Essere Ferrari, essere incompiuti. La McLaren rompe il digiuno, per la Rossa un’altra delusione

La stagione della Ferrari è stata positiva, ma la scuderia si è dimostrata ancora una volta troppo incostante

Essere Ferrari, essere incompiuti. La McLaren rompe il digiuno, per la Rossa un’altra delusione

Charles Leclerc ha dato tutto, ha guidato come un’iradiddio, compiendo una rimonta quasi impossibile, dal fondo della griglia al podio, in una gara lineare, senza safety car o interruzioni.

Una prestazione maiuscola, a testimonianza che il monegasco – protagonista di un fine settimana tormentato a Yas Marina – è stato quello che forse ci ha creduto di più, e ci ha creduto fino alla fine. La faccia cupa e delusa del dopo gara raccontava un mondo.

Ed è il mondo della Ferrari, di questa perenne e tremenda sensazione di un destino sempre avverso, da mitologia greca. Leclerc era affranto perché queste continue sconfitte pesano, e chi meglio di lui, che rema controvento dal 2019 come alfiere del Cavallino, può capirlo?

La stagione del Cavallino, nessuno può negarlo, è stata positiva. Tra le migliori degli ultimi anni, senza dubbio. Era dal 2012 che Maranello non si giocava un mondiale all’ultima prova, ed era tempo che non andava così vicino a vincerlo. Restano tra l’altro le cinque vittorie e i tanti podi. Non si può muovere alcuna critica eccessiva a una scuderia che ha fatto molto meglio rispetto ad anni ben più sciagurati.

E però la sensazione è più o meno sempre la stessa: di costante amarezza, di quasi ineluttabilità per un’incompiutezza e una irresolutezza che sembrano ormai marchi di fabbrica della Ferrari da GP.

“Nessuno inganna il proprio fallimento”, la frase del famoso regista Sorrentino ben si sposa al Cavallino. Cambiano i piloti, cambiano i team principal, gli avversari, le auto, i regolamenti. Panta rei, tutto scorre, tutto muta, ma non la sconfitta alla quale la Rossa pare abbonata.

Il Costruttori non ha lo stesso valore del titolo Piloti, e sicuramente la Ferrari è arrivata a giocarselo un po’ a sorpresa, in un anno quasi di “anarchia”, con valori in pista non cristallizzati.

Ma alla fine della fiera contano i fatti. E ci dicono che McLaren e Ferrari non si fregiavano di una corona iridata dal 2008. Woking ha spezzato prima di Maranello il digiuno, pur essendo una scuderia che ha molte meno risorse.

Merito della guida saggia ed illuminata di Andrea Stella, a questo punto un team principal finanche sottovalutato, perché non era facile prendere una squadra in difficoltà all’inizio dell’era effetto suolo (2022) e riorganizzarla fino a farla diventare vincente. Una vera e propria impresa. Che significa nono titolo Costruttori della McLaren, utile poi ad agguantare nella classifica della storia la Williams.

La Ferrari invece è una continua luce a intermittenza, un fulmine a sprazzi, sempre un po’ in ritardo, una montagna russa di emozioni contrastanti, incapace di toccare l’apice senza scendere l’attimo successivo in picchiata.

Gli sviluppi sbagliati di Barcellona hanno condannato il Cavallino. Che però, quando ha raddrizzato la SF24 e sembrava il team migliore, dopo l’estate, è tornato a rallentare sul più bello, in Brasile, a Las Vegas, in Qatar. Per non parlare dei ritiri di Sainz a Baku e Interlagos, anche loro per certi versi fatali.

La squadra, nel complesso, ogni volta che deve darci dentro viene a mancare. The same old story.

Ecco spiegata la faccia scura di Leclerc, che questi alti e bassi ormai li vive nel proprio animo di pilota. Per questo diffiderei dal troppo entusiasmo sul 2025 e sul “ci prendiamo la rivincita”.

La Rossa è una perenne incompiuta e, se può deludere, in qualche modo lo farà. Così ci ha abituato. Qui ormai bisogna essere come San Tommaso: per credere a un titolo iridato del Cavallino bisogna prima vederlo.

Antonino Rendina

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