Ferrari, il rischio di perdersi, l’esigenza di fare quadrato intorno a Vettel…

Momento difficile per il Cavallino, ma guai a scaricare le colpe della disfatta sul pilota tedesco...

Ferrari, il rischio di perdersi, l’esigenza di fare quadrato intorno a Vettel…

Un banco degli imputati dove ad attendere la sentenza (di condanna) siede il povero Sebastian Vettel, che più di tutti sta pagando le conseguenze del tonfo assordante della Ferrari. La debacle iridata, nonostante le quattro vittorie, le cinque pole e la prima parte di stagione sorprendente, rischia di presentare un conto salatissimo, perché più si va avanti e più la Ferrari dà la sensazione di non aver attutito al meglio il colpo ricevuto, di essere rimasta notevolmente scottata, se non sconvolta.

Uno stato d’animo che trapela dalle parole di molti degli uomi in rosso. A partire da quelle di Sebastian il quale – nonostante uno svantaggio in classifica ormai incolmabile – dopo la gara di Città del Messico, scuro in volto, parlava ancora di “obiettivo fallito” al quale aveva creduto “fino all’ultimo”.  Sconsolato come se avesse perso il titolo al fotofinish, come se non avesse ancora pienamente metabolizzato gli eventi negativi degli ultimi due mesi.

Così anche le parole di Marchionne, presidente lui sì, impulsivo, emotivo. Non una mossa geniale “bollare” Vettel quale pilota caliente, latino, istintivo; con l’infelice conseguenza di controfirmare (involontariamente) quello che è diventato il filo conduttore di questo periodo: ovvero insistere sulle presunte fragilità di Vettel e su una sua teorica inferiorità rispetto ad Hamilton.

La verità è che la fragilità attuale dell’intera Ferrari diventa il pretesto perfetto per giocare alla ricerca ossessiva del capro espiatorio, sul quale riversare tutte le responsabilità per una delusione evidentemente cocente. E’ colpa di Vettel, il titolo l’abbiamo perso per gli errori di Baku, Singapore, Messico. No, è colpa di Arrivabene (secondo l’adagio secondo cui a pagare dev’essere sempre l’allenatore). Macché, è colpa dei tecnici, non hanno sviluppato l’auto. Niente di tutto ciò, soltanto un concorso di cause che hanno trasformato il sogno in incubo.

Sono preoccupato. Troppi spifferi sommati tra loro possono diventare diventare tempesta; la Rossa sembra nuovamente ribollire come magma, pronta ad esplodere. L’impazienza di Marchionne, palpabile nelle frecciatine mandate in continuazione al team, non aiuta. Arrivabene è condannato ad un lavoro complicato, da equilibrista, di raccordo tra squadra ed esigenze presidenziali. Il dt dei miracoli Binotto è invece chiamato a progettare con i suoi colleghi una monoposto vincente, con pochi mesi a disposizione per trovare performance mancanti e affidabilità.

Troppi e diversi fattori in gioco per scaricare tutte le colpe su Vettel, il quale – opinione puramente personale – deve aver perso un po’ di sicurezza, un po’ di quella sprezzante spavalderia che appartiene a tutti i campioni, dal GP del Belgio. Quell’affondo ad Hamilton respinto senza appello dall’inglese è stato un colpo esiziale, demoralizzante, qualcosa che può far saltare schemi e nervi. Da lì a Singapore, passando per l’umiliazione (cronometrica) di Monza, è un attimo. Se poi ci si mette anche l’auto a fare i capricci è abbastanza difficile chiedere atarassia e imperturbabilità a quel tedesco che s’è preso sulle spalle una bella responsabilità, e che reputa la sua avventura in rosso una missione.

Il Cavallino deve archiviare quanto prima questo 2017 che s’è messo improvvisamente di traverso, dimenticando la seconda metà di stagione e ripartendo dall’Ungheria, dal campione capace di vincere con la vettura sghemba, disegnandogli intorno una corazza, in senso letterale, perché Vettel si farà perdonare, è l’uomo su cui puntare senza il minimo indugio (basterebbe la pole del Messico, per capirci…) e difficilmente sbaglierà altre partenze. Guai a delegittimare il tedesco; constatare dei passi falsi è lecito, screditarlo è scorretto. Sarà però necessario metterlo nelle migliori condizioni possibili per rendere sui suoi livelli, perché troppo spesso ci dimentichiamo dell’importanza del mezzo meccanico in questo sport.

Antonino Rendina


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