Ercole Colombo: “Senna, un pilota dalla professionalità unica”

In occasione della presentazione della mostra su Ayrton a Monza abbiamo parlato in esclusiva con uno dei più grandi fotografi della F1 moderna

Ercole Colombo: “Senna, un pilota dalla professionalità unica”

Raccontare Beco è sempre difficile. Di lui infatti si è parlato talmente tanto che ormai il rischio è quello di sprofondare nel banale e nel già noto.

Ecco perché la mostra “Ayrton Senna. L’Ultima notte”, aperta al pubblico dal 17 febbraio al 24 luglio e inaugurata questo martedì all’autodromo di Monza ha voluto puntare principalmente sulle immagini, salvo un paio di tute, un casco e la sua stessa voce diffusa in una stanza illuminata solo da una finta finestra a spiegarci ad esempio il valore delle lacrime e delle emozioni, elementi cardine della sua persona che lo hanno saputo rendere gladiatore umano in mezzo a guerrieri di ghiaccio.

Ideatori dell’esposizione il giornalista Giorgio Terruzzi, autore del libro “Suite 200” che narra nel dettaglio le ore più tarde del 30 aprile 1994 che il brasiliano trascorse all’Hotel Castello di San Pietro Terme, Bologna, e uno dei fotografi monumento del Circus, Ercole Colombo, con cui ci siamo fermati a chiacchierare.

Se guardiamo indietro alla F1 di venti/trent’anni fa che ammiriamo negli scatti qui presenti, che cosa trova di diverso rispetto a quella di oggi?

Che ora persino i novellini si sentono dei campioni. Non hanno ancora raccolto risultati ma l’atteggiamento è da divi. Si concedono poco ai tifosi, sono sempre di corsa, testa bassa, in fuga da tutti e attorniati da addetti stampa, preparatori e personaggi vari che soffocano la loro personalità

Immagino che questo raffreddamento delle relazioni tra atleti e mondo esterno abbia complicato anche il suo mestiere…

Decisamente. Avvicinare i piloti è diventata un’impresa. Si riesce ad “acchiapparli” solo quando dal motorhome vanno verso il box. E’ cambiato pure il lavoro durante l’azione. Prima c’era forse fin troppa libertà nel senso che a momenti ti lasciavano andare in mezzo alla pista, adesso invece per questioni di sicurezza hanno stabilito regole più severe

Esiste un istante nella sua lunga carriera nel motorsport che avrebbe voluto immortalare ma che le è sfuggito?

Il mio motto è “la foto più bella la scatterò domani”, tuttavia devo ammettere che qualche rimpianto ce l’ho. Uno si chiama Jim Clark. Il mio mito, ma purtroppo quando gareggiava io ero un ragazzino

Tornando ad Ayrton. A quale fotografia tra quelle esposte è rimasto più affezionato?

Quella della locandina dell’evento. L’ho fatta ad Imola nel ’94. Il suo sguardo, quel mix di tristezza, solitudine e saudade, è la perfetta incarnazione di ciò che era

Ha un ricordo personale di lui come uomo?

Nel paddock era piuttosto serio, mentre nella vita di tutti i giorni era un tipo simpatico. Un anno trascorsi con lui le vacanze in Australia. Passavamo le giornate in spiaggia a divertirci in un clima di completo relax. E’ un momento che porto ancora nel cuore

Poi il fatale 1 maggio…

Fu un epilogo che sconvolse tutti. Da addetto ai lavori e da amante delle competizioni ritengo quella data, la morte di Gilles Villeneuve e l’incidente di Michael Schumacher episodi tragici chiave della storia della massima serie

Infine qual è stato secondo lei l’aspetto distintivo del Tricampeao?

L’estrema professionalità, la precisione e l’attenzione al dettaglio

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