F1 | Binotto ripensa alla Ferrari: “Ho lasciato un metodo, ma la Formula 1 è un gioco di squadra”
Mattia Binotto ricorda l'esperienza in Ferrari
F1 Binotto Ferrari – Nel corso del fine settimana del Gran Premio di Monaco, Mattia Binotto ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport, dialogando con Fulvio Solms su ciò che ha rappresentato la sua esperienza da team principal della Ferrari tra il 2019 e il 2022. Oggi figura di riferimento in Sauber, dove ricopre i ruoli di COO e CTO, l’ingegnere svizzero ha offerto una riflessione ampia su quel percorso, mettendo al centro soprattutto l’aspetto umano e organizzativo.
Tra i diversi spunti emersi, Binotto ha voluto evidenziare quale sia, a suo giudizio, l’eredità più rilevante lasciata a Maranello: “Cosa penso di aver lasciato alla Ferrari? Spero un’innovazione sul fronte del metodo di lavoro, ma in Formula 1 si gioca in squadra: ho contribuito come tutti quelli che erano attorno a me.” Un’affermazione che riassume l’approccio gestionale adottato in quegli anni, in cui si è cercato di costruire un ambiente in cui la componente collettiva avesse maggiore peso rispetto ai singoli.
Il concetto è stato ulteriormente ribadito quando l’ex responsabile della Scuderia ha spiegato quale visione lo abbia guidato: “La maggiore importanza della squadra sull’individuo nel determinare il risultato.” Un principio manageriale che ha ispirato la sua linea operativa, ma che, alla prova dei fatti, ha incontrato ostacoli e critiche, complici le difficoltà tecniche e le prestazioni altalenanti registrate in quel quadriennio. Sotto la sua direzione, il Cavallino ha attraversato una fase di transizione che, nonostante alcuni momenti incoraggianti, è stata spesso segnata da errori strategici e risultati non all’altezza delle aspettative. Un contesto che ha inevitabilmente acceso il dibattito sul modello organizzativo promosso in quegli anni.
Particolarmente interessante, nel corso dell’intervista, è stata la rivelazione legata ai nomi che non hanno mai fatto parte dei suoi piani: Max Verstappen e Adrian Newey. Due profili di primo livello che, secondo Binotto, non erano nei radar della squadra di allora: “Non perché non li ritenga straordinari, ma perché stavamo vivendo un periodo tutto nostro: in quel momento non ce n’era la necessità.” Una dichiarazione che offre un’ulteriore chiave di lettura sull’indirizzo tecnico e strategico adottato, volto a costruire internamente la crescita della Scuderia, evitando colpi di mercato ad alto impatto mediatico o tecnico.
Il bilancio dell’ex team principal resta dunque legato più alla struttura che ai risultati. Oggi, con un ruolo diverso e nuove responsabilità all’interno di Sauber, Binotto osserva da lontano la Rossa, portando con sé la consapevolezza di aver provato a tracciare un metodo, in un ambiente che, da sempre, si muove tra ambizione, pressione e identità fortemente radicata.
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