F1 | GP USA, Red Bull contro Mercedes e l’importanza della track position
Max Verstappen vince ad Austin in una gara giocata sulla strategia
Il Gran Premio degli Stati Uniti ha regalato una corsa all’apparenza priva di spettacolo ma estremamente intensa sul piano strategico, soprattutto per la sfida a distanza che ha visto protagonisti i pretendenti al titolo mondiale, ovvero il duo formato da Max Verstappen e la Red Bull contro quello che vede uniti Lewis Hamilton e la Mercedes. Un duello che, in realtà, non si è mai del tutto consumato in gara nonostante una corsa tirata, soprattutto per gli ingegneri.
Dopo la pole position conquistata al sabato, i favori del pronostico non potevano non essere a favore del numero 33, ma come si era già visto in altre edizioni passate del Gran Premio, la partenza avrebbe potuto rappresentare una delle occasioni più importanti per Hamilton di ribaltare le sorti di una corsa che non lo vedeva come assoluto favorito. Allo spegnimento dei semafori, Lewis era subito stato in grado di prendere la testa della corsa grazie ad un ottimo rilascio frizione, senza la minima esitazione e il minimo pattinamento delle gomme posteriori, una delle sue migliori partenze nel corso di questo campionato. Uno scatto che lo aveva messo nella posizione di poter sfruttare al meglio la linea più interna e sopravanzare Verstappen, senza che quest’ultimo potesse fare molto per impedire al rivale di completare la manovra.
Una partenza che aveva cambiato gli scenari e, seppur il sette volte campione del mondo non si potesse ancora definite il favorito per la vittoria, le sue chance di poter passare davanti a tutti sotto la bandiera a scacchi si erano alzate, soprattutto perché il muretto Mercedes avrebbe avuto l’opportunità di imporre la sua strategia nella prima parte di gara. Consci di non avere il passo per poter staccare Max nei giri di apertura della corsa e di avere qualcosa in meno dal punto di vista della gestione gomma sulla lunga distanza, l’obiettivo degli ingegneri della squadra tedesca non era tanto quello di giocare per trarre il massimo per sé stessi, quanto piuttosto fare in modo che il pilota della Red Bull non potesse esprimere al massimo il suo potenziale. Proprio per questo, sfruttando il vantaggio della track position, l’indicazione del muretto della squadra tedesca era stata quella di mantenere un ritmo piuttosto alto, cercando allo stesso tempo di ottenere diversi fattori: per primo, indubbiamente, più si allungava lo stint più ne avrebbe beneficiato la W12 dal punto di vista della gestione gomma nella seconda fase di gara. Dall’altra, un passo relativamente lento avrebbe impedito a Verstappen di avere quella finestra sufficiente sui piloti della midfield per anticipare il pit stop e tentare un undercut ai danni dell’inglese, stavolgendo nuovamente la visione della corsa. Maggiore sarebbe stato il tempo passato davanti, maggiori sarebbero state le chance di ottenere un altro successo stagionale. Un’indicazione che, tuttavia, nonostante le ripetute richieste da parte dei box, Hamilton non aveva seguito propriamente alla lettera, complice la necessità di dover comunque spingere per tenere alle sue spalle un avversario che sulla mescola a banda gialla sembrava essere più veloce, seppur non a sufficienza per portare a termine un sorpasso.
In meno di una decina di giri, infatti, il duo di testa era già riuscito a crearsi un gap sufficiente per rientrare, effettuare la sosta ed uscire quantomeno in sesta posizione, alle spalle di Daniel Ricciardo ma davanti alla Ferrari di Carlos Sainz e la McLaren di Lando Norris. Un’opportunità che i tecnici della Red Bull non si erano fatti sfuggire, cercando di giocarsi una mossa inaspettata quanto potenzialmente efficace, anticipando il momento del primo pit-stop per tentare di effettuare un undercut ai danni di Hamilton. Una scelta assolutamente comprensibile dato che il muretto della casa anglo-austriaca avrebbe potuto anche sfruttare la presenza di Sergio Perez per costringere il sette volte campione del mondo a rientrare prima sulla tabella di marcia rispetto ai propri piani, impedendogli così di allungare e creare un offset che avrebbe potuto pagare a proprio favore verso fine gara. Se per Red Bull stravolgere i propri piani poteva essere una mossa dal rischio accettabile, per Mercedes il discorso era più complesso, in quanto il loro consumo avrebbe potuto rappresentare un’incognita su cui difficilmente avrebbero scommesso, ma non del tutto irrealistica, tanto che lo stesso team di Milton Keynes pensava che la controparte di Brackley potesse giocarsi il tutto per tutto a costo di mantenere una posizione di virtuale vantaggio. Il primo pit stop di Verstappen aveva cambiato le carte in tavola, costringendo il muretto di Hamilton a prendere una decisione: rimanere fuori con la sicurezza di ritrovarsi alle spalle dell’olandese dopo la propria sosta, oppure prendersi il rischio e rientrare per andare a coprire Max? La presenza di Daniel Ricciardo nel primo settore in effetti aveva parzialmente rallentato la rincorsa del numero 33 nel suo giro d’uscita, dando l’opportunità ai tecnici Mercedes di rientrare in quella piccola finestra che avrebbe consentito di rientrare davanti, a patto di essere perfetti durante la sosta. Un rischio che, a conti fatti, gli strateghi del team della Stella non si erano voluti prendere, lasciando il proprio alfiere in pista ancora per qualche giro, fino a quando Red Bull non aveva sfruttato la presenza di Perez per mettere sotto scacco i campioni del mondo e costringerlo al rientro in pit lane. Per quanto paradossalmente uscire qualche secondo dietro a Verstappen avrebbe potuto rappresentare un vantaggio avendo l’opportunità di girare in aria libera e contenere il degrado nelle prime fasi di vita delle coperture, quel gap accusato in quei soli quattro giri in più su gomma usata avevano dato la chance a Verstappen di fare esattamente quello che in Mercedes speravano non accadesse, ovvero gestire la gomma nei curvoni veloci e nelle zone di trazione, le più stressanti per gli pneumatici posteriori.
Pochi secondi che all’apparenza non sembravano un distacco poi così elevato, ma che se messi nell’economia dello stint avevano dato a Max l’opportunità di recuperare da quello sforzo compiuto nel primo giro per assicurarsi che l’undercut funzionasse, gestendo il ritmo senza la paura di doversi trovare in una situazione di svantaggio. Quattro giri di offset tra la vita dei due set, infatti, non avrebbero potuto rappresentare una differenza sufficiente a cambiare le sorti della corsa, ma avrebbero potuto dare a modo a Lewis di sfruttare in un secondo momento questa situazione nel caso la mescola più dura non si sarebbe rivelata efficace quanto pronosticato. Giro dopo giro, complice il traffico dei doppiati, Hamilton era stato in grado di ridurre il gap dal battistrada senza compromettere eccessivamente i suoi pneumatici, elemento fondamentale per quella che avrebbe potuto essere la strategia Mercedes nella seconda parte di gara: nel caso fossero stati in grado di tornare sotto i due secondi di distacco dalla RB16B numero 33, allora l’undercut avrebbe potuto essere un’opzione fattibile e concreta, altrimenti l’unica chance sarebbe stata quella di continuare a girare e sperare in un crollo del rivale negli ultimi giri di gara. A conti fatti, la prima sarebbe stata indubbiamente la scelta più efficace in termini complessivi, non solo perché gli avrebbe restituito la prima posizione e la possibilità di dettare il ritmo a proprio piacimento, ma anche perché, visionando il comportamento delle due vetture nel primo stint e quello di altri contendenti nella zona della midfield, era chiaro come portare a termine un sorpasso senza un delta sufficiente alto sarebbe stata un’impresa ardua, anche in una situazione di generale svantaggio velocistico. Una mossa che avrebbe avuto senso anche per costringere la Red Bull a montare la gomma hard per l’ultimo stint, quella su cui la Mercedes aveva dimostrato di sentirsi maggiormente a suo agio: se Red Bull avesse deciso di anticipare i rivali, allora la mescola più dura sarebbe stata l’unica chance di arrivare fino al termine della corsa, mentre in caso di pit stop ritardato e undercut subito, Max avrebbe dovuto bruciare l’ultimo set di pneumatici medi a disposizione per recuperare il terreno perso arrivando così con gomme surriscaldate e quasi a fine ciclo nel momento decisivo del sorpasso negli ultimi passaggi della corsa.
Consci di essere in una situazione che avrebbe potuto decidere le sorti della gara, ancora una volta Red Bull aveva scelto di prendersi un rischio, seppur ben calcolato, anticipando il momento dell’ultimo rientro ai box, ancor prima che Hamilton potesse accorciare le distanze sotto i due secondi, il tempo limite in cui un undercut avrebbe potuto funzionare. Un rischio calcolato perché seppur fosse vero che Max avrebbe dovuto completare oltre venticinque tornate sul medesimo set, la stabilità di performance e la solidità della mescola più dura nella prima metà di gara avevano dato buone indicazioni sulla possibilità che tale strategia potesse funzionare, senza dimenticare che nel momento in cui Lewis sarebbe rimasto in pista per creare un importante offset rispetto al suo rivale, il pilota della Red Bull avrebbe avuto modo di gestire a suo piacimento il ritmo, sfruttando il grip maggiore offerto dalla gomma per mantenere tempi competitivi senza stressarla eccessivamente. Osservando i rilevamenti telemetrici, infatti, salta subito all’occhio come nei primi giri dell’ultimo stint Verstappen avesse ragionato con grande astuzia, salvando gli pneumatici nelle zone più stressanti del circuito, come i curvoni veloci del primo settore o la lunga curva a destra dell’ultimo intertempo, un lusso che, al contrario, Lewis non si era potuto permettere in maniera così estensiva, essendo costretto a spingere per recuperare quanto perso.
Tenendo a mente tutti gli elementi espressi in precedenza, appare sempre più logico come, seppur rappresentassero un offset interessante, quegli otto giri non rappresentassero poi uno svantaggio così importante come si poteva pensare all’inizio, in quanto l’abilità dell’olandese di amministrare il ritmo, unito al fatto che Mercedes non fosse la lepre bensì il cacciatore, avevano messo la Red Bull in una posizione di relativa tranquillità. Così come nel secondo stint, anche nella fase finale la W12 si era dimostrata estremamente competitiva sul compound più duro a disposizione, forse anche più della stessa Red Bull, una situazione all’opposto rispetto a quanto si era visto nella prima fase della corsa, dove con la mescola intermedia la vettura di Brackley tendeva a far scivolare e surriscaldare il posteriore registrando una carenza di grip. E se la stessa Red Bull, nonostante l’evidente vantaggio di cui sembrava poter godere nelle fasi iniziali, non era riuscita completare il sorpasso ai danni di Hamilton, perché la situazione sarebbe dovuta cambiare sul finale a parti invertite? Non bisogna infatti lasciarsi totalmente abbigliare dal ritmo mostrato nel corso dell’ultima frazione di gara da parte del pilota inglese, perché se è pur vero che Hamilton fosse stato in grado di recuperare circa otto secondi nello spazio di pochi passaggi, ciò in parte era dovuto non solo al vantaggio della gomma nuova, ma anche al fatto che Verstappen stesse amministrando in testa in modo non da massimizzare il proprio ritmo, bensì per avere pneumatici in condizioni di vita ancora sufficienti per poter resistere ad un duello con il britannico. Un duello che in realtà non c’è stato, perché nel momento in cui il sette volte campione del mondo era riuscito a riportarsi sotto i due secondi di distacco, non solo gli effetti dell’aria sporca avevano iniziato a farsi sentire in maniera sempre più netta, ma anche perché Max aveva iniziato a mostrare i benefici di ciò per cui aveva lavorato per gran parte del terzo stint, potendosi permettere traiettorie e remunerative sul tempo, fino ad arrivare sotto la bandiera a scacchi in una posizione sì scomoda, ma allo stesso tempo tranquilla, dato che tra i due non vi era quel gap prestazionale sufficiente per permettere a Lewis di completare il sorpasso.
Una gara difficile da decifrare, ma che Mercedes a conti fatti ha perso nel momento in cui ha ceduto ai rivali la track position, pur essendo in una situazione che alla vigilia della corsa sembrava essere di svantaggio. Lo scatto di Hamilton al viva aveva dato modo al proprio team di trovarsi in una situazione forse insperata dopo le qualifiche, ma che rappresentava l’unica vera e concreata opportunità per vincere. Se è pur vero che la Red Bull potesse contare su due frecce nel proprio arco, la presenza di Perez in realtà non è mai stata una reale minaccia o un impedimento, se non nel primo stint, quando però ormai il destino della corsa sembrava già indirizzato a favore dell’olandese. La chance più concreta, molto probabilmente, sarebbe stata quella di fare di tutto per mantenere stabilmente la testa della corsa, anche a costo di anticipare i propri programmi, invece di andare alla ricerca di un offset e di un degrado che tutti i parametri stavano indicando essere nella norma, così come verificato anche da altre squadre.
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