Ron Dennis e la McLaren: il magico Project Four

Ron Dennis e la McLaren: il magico Project Four

Quello che Ron Dennis ha dato alla McLaren è qualcosa di più unico che raro. Diciamo pure che senza di lui probabilmente il team di Woking non sarebbe quello che è ora. Per lo meno al costruttore inglese mancherebbero ben 10 titoli Piloti e 7 titoli Costruttori. Insomma parliamo di numeri importanti, e di un uomo che portò alla McLaren piloti come Lauda, Prost, Senna, Hakkinen,  Alonso ed Hamilton.

La Formula 1 si affacciava alle porte degli anni 80 quando la Mclaren si trovava in grande crisi di risultati. La M26 non fu all’altezza della concorrenza, che sfoderò un’arma micidiale: l’effetto suolo. Gli ingegneri non furono in grado di adeguarsi e per un paio di stagioni la scuderia rimase nelle retrovie, orfana di successi.  Il fallimento era imminente e la Marlboro premeva su Teddy Mayer per trovare una soluzione.

Qui entrò in gioco Ron Dennis. Nel  1981, l’ex meccanico e capomeccanico della Brabham, proprietario della “Project Four Racing” una scuderia di Formula 2 con sede a Woking, avanzò un’offerta per l’acquisto della Mclaren. Visti i suoi numerosi successi in Formula 2, la Marlboro non ci pensò due volte ad affidare la gestione del Team a Dennis. Così nacque la Mclaren Project Four Racing

“Voi potete avere tutti i soldi e tutti i piloti del Mondo, senza un buon ingegnere, nell’automobilismo, voi non siete niente.”

Qualche mese prima Dennis aveva contattato un ex ingegnere McLaren al momento impegnato oltreoceano sempre in competizioni sportive. Egli sapeva che sarebbero servite delle solide basi per sviluppare il progetto di un’auto all’altezza della concorrenza. John Barnard aveva conosciuto in America le innovative tecniche dei materiali compositi e se le portò dietro di sé quando venne richiamato da Dennis in Europa. Progettò la Mp4-1, la prima vettura dell’era Dennis, nonché prima vettura con un telaio completamente in fibra di carbonio. L’auto migliorò in leggerezza e in sicurezza, ma rimase poco competitiva, tanto da racimolare una sola, e fortunosa vittoria nel 1981, al Gran Premio di Gran Bretagna con John Watson.

“Alla ricerca della perfezione”

La Mp4-1 era quindi molto lontana dal poter lottare per il titolo. Ma era tutta questione di motore. La vettura infatti montava un motore aspirato che nulla poteva contro i moderni motori turbo. Dennis che ben sapeva che le vetture inglesi erano un passo avanti rispetto alle altre in fatto di telaistica, ma un passo indietro per quanto riguardava il motore stipulò un accordo con la TAG e con la Porsche per la realizzazione di un motore sovralimentato per la stagione 1983.

“La parte presa dalla TAG nella costruzione del motore turbo mostra la chiaroveggenza di Mansour Ojjeh. Noi abbiamo investito sul futuro.”

 Con i motori turbo non ci fu più storia. Dal 1984 al 1991 fu un dominio Mclaren, interrotto solamente da Piquet su Williams nel ’87 e terminato dallo strapotere di Mansell nel 92. Furono tempi d’oro quelli del costruttore di Woking, che vide arrivare nella propria bacheca ben 7 titoli pilloti, con i leggendari Lauda, Prost e Senna. Ma successivamente arrivarono altri successi, nel 98 e nel 99 con Mika Hakkinen. L’ultimo colpo geniale della sua carriera fu mettere sotto contratto alla sola età di 12 anni un ragazzino di nome Lewis Hamilton, e affidargli già al suo primo anno in Formula 1 la guida della Mclaren. Hamilton fallì per un punto al primo tentativo, ma l’anno dopo, sempre per un punto si laureò Campione del Mondo. Nel 2009, dopo numerosi successi, Dennis lascio il posto di Team Manager a Martin Witmarsh.

A Ron Dennis in molte occasioni venne affibbiato il soprannome di “antipatico”, poiché non voleva che nel paddock i team minori fossero posti vicino alla zona della Mclaren, o molto semplicemente per il suo carattere chiuso e contenuto. Ma si può davvero criticare un uomo che ha dato e ottenuto così tanto dalla Formula 1? Un uomo che ha portato alla massima categoria dei talenti puri? Per molti ferraristi, Dennis è sinonimo di McLaren, e quindi del “nemico”, ma la verità è che senza il suo contributo questo sport non sarebbe mai stato così popolare, così sicuro e così emozionante.

Matteo Bramati

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