F1 | La Ferrari è una insalatona uscita male

La Rossa è diventata uno spaccato neorealista. I personaggi ci sono tutti, è l'insieme che non funziona

F1 | La Ferrari è una insalatona uscita male

Dopo l’appuntamento del GP di Ungheria nei box della Ferrari si tolgono via da terra i cocci di sogni infranti, con sguardo basso e dimesso, provando a capacitarsi di qualcosa che oscilla tra il surreale e il tragicomico. Va detto che per la Rossa le delusioni non sono una novità, semmai una consuetudine.

Lo stupore, in negativo, lo riassume il condottiero, l’unico che si salva, Charles Leclerc, che nel dopo gara è piuttosto avvilito, affranto, completamente svuotato e scoraggiato. “Ero un passeggero della mia auto dal giro 40, abbiamo avuto problemi al telaio, ma dico io, un’occasione abbiamo per vincere un GP in una stagione e la buttiamo così?”.

Già Charles, il tuo pensiero è lo stesso dello spettatore domenicale, attonito dinanzi ad un crollo inspiegabile. Un attimo prima la Ferrari se la gioca con la McLaren, e se non fosse stata vittoria poteva essere un ottimo secondo posto, un attimo dopo è una macchia malinconica spompata e sorpassata a destra e manca.

Ma dopotutto la gara di Budapest fotografa bene ciò che è l’attuale scuderia italiana, un team che non funziona, una insalatona in cui ci sono tutti gli ingredienti, ma dal sapore acre, rancido.

È come uno spaccato di neorealismo che tende al decadentismo. C’è il giovane non più giovane talento, un fenomeno di velocità, capace di portare in pole macchine scadenti, il quale – vittima sportiva – si sta bruciando la carriera in una squadra che non è in grado di dargli una buona vettura. Leclerc, lo ripetiamo, è l’unico a salvarsi, e per fortuna c’è lui. Anche a Budapest alla fine della fiera ha portato lui a casa i 12 punti del quarto posto.

Poi abbiamo il campionissimo al crepuscolo della carriera che è più veloce a parole che in pista. Il quarantenne Hamilton, sbiadita controfigura del figlio del vento che ha stracciato tutti i record della massima categoria, è tutto un programma di cambiamenti da fare nel team, di promesse, di gloriosi propositi (citazione per i fan dei supereroi Marvel), e poi non riesce ad entrare nemmeno in Q3 su una delle sue piste preferite. E che diamine.

Un risultato che avrebbe dovuto consigliargli silenzio e tanta fame in gara. Invece Lewis è andato a fare il bello e tenebroso dinanzi ai microfoni, in un misto di pietismo e melodramma che è risultato soltanto stucchevole. In più alle brutte qualifiche ha fatto seguito una gara anonima, senza foga, anima, conclusa in modo deprimente fuori dai punti. Ma tanto ormai.

Infine c’è il gran capo, Vasseur, sorridente sempre, descritto come un uomo di corse infallibile, adorato dai piloti e dai suoi uomini. L’uomo giusto, il paterfamilias responsabile e benvoluto. Che però finora non ne ha imbroccata mezza, tirando su un team che viene sempre meno sul più bello. Comprensibile però che i vertici Ferrari non abbiano voluto cambiare la guida del team alla vigilia della rivoluzione regolamentare. Il 2026 è l’anno campale per Fred, la stagione nella quale capiremo il senso di tutta la sua visione.

Sullo sfondo abbiamo il resto delle figure di Maranello. Dal presidente Elkann, all’ad Vigna, che oscillano tra dichiarazioni di facciata e lunghi periodi di colpevole silenzio, a tutti i tecnici, a partire dal direttore tecnico Loic Serra, preso perché magico con le sospensioni. Giudizio sospeso.

Se fosse un film, dopo i protagonisti, i comprimari comparirebbero in gag esilaranti nei titoli di coda.
Il genere del film sceglietelo voi. Potrebbe essere uno di quei film che fa ridere, ma anche riflettere, un po’ cinepanettone, un po’ Sorrentino. “La Ferrari non voleva solo partecipare alle corse, voleva fallire”. Per ora è proprio così. 

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