. Decido di salire al piano di sopra, dove avrà luogo l’evento. Scale. Mi accolgono due ragazze che avranno si e no vent’anni offrendomi un bicchiere di prosecco. Rifiuto. Non sarò un intenditore, ma dopo una Red Bull e a stomaco vuoto non è il caso. Queste ragazze, però, continuano a girare per la sala offrendo da bere, o portando le bevande ordinate dagli invitati. Da lì si accede ad un balcone che domina l’intero Paddock. Mi accorgo di essere un pesce fuor d’acqua dato che continuo a scattare foto a destra e sinistra, mentre tutti gli altri si godono l’ospitalità del team, decisamente più abituati di me a quello spettacolo. Schermi piatti, musica in sottofondo, bicchieri che vanno e vengono. Ma dove sono finiti i vecchi motorhome? Dove sono i vecchi camion che popolano i miei ricordi del vecchio Paddock F1? Che senso ha tutto ciò? La Formula 1 vuole andare verso la riduzione dei costi e permette ai team di costruire queste cittadelle e spedirle in tutta Europa? Alla fine rimango a fissare il vuoto a pensare. Penso all’inutilità di tutto questo. Si tratta solamente di immagine, pura e semplice opulenza, concludo.
Holly indica l’Energy Station e ci dice che la cosa più complicata in assoluto è smontarla e spedirla al prossimo circuito e rimontarla. Monta, spedisci, smonta, ripeti. In Europa funziona così, ci spiega, per le gare extraeuropee è il circuito stesso a dovere fornire degli spazi per il team. Molte volte, però lo spazio risulta troppo piccolo, come in Brasile dove diventa veramente irrisorio.
La nostra visita è finita, e sto uscendo dal Paddock. Non capisco bene quello che provo. La mia mente per qualche ora rimane a rimuginare su quello che ho visto. A questo punto capisco il perché e colgo la necessità del Popularity Group. La Formula 1 non deve continuare su questa strada. Non credo se lo possa permettere. Di Paddock ne ho visti tanti, ma mai uno come questo. Il più inaccessibile in assoluto. Superbike, WTCC, GT Open, Auto Gp, World Series, tutti sono passati da Monza, e in tutti io ho messo piede. Ma mai mi sono sentito su un altro pianeta come questa volta. Mai mi sono sentito così lontano dal resto dell’autodromo. E d’ora in poi mi sentirò sempre dannatamente lontano dal Paddock F1. Lontano come lo sono tutti i tifosi che popolano gli autodromi. Sempre più lontani dai loro eroi.
Ben venga il Paddock della Gp2 e Gp3: tendoni alla vecchi maniera, macchine in vista e semplici camion come motorhome. Alla fine c’è un’atmosfera più umana in posti del genere.
Matteo Bramati.
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