F1 | GP Imola: il sottile equilibrio tra Ferrari e Red Bull
Red Bull impone il proprio sigillo in un weekend ricco di rimpianti per il team del Cavallino
Complice la pioggia e le caratteristiche del tracciato, il Gran Premio dell’Emilia-Romagna ha regalato emozioni e colpi di scena durante tutto il fine settimana, a partire dalle qualifiche. Così come nei tre appuntamenti precedenti, anche a Imola si è riproposto il duello tra Ferrari e Red Bull, tema ricorrente di inizio campionato. Un sottile equilibrio dove i rapporti di forza continuano a variarare, gara dopo gara, perché in questo contesto sono spesso i dettagli a fare la differenza e i punti deboli possono diventare temi chiave per un successo.
Alla vigilia le aspettative nei confronti della squadra di Maranello erano più alte che mai, non solo perché si trattava del Gran Premio di casa, ma anche perché le caratteristiche del tracciato sembravano ben adattarsi a quelle della F1-75. Tanti tratti a media-bassa velocità, dove trazione e allungo possono fare la differenza, peculiarità per cui la monoposto italiana si era ben distinta nelle prime gare del mondiale. Al contrario, dopo l’opaca prestazione in Australia Red Bull era chiamata al riscatto, non solo per dare un segnale forte in termini di competitività, ma anche per accorciare la distanza in classifica che, per quanto in una fase ancora iniziale del campionato, vedeva un gap piuttosto ampio.
Per riscattarsi non vi poteva essere modo migliore di iniziare con una pole position, conquistata d’opportunismo da Max Verstappen districandosi tra le varie bandiere rosse che avevano minato le qualifiche. Una pole significativa perché avrebbe dato modo di prendere il via della sprint race dalla casella più ambita, tentando di difendere la prima posizione. Complice un problema di sincronizzazione delle marce, l’olandese aveva perso la testa della corsa allo spegnimento dei semafori, vedendosi costretto a dover rincorrere il rivale della Ferrari fino alle fasi finali. A poche tornate dalla fine, infatti, Charles Leclerc aveva evidenziato un graining piuttosto importante alle coperture anteriori, andando in difficoltà. Ciò aveva consentito al pilota della Red Bull di completare il sorpasso e riprendersi la prima posizione, che gli avrebbe permesso di prendere il via della corsa da trecento chilometri anche in questo caso davanti a tutti.
La pioggia ha limitato le opportunità di perfezionare l’assetto
Prima dell’inizio del weekend, le previsioni meteo avevano previsto pioggia per l’intera giornata del venerdì, con indicazioni più rassicuranti per gli altri due giorni di gara. Complice il format previsto per l’appuntamento in riva al Santerno, i team avrebbero avuto solamente una sessione di prove libere prima dell’introduzione del parco chiuso. Un’ora in cui definire gli assetti che sarebbero rimasti congelati per tutto il resto del fine settimana, senza grandi opportunità di modifica. L’arrivo della pioggia aveva però scombussolato i piani delle squadre, che si sarebbero dovute confrontare con una prima giornata all’apparenza completamente bagnata, mentre per sabato e domenica ci si aspettava l’asciutto.
Come aveva dimostrato anche il weekend australiano, dove Red Bull non era stato in grado di individuare un assetto corretto per adattarsi alle esigenze del nuovo tracciato, riuscire ad individuare la corretta finestra di funzionamento spesso non è semplice, specie quando il tempo a disposizione è estremamente limitato e diverso da quello previsto per le altre sessioni. Nonostante le diverse novità portate a Imola, tra cui un pacchetto per alleggerire la vettura di qualche chilo, a Imola la squadra di Milton Keynes non ha sofferto dei medesimi problemi, trovando rapidamente la strada giusta grazie a un ottimo lavoro di preparazione al simulatore. Chi sembra averne sofferto maggiormente, al contrario, è stata la Ferrari, che per la prima volta in stagione sembra aver davvero sofferto qualche problema nella gestione degli pneumatici, evidenziando un fastidioso graining che i tecnici del Cavallino in Arabia Saudita e in Australia erano stati in grado di limitare. Ciò non vuol dire che l’assetto fosse completamente errato, anche perché la vettura era rimasta pressoché identica nei primi appuntamenti, per cui la grande mole di dati accumulati avrebbe dovuto dare una mano in fase di preparazione. In un contesto particolare come quello di Imola, tra basse temperature e asfalto umido, un’altra sessione di libere avrebbe però fatto comodo ai tecnici italiani, che avrebbero avuto così modo di perfezionare il set-up e contenere quei problemi che si sarebbero poi presentati nella sprint e, in parte, in gara. Dopo l’introduzione del parco chiuso, infatti, i team possono solo intervenire su aspetti secondari della monoposto, qualche l’inclinazione del flap anteriore o la pressione delle gomme, fattori che da soli non avrebbero completamente risolto quel fastidioso inconveniente.
L’anteriore il punto forte della Red Bull a Imola
Quasi paradossalmente, quello che era stato il punto debole della Red Bull in Australia, ovvero un anteriore debole e sottoposto a graining eccessivo, in Emilia-Romagna si è trasformato in un punto di forza. Un elemento chiave, perché le temperature ridotte e l’asfalto umido avevano messo le coperture di fronte a una situazione stressante, innescando quel fenomeno di fatica che aveva minato l’andamento di Leclerc negli ultimi giri della sprint race, rendendogli di fatto impossibile difendersi dal ritorno di Verstappen. “Con queste vetture tutto dipende dall’essere nella giusta finestra di funzionamento per quanto riguarda le gomme. Oggi abbiamo gestito meglio le anteriori rispetto alla Ferrari, a Melbourne è stato l’opposto. Ma siamo molto vicini nel complesso”, aveva spiegato Horner, sottolineando quanto la questione pneumatici giochi un ruolo decisivo nelle prestazioni.
Complice la distanza ridotta della prova del sabato pomeriggio, quasi tutti i team avevano optato per la soft, una mescola che però in queste circostanza è spesso suscettibile al problema del graining, che si può innescare anche abbastanza rapidamente se la gomma viene messa sotto stress prima di arrivare nel corretto range di temperatura. Così era successo anche al monegasco della Ferrari che, dopo una prima parte di gara a un ritmo piuttosto sostenuto, era andato in crisi con l’anteriore destra, quella più sensibile date le numerose curve a sinistra che la vedono con un ruolo di appoggio, come l’entrata della Villeneuve, la Piratella e la Rivazza. Tuttavia, la speranza del box del Cavallino era quella che con compound più duri e resistenti, come la media e la hard, tali problemi non si sarebbero ripresentati nella corsa della domenica, specie se la temperatura del tracciato fosse salita di qualche grado.
A sorprendere era stato l’arrivo della pioggia a poche ore dallo spegnimento dei semafori, la quale aveva inondato la pista, tanto da spingere i piloti a prendere il via sulle intermedie. Era però chiaro che si sarebbe trattato di una situazione momentanea, passeggera, in attesa che l’asfalto si asciugasse permettendo di passare alle slick. Prima di arrivare a quel punto, vi era un altro frangente chiave da gestire, la partenza, dove le fortune dei due team avevano preso direzioni completamente opposte. Mentre i due alfieri della Red Bull erano riusciti a occupare rapidamente le posizioni di testa, con un uno-due che semplificava la vita anche dal punto di vista strategico, i Ferraristi erano scivolati in classifica. La colpa era da imputare a un pessimo scatto allo spegnimento dei semafori, come la maggior parte dei piloti dei piloti che avevano preso il via dal lato destro della griglia, quello lontano dalla linea ideale. Osservando lo start di Leclerc, infatti, emergono due spunti interessanti: il primo che già in fase di rilascio frizione avesse accusato un minimo svantaggio rispetto ai piloti del lato sinistro. Il secondo è che la fase in cui ha accusato il maggior distacco sia stata quella del passaggio tra la seconda e la terza marcia, dove il posteriore aveva iniziato a pattinare e muoversi in modo repentino, come visibile anche dalla visuale dall’elicottero. Uno scatto a rilento che aveva dato modo alle McLaren di avvicinarsi e scavalcare i portacolori della Rossa, quantomeno prima che Ricciardo arrivasse al contatto con Sainz, mettendo la parola fine alla corsa dello spagnolo fermo nella ghiaia.
Per quanto Leclerc non avesse evidenziato grosse difficoltà nel recuperare la posizione persa su Norris alla partenza, quei tre secondi persi alle spalle delle inglese avevano complicato la rimonta del monegasco nei confronti di Perez. Osservando gli storici nel corso del primo stint, emerge come il ritmo del numero 16 fosse in effetti piuttosto competitivo, specie se messo a confronto con quello del messicano della Red Bull, tanto che era stato in grado di chiudere il gap sotto il secondo nello spazio di otto tornate. In tal senso, è interessante sottolineare come Leclerc sin dai primi giri fosse molto aggressivo sui cordoli, trovando qualche centesimo in più ad ogni passaggio. Un atteggiamento contrario a quello dei piloti Red Bull, in particolare di Verstappen, molto più cauto per evitare un testacoda che avrebbe potuto compromettere interamente il suo weekend. In secondo luogo, con la pista ancora bagnata lo sforzo sull’anteriore era nettamente inferiore, aspetto che aveva giocato a favore della Rossa, che nella giornata di sabato aveva accusato qualche segnale di cedimento in tal senso. Infatti, solamente nell’ultima parte del primo stint il bilanciamento si è iniziato a spostare progressivamente verso l’avantreno in maniera significativa, ma a quel punto la gomma era ancora sufficientemente viva per garantire buone performance, dato che aveva compiuto meno di quindici tornate.
Più interessante sarebbe stata la situazione con le slick, dove Red Bull aveva anticipato la sosta di Perez in parte per evitare un possibile undercut da parte di Leclerc, in parte per avere un riferimento per Verstappen. Per quanto la media sarebbe andata sicuramente in difficoltà con la fase di warm-up, una volta scaldata avrebbe fornito un grip considerevolmente maggiore, consentendo di recuperare quanto perso. Così era stato per il messicano, che dopo il primo pit stop era uscito alle spalle del pilota della Rossa, per poi recuperare agevolmente la posizione poche curve più tardi. Una volta portate le gomme nella corretta finestra di funzionamento, tuttavia, sembrava che Leclerc potesse avere qualcosa in più del rivale, complice qualche piccolo errorino da parte dell’alfiere della Red Bull che avevano permesso a Leclerc di mantenersi a un distacco piuttosto ridotto. Se il DRS fosse stato attivo in quel frangente, probabilmente il Ferrarista avrebbe avuto una grossa chance per recuperare la seconda posizione, ma senza ala mobile, complice anche le scarse velocità di punta e il derating in fondo al rettilineo principale evidenziato dalla F1-75, sorpassare non sembrava impresa semplice. Sulla questione DRS, la spiegazione più interessante e completa dal punto di vista del pilota è poi arrivata da Vettel: “Non penso che dovesse essere attivato prima. Conosciamo questa pista, tutto si inizia a muovere quando si arriva alla prima chicane. La pista si restringe, ci sono gli alberi, non vedi se è completamente asciutto o bagnato. Qui c’è un asfalto particolare, potrebbe sembrare asciutto sopra, ma sotto è ancora bagnato”, ha raccontato il tedesco. Una descrizione che si allineava a quella della FIA, che in curva due aveva individuato delle chiazze bagnate anche dopo il passaggio alle slick, limitando l’uso del flap mobile.
Dopo una prima fase in cui Leclerc sembrava in grado di reggere il passo del messicano, qualcosa di simile a quanto accaduto al sabato sembrava riproporsi, con un evidente problema di gestione delle anteriori. Più la pista si asciugava, più l’avantreno era messo sotto sforzo e a pagarne il pegno era stato Leclerc, che era così andato nuovamente in difficoltà, vedendo Perez scappare nuovamente.
La seconda sosta come ultima spiaggia
Con il secondo posto che sembrava ormai essere sfuggito dalle mani, le opzioni a disposizione sembravano ormai ridotte al lumicino. Ciò che gli strateghi avevano però notato era che all’inizio di entrambi gli stint vi era stata una fase in cui il monegasco sembrava in grado di reggere il ritmo della Red Bull, specie a gomma nuova, quando non evidenziava ancora quei segnali di fatica che non gli permettevano di lottare come avrebbe voluto. A proporre per primo un cambio di piano era stato lo stesso pilota, che nel corso del quarantatreesimo passaggio aveva suggerito al team di valutare il “Plan D”, che avrebbe previsto una sosta aggiuntiva. Inizialmente, però, era stato lo stesso team a mettere da parte tale eventualità, rispondendo che sarebbero arrivati fino alla bandiera a scacchi con lo stesso set di gomme.
A “ingolosire” i tecnici Ferrari, però, era stato il traffico, in particolare i tre doppiati di cui Perez si sarebbe dovuto sbarazzare intorno al cinquantesimo giro. Un’opportunità molto ghiotta, che gli strateghi del Cavallino non si erano lasciati sfuggire, richiamano il monegasco al momento giusto per avere una tornata in più per ridurre il distacco e scaldare la gomma mentre il messicano sarebbe rimasto bloccato nel traffico. Ciò avrebbe significato uscire dietro Norris, ma effettuare il pit stop in quella finestra era l’unico modo per avere una minima chance che il piano funzionasse. L’idea della Rossa non era tanto quella di effettuare un undercut, perché un gap di tre secondi è comunque piuttosto ampio da chiudere in un solo passaggio, ma ridurre lo svantaggio per poi sperare che con gomme più calde Leclerc fosse in grado di sferrare rapidamente l’attacco decisivo e recuperare la posizione persa alla partenza. Una mossa che aveva in parte funzionato, perché aveva permesso di riportarsi sotto il secondo, ma che aveva esposto Leclerc a molteplici rischi, tanto che si sarebbe poi conclusa con un testacoda e sette punti persi. Una dinamica di per sé molto semplice, con la macchina che aveva ripreso grip solo da una parte dopo il violento passaggio sul cordolo interno della Variante Alta, che aveva però messo fine alle speranze di salire sul podio davanti ai propri tifosi.
“Spesso bisogna sapersi accontentare”, è il pensiero che sarà passato nella testa di molti dopo la corsa pensando a quel testacoda e alla voglia di Leclerc di riprendere un secondo posto che in realtà sembrava fuori portata. Parole condivisibili, anche se dietro a quel semplice pensiero c’è un discorso più ampio che andrebbe inserito nel contesto, ovvero quello che concerne le responsabilità del muretto. Gli strateghi avevano una visione complessiva più chiara del contesto: sapevano il potenziale della vettura, sapevano in quale finestra la monoposto poteva giocarsela con la Red Bull, ma sapevano anche i “limiti” del pilota. Difficile biasimarli per averci provato, se questi tentativi non si fanno a inizio stagione, quando c’è ancora tutta la possibilità di recuperare, raramente saranno riproposti nel prosieguo del campionato quando c’è molto più da perdere. Ma il gioco valeva davvero la candela?
Come visto, vi era un breve periodo in cui Leclerc a gomma nuova riusciva a giocarsela con Perez, in parte per questioni di warm up, in parte perché a gomma nuova i problemi erano limitati. Tentare un undercut – in questo caso recuperare quei 2 secondi per riavvicinarsi oltre a sfruttare il giro in più con gomma calda – su una pista umida spesso comporta grossi rischi, perché da il pilota deve conciliare la necessità di spingere con quella di evitare chiazze bagnate che potrebbero farlo finire nell’erba o nella ghiaia. Anche se Leclerc fosse stato in grado di riavvicinarsi a sufficienza per tentare un attacco, quanto valeva il rischio di un duello su un pista ancora semi-bagnata fuori dalla traiettoria ideale? Quanto valeva il rischio di lottare contro una vettura che, nel complesso, fino a quel momento ti era stata superiore? Ma soprattutto, aveva davvero senso prendersi quei rischi per sopravanzare colui che non era diretto rivale per il campionato? Certo, il team si fida del pilota nella ricerca del limite, ma osservando la sua condotta di gara, era chiaro che il monegasco a quel limite ci era già arrivato per tentare di mantenere il passo dei rivali, specie nell’utilizzo aggressivo dei cordoli. Come squadra, però, vi è anche la responsabilità di valutare i rischi e i benefici delle tue strategie, di gestire situazioni in cui la responsabilità non deve ricadere solo sul pilota, data la visione di un contesto e dei dati che solo il team ha a disposizione in tempo reale. Tra la teoria e la pratica c’è una grande differenza e questa era una di quelle situazioni in cui, forse, quel rischio non valeva la candela. Probabilmente la soluzione più semplice sarebbe stata effettivamente quella di non rischiare quei tre punti aggiuntivi fermandosi solamente nelle ultime tornate per montare le soft per il punto aggiuntivo del giro veloce, in modo che Red Bull non avesse modo di rispondere.
Lo sguardo ai prossimi appuntamenti
Concluso il capitolo di Imola, l’attenzione si sposta ai prossimi appuntamenti. La parola d’ordine è calma, perché non sarà una gara a decidere equilibri e gerarchie che in questo avvio di mondiale sono già cambiati più volte, dimostrando di essere legati a un filo sottile pronto a spostarsi da una parte o dall’altra. In queste prime gare un buon assetto ha fatto la differenza e riuscire a individuare quella finestra di funzionamento sarà ancora uno dei temi chiave per il resto della stagione. Nel frattempo, la squadra di Maranello porterà degli aggiornamenti evolutivi tra Miami e Barcellona, in parte per adattarsi alle caratteristiche dei rispettivi tracciati, in parte per intervenire su quegli aspetti dove la vettura mostra qualche carenza rispetto alla Red Bull. Ora inizia la partita più importante, quella dello sviluppo.
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