F1 | Leclerc predica nel deserto, Ferrari e Vettel messi a nudo nelle notti d’oriente
La Ferrari non ha ancora raggiunto l'efficienza della Mercedes e la strada è tutta in salita
“Che sta succedendo?“. In realtà nulla Charles, è solo che siamo sempre dalla parte sbagliata della storia. Siamo i troiani che si affidano a Ettore mentre i rivali tessono perfette trame di inganno, siamo generosi e romantici ma fondamentalmente impreparati. Epici nelle sconfitte, incapaci di vincere.
Eppure stavolta Piè Veloce lo avevamo noi, è questo ragazzino monegasco che sta già ribaltando le gerarchie, che fa pole e rimedia ad una partenza incerta fulminando Sebastian, che si invola con implacabile freddezza verso una vittoria da veterano, gestendo monoposto e gomme come un automa, per nulla facendosi sopraffare dalle pur umane emozioni. Ma alla Ferrari non può bastare il talento fulgido e brillante di Leclerc, se poi la coperta si rivela cortissima, ai limiti della decenza, se alle ottime risposte sulla performance fanno da contraltare altri dubbi su tenuta, nervi e affidabilità.
Nella F1 dei pochissimi ritiri e con il regolamento sulle power unit fermo da anni, è quasi inammissibile che un cilindro salti così, che il motore si spompi come nemmeno nella ruspante F1 degli anni settanta, che la Ferrari passi dal riscatto alla debacle per un problema di affidabilità. La SF90 si conferma un cigno di cristallo, l’avevamo scritto durante i test, speravamo fosse un problema passeggero, e invece pare proprio sia così. Possibile che l’auto se va piano arriva al traguardo e se si va forte si rompe? No, ovviamente non è così. Però è chiaro che i tasselli non sono tutti al loro posto, anche dall’esterno si può immaginare che nella catena di montaggio del tanto famoso modello orizzontale qualcosa non funzioni proprio a dovere. Non sappiamo cosa, forse possiamo immaginarlo, ma è chiaro come sulle spalle larghe di Mattia Binotto ricada tutto il peso di riorganizzare una squadra che si illumina a sprazzi, per poi perdersi inesorabilmente nel buio dell’inefficienza.
La Ferrari sa essere tremenda, per l’epos e la drammaticità delle sconfitte. E’ successo in Bahrein, ma anche l’anno scorso. Spavalda e sognatrice, romantica e arrembante, come una ciurma che insegue l’impresa e che rimane prigioniera di onde troppo alte, di un gap endemicamente proibitivo da colmare, di una Mercedes che spaventa questi nostri rossi “Argonauti delle sconfitte” più di Scilla e Cariddi.
Il mondiale è l’ennesima sirena che ammalia ma tradisce, è tempo di riflessioni e di decisioni. E la Ferrari dovrà affrontare anche l’argomento Vettel. Perché è chiaro che il quattro volte campione del mondo non è ancora uscito dalla crisi del 2018, dimostrandosi ancora vulnerabile e incline all’errore, abbonato com’è a questi maledetti e disarmanti testacoda.
A Sakhir Seba ha sofferto Leclerc in qualifica e in gara, eccetto che in partenza non è mai stato al livello del giovanotto con le stimmate del predestinato. Dovrebbe essere il capitano della Ferrari, è invece il pilota infilzato all’esterno dal compagno di squadra e poi autore di un rovinoso testacoda durante l’ennesimo duello perso con Hamilton. Di questa situazione è complice anche la Ferrari, che aveva il compito di lavorare sul suo campione e recuperarlo al meglio, un’altra mission “win-no”, fallita, mancata o sottovalutata. Piove sul bagnato e non basta la stella di Leclerc ad illuminare un Cavallino malinconicamente perdutosi in una languida notte mediorientale.
Antonino Rendina
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