F1 | GP Stati Uniti: l’analisi della gara

Il tracciato di Austin regala spettacolo con una gara ricca di duelli sia nelle zone alte della classifica che a centro gruppo

F1 | GP Stati Uniti: l’analisi della gara

Al Gran Premio degli Stati Uniti non è mancato nulla. Duelli al vertice, la grinta di Sebastian Vettel, il cuore di Fernando Alonso e la strategia a una sola sosta di Kevin Magnussen. Un mix di elementi che ha regalato una corsa esaltante e combattuta su una pista che, storicamente, ha spesso consegnato gare avvincenti. Anche quest’anno il Circuits of the Americas non ha deluso e, per quanto dal punto di vista del risultato possa essere sembrata scontata l’ennesima vittoria di Max Verstappen, all’appuntamento texano non sono mancati i colpi di scena.

Indubbiamente la Red Bull ha ancora qualcosa in più degli avversari, specie la domenica, ma le dinamiche di gara possono essere imprevedibili, a partire da quel lento pit stop che aveva messo a rischio il tredicesimo il successo del pilota olandese, costretto a recuperare in pista quanto perso ai box. Una rimonta completata nello spazio di poche tornate, sfruttando nel migliore dei modi anche i punti forti della RB18, in particolare quel vantaggio velocistico sui rettilinei che ha permesso di contenere il consumo degli pneumatici con un approccio meno aggressivo in altre zone del circuito. Un aspetto che Mercedes e Ferrari hanno pagato con un degrado maggiore, dovendo forzare nelle zone ad alta percorrenza per compensare quanto perso sugli allunghi, dove in aria pulita pagavano un deficit compreso tra i 7 e gli 11 km/h.

Considerando l’andamento della gara, il secondo posto di Lewis Hamilton può avere il sapore del rimpianto, perché quel tanto agognato trionfo era lì a pochi secondi, ma realisticamente senza il problema di Verstappen al pit stop quell’opportunità non si sarebbe nemmeno creata. Si tratta di un risultato che va visto piuttosto in un’ottica positiva, perché gli aggiornamenti hanno portato gli effetti sperati, consentendo al team di fare un ulteriore passo nella giusta direzione. Discorso leggermente differente per la Rossa di Maranello, che si è presentata ad Austin con un motore aggiornato sul piano dell’affidabilità, nella speranza di poter risolvere quei problemi che l’hanno attanagliata durante il corso del campionato. La sostituzione dell’unità termica sulla vettura di Leclerc era ormai preventivata, per cui per il monegasco la corsa si prospettava in salita ancor prima dell’inizio del weekend. Ciò che il team italiano non si aspettava è che quel sogno realizzato al sabato grazie alla pole di Carlos Sainz si sarebbe presto trasformato in un incubo, complice un’incidente nel corso della prima tornata che aveva messo subito fuori gioco lo spagnolo. Il terzo posto finale ottenuto grazie alla rimonta di Leclerc ha il sapore di un premio di consolazione, come ha lasciato intendere lo stesso monegasco, non tanto per il risultato in sé, ma per come quest’ultimo sia giunto, con uno stint finale dal retrogusto amaro.

La sfida Verstappen-Hamilton

Con l’uscita dai giochi di Sainz nelle prime fasi di gara a causa di un contatto, la corsa sembrava essere già indirizzata verso l’ennesimo monologo targato Verstappen. Complici le condizioni del vento e dell’asfalto, al sabato la Mercedes non aveva del tutto convinto, raccogliendo meno di quanto ci si aspettasse, non per le posizioni quanto per il distacco dai primi. Nonostante gli aggiornamenti, la W13 mantiene i suoi problemi sul giro secco e le condizioni meteo non avevano fatto altro che mettere in risalto i punti deboli della monoposto, privandola dell’opportunità di esprimersi al meglio in quei tratti dove avrebbe dovuto fare la differenza. In particolare, il vento a favore nella sequenza del primo settore aveva messo a dura prova il bilanciamento, rendendo la vettura piuttosto imprevedibile; ciò aveva penalizzato i piloti al sabato, ma le aspettative per la domenica erano certamente differenti.

Nel corso degli ultimi appuntamenti, la Mercedes aveva mostrato un’ottima gestione coperture e su una pista dove ci si aspettava un degrado elevato, questo elemento poteva trasformarsi in un punto a favore nella lotta alle spalle del campione del mondo in carica. Sin dai primi giri sembrava evidente come riuscire a tenere il passo della Red Bull numero 1 fosse impresa ardua, con un distacco medio ad ogni passaggio di circa tre decimi, non per degrado, ma per pura mancanza di performance. L’unica alternativa a disposizione era quella di pensare di strategia, costringendo anche Verstappen a portarsi sulla medesima tattica di gara. Non avendo un secondo set di medie a disposizione, l’unica valida alternativa era quella di spingere anche i propri rivali ad anticipare la sosta per indirizzarli verso l’utilizzo del compound più duro a disposizione, di cui Mercedes aveva due treni. Dal punto di vista del degrado, non vi era alcun motivo per fermarsi in quel momento, perché i riferimenti cronometrici erano ancora positivi, come aveva confermato via radio anche lo stesso Hamilton, ma si trattava dell’unica chance di movimentare le cose in pista. L’entrata della Safety Car in seguito al testacoda di Valtteri Bottas aveva però cambiato le prospettive, perché quelle sette tornate percorse dietro la vettura di sicurezza avevano dato modo di allungare il secondo stint, facendo tornare la strategia media-hard-media una valida opzione per il finale.

Anche dopo l’esposizione della bandiera verde, Verstappen era tornato a imporre il suo ritmo, ma questa volta non in maniera così prorompente e netta come si era osservato nella prima parte di gara. Non a caso, via radio Verstappen si era spesso lamentato di una mancanza di grip avvertita su quella mescola, anche se è importante sottolineare come il pilota di Hasselt in realtà stesse facendo più tyre saving rispetto al collega della Mercedes, in particolare nei curvoni veloci del primo e terzo settore. Max poteva infatti contare su un vantaggio sugli allunghi di circa 10 km/h che consentiva di gestire con maggior serenità quei tratti dove l’energia impressa agli pneumatici risultava maggiore. L’idea non poteva essere quindi quella di giocarsela sulla lunga distanza, perché sarebbe stata una battaglia persa, ma avendo un solo set di hard a disposizione, l’unica opzione era quella ancora una volta di anticipare la sosta e sperare che Red Bull si allineasse. I buoni riscontri ricavati dal primo stint avevano però spinto il muretto della Red Bull a intraprendere una direzione differente, montando il secondo e ultimo set di medie come arma per arrivare al traguardo: “Per tutta la gara mi hanno chiesto cosa ne pensassi delle gomme. E sì, credo che grazie al mio feedback abbiano scelto le medie. E credo che fosse giusto così. Non penso che alla fine della giornata avrebbe avuto molta importanza, perché penso che siamo stati veloci sia con le medie che con le hard. Ma la media è durata abbastanza fino alla fine”, ha raccontato l’alfiere della Red Bull commentando la decisione del team.

Il problema al pit stop aveva però cambiato le carte in tavola, rendendo l’olandese non più preda, bensì cacciatore. Un guasto tecnico alla pistola che aveva rispedito il campione in carica a sette secondi dall’inglese della Mercedes con l’intrusione nel mezzo di Leclerc a rallentare la rimonta verso il vertice. Sfruttando il vantaggio prestazionale sui rettilinei, la pratica non aveva richiesto poi così tanto tempo, pochi passaggi, abbastanza da non vedere i sogni di gloria andati in fumo. Come ricordato dai box via radio, l’importante era far sì che il sorpasso per tornare in testa arrivasse in modo naturale, senza strafare; un messaggio che era rivolto soprattutto alla gestione gomma, in modo che l’olandese potesse contare su delle coperture ancora in buon stato quando sarebbe arrivato il momento di sferrare l’attacco. A suon di migliori intertempi, anche in questo caso erano bastate meno di dieci tornate per riportarsi in scia al battistrada, con l’attacco decisivo che era arrivato solamente qualche passaggio più tardi, quando con un’incredibile differenza di quasi 40km/h Verstappen si era ripreso la testa della corsa alla staccata di curva 12.

Una manovra tanto decisa quanto bella, a cui Hamilton non avrebbe potuto far nulla per impedirla: la differenza prestazione in quel momento era fin troppo marcata per ostacolare la rimonta del pilota della Red Bull. Nemmeno avere a disposizione un secondo set di gomme medie avrebbe davvero fatto la differenza, perché per tentare di compensare il tempo perso nel secondo intertempo Lewis avrebbe dovuto spingere in altre zone della pista, incrementando il degrado. Per quanto sia vero che nei primi due stint, complice la loro brevità, non sia mai davvero visto un consumo gomma così marcato, realisticamente vi sarebbe stato il rischio di portare al limite gli pneumatici, ritrovandosi in difficoltà negli ultimi giri.

“È stata una sensazione incredibile. È stato fantastico essere a distanza di tiro da Max per alcuni punti della gara. Non sapevamo davvero quale sarebbe stato il nostro ritmo oggi. Credo che nel primo stint fosse lui a controllare il ritmo ed è stato molto difficile stargli dietro. Ma nella seconda fase della gara, dopo la Safety Car, sono riuscito a stargli dietro e oggi abbiamo fatto un ottimo lavoro con la strategia. Siamo stati aggressivi. Sono davvero orgoglioso della squadra. Credo che tutti abbiano lavorato duramente per portare qui i miglioramenti durante questo fine settimana. E sì, per un attimo ho pensato che forse saremmo riusciti a resistere, ma credo che la gomma media in più che avevano fosse un po’ troppo forte rispetto a noi”, ha spiegato Hamilton nelle interviste.

Ferrari: una rimonta che fa sorridere a metà

Se la gara del campione inglese della Mercedes si è dimostrata piuttosto lineare sotto il piano strategico, ben più interessante è stata quella di Charles Leclerc, la quale ha offerto diversi spunti di riflessione. La scelta di sostituire il motore ad Austin aveva inevitabilmente condizionato il weekend, costringendo il Ferrarista a una corsa in rimonta. Grazie a un buono scatto al via, il monegasco era subito riuscito a recuperare qualche posizione ritornando in zona punti, ma la risalita verso le zone nobili della classifica era ancora lunga. In quei pochi giri a pista libera che era riuscito a completare prima di arrivare a doversela vedere con Sebastian Vettel, il passo tenuto dall’alfiere della Rossa sembrava convincente, non rapido quanto quello del leader della gara, ma nel complesso positivo.

Riuscitosi a liberare delle due Aston Martin, si era posto un dubbio: pensare a una gara a una singola sosta oppure seguire il piano originale con una strategia che prevedeva due pit stop. A dare l’idea era stato lo stesso Leclerc, il quale nel corso del sedicesimo passaggio aveva suggerito al team di considerare il “plan E”, limitando il ritmo al fine di estendere quanto più possibile lo stint. L’aver preso il via in mezzo al gruppo, dove il passo medio è indubbiamente più alto, con la conseguenza di poter applicare meno energia sulle gomme, aveva fatto sì che il degrado si confermasse più contenuto, dando la chance al team di provare qualcosa di differente sul piano tattico.

L’opportunità di sfruttare l’entrata in pista della Safety Car aveva però cambiato nuovamente le carte in tavola, rendendo di fatto l’opzione ad una singola sosta di per sé fattibile, ma estremamente complicata. Se a centro gruppo Kevin Magnussen è stato in grado di farla funzionare nel migliore dei modi, ciò è dovuto anche al fatto che il ritmo complessivo a centro gruppo sia stato piuttosto alto, tanto che lo stesso Fernando Alonso, per quanto con una vettura incidentata, aveva sofferto a lungo in scia prima di trovare l’affondo decisivo. Sperare che ciò si potesse verificare anche con i piloti di testa era piuttosto improbabile, per questo giro dopo giro quella stessa strategia si era lentamente spostata nuovamente verso il piano iniziale, ovvero il “Plan B”, che prevedeva due soste con uno stint finale sul compound a banda gialla.

Prima di pensare sul piano tattico, tuttavia, vi era da sbrigare la questione Perez. Un problema non di poco conto, perché il vantaggio della Red Bull sui rettilinei rendeva estremamente complicato riuscire a trovare un varco in cui infilarsi, a cui si aggiungevano le difficoltà di Leclerc in curva undici in fase di trazione, aspetto in cui aveva fatto fatica anche al sabato in qualifica. L’unico modo era cogliere il messicano di sorpresa ed è così che Leclerc aveva tirato fuori dal cilindro un’altra mossa spettacolare, simile a quella che gli aveva regalato la testa della gara in Austria ai danni di Max Verstappen. Un sorpasso da cineteca, tanto importante quanto bello, probabilmente tra i più apprezzati della stagione per fermezza, controllo e aggressività. Si trattava di una manovra fondamentale, anche perché avendo pista libera davanti finalmente si sarebbe presentata la chance di spingere senza freni, potendo così avere un riferimento per valutare il suo ritmo. Così come a inizio gara, anche in questa fase della corsa il suo passo si era dimostrato positivo, ma non abbastanza per competere con Verstappen, tanto che il distacco dal campione in carica era passato da cinque a sette secondi nello spazio di poche tornate.

La consapevolezza di dover spostarsi sul piano a due soste aveva anche spinto i tecnici a valutare il momento più opportuno in cui effettuare la sosta, in modo da prendere in controtempo i piloti alle proprie spalle, che certamente non potevano escludere del tutto l’undercut tra le opzioni a disposizione. Il problema ai box di Verstappen aveva dato nuova linfa vitale a una Rossa alla ricerca di un risultato di prestigio, ma a dispetto degli sforzi del monegasco, la pratica non aveva richiesto molto tempo. L’aspetto che ha riscosso maggior attenzione è legato all’alto degrado accusato dal numero sedici nella parte conclusiva del Gran Premio, un elemento di preoccupazione se si pensa agli appuntamenti precedenti. Un trend negativo che, tuttavia, ad Austin trova una sua spiegazione anche nelle dinamiche di gara; sin dalle prime tornate dopo la Safety Car, gli ingegneri Ferraristi avevano chiesto al proprio pilota di aumentare il saving, specie nei curvoni veloci, quelli più impegnativi e stressanti per le gomme. Una volta subito il sorpasso, l’unica speranza di Leclerc era quella di mantenersi vicino al treno, ma ai ripetuti messaggi via radio dei propri tecnici, Leclerc aveva risposto con un chiaro “se gestisco le gomme perdo il DRS”.

Era chiaro che, per non perdere l’ausilio dell’utilizzo dell’ala mobile, il monegasco fosse costretto a spingere fin dai primi giri nelle zone più debilitanti per le coperture, andando ad accentuare il degrado in una fase piuttosto delicata per la mescola. Avvertimenti che gli ingegneri avevano ripetuto in più occasioni, suggerendogli anche di risparmiare le coperture per la fase conclusiva del Gran Premio, quando probabilmente se la sarebbe dovuta nuovamente vedere con Perez. Mettendo insieme il duello iniziale e il fatto di essere rimasto a lungo nella scia spingendo nelle aree più impegnative, sorge quasi come logica la considerazione che gli pneumatici ne abbiano risentito poi in gara, più di chiunque altro top. Ciò non vuol dire che la responsabilità sia da attribuire al pilota, ma deve piuttosto far pensare a quali azioni sia costretto il pilota per mantenere il ritmo del rivale nel tentativo di sopperire alle mancanze della vettura.

“Sì, mi è piaciuta la prima parte di gara. Nei primi giri si trattava di avere pazienza. Ho fatto una buona partenza, ma poi mi sono trovato in una posizione sfortunata all’uscita della curva 1, per cui ho praticamente perso tutto quello che avevo guadagnato. Poi si è trattato di essere pazienti, di cercare di conservare le gomme per poi attaccare, cosa che ho fatto, e tutto sembrava a posto. Abbiamo avuto un po’ di fortuna con la Safety Car al momento giusto per noi, che ci ha riportato in gara. Ma poi, purtroppo, abbiamo sofferto un po’ troppo il degrado degli pneumatici per poter lottare per il vertice. Ma sì, è un miglioramento, ma dobbiamo fare tutti i passi necessari”, ha spiegato Leclerc.

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