La prima di Hamilton a Fiorano come la prima di Vettel: una nuova speranza

Grande entusiasmo, a distanza di dieci anni sensazioni simili, sperando in un epilogo più fortunato

La prima di Hamilton a Fiorano come la prima di Vettel: una nuova speranza

Il primo giorno di scuola a Fiorano per un fuoriclasse è sempre speciale. Non c’è campione che arrivi a Maranello e non venga accolto da amore, aspettative, fiducia incondizionata. Con Lewis Hamilton, poi, è tutto esagerato, quasi esasperato. Causa, forse, della grandezza del pilota unita alla forza mediatica del personaggio, leggenda della F1 di fatto fin dai brillanti esordi nell’ormai lontanissimo 2007.

Hamilton è una rockstar, trascina masse, travalica anche confini, come quelli dell’età, perché – fresco come una rosa e in forma fisica perfetta – tutto sembra fuorché un pilota di quarant’anni. Dà l’idea di uno sportivo con tutta una vita agonistica davanti. Bene.

Il debutto con la SF-23 a Fiorano per chi ha giù una certa memoria storica è stato un fatto nuovo e allo stesso tempo già visto. Quel casco giallo che spiccava dalla livrea rossa ha generato molteplici e diverse sensazioni. Fa un certo effetto pensare a Lewis come uomo Ferrari, dopo averlo visto correre dapprima da acerrimo avversario dapprima e da indiscusso dominatore – avversario a targhe alterne solo nel 2017 e nel 2018 – poi. E’ una storia tutta nuova e fino a qualche tempo fa impronosticabile.

C’è però anche un lato nostalgico, quasi malinconico, che si intreccia a doppio filo con la recente storia della Ferrari e anche con quella di ognuno di noi. L’incedere del tempo è impietoso, e il tempo corre più veloce di una monoposto. Tutto l’entusiasmo generato dall’arrivo di Hamilton ricorda da vicinissimo qualcosa accaduto dieci anni fa. Ecco io sono uno dei pochi che non va a scomodare il 1995 e Schumacher. Per il semplice fatto che quella è una storia unica, a se stante, e che aveva tutti altri presupposti. A partire dal fatto che Michael all’epoca era un due volte campione del mondo molto giovane e che la Ferrari doveva essere rifondata.

L’esordio di Hamilton mi ha invece riportato a dieci anni fa, a quello di un altro fuoriclasse ancora molto amato da queste parti, Sebastian Vettel. Anche all’epoca si trattava di un pilota pluri iridato, acerrimo avversario, atteso dal popolo rosso come il fuoriclasse che avrebbe riportato l’iride a Maranello. Quella mattina brumosa del 29 novembre del 2014 e quella F2012 che era appartenuta allo spagnolo Alonso non fu molto diversa, per pathos e calore, dalla mattina del 22 gennaio 2025 con la SF-23 appartenuta allo spagnolo Sainz. Corsi e ricorsi.

Simili le aspettative, l’attesa, le speranze, la gioia. Siamo tutti, soltanto, dieci anni più grandi (o vecchi), più appesantiti dai pensieri, dalla vita, dai cambiamenti. La leggerezza, la stessa, nel vedere la Rossa solcare le curve della sua pista privata, perché l’auto rossa è il sogno che ci fa tornare bambini.

Vettel nei suoi anni il titolo non lo ha riportato, ma la sua Ferrari s’è fatta volere bene, le sue vittorie (14) sono scolpite negli annali e tutti i ferraristi conservano un ricordo assai dolce del campione tedesco. Con Hamilton, la speranza, è che l’epilogo sia migliore. Che o lui o il già funambolo di casa Charles Leclerc vincano questo benedetto mondiale. L’entusiasmo attuale ricorda quello che c’era intorno alla Ferrari nel 2015, sperando che dieci anni dopo la ciliegina sulla torta sia quella corona iridata che manca da troppo, troppo, tempo.

Antonino Rendina

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